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Usa über alles: più dazi per tutti

di Dante Barontini

Parlare dei dazi Usa espone certamente al rischio di scrivere una cosa che dopo due ora non esiste più. Però qualche linea “strategica” si riesce a intuire.

La notizia del giorno è il rinvio al 1 agosto per quasi tutti i paesi con cui ancora non è stato raggiunto un accordo, Unione Europea compresa. Ma intanto va registrato che due alleati storici degli Stati Uniti, come Giappone e Corea del sud, si sono visti appioppare un 25% che sicuramente peserà sugli scambi commerciali tra le due sponde del Pacifico.

E qui possiamo registrare la prima “chiave strategica” della politica commerciale trumpiana: non ci sono amici, in economia, ma solo competitori (tutti accusati di essere “scorretti”, naturalmente). È un rovesciamento radicale della storia posizione statunitense, che distingueva in modo radicale tra alleati e “nemici”, riservando qualche privilegio o esenzione ai primi e tutto il peggio ai secondi.

La ragione è spiegata in modo quasi surreale dal segretario al Tesoro Scott Bessent: “Stiamo raccogliendo entrate significative dai dazi. Il Cbo stima 2.800 miliardi di dollari in dieci anni. E i nuovi accordi potrebbero aumentare ulteriormente questa cifra”. In soldoni, ci servono soldi veri per abbattere il nostro debito pubblico e li prendiamo dai nostri partner commerciali.

L’idea di base è che gli interessi degli Stati Uniti vengono prima di tutto, agli altri viene lasciata solo la scelta tra subire passivamente o reagire con la prospettiva di dazi doppi o tripli (un po’ quello che Trump aveva provato a fare con la Cina, ritrovandosi poi costretto a una rapidissima marcia indietro, ma non tutti “pesano” commercialmente come Pechino).

In questo quadro non esistono più regole né arbitri (il Wto, in specifico), così come sta avvenendo per l’Onu in altri campi. Vige la legge del più forte, anche se magari si sta sopravvalutando…

L’area economica più spiazzata è ovviamente l’Unione Europea, storica servitù pst-bellica che si era ritagliata uno spazio di crescita “protetta” ma al tempo stesso “disinvolta” nei confronti del resto del mondo, imponendo ai propri membri una politica di austerità fatta su misura per favorire il mercantilismo sfacciato del paese-guida (la Germania).

Quella stagione si era già chiusa da un pezzo e solo di recente qualche avventuroso imbecille aveva trovato nel riarmo finanziato a debito (ma non comune) l’idea per restituire all’industria continentale qualche margine di profitto in più. Sorvolando ovviamente sul fatto che le armi più adatte alle nuove modalità della guerra vengono prodotte dagli Stati Uniti, che però hanno pure parecchi problemi nel ricostruire i magazzini svuotati per via dei “regali” a Ucraina e Israele…

Proprio mentre l’establishment continentale, il più scarso della storia (basti confrontare von der Leyen o Kaja Kallas con i Kohl e i Mitterand), pregustava un po’ di business facile, seppur pericoloso (le armi, unna volta prodotte, vien voglia di usarle), ecco arrivare questo bruto statunitense a stravolgere le regole fondamentali del commercio internazionale piazzando ostacoli tariffari fatti su misura per recuperare “fondi”.

La reazione Ue, da mesi, è ondivaga, incerta, totalmente inefficace. Di fatto, non c’è stata.

Ufficialmente il compito della trattativa con Washington, da parte di tutti e 27 i paesi membri, è affidato a von der Leyen e al commissario al Commercio Maros Sefcovic, che solo di recente è riuscito a farsi ricevere dalle seconde file dell”Imperatore”.

La strategia iniziale puntava ai “tassi zero” reciproci, ma è sparita della circolazione. Ora si punta a una “riduzione del danno”, ossia ad un’accettazione di dazi del 10% sulle merci europee senza applicare alcuna ritorsione verso le merci Usa.

Ma non c’è unanimità neanche su questo. Il rischio è che quel 10% – o più – si andrebbe a sommare con le tariffe già in vigore (25% sulle auto europee e del 50% su acciaio e alluminio), accompagnate dalla minaccia di un ulteriore 17% sull’export agroalimentare Ue, che segherebbe il ramo su cui sono sedute Francia e Italia. E stendiamo un velo pietoso sulla disgrazia italica di avere un ministro come Lollobrigida…

Pesa – sulla dinamicità della Ue – soprattutto la differenza di interessi tra i due “big”, con la Germania preoccupata di trovare l’approccio più soft possibile con Trump in modo da non danneggiare troppo la propria industria automobilistica già boccheggiante, mentre la solita nostalgia di grandeur spinge Macron e la Francia a ipotizzare “risposte simmetriche”.

Facile prevedere che l’esito finale sarà il peggiore possibile, per la scombiccherata carovana “europea”. E pare proprio che l’abbiano intuito persino a Bruxelles, tanto da mettere sulla graticola l’aristocratica di ascendenze naziste incredibilmente messa sulla poltrona più importante.

Del resto, che volete pretendere da un baraccone fondato sul “pilota automatico”, ossia sulla rinuncia programmatica alla politica?

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Per un nuovo Risorgi
Sunday, 13 July 2025 22:30
Uscire dalla UE e proclamarsi NEUTRALI è l'unica vera via d'uscita. Ma ci vorranno eroi e martiri. L'alternativa è il servaggio e l'impoverimento strutturale.
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