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L’ONU conferma: a Gaza i bambini iniziano a morire di fame

di Dario Lucisano

Più di 13.000 bambini palestinesi sono morti dall’inizio dell’invasione di Gaza, la maggior parte dei quali come effetto dei bombardamenti aerei, dei colpi di carro armato o di artiglieria e dei fucili dei soldati israeliani. Adesso, i bambini palestinesi muoiono di stenti per la fame e la disidratazione. Il ministero della Salute di Gaza ha dichiarato che 15 bambini sono morti per queste cause soltanto nell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, nel nord di Gaza, e ieri l’ONU ha dato conferma della situazione di assoluta carestia in cui si trovano i bambini palestinesi, attraverso un report in cui sostiene senza mezzi termini che nel nord di Gaza “i bambini stanno morendo di malattie legate alla fame e soffrendo gravi livelli di malnutrizione”. La questione della fame a Gaza è ormai sempre più al centro dell’attenzione, soprattutto dopo l’inizio dell’invio di aiuti via aria portato avanti da numerosi Paesi; questi, tuttavia, si stanno rivelando limitati e insufficienti a svolgere il compito di fornire sostegno umanitario alla popolazione palestinese, sempre più costretta alla fame. L’unica strada, secondo l’ONU, è quella battuta, che tuttavia è direttamente bloccata dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) che pattugliano il confine.

Secondo quanto comunica l’ONU, “martedì, gli sforzi del Programma Alimentare Mondiale (PAM) dell’ONU per consegnare le scorte di cibo di cui c’è disperatamente bisogno nel Nord di Gaza si sono rivelati ampiamente fallimentari”. Nella giornata di ieri, infatti, un convoglio di 14 camion di cibo del PAM – il primo dalla sospensione di questo 20 febbraio – diretto nell’area settentrionale della Striscia, è stato fermato dalle IDF presso il checkpoint di Wadi Gaza, e dopo una sosta di tre ore è stato rispedito al mittente. Sempre ieri una delegazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è arrivata presso l’ospedale di Al Shifa, dove il Dottor Rik Peeperkorn, rappresentante del OMS per i territori della Palestina occupata, ha dichiarato che “a Gaza la malnutrizione non è mai stata la minaccia mortale che è ora”. A monitorare la situazione sul valico è invece, tra le altre, una delegazione italiana, arrivata nei pressi del confine con l’Egitto, a Rafah, per insistere con la richiesta di cessate il fuoco. Qui oltre un migliaio di camion sono bloccati, fermati da Israele, che proibisce loro di entrare nella Striscia. Pagine Esteri ha a tal proposito condiviso un video girato su un parcheggio al confine di Rafah, in cui vengono mostrati 1.500 camion di aiuti umanitari a cui è negato l’accesso alla Striscia dalle IDF.

Nel suo articolo l’ONU definisce i livelli di fame che la popolazione di Gaza ha raggiunto negli ultimi mesi come “catastrofici”, tanto che secondo quanto comunica Associated Press molte persone, in assenza di farina, avrebbero fatto ricorso al mangime degli animali per produrre il proprio pane. I problemi alimentari si allargano anche alla questione idrica, visto che “più dell’80% delle case a Gaza non hanno accesso ad acqua sicura e pulita”, ma l’acqua scarseggia in generale, tanto che, sempre secondo l’ONU, in media circa “40 persone condividono un singolo bagno, e c’è una doccia ogni appena 1.300 persone”. L’unico modo per risolvere l’emergente crisi umanitaria in cui versa la striscia, sarebbe in tale ottica quella di imporre un cessate il fuoco per permettere l’invio sicuro e rapido di sostegno umanitario a una popolazione che sta ogni giorno sempre più morendo di stenti. Questo, poi, non potrebbe che essere inviato via terra, perché gli aiuti lanciati con gli aerei si stanno rivelando piuttosto limitati: i pacchi sono infatti pochi, poco riforniti e spesso lanciati alla rinfusa, tanto da finire in mare. “La strada è l’unica opzione” e, a parere di Carl Skau, Vicedirettore Esecutivo e Direttore Operativo del PAM, “gli aiuti via aria sono un’ultima risorsa e non scongiureranno la carestia”.

Israele però non pare volere davvero arrestare la propria campagna nella Striscia, e l’emergenza della carestia non sembra limitarsi a essere un effetto della guerra, ma si configura come un vero e proprio mezzo attraverso cui essa viene portata avanti, come sostenuto dall’Osservatorio dei Diritti Umani. L’impiego della fame come strumento di guerra servirebbe in tal senso a porre sotto pressione Hamas, mettendo il gruppo armato alle strette e costringendolo a cedere, e sarebbe comprovato, oltre che da episodi di concreta freddezza nella gestione degli aiuti umanitari come la “strage della farina”, anche dalla incessante pressione per bloccare i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, nonché da aperte dichiarazioni di politici israeliani come il Ministro Israel Katz, che si è vistosamente opposto “all’apertura del blocco e all’introduzione di merci a Gaza per motivi umanitari”.

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