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marx xxi

Guerra e rivoluzione. Elogio dei socialismi imperfetti. Carlo Formenti

di Marco Pondrelli

L’opera di Carlo Formenti cominciata con il primo volume ‘guerra e rivoluzione. Le macerie dell’Impero‘ si conclude con questo secondo libro, che unisce alla pars destruens che caratterizzava il precedente testo la pars costruens. Il sottotitolo ‘elogio dei socialismi imperfetti’ è significativo della posizione dell’Autore, che si discosta dalle narrazioni che gettano alle ortiche tutto quello che il movimento comunista è riuscito a costruire dal Novecento.

Il socialismo con caratteristiche cinesi è quindi centrale, Formenti riprende le lucide analisi di Arrighi, che non vedeva nel capitalismo l’unica possibilità di sviluppo. La crescita cinese non può essere slegata dalla sua storia e dalla sua tradizione, scrive l’Autore ‘la Cina può essere compresa solo considerando la sua storia attuale in continuità con la sua storia millenaria, e il tipo di socialismo che tale storia ha generato è una chiara dimostrazione del fatto che il capitalismo descritto da Marx non è il destino che tutti i Paesi del mondo devono subire prima di incamminarsi verso altre forme di civiltà’ [pag. 60]. Usando una metafora non molto elegante si può dire che Formenti ‘metta i piedi nel piatto’ quando affronta di petto la questione se la Cina sia un Paese socialista o capitalista.

Prima di rispondere a questa domanda l’Autore sottolinea la strana situazione che porta studiosi neoliberali a non riconoscere la Cina come Paese capitalista, cosa che, al contrario, fanno molti studiosi marxisti. Il dibattito sulla natura della Cina è introdotto dalla storia che questo Paese ha attraversato nel Novecento. Il modello cinese serve all’Autore per chiarire non solo che la Cina non è un Paese capitalista ma che la storia del Novecento ci dimostra come la Rivoluzione non si sia prodotta nei paesi sviluppati ma nella periferia, est e sud, del mondo.

L’esperimento cinese è in movimento a differenza dei quello del ‘socialismo realizzato’, affrontando il quale Carlo Formenti rifiuta gli slogan diffusi, a destra quanto a sinistra, che portarono l’ex segretario del PRC Bertinotti a liquidare tutta quella storia come ‘errori e orrori’. Questa storia è ripercorsa attraverso le analisi di Hans Modrow e di Rita di Leo, nel primo caso viene messo il luce il ruolo della Germania Est e del suo rapporto con la Cina, mentre Rita di Leo offre un’approfondita analisi sulla NEP, questo offre il destro all’Autore per un esperimento controfattuale, cosa sarebbe stato dell’URSS se non avesse abbandonato questa strada? La risposta è difficile ma il punto, che accomuna questo tentativo alle riforme cinesi, è la ricerca dello sviluppo delle forze produttive. Come ha spiegato molto bene Davide Rossi nel suo libro su Deng Xiaoping se il socialismo non crea ricchezza redistribuisce la miseria.

Un capitolo molto interessante è dedicato all’America Latina, che Carlo Formenti conosce molto bene. L’analisi delle esperienze progressiste meriterebbe una trattazione a parte, riassumendo gli spunti che il libro ci offre possiamo tirare un bilancio di esperienze che sono state senza dubbio positive ma che sono state accompagnate da limiti oggettivi. La realtà latino americana è frutto della ‘presa di coscienza della propria doppia condizione di sfruttati e colonizzati’ [pag. 108]. Il tentativo di cambiare lo Stato da dentro presenta però delle notevoli criticità. L’accettazione della democrazia rappresentativa rende spesso instabili queste esperienze, così come la presenza di una macchina burocratica non integrata nel processo riformatore. A queste riflessioni se ne potrebbero aggiungere altre ma è forse la mancanza di quella che Samir Amin definiva di delinking [pag. 104], a segnare il limite di queste esperienze.

Rilevante è il passaggio finale sul peronismo, ammiratore di Mussolini Peròn fu indubbiamente amato dalle masse popolari del suo Paese, riportando una lettera di Ernesto Sabato (ex militante comunista) Formenti tenta di dare una risposta sul perché del distacco fra la sinistra comunista, troppo attratta dal modello europeo, e le masse popolari. Significativa a tal proposito fu una lettera che Che Guevara scrisse alla madre nella quale affermava: ‘ti confesso con tutta sincerità che la caduta di Peròn mi ha profondamente amareggiato, non per lui, ma per quello che significa per tutta l’America latina […] Per me, che ho vissuto le amare ore del Guatemala, si è trattato di un calco a distanza1‘.

L’esempio latino americano dimostra come sia un errore sostenere oggi che nel mondo esistano solo varie forme di capitalismo in competizione fra loro, in realtà ‘i socialismi esistono, anche se “imperfetti”’ [pag. 134], ecco perché Formenti ripensando agli insegnamenti di Domenico Losurdo accoglie l’invito a ripensare il marxismo occidentale [pag. 137].

Passando al campo occidentale l’analisi diventa ancora più difficile. Difficile è individuare il soggetto di riferimento, come definire oggi la classe è un problema intricato. Affermare come fa Formenti che ‘appartiene al proletariato chi vive esclusivamente della vendita della propria forza lavoro e che, oltre a ciò, non è in grado di determinare il prezzo’ [pag. 144] è giusto ma non basta a chiarire cosa si intenda per classe per sé. Per rispondere a questa domanda l’Autore ne pone altre e analizza temi oggi politicamente sensibili come quelli dell’immigrazione, del rapporto fra centro e periferia e del cosiddetto ‘populismo’. Rispondere a queste domanda ci può consentire di uscire dalle derive di chi vede il nuovo soggetto rivoluzionario nei lavoratori della conoscenza o di chi si è convinto che venuto meno l’operaio fabbrica viene meno anche il ruolo dei comunisti.

L’Autore già in passato ha dedicato riflessioni approfondite su due ‘pseudoconcetti’: populismo e sovranismo. Oramai anche nel dibattito fra comunisti in ricorso a queste definizioni è tanto diffuso quanto confuso. In relazione al populismo Formenti recupera le argomentazioni di Laclau e Mouffle che pur se non esenti da limiti, hanno il merito di chiarire un concetto che altrimenti rischia di diventare una categoria jolly per etichettare tutto quanto non è accettazione dei diktat ordoliberisti. L’analisi dei movimenti definiti come populisti aiuta a capire che essi in realtà siano molti differenti fra di loro, perché frutto di condizioni oggettive non paragonabili. Lo stesso termine ‘sovranismo’ è tanto abusato quanto indefinito, in questo caso sono utili le analisi di Carlo Galli che lega il tema della sovranità a quello della modernità che fonda la propria legittimazione non più su fattori naturali o tradizionali. Sulla critica all’uso strumentale di questo ‘pseudoconcetto’ si lega la critica alla sinistra che rifiuta l’idea di Patria in nome di un malinteso internazionalismo che si appella al ‘il Manifesto del Partito Comunista’ senza, come disse Lenin, averlo capito [pag. 223]. Proprio il rifiuto di una visione nazionale ha aperto la strada all’accettazione dei trattati europei e quindi all’ordoliberismo.

Le conclusioni del libro sono una proposta concrete sul che fare, che mette al centro l’idea di Stato, che una parte dei comunisti contesta, è il rilancio di un nuovo welfare. Paradossalmente solo una rivoluzione sociale può permettere di attuare una politica realmente riformatrice, sull’esempio latino americano si dovrebbe accompagnare un governo rivoluzionario alle istituzioni rappresentative combattendo così una battaglia per la conquista dell’egemonia.

Per concludere il contributo in entrambi i volumi che da Carlo Formenti è importante, perché ci invita ad abbandonare le tante scorciatoie di cui si continua a parlare, i comunisti devono gettarsi in mare aperto, avere il coraggio di abbandonare gli approdi sicuri per combattere negli oceani sconosciuti la loro battaglia.


Note:
1 Massari Roberto, Che Guevara, pensiero e politica dell’utopia, Edizioni Associate, Roma, 1987, pag. 62.

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