Print Friendly, PDF & Email

altrenotizie

Kiev, i colpi di coda dell'Occidente

di Fabio Marcelli

Non ci vogliono stare. La propaganda atlantista rilancia, imperterrita e sbruffona, traendo alimento dalla triste e oscura fine di Alexei Navalny. Eppure la situazione sul campo è molto chiara e indica che, come prevedibile, la Russia sta prevalendo. Putin del resto ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare una pace onorevole per entrambe le parti. Base concreta del negoziato è l’accordo raggiunto a Istanbul poco tempo dopo l’invasione, che lo stesso Putin cita più volte nella nota intervista al giornalista statunitense Tucker Carlsson. Gli ingredienti sono quelli noti da tempo: autonomia del Donbass, Crimea alla Russia (eventualmente verificando in entrambi i casi la volontà popolare), divieto di propaganda nazista e neutralità per l’Ucraina. Un accordo mutuamente soddisfacente che si sarebbe potuto raggiungere agevolmente due anni e circa duecentomila morti fa.

Ma le infami burocrazie atlantiste non demordono. Con incredibile arroganza il presidente (ancora per poco) del Consiglio europeo, Charles Michel, afferma che esiste solo un piano A, la vittoria dell’Ucraina, mentre il malfermo Joe Biden, che ricopre ancora per poco la carica di presidente degli Stati Uniti, approfitta della morte di Navalny per tornare a insultare grossolanamente Putin.

Biden evidentemente spera che dare addosso a Putin possa raddrizzare la sua situazione, che è definitivamente compromessa in relazione alle prossime elezioni presidenziali. Ma si tratta di un patetico tentativo destinato a sortire pochi effetti e proprio l’appoggio a Zelensky e alla sua squalificata amministrazione gonfia di neonazisti e corrotti costituirà una delle cause della probabile vittoria di Donald Trump in tale occasione. Trump infatti ostenta al riguardo un approccio ben più pragmatico, rispettoso delle preoccupazioni del contribuente statunitense e consapevole della necessità di convivere con la Russia in modo per quanto possibile pacifico. Per quanto possa sembrare paradossale, l’impressione è quella di un Trump meno assoggettato agli ordini del complesso militare-industriale di quanto lo sia Biden, con la sua coorte di vecchie impresentabili guerrafondai, a cominciare da Hillary Clinton.

La situazione dell’Unione Europea è ancora più disperata. Le burocrazie attualmente al potere, ben esemplificate dal citato Michel e da Ursula von der Leyen, potranno restare in sella solo venendo a patti in qualche modo con le destre, destinate ad avanzare in tutto il continente. La probabile affermazione di queste ultime è legata alla posizione sempre più marginale riservata all’Europa nel contesto del cambiamento degli equilibri politici ed economici mondiali, declino accentuato dalle politiche esasperatamente filo-NATO e anti russe perseguite dalle attuali corrotte élites legate ai potentati economici della finanza, dell’energia e degli armamenti. Le scelte autolesioniste costeranno sempre di più ai cittadini europei, generando una comprensibile rivolta che, dato il clamoroso fallimento della sinistra, sempre più frammentata e incapace di parlare alla gente comune, si rivolge verso le destre.

Pur di restare al potere Von der Leyen & C. cercano alleati a destra, trovandoli nella cameriera di Biden, Giorgia Meloni, mentre più ardua appare la ricerca dalle parti di Berlino. A ogni modo dette élites resteranno fortemente spiazzate dalla probabile vittoria di Trump e a quel punto inizierà una vergognosa ritirata di Russia da far invidia a quelle di Napoleone e Hitler.

Per il momento continuano però a ballare e sorridere sull’orlo del cratere nel quale prima o poi sono destinati a precipitare. E anzi i sei mesi o poco più che ci separano dall’inevitabile avvento di Trump saranno di estremo pericolo, dato che Biden e i suoi cortigiani europei potrebbero essere tentati di giocare il tutto per tutto per evitare l’altrettanto inevitabile sconfitta del loro burattino Zhelensky.

Il panorama che si delinea nella prospettiva delle elezioni europee è comunque sconfortante e prelude a un’ulteriore accelerazione del declino del continente che mediante il colonialismo e le guerre ha dominato il pianeta negli ultimi cinquecento anni, con l’ultimo secolo in posizione di crescente subordinazione ai suoi nipotini statunitensi.

Un vero peccato, nel momento in cui si delineano nuovi equilibri multipolari e occorre procedere con urgenza a ridisegnare il sistema delle Nazioni Unite in funzione della pace e dei diritti umani, come ci insegna la vicenda Ucraina e quella ancora più drammatica del genocidio del popolo palestinese.

Comments

Search Reset
0
Ambrogio
Friday, 01 March 2024 16:57
Una chiosa che non cambia lo scenario: dopo aver letto il recente libretto di Luciano Canfora (che consiglio caldamente) "Guerra e schiavi in Grecia e a Roma. Il modo di produzione bellico", quando qua si dice "...negli ultimi cinquecento anni" mi viene da dire "...negli ultimi 2500 anni". Il modo di produzione del colonialismo, finalizzato alla spoliazione del globo a favore di un centro di potere non è peculiate del periodo più strettamente detto capitalistico. Di fatto, come racconta Canfora, una orgine degli scontri di classe nonchè del motore mai sazio dell'imperialismo ci arriva sin dai tempi delle polis. Erano (un po') diverse le risorse da sfruttare, ma il motore è quello.
Like Like like 1 Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit