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Capitalismo 2011: decomposizione in atto

Antonio Carlo  

1) L’economia mondiale. Ripresa inesistente, disoccupazione elevatissima, debito che esplode, disuguaglianze crescenti ed insostenibili. 2) Gli USA. Economia ferma, consumi ed occupazione al palo, deficit e debito “monstre”, costi dell’impero insopportabili. 3) Europa ed euro: un tramonto grottesco. 4) Italia. Sempre più a fondo tra dramma e ridicolo. 5) Oriente. La Cina, declino irreversibile. Giappone un paese senza prospettive. 6) L’economia crolla e la società esplode. Bilancio delle lotte nel 2011. 7) Segue. Internet e le lotti sociali. Una svolta epocale. Il declino della infrangibilità burocratica e della “folla solitaria”. Tootle va in pensione. 

1) L’economia mondiale. Ripresa inesistente. Disoccupazione elevatissima, debito che esplode, disuguaglianze crescenti ed insostenibili.


A) Il PIL, il debito sovrano e la crisi bancaria.

Nel 2010 il PIL è rimbalzato del 5,2% a livello mondiale contro precedenti previsioni (o stime) del 4,8%, nel 2011 si prevedeva un incremento del 4,4%, poi calato al 4% ed a fine anno l’OCSE ci fa sapere che siamo al 3,9%.

In realtà, però, le cose stanno decisamente peggio di quanto appaia da questo dato, perché ormai crescono solo i paesi sottosviluppati che, in genere, producono scarti di bassa qualità, spesso falsi dozzinali dei beni prodotti nelle aree avanzate1 .

Nelle aree avanzate, dove si concentra il grosso della ricchezza e delle capacità scientifico-tecnologiche del pianeta si è ormai vicini ad un ristagno che è una recessione mascherata2 . La prima delusione arriva dagli USA dove il PIL nel primo trimestre del 2011 cresce solo dell’1,8%, molto meno del previsto, epperò il dato riveduto crolla allo 0,4%, nel secondo trimestre + 1,3% corretto poi all’1%. Ma gli USA non sono isolati, la tabella che segue (fonte FMI) illustra bene la tendenza per il 2011 su base trimestrale3

 

Tabella 1

Paesi

I trim.

II trim.

III trim.

IV trim.

USA

0,4%

1%

1,1%

0,4%

Giappone

- 3,6%

- 1,3%

4,1%

0,0%

Euro 3

3,7%

0,5%

1,4%

- 0,4%

Germania

5,5%

0,1%

2,6%

- 1,4%

Francia

3,6%

0,0%

0,9%

0,4%

Italia

0,6%

0,3%

- 0,1%

0,1%

UK

1,9%

0,7%

0,4%

0,3%

Canada

3,6%

- 0,4%

1 %

1,9%

G 7

0,8%

0,4%

1,6%

0,2%

 

Come si vede siamo al ristagno, ma non basta poiché il superindice OCSE (che non valuta solo il PIL ma anche altri indicatori economici), segna a maggio 103,6 per la Germania, 101,7 per la Francia, 103,4 per gli USA, 102,1 per l’Eurozona, 100,2 per la Cina mentre l’India è in calo di 4,3 punti su base annua. Ricordo, inoltre, che 100 segna lo spartiacque tra sviluppo e recessione e la Cina con il suo 9% di crescita del PIL si trova sopra al livello di guardia soltanto di una spanna, gli altri stanno meglio ma non scoppiano certo di salute; poi l’indice cala di mese in mese e a settembre, dopo 6 cali consecutivi siamo, per tutta l’area, solo a 100,4 appena al di sopra del livello di guardia.

L’economia mondiale è ferma e anche i dati dei paesi sottosviluppati, formalmente in crescita, non cambiano il quadro complessivo. Ma c’è un altro elemento estremamente negativo: i paesi ricchi per rimanere fermi (o quasi) devono indebitarsi in modo molto accentuato, senza la stampella del debito saremmo al crollo, come dico da alcuni anni questa è un’economia che produce molti più debiti che ricchezza4 . Il Giappone è al 229% (rapporto debito PIL) nel 2011 negli USA il debito federale raggiunge il PIL ad agosto, in Europa Germania, UK e Francia sono oltre l’80%, l’Italia è al 120%, come si diceva per rimanere fermi occorre far debiti in modo fallimentare: emblematica è la vicenda USA nel primo semestre del 2011 quando il PIL cresce mediamente solo dello 0,7-0,8% su base annua mentre il rapporto deficit PIL naviga verso il 10%, in altre parole la crescita del deficit è 12-13 volte la crescita del PIL, se gli USA fosse un’impresa sarebbe decotta e fallita da tempo.

Ma anche i paesi del capitalismo straccione e “miracoloso” devono indebitarsi sempre più: l’India nel 2010 ha un debito sovrano pari a 900 miliardi di euro e peggiore è la situazione del Brasile5, si tratta di cifre ormai pesantissime in rapporto alle economie di quei paesi; anche in Cina, come vedremo, l’esigenza di ricorrere al debito si fa pressante6 .

Alcuni economisti osservano che ormai gli Stati hanno sparato tutte le munizioni disponibili e sono a secco7 , cifre come quelle indicate evidenziano che hanno ragione.

A questo si aggiunga la crisi bancaria: il FMI valuta a 3600 miliardi di dollari i debiti delle banche8 , che tuttavia festeggiano presentando bilanci apparentemente in attivo9 ed elargendo bonus ai propri managers, ma i primi a non credere alla favola delle banche risanate dalla tempesta passata sono i mercati, in cui nell’estate del 2011 i costi dei titoli bancari vanno in caduta libera mentre i cds (assicurazioni per eventuali default) salgono per le banche francesi, italiane e spagnole10 . Poi arrivano le notizie sui tagli del personale che le banche sono costrette a fare, per ridurre costi non più sostenibili: “In 6000 hanno perso il posto alla Bank of America, e altri 10.000 dovranno seguirli entro fine anno. L’ecatombe è persino più pensante alla HSBC che ha licenziato 5000 dipendenti ma che porterà a 25.000 le partenze entro l’anno in corso. Well Fargo solo nel settore mutui ha dato il benservito a 2000 impiegati. Le sedi americane delle grandi banche svizzere non sono da meno: 3500 licenziamenti alla UBS, 2000 al Credit Suisse”11 .

Tuttavia il dato della Bofa (Bank of America) è stato superato: nel mese di settembre quella banca annuncerà 30000 tagli entro il 2013 per risparmiare 5 miliardi di costi; a fine anno la MF Global annuncia 1000 licenziamenti12 , mentre a fine anno tutti i media italiani danno la notizia che l’Unicredit non distribuirà dividendo nel 2012 e si appresta a tagliare 5200 esuberi.

Sono dati ancor più agghiaccianti se si considera quello che ho evidenziato l’anno scorso: le banche americane hanno avuto aiuti per 3300 miliardi di dollari, quelle europee per 4500 miliardi di euro fino all’ottobre 201013 , eppure sono in crisi.

In questo, però, non c’è nulla di incomprensibile: le banche vivono in simbiosi con l’economia reale da cui derivano le risorse (risparmio) e che condiziona la solvibilità dei crediti concessi. Se le cose vanno male per imprese e famiglie aumenteranno sofferenze ed insolvenze, si contrarrà il risparmio e le banche ne subiranno le conseguenze. Ottenendo la mole enorme di aiuti, che hanno spuntato dagli Stati, le banche hanno trasferito la loro crisi sui governi (lo notano in molti) con buona pace del principio che il rischio nel capitalismo dovrebbe ricadere sull’imprenditore, epperò si sono esposte ad un effetto di ritorno devastante: hanno acquistato (con soldi dello Stato) titoli dei debiti sovrani che, in un momento di fiacca dell’economia, sono uno degli investimenti meno insicuri, hanno inoltre lucrato tassi usurai sugli Stati in difficoltà ed hanno speculato, spesso al ribasso, sui titoli di Stato, rastrellandoli e rivendendoli poi a prezzi più alti14 ; chi segue le quotazioni dei titoli nelle borse si può accorgere che ormai anche i titoli di Stato oscillano come le azioni, con variazioni, per i titoli a lungo termine, anche del 10-20% in un anno.

Così facendo hanno esasperato la crisi dei debiti sovrani e si sono trovate in portafoglio una quantità enorme di titoli periferici o tossici di paesi in grave difficoltà, per cui quando si parla del salvataggio dei Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) si parla in realtà di salvare le banche che hanno in portafoglio questi titoli15 . Il guaio è che i paesi ricchi hanno esaurito le munizioni per cui salvare gli altri (le banche) è sempre più difficile, se non puoi neanche salvare te stesso.

 

B) Occupazione e consumi

Nel corso del 2011 sia il FMI che l’OCSE rilevano che i disoccupati sono ancora 205 milioni16 contro i 210 stimati per il 2009 (a livello mondiale)17 . Nulla è cambiato sostanzialmente a livello generale, ma qualcosa è cambiata nell’area OCSE dove nel luglio 2011, secondo i dati di quella organizzazione, nei paesi più industrializzati i disoccupati sono 44,5 milioni, 13,4 milioni in più del periodo precrisi.

Il guaio è , però, che questi dati sono solo la punta dell’iceberg , esistendo una massa enorme di inattivi o scoraggiati, che il lavoro non lo cercano più o non lo hanno mai cercato, per non parlare dei sottoccupati che non hanno “a decent work” e che vivono di lavoro nero al limite della schiavitù con valutazioni che vanno dal 50% della forza lavoro mondiale (ILO) al 60% (OCSE)18 .

E’ evidente, altresì, che, con un’economia in ristagno che produce molti più debiti che ricchezza, la disoccupazione non possa essere seriamente affrontata. Nel corso del 2011, inoltre, c’è un fatto nuovo di grande importanza (negativa) il Bureau of Labour Statistics americano pubblica una ricerca da cui si evince che le lauree ormai hanno perso ogni carattere di promozione sociale: nei prossimi anni l’economia USA assorbirà 300 mila ingegneri informatici e 500 mila baristi , le professioni del futuro sono: badanti, cuochi, giardinieri etc., e questo avviene in USA e non nello Zambia, già adesso sono laureati in quel paese il 17% dei baristi, il 32% delle massaggiatrici, il 26% delle indossatrici19 .

Né questo è un fenomeno americano: in Cina il 60% dei laureati è disoccupato20 , in India la disoccupazione dei laureati è cosa ultradecennale21 , ciò determina la loro emigrazione in USA ed occidente, dove certo le università americane ed europee producono laureati di alto livello che però hanno pretese salariali superiori a quelle dei pur bravi laureati indiani. In Francia, da oltre 30 anni l’università è definita una officina per disoccupati22 , in Giappone esiste un’espressione per indicare il laureato che compie lavori da commesso o nel basso terziario, e cioè “colletto grigio”23 . Da noi, in Italia, il prof. De Rita, direttore del Censis, ha inviato i giovani a non cercare inutili diplomi ma ad andare in fabbrica24 , peccato che il prof. De Rita ignori che le fabbriche non assumono e, anzi, assai spesso chiudono25 .

Fatti di questo genere erano già stati rilevati nella letteratura sociologica ed economica: da Pollock negli anni ’50 , da Braverman negli anni ’70, da me negli anni ’80, da Rifkin negli anni ’90 e da Beck all’inizio del terzo millennio26 .

Io in particolare avevo rilevato come, negli anni ’80, in USA, l’high tech aveva creato solo 50 mila posti di lavoro l’anno, mentre il grosso dei nuovi posti (quasi tutti) venivano dal terziario pubblico e privato27 ; il mercato del lavoro era in equilibrio grazie alla PA, oppure alle pizzerie italiane, ai ristoranti cinesi, alla boutiques, che vendevano prodotti esotici, alle officine di riparazione auto etc. Con la crisi fiscale dello Stato che blocca il tournover dei pubblici dipendenti o comincia anch’egli a licenziare, e con l’automazione e la concentrazione del terziario privato gli equilibri saltano e non ne sorgono di nuovi. Parallelamente rilevavo anche, sulla scorta di alcune inchieste fatte dalla tecno-burocrazia francese (la più colta e spregiudicata dell’occidente), che nei bureau di ricerca i supertecnici erano una minoranza, per lo più i dipendenti facevano lavori ripetitivi e di copia, ciò perché le imprese non avevano alcun interesse a creare una massa di supertecnici con elevate pretese salariali, ne bastavano pochi cui affidare i punti nevralgici del processo produttivo, utilizzando per il resto lavoratori semiqualificati28 .

Si tratta di cose note e già dette da quasi 60 anni, eppure per tutto questo tempo siamo stati “emmerdé” da una cultura ufficiale che ci diceva che il futuro era delle professioni tecniche, oggi apprendiamo da uno dei centri statistici più importanti e più ufficiali del mondo capitalistico, che il futuro è per i badanti, gli sguatteri, i baristi, i giardinieri etc. etc., l’affermazione non è nuova, lo ripeto, ma è importante chi la fa, dopo oltre 60 anni anche le statistiche dei paesi di capitalismo avanzato si arrendono ad un fatto che per noi era evidentissimo da svariati decenni29 .

Una delle conseguenze di questa realtà è che risulta sempre più inconsistente uno degli scudi ideologici del sistema: la meritocrazia, un’ideologia da quattro soldi in cui non ho mai creduto. Già in anni lontani sociologi conservatori americani aveva rilevato che la possibilità di ascesa sociale dei figli degli operai erano del 6-9% che diventavano il 33% per i figli della classe media ed il 100% per quelli della classe alta30 , i quali ultimi evidentemente nella classe alta vi nascevano, non di ascesa si trattava ma di diritto ereditario31 .

Tuttavia si diceva che con il lavoro e lo studio potevi salire nella scala sociale, lo studio accompagnato dal sacrificio ti avrebbe promosso, ora sai che se studi e ti sacrifichi farai la badante o la massaggiatrice, non così per il figlio di Rokfeller o di Agnelli.

È questa consapevolezza che fa indignare gli indignati e gli fa chiedere di occupare Wall Street: la vostra meritocrazia potete mettervela in quel tale posto. Il lavoro, dunque, rimane il tema centrale: se non aumenti il numero e il peso delle buste paga il sistema si ferma, i consumi ristagnano e con essi il PIL e le entrate fiscali. Poco prima di essere travolto da un oscuro scandalo sessuale il Sig. Strauss-Khan lo disse: “la priorità è lavoro, lavoro, lavoro”. La signora Lagarde che gli è succeduta ha ribadito il concetto ed ha anche ammonito che in queste condizioni, la domanda mondiale potrebbe collassare32 . Certo se le buste paga non crescono o dimagriscono come da anni riferiscono istituzioni quali l’OCSE, il FMI, la BRI, etc.33 , il collasso è un’ipotesi quanto mai credibile e vicina.

In passato i consumi USA (alimentati da un debito crescente) erano il volano dell’economia mondiale, ma sono al palo dal 2008, come quelli del Giappone, mentre in Europa non dominano le cicale (meno che mai in Italia)34 ; in Cina la crescita dei consumi, che molti sperano possa sostituire quella americana, è miserevole, priva di prospettive e sostenuta da un indebitamento che un’economia con un debole PIL procapite come quella cinese non può sopportare35 .

 

C) Povertà e disuguaglianze crescenti.

Il prof. Naim, che viene dalle file della Banca Mondiale parla spesso con lodevole onestà dei guai del capitalismo, ma di recente, forse per fare ammenda del pessimismo che serpeggia nei suoi scritti, ha sostenuto che vi sono consistenti motivi per essere ottimisti sulla possibilità di uscire dalla crisi attuale. Infatti la percentuale povera della popolazione mondiale è scesa, secondo l’ONU, al 12%, livello bassissimo rispetto al passato36 . Ora si dà il caso che negli USA, paese più ricco al mondo, la popolazione povera sia stata stimata, nel 2011 al 15,1% (46,2 milioni di persone) dato record negli ultimi 50 anni37 . Ciò posto che in Cina la popolazione povera possa ridursi al 4,8% nel 2015 può far solo sorridere38 . L’imbroglio sta nel fatto che i criteri di povertà variano da paese a paese ma hanno un elemento in comune, sono tutti collocati estremamente in basso, infatti quando l’ONU parla del 12% di poveri allude a quelli che soffrono di una povertà “estrema”. Tuttavia, come dicevo, i livelli di povertà sono fissati dappertutto a quote sottomarine: per l’ONU la povertà estrema arriva ad 1,25 dollari al giorno, in India siamo ad 1 dollaro il che significa che con 1,30 dollari non sei povero, perlomeno “non estremamente”. Da ridere. Lo stesso avviene anche nei paesi ricchi: in Italia è considerato povero un nucleo di due persone che cumula meno di 997 euro mensili, sicchè con 500 euro a testa non sei più povero; in USA è povero un nucleo di 4 persone con un reddito totale inferiore a 22113 dollari l’anno39 , il che significa 460 dollari mensili a persona. Sono livelli talmente bassi che si propose anni or sono il concetto di “quasi povertà” che comprendeva un livello fino al 25% superiore alla povertà vera e propria40 , il che significa un livello di poco inferiore ai 600 dollari mensili a persona (sempre per un nucleo di 4 persone): tenendo conto del costo della vita in paesi come l’Italia e gli USA siamo davanti a cifre irrisorie che tendono solo a nascondere il fenomeno povertà.

La verità, però, ce lo dicono le valutazioni dell’ILO e dell’OCSE sulle condizioni di lavoro nel mondo, se la metà e più dei lavoratori vivono con salari irrisori (1-2 dollari al giorno), sono sottoccupati spesso in condizioni di lavoro nero41 , senza tutele e garanzie sociali, è evidente che il 50-60% della popolazione mondiale è povera, e si noti che nel 1976 i sottoccupati nelle aree del terzo mondo erano stimati dallo stesso ILO solo al 36%42 , il trend è chiaramente in crescita. Il nostro pianeta è diventato il pianeta degli slums , dove vivono masse sterminate di popolazione in condizioni subumane43 , il guaio è che nelle campagne del terzo mondo le condizioni di vita sono anche peggiori e questo riguarda miliardi di individui. Ancora: il povero investe la quasi totalità del proprio reddito in prodotti alimentari i cui prezzi sono impazziti negli ultimi anni (anche la Banca Mondiale ne è seriamente preoccupata)44 ; gli alimenti di base che costavano in media 100 dollari nel 2002-2004 sono arrivati a costare da 165 a 225 dollari nel 200845 , e dopo la situazione è anche peggiorata46 . La verità è che il 70-80% degli scambi dei prodotti alimentari ha natura speculativa (come avviene per i futures sul petrolio) il che può far saltare il prezzo di un bene del 20% in tre giorni 47 .

Tutto questo significa, per chi vive di lavoro nero e non ha un lavoro decente, una sola cosa: la fame. La verità, dunque, è che la povertà è immensa e coinvolge nelle sue forme più acute il 60% almeno della popolazione mondiale, ma questo non significa che l’altro 40% viva bene. L’anno scorso al noto convegno di Davos in Svizzera emerse che il 10% della popolazione mondiale si tagliava l’83% della ricchezza del pianeta48 , il che significa che l’altro 90% della popolazione (6,3 miliardi di persone) viveva con il 17% del reddito rimanente, e cioè con livelli di reddito tutt’altro che elevati e spesso semplicemente da “povertà decorosa”.

Ma c’è di peggio: quest’anno il Wall Street Journal ha rilevato con soddisfazione che il numero dei miliardari nel 2010 è cresciuto del 12,2% a livello mondiale e che lo 0,9% della popolazione mondiale fagocitava il 39% della ricchezza, mentre lo 0,1% superiore ne raccoglieva il 22%49 . Un simile squilibrio nella distribuzione della ricchezza è dovuto, oltre che alle tendenze naturali del capitalismo accentuatesi negli ultimi decenni50 , anche alle politiche di salvataggio fatte in conseguenza della crisi: se salvi le grandi istituzioni finanziarie spendendo cifre enormi (come si è visto) e fai esplodere il debito sovrano, i costi di tale debito andranno a ricadere sul lavoratore-consumatore (che non evade il fisco), con le c.d. manovre lacrime e sangue; è chiaro che a questo punto la forbice nella distribuzione della ricchezza si allarga, poiché i grandi patrimoni sono salvati a spese dei piccoli. In altre parole gli uni pagano e gli altri incassano e il bilancio dello Stato funziona come un’enorme idrovora che drena ricchezze dalle classi meno ambienti e la trasferisce nelle tasche delle classi ricche, l’opposto della politica di Robin Hood.

Vista da un’angolazione storica la distribuzione del reddito, sempre sperequata nel capitalismo, è diventata un baratro senza precedenti: negli USA del 1929, considerati un paese molto disegualitario, il 10% superiore della popolazione raccoglieva il 39% del reddito e l’1% superiore ne raccoglieva il 18,9%51 , paragonati ai livelli attuali prima indicati siamo quasi ad un egualitarismo spartano.

La situazione è destinata ad incacrenirsi ulteriormente poichè nel 2050 saremo almeno 9 miliardi e la crescita della popolazione si concentrerà essenzialmente nelle aree povere per cui avremo altri 2 miliardi di poveri o quasi, a meno che non vi sia una drastica ridistribuzione della ricchezza verso il basso inconcepibile in questo sistema.

I giovani indignati dicono che essi sono il 99% della popolazione che si contrappone all’1%. E’ una valutazione eccessiva poiché come si è visto c’è un buon 10% che vive decisamente bene, lasciando le briciole della torta al rimanente 90%: 10 contro 90 mi pare una valutazione più realistica. Tutto ciò non è solo disgustoso moralmente ma è suicida economicamente: con il 90% della popolazione che ha un reddito da molto basso a modesto, i consumi ristagnano, per cui devi ricorrere al debito e quando i livelli di debito arrivano ad essere una montagna che frana, hai la bancarotta52 .

Il timore della signora Lagarde su un possibile collasso della domanda mondiale è quanto mai fondato.


D) Una piaga sempre più insopportabile: l’evasione fiscale.

“L’anno scorso il 25% dei managers più pagati negli Stati Uniti hanno guadagnato più di quanto le loro aziende hanno versato al fisco. Questi managers sono riusciti a far pagare meno tasse alle loro società e quindi sono stati ricompensati (…). Ogni anno le aziende statunitensi riescono ad eludere circa 100 miliardi di dollari di tasse in modo perfettamente legale ricorrendo ai paradisi fiscali (…). Negli anni ’80 il rapporto tra i compensi di un manager e lo stipendio medio della sua azienda, era 40 a 1, nel 2009 era 263 a 1 ed è stato 325 a 1 l’anno scorso. Vuol dire che un manager guadagna in un mese quello che un suo dipendente guadagna in 27 anni”53 .

La capacità di evadere o eludere il fisco è ben remunerata ma si va anche oltre i livelli sopraindicati: un manager della Wal Mart guadagna in un mese novecento volte quello di un suo dipendente54 cui occorrerebbero 75 anni di lavoro e due vite per eguagliare il guadagno mensile del manager.

L’evasione fiscale, però, è vecchia come il capitale, Smith ne parlava nel 177555 e di tentativi di redistribuzione fiscale fatti da Roosevelt e dai laburisti inglesi sono falliti56 epperò quello che sorprende in questi fallimenti è che i tentativi di redistribuzione nella plurisecolare storia americana e inglese sono stati solo i due indicati, anche provare sembra essere un’impresa proibitiva.

Inoltre le aliquote del passato sono un ricordo: in USA l’aliquota massima era il 91% nel 1957, che cala al 62% all’inizio degli anni ’70 e attualmente è al 39%, con una tendenza che si nota nei principali paesi capitalistici57 . Si dice che si evade perché le tasse sono alte, ma le aliquote sono in caduta libera da decenni (almeno per quel che concerne i redditi elevati e di capitale), in USA la pressione fiscale è appena al 24% del PIL, eppure i paradisi fiscali che si trovano nel territorio americano o nella sua orbita di influenza, sono affollatissimi: a Willmington, capitale del Deleware, hanno la propria sede 200 mila società in un solo palazzo58 . Il vecchio Pierpont Morgan diceva: “Se il governo non è in grado di esigere le proprie tasse, sarebbe da fessi pagargliele”59 . In altre parole un governo che abbassa le aliquote è un governo debole, e se è debole non si vede il perché gli si debbano pagare le tasse, che sono un costo che grava sulle imprese interessate a ridurre qualunque costo di produzione compreso quello fiscale.

Inoltre il capitale ha la forza per farlo ricattando lo Stato in vario modo60 : quando lo Stato fa una politica sgradita alle grandi IM, che condizionano l’economia mondiale, queste ultime possono disinvestire i propri capitali dal paese (quelli circolanti innanzitutto) determinando uno sfascio economico, già nel 1971 un banchiere pubblico, Guido Carli, ammise che contro queste manovre le banche centrali non hanno difesa alcuna61 . Possono, inoltre, colpire il debito pubblico di un paese disertando le aste dei titoli o speculando al ribasso, lo stesso possono fare contro le monete; possono, infine, far ricadere i costi fiscali sugli altri (i consumatori); nel 1973 la crisi del petrolio fu in larga misura un’operazione di traslazione fiscale: i paesi produttori volevano elevare la tassa sul barile dal 75% del suo prezzo all’84%, l’accordo si trovò elevando il prezzo di tre volte in poche settimane, sicchè la cifra incassata dalle Big Seven aumentò in modo notevolissimo assieme alle entrate fiscali degli Stati produttori, ma qualcuno pagò per questo, i consumatori su cui venne trasferito l’enorme carico fiscale in crescita62 .

La situazione dell’evasione fiscale si è talmente acuita negli ultimi anni che un grande capitalista come Warren Buffet ha espresso il desiderio di pagare le stesse tasse della sua segretaria e cioè circa il 40% della sua base imponibile, mentre adesso il signor Buffet paga solo il 17,4% della stessa63 . Questa sortita è stata accolta con grande applausi , poco è mancato che Buffet fosse paragonato a S. Francesco d’Assisi, il che mi sembra decisamente eccessivo. Dal suo intervento, infatti, veniamo a sapere che Buffet paga poco meno di 7 milioni di dollari in tasse, il che significa che la sua base imponibile è di circa 40 milioni di dollari, egli vorrebbe pagarne 16-17. Sorge però una domanda: Buffet è uno dei tre uomini più ricchi al mondo64 , il cui patrimonio è stimato in circa 50 miliardi di dollari, ora come fa un uomo simile ad avere una base imponibile inferiore allo 0,1% del proprio patrimonio?

La risposta si trova nella politica di esenzioni che il governo USA pone in essere da decenni a vantaggio del capitale: già 40 anni fa si verificò il caso di Paul Getty senior che avrebbe dovuto pagare 70 milioni di dollari di tasse, ma ne pagava poche migliaia l’anno grazie ad un’abile uso delle esenzioni che, al di là del suo caso, dimezzavano l’aliquota massima65 , ma il caso di miliardari che non pagavano tasse sul reddito non era solo un caso americano66 . Tornando a Getty con i soldi risparmiati in tasse legittimamente “erose” il brav’uomo, che amava l’antichità classica, si fece costruire sotto casa una copia perfetta di Pompei a scala naturale aggiornata con le scoperte archeologiche, il poverino non poteva recarsi a Pompei essendo notoriamente molto occupato. I mezzi di elusione sono noti: gonfiatura dei conti spese, trasferimento nei paradisi fiscali dei profitti con i c.d. prezzi di trasferimento, ammortamenti accelerati che assorbono i profitti, donazioni ad enti che sono controllati dal capitalista stesso (come dire la mia mano destra fa una bella donazione alla mano sinistra)67 . Queste considerazioni valgono contro coloro che sostengono che l’evasione è un fatto tipicamente italiano ma che all’estero non si evade68 .

La proposta moderatissima di Buffet, però, non è stata accolta bene dalla sua classe: il Wall Street Journal di Murdoch lo ha mandato all’inferno e subito dopo in Germania c’è stato l’appello di 48 Paperoni per pagare più tasse69 , appello che non ha sortito effetto alcuno.

Anche pagare qualche soldo in più è considerato quasi un’offesa dai capitalisti, una sorta di lesa maestà; nel 1932, nel pieno della grande crisi, accadde questo: “A Chicago dove gli insegnati senza paga da mesi svenivano nelle aule per denutrizione, facoltosi cittadini di fama nazionale si rifiutavano impudentemente di pagare o presentavano al fisco denunce false”70 .

E Chicago non era l’eccezione ma la regola, per contro si trovava da ridire sui sussidi per sostenere i redditi dei meno ambienti, tutto ciò mentre tanta gente razzolava tra i rifiuti per trovare un po’ di cibo71 .

La mentalità e le abitudini del capitale non sono cambiate dal 1932 o dal 1775, quando Smith pubblicava il suo capolavoro, epperò il problema non è di carattere ma di struttura: le tasse sono un costo e la concorrenza impone di ridurre i costi (anche quelli fiscali), per cui se hai gli strumenti per non pagare le tasse non le paghi.

Abbiamo visto che tali strumenti esistono e che la globalizzazione deregolata negli ultimi decenni li ha incrementati: se puoi trasferire miliardi da un punto all’altro del globo con un semplice click l’evasione si fa a colpo sicuro. Allora, come direbbe Pierpont Morgan, perché non farla?

Ovviamente questo non significa subire, o accettare e legittimare l’evasione, ma significa capire che l’evasione in questo sistema è strutturale e va respinta col sistema stesso.

 

E) Lo “sgoverno” dell’economia mondiale.

Il prof. Naim ammette, con rara onestà, che nessuno sa tra gli economisti quello che accadrà domani, ed è molto dubbio che lo sappiano i politici contemporanei, notoriamente a digiuno di economia (e non solo di quella). Proprio per questo sarebbe necessaria oggi più di ieri una visione mondiale dei problemi, davanti ad una crisi globale che non ha precedenti per gravità e in cui tutto è strettamente interrelato, nel senso che quello che si decide a Pechino ricade su Washington e viceversa, il crollo dell’Italia farebbe crollare l’euro e la costruzione europea con conseguenze devastanti per l’economia mondiale.

Eppure il governo mondiale sognato dal prof. Attali rimane una chimera72 e le riunioni dei G, che avvengono anche nel 2011, sembrano sempre più un rito stanco che si ripete giusto per fingere di prendere decisioni che in realtà sono solo vacue e generiche lettere di intenti prive di conseguenze pratiche, di più i leaders mondiali non sanno e non possono fare.

Il più importante G tenuto nel 2011 è il G 20 di novembre concluso con un generico documentino dove si dice che occorre essere più rigorosi, austeri e sviluppisti, poi ognuno a casa sua farà come gli sembrerà più comodo. Della Tobin tax 5 paesi (USA, Canada, UK, Russia e Cina ) erano finanche contrari che se ne parlasse nel documento finale, poi vi è stato solo un accenno al fatto che chi volesse istituirla potrà farlo73 . Decisione inutile poiché Francia e Germania (i paesi filo-Tobin) potrebbero istituirla senza chiedere il permesso a nessuno essendo paesi sovrani, ma non lo fanno perché ben comprendono che se operano da soli favorirebbero una fuga di capitali dai loro mercati verso altri lidi (ad esempi l’Inghilterra). Quando poi all’avversione del mondo della finanza (che può ricattare gli Stati) verso la Tobin tax esso si fonda su due motivi: il primo è che costerebbe 1200 miliardi di dollari a Wall Street e dintorni, un peso che questo capitalismo, più rapace che mai, non intende subire; il secondo motivo è che la Tobin tax renderebbe trasparenti movimenti di capitale opachi, dietro cui si celano evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco, falsi in bilancio, fondi neri per pagare tangenti etc. Il rifiuto della Tobin tax, proposta nel 1972 e sempre insabbiata, nasconde la totale incapacità da parte del G20 di affrontare il nodo dell’evasione fiscale che si collega alla stessa Tobin tax come ho detto.

Analoga impotenza sul tema della moneta di riferimento internazionale, il dollaro inconvertibile è una moneta instabile e fragile, ma nessuno è in grado di sostituirla. Nulla di serio per il problema della fame e della povertà, che esigerebbe una lotta a fondo contro l’evasione fiscale, sembra che per il G20 valga la definizione della povertà data da Malthus nel 1793: “I poveri sono quelli che hanno estratto il biglietto perdente nella lotteria della vita”74 . Certo non lo dicono ma si comportano come se lo pensassero.

Nulla per quel che concerne i movimenti speculativi del capitale, che alimentano scossoni violenti dei prezzi (alimentari e materie prime) altamente destabilizzanti; dall’altra parte la finanza sta sabotando il decollo delle moderatissime misure di Basilea III75 .

Lo Stato nazionale-borghese debole e ricattabile non ha la forza per imporre le regole del gioco (un gioco pur sempre capitalistico) al mondo delle IM e dell’alta finanza, quando i G20 si incontrano sono in realtà i P 20, i piccoli 20, un gruppo di Stati assolutamente impotente davanti ad una crisi insolubile, e che non ha nulla da proporre in concreto. Tutti vorrebbero che l’occupazione e i consumi crescessero e con essi l’economia mondiale, ma come realizzare un tale obiettivo davanti ad un’economia che produce strutturalmente disoccupati e debiti, nessuno lo sa, perché questi fenomeni sono connaturati al sistema nella sua attuale fase di decadenza.

Tutto ciò ovviamente non è pacifico: non manca chi, come il prof. Rodrik, che osserva essere la leggenda della crisi degli Stati una mera invenzione, chi ha affrontato la crisi e ha preso le decisioni conseguenti è stato sempre e solo il vecchio Stato nazionale che esiste dal ‘700, più o meno76 . Verissimo solo che la crisi lo Stato nazionale non l’ha affrontata ma l’ha subita in modo disastroso: i salvataggi delle banche fatti pagare al lavoratore-contribuente, l’impotenza dimostrata in rapporto ai problemi primi evidenziati ne sono una chiara illustrazione.

Lo stesso prof. Rodrik fornisce argomenti alla nostra tesi poiché sostiene che il governo mondiale è un’utopia (e sono d’accordo), ma esistono problemi che vanno affrontati a livello sopranazionale con il coordinamento delle politiche di Stati che rimangono pur sempre nazionali (la c.d. globalizzazione intelligente). A tal proposito egli avanza tre esempi: 1) i giocattoli cinesi al minio che avvelenano i bambini americani; 2) i beni prodotti in Indonesia ed esportati da quel paese grazie a salari da fame pagati ad operai bambini; 3) la politica dei mutui subprime americana che ha avuto pesanti ricadute sull’economia mondiale77 .

Per quel che concerna la Cina è sin troppo evidente che un paese come quello che, a parte alcune punte isolate, ha una produttività media nell’industria pari al 10% di quella dei paesi avanzati, produce naturalmente beni di bassa qualità, per cui compete con i propri salari da fame e con la carenza di controlli sulla qualità78 la cui eventuale severità farebbe crescere i costi di produzione azzerando la competitività: è del tutto normale dunque che la Cina inondi l’occidente e i paesi ricchi, oltre che quelli del terzo mondo, con beni di pessima qualità e spesso assai nocivi79 . La Cina compete con quello che ha e non può usare come arma la tecnologia di cui è pressoché priva, senza bassa qualità e bassissimi prezzi (e salari) il miracolo cinese sarebbe rimasto un sogno.

Lo stesso dicasi per l’Indonesia: anche lì la competitività è data da salari da fame, per cui il lavoro minorile o il lavoro nero sono elementi assolutamente indispensabili.

Discorso diverso per l’America, che ha fatto ricadere sul mondo lo scoppio della bolla dei mutui subprime, di qui le accuse di eccessi speculativi fatti agli USA e alla Federal Reserve. Ora è indubbio che la casa sia stata usata come bancomat per finanziare i consumi: i mutui edilizi sono stati il 90% del PIL80 ed erano solo una frazione dell’enorme debito utilizzato per sostenere i consumi81 . Il fatto è che questo consumo indebito ha sostenuto l’economia mondiale dagli anni ’90 in poi quando i consumi in USA erano il 15-20% del PIL mondiale e le importazioni americane ingrassavano tutti, cinesi, giapponesi ed europei.

Una politica di rigore monetario avrebbe determinato la fine della pacchia con molti anni di anticipo, ma la pacchia sarebbe finita per tutti non solo per gli americani. Con ciò voglio dire che i problemi sul tappeto erano e sono insolubili ed evocare uno Stato mondiale o un efficace e realistico coordinamento delle politiche nazionali significa solo evocare involucri senza contenuto: ciò che manca è una politica di uscita stabile dalla crisi che permetta di conciliare interessi diversi o peggio divergenti, e tale politica manca per un motivo molto semplice: non è possibile e quindi nessuno è in grado di farla, lo si chiami come si vuole.

Ciò che ora è possibile, ma lo è sempre meno, è un intervento tappabuchi quando la casa del vicino brucia e l’incendio può propagarsi anche alla tua casa. Ad esempio la Cina ha soccorso USA ed Europa sottoscrivendo i titoli dei loro debiti (la cosa è notissima), epperò davanti all’attuale crisi dell’euro i cinesi nicchiano (e non solo loro) il fatto è che il rischio di buttare dalla finestra i surplus della loro bilancia commerciale è un rischio reale, ma lasciare andare a fondo euro ed Europa significa uccidere un mercato vitale per la Cina: qualunque decisione prenderà il governo cinese sarà ad altissimo rischio, e si può dire che, data la situazione descritta, qualunque decisione si prenda sarà una decisione sbagliata.

I problemi sono insolubili e gli Stati sono impotenti, ma lo sarebbe anche una sorta di potere-ombra che si muovesse al di sopra degli Stati: a tal proposito nel 1973 nasce un organismo molto misterioso chiamato “Trilaterale”, ne fanno parte uomini politici (il presidente francese, ministri del governo USA), industriali dell’auto (Agnelli) e del petrolio (Rockfeller), intellettuali come il prof. Huntington (quello della guerra tra civiltà), per alcuni è il piano del capitale che si materializza in un governo mondiale occulto. L’organismo nasce a luglio del 1973 ed a ottobre dello stesso anno già si spacca con la crisi del petrolio che contrappone gli uomini dell’auto e i petrolieri82 . La verità era che il programma della Trilaterale non era un modo di governare l’economia mondiale e le sue contraddizioni, ma era solo il piano di un supergruppo di pressione privato che mirava a ridurre il peso degli Stati e a rendere sempre più incontrollabili le scelte delle IM e della finanza internazionale. Ciò è avvenuto e si è creato un’economia assolutamente ingovernabile dalle contraddizioni esplosive: tirando le somme la Trilaterale si è configurata solo come un antistato che ha impedito agli Stati nazionali di realizzare la loro funzione di regolatore minimo del ciclo del capitale rendendo il ciclo economico sempre più instabile e ingovernabile83 .

Oggi in un’economia mondiale deregolata e impazzita neanche questo è più possibile fare.

 

F) La crisi del ’29 e quella attuale. Una comparazione.

Spesso la crisi attuale è paragonata a quella del ’29 ed alla conseguente depressione degli anni ’30 e come spesso accade nella storia ci sono analogie importanti e differenze profonde.

La principale analogia è che entrambe le crisi sono crisi di sovrapproduzione, in cui il potere d’acquisto dei salari cresce molto meno delle capacità produttive e di investimento per cui le merci stentano ad essere vendute (se non ricorrendo ad un crescente indebitamento) aumenta il tasso di inutilizzo degli impianti, l’investimento industriale non riesce ad assorbire la ricchezza prodotta, che rifluisce verso investimenti finanziari meramente speculativi in cui si ha solo trasferimento di soldi da una tasca all’altra senza che si crei nuova ricchezza effettiva84 .

Nella situazione attuale ci troviamo in presenza di una chiara analogia: salari in caduta libera dalla fine degli anni ’70, consumi che reggono (sempre meno) con un indebitamento mostruoso, che non ha precedenti nella storia del capitalismo, capitali in cerca di occasioni di profitto sempre più di tipo speculativo e finanziario, che non creano ricchezza reale, forza lavoro che non viene assorbita ed è sempre più debole sul mercato del lavoro con le conseguenze ben note (sottosalario e sottoconsumo), impianti che utilizzano in modo inadeguato le proprie capacità produttive.

Accanto a questa analogia di fondo esistono non poche differenze: la prima è data dalla fenomenologia della crisi, esplosiva nel 1929 (il PIL USA che si dimezza quasi in tre anni, 1929-32) mentre nel nostro caso è molto più contenuta e strisciante, una sorta di soffocamento lento. La differenza si spiega col fatto che nel 1929 Hoover affrontò la crisi in modo tradizionale: strinse i cordoni della borsa che allentò solo un po’ nel 1932 (anno elettorale), il rapporto debito PIL crebbe ma essenzialmente perché era crollato il PIL, con Roosevelt , invece, trionfò la politica del “deficit spending” e il debito crebbe anche se il PIL era in ripresa, raggiungendo il 42% del PIL nel 1940 contro il 16% del 1929 (da 17 miliardi circa a 43 circa nel periodo considerato)85 .

Non così adesso perché gli Stati hanno affrontato la crisi spendendo in modo folle; certo i sostegni sono andati molto più alle banche e al capitale che non a consumi e lavoro, anzi i lavoratori hanno subito pesantissime manovre di austerità; le banche, però sono state salvate, indubbiamente in modo transitorio, poiché se non risani l’economia le banche affondano di nuovo (ed è quello che sta accadendo), ma comunque sono state salvate almeno le grandi banche con l’eccezione della Lehman.

Ciò ha impedito nel 2008-2009 una serie di fallimenti a catena (che hanno colpito solo le piccole banche) che avrebbe distrutto il risparmio e determinato un crollo verticale dell’economia, si è tappato il buco (a spese del lavoratore-contribuente), ma non essendosi risolti i problemi strutturali, si è solo rinviato il peggio; così lo Stato ha sparato le sue munizioni, nel novembre del 2008 il debito USA era al 73% del PIL e adesso è al 100%, dell’Europa e del suo indebitamento parleremo tra breve ed è chiaro che questi livelli di debito con un’economia stagnante sono insopportabili: in sintesi nel 1929 lo Stato aveva pochi debiti e poteva indebitarsi, adesso ha affrontato la crisi già con un pensate carico di debiti e ha rapidamente esaurito le possibilità di operare col “deficit spending”.

Un’altra differenza di grandissimo rilievo è data dal diverso rapporto tra Stati nazionali e imprese capitalistiche. Negli anni ’30 le IM sono un’eccezione, le imprese giganti oligopolistiche sono ancora prevalentemente nazionali, l’esplosione delle IM avviene nel secondo dopoguerra86 , per cui io preferisco parlare, per l’attuale fase, di economia multinazionalizzata (dominata da grandi IM in genere colossi industriali e finanziari) piuttosto che di economia globalizzata, perché la tendenza ad un carattere mondiale o globale dell’economia è evidente dai primordi del capitalismo: nel ‘500 le lotte tra veneziani e portoghesi hanno in palio il dominio delle rotte mondiali, come quelle tra inglesi e olandesi nel secolo successivo.

Adesso, dunque, esiste un potere privato sopranazionale che ridicolizza il potere statale senza sostituirlo ma paralizzandolo: la finanza mondiale e le IM fanno quello che ritengono più opportuno e ricattano gli Stati come abbiamo visto, per cui chi fa una politica sgradita è letteralmente messo con le spalle al muro e questo avviene anche in USA dove Obama ha dovuto rapidamente rinfoderare le moderatissime velleità di riforma87 .

La svolta nei rapporti tra Stato nazionale e IM è data dalla crisi del 1973 in cui 7 IM umiliarono il più grande Stato capitalista (USA) imponendogli una crisi pesantissima (la recessione ’73- ’75 ) con 8 milioni di disoccupati, che portò alla sconfitta elettorale l’amministrazione repubblicana oltre a coinvolgere il mondo intero88 . Da allora la situazione non è mutata anzi, per quanto abbiamo detto, si è aggravata.

Ancora. La crisi del ’29 trovò una soluzione in un incrocio di welfare e di warfareState, che fu il modello vincente per il boom post-bellico che coinvolse le economie capitalistiche fino alla crisi del 1973. Roosevelt (e Keynes) trovarono una soluzione, oggi all’orizzonte non si vedono nuovi Roosevelt o Keynes perché soluzioni non se ne vedono, abbiamo solo Obama, Merkel e Sarkozy (in Italia Monti, salutato come salvatore della patria), personaggi a misura di un tempo senza prospettive.

Un’ultima differenza non di poco conto è nella dinamica dei prezzi che nel 1929 crollarono, non così attualmente perché la caratteristiche di questa crisi è la stagflazione emersa per la prima volta negli anni ’50 e dovuta, per comune ammissione, alla crescita del potere oligopolistico che riesce a controllare i prezzi anche in fase di ristagno o di recessione.

 


2) USA. Economia ferma, consumi ed occupazione al palo, deficit e debito “monstre”, costi dell’impero insopportabili.

 

A) PIL, occupazione, povertà, consumi.

Come si è visto il 2011 segna la fine del rimbalzino del PIL avvenuto nel 2010, l’economia USA è pressoché ferma; il Beige Book di settembre osserva che i consumi sono “lievemente aumentati” ed il mercato del lavoro è “stabile”, e questo è un modo elegante per dire che il bicchiere è mezzo pieno piuttosto che è mezzo vuoto.

I consumi, infatti, dall’inizio della crisi sono cresciuti dello 0,5% l’anno e la disoccupazione ufficiale si aggira sul 9%89 , ma considerando i lavoratori scoraggiati (quelli che non cercano più lavoro) siamo quasi a 25 milioni di disoccupati reali, e poi ci sono gli inattivi, che sono nati fuori del mercato del lavoro e non lo hanno mai cercato, ed i sottoccupati, il cui numero in USA è enorme; data questa situazione parlare di stabilità del mercato del lavoro è un eufemismo, in realtà la situazione ristagna a livelli assolutamente negativi ed inaccettabili per un grande paese industriale.

Quanto scritto è ulteriormente aggravato dalla crisi dei fondi pensione, un tempo orgoglio del sistema pensionistico USA, per cui chi vuole ottenere una pensione accettabile, dovrebbe lavorare fino a 70 anni, se si ferma a 62 anni rischia di fare la fame90 .

I Bureau of Census, inoltre, pubblica un’indagine da cui si evince che i poveri in USA sono 46,2 milioni il 15,1% della popolazione che è la cifra più grave degli ultimi 50 anni91 , come accennavamo inoltre il livello di povertà in USA è fissato molto in basso: 460 dollari al mese a persona per un nucleo di 4 persone. Ancora: uno studio del Bureau of Census pubblicato dal NYT attesta che dal dicembre 2007 data di inizio crisi, a giugno 2011 le famiglie americane hanno perso il 9,8% del loro reddito; considerando questi dati, quelli sulla crescita della povertà e la stagnazione del mercato del lavoro ormai ingessato, appare naturale che i consumi siano bloccati ed è chiaro altresì che, se non si cambia questa situazione di fondo, non potranno ripartire, il guaio è che all’orizzonte non si intravede nulla che possa mutarla.

 

B) Debito federale, banche, riforme.

Il debito federale raggiunge il PIL nell’agosto 2011, il fatto è che però che questo dato è, secondo alcuni , falso: il sig. Viñals del FMI ha osservato che gli USA sono indebitati a livello greco e cioè al 140% del PIL, ciò perché nel bilancio USA non sono conteggiati debiti di garanzia per migliaia di miliardi nei confronti ad esempio dei due colossi semipubblici del settore dei mutui92 . Per contro Alessandro Penati osserva che l’indebitamento USA è inferiore a quello europeo, poiché vengono conteggiati i debiti (anche qui garanzie ad altri enti pubblici) che in Europa sono esclusi dal computo. Inoltre l’America ha una tassazione molto più tenue che in Europa, sicchè potrebbe ridurre il debito con la leva fiscale, come pure usando l’arma dell’inflazione che lo svaluterebbe93 .

Sono argomenti per nulla convincenti: il fatto che alcuni debiti in Europa non siano computati significa solo che i bilanci europei sottostimano i debiti sovrani, cosa che è stata rilevata in passato ponendo l’Eurostat sul banco degli imputati perché certificava bilanci falsi94 . Se si garantisce il debito di un altro ente pubblico, quel debito diventa anche dello Stato ed in questo campo, come nota in modo dettagliato Viñals, il bilancio USA nasconde alcuni grossi debiti, quello che si può ammettere e che in Europa spesso si nasconde di più (e non meno) che in USA, ma questo significa solo che spira una brutta aria da entrambi i lati dell’oceano, dove si preferisce nascondere i problemi invece di affrontarli.

Quanto ai maggiori spazi di manovra del governo USA non esistono o esistono solo sulla carta. Svalutare il debito con l’inflazione, in un momento in cui economia e consumi sono pressoché fermi, significherebbe aggravare le tendenze stagflattive in atto con rischio di passare dal ristagno al crollo. Nel caso del fisco, invece, in apparenza c’è un maggiore spazio per manovrare essendo la tassazione molto più bassa che in Europa; ora però le tasse sono di due tipi, sui consumi e sui redditi. Nel primo caso si potrebbe istituire l’IVA che in America manca (lo propose a suo tempo Cotarelli del FMI) ma così si colpirebbero i consumi che sono già depressi: un’IVA europea può significare un prelievo di 1000-2000 miliardi sui consumi americani, una mazzata devastante. Le tasse sui redditi urterebbero la suscettibilità di Wall Street e dintorni, che, come si è visto, è elevatissima per cui si accentuerebbe la corsa verso i paradisi fiscali (presenti e protetti in territorio USA) o la disaffezione verso i titoli del debito pubblico americano, che la Fed ha acquistato a pieni mani negli ultimi anni, ma stampare carta moneta per acquistare titoli non è certo una soluzione di lungo periodo.

La situazione del debito federale è drammatica e ad agosto si raggiunge un faticoso accordo tra democratici e repubblicani su una prima tranche di incremento del tetto del debito pari a 917 miliardi di dollari entro il 2011, in seguito potrà essere incrementato di altri 1200-1500 miliardi, ma parallelamente ad analoghi tagli metà dei quali a carico della difesa; si dovrà costituire una commissione bipartisan per decidere i tagli in dettaglio, altrimenti si procederà automaticamente95 .

Come si vede tagli ed aumenti del debito si equilibrano e si tratta di cifre assolutamente modeste in rapporto ad un debito che ormai è a 15 mila miliardi (o più di 20 mila come sostengono alcuni), una soluzione transitoria, un palliativo che spaventa i mercati che temono la recessione non meno di liberal come il prof. Krugman96 . È da notare la schizofrenia dei mercati che pretendono l’austerità, ma che quando si cominciano a fare tagli, in modo assolutamente inadeguato, temono la recessione. In realtà la schizofrenia nasce dai fatti: la politica di spesa di Obama è fallita e non può essere continuata ma non appena si mette mano, per poco che sia, ai tagli compare lo spettro della recessione: Scilla o Cariddi .

Tuttavia la situazione del debito federale non è l’unica a preoccupare, le finanze locali sono anch’esse pesantemente indebitate97 e la loro situazione si aggrava vieppiù: a luglio fallisce lo Stato del Minesota (22.000 dipendenti su lastrico, centinaia di progetti di spesa annullati)98 , a novembre la contea di Jefferson (la più grande della Alabama), chiede il default per 3,14 miliardi di debiti che non sa come onorare99 .

Delle banche USA si è detto in precedenza e non devo aggiungere nulla. In questo quadro il riformismo di Obama annaspa: la legge contro l’inquinamento dell’aria viene sospesa100 , mentre il congresso condizionato dai Repubblicani, che controllano la camera bassa, assedia le Authorities create dalle leggi obamiane (tagliando loro i fondi). Il presidente dell’Authority che dovrebbe controllare il nevralgico mercato dei futures, ha dovuto pagare di tasca propria un viaggio a Bruxelles per incontrare gli omologhi europei101 . L’opposizione di Wall Street al moderatissimo riformismo obamiano ha successo102 .

 

C) La politica estera e la spesa militare.

La politica estera americana segna nel 2011 un successo più apparente che reale: qualcuno, che si dice sia Osama Bin Laden, viene ucciso in circostanze misteriose (a dir poco) ciò farà per qualche giorno salire la popolarità di Obama, poi di nuovo crollata sotto i colpi della crisi economica.

Come è noto il Pakistan, trattato da paese coloniale (gli USA hanno compiuto un colpo illegale sul suo territorio violandone la sovranità), mostra di essere contrariato103 , ma la cosa più rilevante è che nel vicino Afghanistan non è cambiato nulla: ad agosto il Pentagono comunica che quel mese è stato il peggiore per le perdite USA104 , i Talebani sono all’attacco e viene ucciso anche il fratellastro di Karzai esponente di rilievo del regime.

Inoltre la primavera araba coglie di sorpresa USA, Israele ed Occidente, malgrado occhiute e costose agenzie spionistiche, nessuno ha previsto nulla105 . Analogamente in Libia, dove il regime di Gheddafi, dopo la svolta del 2003 (rifiuto delle armi di distruzione di massa), è diventato un protetto dell’occidente: un noto scrittore libico ha rievocato il senso di isolamento che gli oppositori in esilio di Gheddafi provavano nei confronti dell’occidente106 , non solo ma nel periodo della guerra libica venne fuori che l’M16, il leggendario servizio segreto di sua maestà, collaborava con le spie libiche per danneggiare l’opposizione107 ; il famoso bacio dell’anello di Gheddafi ad opera di Berlusconi era solo l’espressione più plateale di una politica che l’occidente perseguiva al gran completo.

Anche in Libia, però, nulla venne previsto e l’occidente fu costretto a cambiare il cavallo in corsa e a scoprire che Gheddafi era un brutale dittatore: garantirsi i rifornimenti di petrolio impone qualche piccolo strappo alla coerenza e alla decenza.

Il fatto è che, però, un impero efficiente deve prevenire le rivolte e disinnescarle in anticipo: Machiavelli consigliava il Principe a risolvere i problemi dei sudditi prevenendo malcontento e rivolte, ciò che però è facile a dirsi ma non sempre può farsi.

L’anno scorso si ebbe in Afghanistan il siluramento del generale McChrystal, che proponeva la strategia della controguerriglia: creare un movimento di massa antitalebano, fondato su una politica che conquistasse consenso e simpatie popolari, in altre parole costruire scuole ed ospedali evitando massacri inutili di civili. Una simile politica, però, richiedeva notevoli costi aggiuntivi, che il bilancio americano non può sopportare, sicchè il generale è stato allontanato dal comando108 .

Non rimaneva, allora, essendo le alternative riformiste troppo costose, che la via più facile nell’immediato: appoggiare dittature impresentabili che l’America finiva col considerare eterne e insostituibili: se non hai interesse a vedere una realtà non puoi vederla e non la vedi.

Quanto ai burocrati che guidano le agenzie spionistiche sanno benissimo quello che il potere vuole sentirsi dire, vicende come quelle del generale McChrystal sono emblematiche, per cui è facile supporre che abbiano scritto nei loro rapporti che Ben Alì e Mubarak erano saldamente in sella. Ciò senza dubbio deve essere avvenuto data la totale impreparazione e sorpresa dell’occidente, ma ripeto se non hai alternative alla politica fallimentare che persegui è difficilissimo vedere il fallimento e continui ad avvitarti in esso.

Sempre su questo punto è fondamentale la posizione di Leon Panetta, ex capo della CIA e attuale Ministro delle difesa USA: 450 miliardi di tagli alla difesa nei prossimi anni sono difficilmente gestibili, ma non ingovernabili, se però la crisi del deficit dovesse perdurare ed aggravarsi ed i tagli crescere si andrebbe verso il disastro109 .

Il fatto è, però, che nulla autorizza a pensare che in quel settore possa esserci una pur timida schiarita. L’America ha bisogno dell’impero ma i costi dello stesso sono sempre più insopportabili.

 

D) Proposte e ricette contro la crisi.

Per affrontare la crisi Obama ha presentato un piano di rilancio di 447 miliardi bocciato a fine anno dal Senato. La cifra in sé era modesta per un’economia come quella USA: qualche sgravio fiscale modestissimo (il 2%) sui redditi per sostenere i consumi, agevolazioni alle imprese che assumono, e un po’ di lavori pubblici; l’aspirina contro il cancro al cervello vien fatto di dire. I consumi USA sono al palo, la povertà cresce ed il reddito delle famiglie è in caduta libera e non è certo con una lievissima limatura fiscale che si può cambiare il quadro; quanto ai sostegni a chi assume si dimentica che essi non hanno più senso in un sistema in cui la produzione può crescere senza creare lavoro o quasi: con la tecnologia puoi risparmiare le assunzioni (e i relativi costi) per cui non significa niente proporti uno sconto del 30-40% sulle assunzioni stesse se puoi farne a meno. Lo stesso dicasi per i lavori pubblici (da sempre solo un palliativo contro la crisi), anche le imprese che operano in quel settore sono imprese che, dovendo compiere grandi opere, usano tecnologie avanzate che risparmiano forza lavoro e non usano badili, carriole e scalpelli.

La Fed a sua volta intenderebbe porre in essere un piano di trasformazione dei titoli in circolazione che permetterebbe di risparmiare lo 0,40% del PIL americano con cui si potrebbero creare oltre 300 mila posti di lavoro, poco o nulla per le esigenze del mercato del lavoro USA110 .

I Repubblicani come un vecchio disco incantato di vinile propongono di ridurre l’aliquota fiscale al 25%, il che permetterebbe ai vari Buffet di pagare anche meno tasse di quanto facciano; in un paese in cui la pressione fiscale è bassissima, rilanciare l’economia attraverso di essa è illusorio. Inoltre questa benevolenza fiscale significherebbe tagli o abbandono dei programmi di sostegno al reddito dei meno ambienti e cioè crollo dei consumi e con esso dell’economia.

Infine il vecchio Clinton che propone alcune idee (13 per la precisione)111 per salvare l’America, come gli sgravi fiscali sulle imprese (di cui si è detto), l’applicazione del diritto commerciale (non si vede come ciò possa creare lavoro), il rilancio dell’economia verde (abbandonata da Obama), che certo può creare qualche posto di lavoro ma non più di questo e per giunta non sempre aggiuntivo ma sostitutivo dei posti persi nei settori energetici tradizionali. Infine, idea originalissima, si propone di imbiancare i tetti dei palazzi USA (attualmente trattati col catrame) per realizzare qualche risparmio energetico. Se per risolvere una crisi delle dimensioni suesposte si punta al rifacimento dei tetti, si è ovviamente alla frutta.

Anche qui, poi, è il caso di notare che in queste modeste ed inconsistenti ricette nessuno affronta il problema come andrebbe affrontato e cioè prima evidenziare le cause della crisi e poi proporre strumenti che le neutralizzino. Nessuno sa fare questo discorso o ha il coraggio di farlo e allora si propongono ricette improvvisate ed estemporanee a volte vecchie idee riciclate a volte nuove idee originali, ma assolutamente inconsistenti, come imbiancare i tetti.
 

 

3) Europa ed euro. Un tramonto grottesco.

A) PIL, occupazione, debito pubblico.

Che l’economia europea sia in rapida frenata nel 2011, dopo il rimbalzino del 2010 è evidente dalla tabella n. 1 di cui fanno parte i quattro grandi della UE (Germania, Francia, UK, Italia). La media dello sviluppo del PIL nella UE a 27 è stata, nel primo trimestre, dello 0,8% su base congiunturale, ma nel secondo trimestre crolla ad uno 0,2%, guidano il calo Francia e Portogallo (+0%) seguite da Germania (+0,1%) Spagna e UK (+ 0,2%) e Italia (+ 0,3%)112 . Un piccolo miracolo lo fa il Belgio (+ 0,7%), cosa che fa ridere alcuni commentatori essendo il Belgio da oltre un anno senza governo, evidentemente essere “sgovernati” è la soluzione migliore, almeno tenendo conto dei governi in circolazione. Per il 2012 la previsione BCE è di un + 0,8%113 , siamo ormai al ristagno evidente nella migliore delle ipotesi.

La disoccupazione ufficiale è vicina al 10% per tutto l’anno sia nell’Eurozona che nella UE a 27: a fine anno la Spagna supera il 20%, la Germania è al 6,1% , l’Italia all’8,5%, la Francia al 9,8% etc. tuttavia è bene sempre ricordare che la disoccupazione reale è molto più alta, l’anno scorso il tasso medio di attività era al 64,5% nella UE a 27114 e nel 2011 nulla è sostanzialmente cambiato. La disoccupazione reale è elevatissima anche se la si chiama pudicamente “inoccupazione”, ed essa colpisce particolarmente i giovani: in Italia una ricerca dell’Unioncamere documenta che solo 18 mila degli oltre 300 mila giovani che praticano l’apprendistato ottengono un lavoro stabile alla fine dello stesso, solo il 12,2% del totale, ma in Europa (Scandinavia compresa) siamo al 16%115 .

Le banche europee, malgrado i 4500 miliardi di euro di aiuti avuti a tutto ottobre 2010116 , sono in crisi e gli stress tests tranquillizzanti del luglio 2011 sono finiti nel ridicolo (come quelli del 2010); nell’estate 2011 i corsi dei titoli bancari crollano e si scopre che le banche europee sono piene di titoli dei paesi Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) per cui devono essere ricapitalizzate con altri 100 miliardi almeno117 .

Anche i consumi sono al palo, emblematico è il caso del mercato dell’auto, indicatore tipico del livello dei consumi stessi: nei primi 10 mesi dell’anno le immatricolazioni calano, nella UE a 27, del 1,2% su base annua, la Fiat passa dal 7,2% al 6,6% del mercato europeo118 , la cura Marchionne almeno in Europa non dà risultati molto brillanti.

Non meno emblematico è il caso dell’Inghilterra dove si sviluppa la piaga dell’usura spicciola a sostegno di consumi che annaspano: per una sterlina se ne ottengono almeno 8 su base mensile, per 400 se ne ottengono 525 sempre dopo un mese119 .

Infine il debito sovrano: l’Eurostat ci fornisce il consuntivo del periodo 2009/2010: nell’Eurozona il rapporto deficit PIL è al 6,2% nel 2010 contro il 6,4 dell’anno precedente, il rapporto debito PIL è all’85,54% nel 2010 contro il 79,8 dell’anno precedente; nella UE a 27 siamo al 6,4% contro il 6,6% del 2009 per il rapporto deficit PIL mentre per il rapporto debito PIL siamo all’80,2% nel 2010 contro il 74,4% del 2009. Sono dati che si commentano da sé soprattutto se si considera che, nel corso del 2010, sono state fatte manovre lacrime e sangue per contenere debito e deficit, prima tra tutte l’Inghilterra120 , ma a fine 2011 il cancelliere dello scacchiere comunica che, a causa del cattivo andamento del PIL (+ 1% nel 2011 e altrettanto nel 2012) il pareggio del bilancio slitterà al 2015 (dal 2014 previsto). Passano pochi giorni ed il governo inglese riduce ancora le previsioni nel 2012 si crescerà solo dello 0,7%, ormai si vive quasi alla giornata e le previsioni cambiano con una frequenza incredibile in genere tutte al ribasso.

Il presidente della Repubblica Federale tedesca Wulff se la prende , nell’agosto 2011, con la BCE che acquista titoli dei paesi a rischio violando i trattati europei che lo vietano esplicitamente121 ; è senza dubbio vero e qualche mese dopo si calcola che la BCE abbia in portafoglio 194 miliardi di titoli dei paesi a rischio, il 2% del PIL dell’Eurozona122 , tale cifra è stata cumulata a partire dal maggio 2010, all’epoca della prima crisi greca, in precedenza la norma divieto era stata rispettata, da allora mediamente la BCE ha acquistato oltre 10 miliardi al mese di titoli a rischio.

Qualche mese dopo, però, si ha una sorta di nemesi storica, a fine novembre un’asta di Bund tedeschi per oltre 6 miliardi va deserta per il 35% per cui la banca di emissione tedesca interviene per sottoscrivere i titoli inoptati, anche per i rigoristi tedeschi sarebbe consigliabile un po’ più di prudenza.

Inoltre la Francia è anch’essa sotto attacco e cresce il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi sicchè il rischio di perdere la tripla A è più che mai reale. I paesi rigoristi che amano dare lezione agli altri sono delle peste anch’essi e non sanno fronteggiare la crisi, la stessa signora Merkel deve ammettere che l’uscita dalla crisi per ora è solo un sogno123 , ammonimento valido per gli europei ma anche per i tedeschi, che, come tutti, da questa crisi non sanno proprio come uscire.

 

B) La mancanza di una politica europea comune. Proposte e ricette (fallimentari).

Una politica economica europea comune non esiste a partire dal settore energetico che è fondamentale. Il ministro tedesco per l’ambiente Norbert Roetgen confessa che 4 dei 17 impianti nucleari tedeschi non hanno retto al più semplice degli stress tests: la caduta di un piccolo velivolo da turismo su di essi, verranno perciò chiusi subito e gli altri gradualmente124 , la Germania esce dal nucleare e così l’Italia dopo i clamorosi referendum di giugno 2011, mentre la Francia rimane abbarbicata alle sue scelte filonucleari con impianti che funzionano poco distante dai nostri confini per cui potremmo essere coinvolti in eventuali disastri, gli altri partners europei nicchiano.

Ma la politica energetica è solo un esempio, tutti dicono che occorre più Europa e una guida politica comune, ma tutti rimangono fermi ed “incartati” e nessuno sembra chiedersi perché ai proclami non seguano i fatti. La risposta , in realtà è semplice ed indigesta, in Europa, come a livello mondiale, i problemi sono insolubili e proporre confuse alchimie istituzionali, riforme dei trattati, creazioni di nuove Authorities dai fumosi e vaghi poteri non ha senso alcuno, le istituzioni hanno un significato se devono realizzare una politica, se non hai una politica le istituzioni sono solo espressione di ingegneria dilettantesca. I vertici franco-tedeschi che dovrebbero esprimere il direttorio economico dell’Eurozona, sono vertici del nulla, come qualcuno ha detto125 . Le proposte che vengono fuori sono vecchie proposte riciclate come la Tobin tax di cui si è parlato, mentre la necessità di una governance più stringente (senza indicare come farla e rimuovere le strozzature che sinora l’hanno impedita) rimane quanto mai generica come la pretesa di imporre il pareggio di bilancio a livello costituzionale.

Ci troviamo, in rapporto a quest’ultima proposta (che ora il Parlamento italiano vorrebbe varare) davanti ad un formalismo giuridico da quattro soldi: nelle costituzioni si stabiliscono i diritti fondamentali dei cittadini e i meccanismi istituzionali che reggono un paese, ma la politica economica si fa altrove sulla base di una realtà economica che è estremamente mutevole, mentre le costituzioni possono durare secoli126 , stabilire i principi astratti e aprioristici di politica economica significa legarsi le mani in anticipo e questo è particolarmente vero in un’epoca di estrema instabilità come la nostra dove le previsioni variano con cadenza anche settimanale. Del resto i trattati europei hanno stabilito principi rigorosi e duri: non si aderisce all’euro se il rapporto debito PIL supera il 60%, e l’Italia vi ha aderito con un debito superiore al 100%; la BCE non può comprare titoli dei paesi dell’Eurogruppo eppure dal maggio del 2010 lo fa violando apertamente un articolo del trattato, con grande scandalo del teutonico presidente Wulff.

I principi costituzionali si interpretano , si aggirano o si ignorano se è necessario: in Italia l’art. 4 della nostra Costituzione riconosce il diritto e addirittura il dovere del lavoro e come vedremo tra breve ci sono almeno 5 milioni di disoccupati a cui tale articolo evidentemente non si applica127 .

Più in generale non puoi eliminare l’effetto se non elimini la causa: se gli Stati hanno bilanci in deficit (da tempo immemorabile) ci saranno delle cause profonde che vanno individuate e rimosse, comprimere gli effetti senza rimuovere le cause è una politica miope degna di Sisifo e, aggiungo io, di un Sisifo parecchio sciocco. Se si tollera l’evasione fiscale e si concedono esenzioni spropositate alle classi abbienti che evadono il fisco, il bilancio naturalmente andrà in deficit e se per curare il deficit taglierai consumi e redditi di lavoratori e pensionati, taglierai lo sviluppo economico e il problema del deficit si riproporrà aggravato.

Lo stesso discorso vale per le voci che circolano a fine novembre 2011 sulle decisioni per inasprire il patto di stabilità, da prendere nel vertice europeo del dicembre 2011, anche qui interventi sugli effetti e non sulle cause: se uno Stato “sgarra” puoi anche punirlo severamente, ma se quello Stato è in crisi la punizione severa lo spingerà ancora più a fondo e siccome i paesi della comunità sono collegati tra loro c’è il rischio che vadano tutti a fondo con una reazione a catena. Del resto tutti i paesi ricchi (tranne Australia e Nuova Zelanda) hanno bilanci in sofferenza, il fenomeno è generale e non si può pensare di risolverlo con semplici norme di carattere punitivo e poliziesco, ancora una volta devi identificare le cause ed intervenire su di esse, sempre che sia possibile. Per uscire dalla crisi devi rilanciare l’economia e non strangolarla, questa è una politica da sadomasochista miope.

Lo stesso discorso vale per il fondo salva-Stati che, secondo le più recenti decisioni, dovrebbe portare la sua dotazione da 440 a 1000 miliardi di euro. Già l’anno scorso ho rilevato che non risolvi il problema del debito facendo altri debiti128 , cosa peraltro che molti rilevano . Anche qui si interviene sugli effetti e non sulle cause e lo si fa mettendo altri debiti sul bilancio di Stati stracarichi di debiti. È vero che, si dice, i debiti del fondo saranno a carico del fondo (che emetterà obbligazioni) e non degli Stati dell’Eurozona ma è chiaro che questo è solo il gioco delle tre carte, poiché dietro il fondo salva-Stati, ci sono gli Stati dell’Eurozona; se i cinesi sottoscriveranno le obbligazioni del fondo salva-Stati lo faranno perché sono garantite di fatto o di diritto dagli Stati europei, altrimenti certo non le sottoscriverebbero, come nessuno del resto. Torniamo al punto di prima, si fanno altri debiti per pagare debiti senza che la spirale dell’indebitamento sia recisa alla fonte, a livello di cause. Un disastro o un aborto da disperati.

Non è, tuttavia, neanche una soluzione quella di dire che occorre rinviare le manovre lacrime e sangue e trasformare la BCE in garante del debito dei paesi dell’Eurozona senza limite alcuno129 .

Le manovre lacrime e sangue sono un assurdo ma per uscire dalla crisi occorre una politica positiva che parta dall’occupazione (ammesso sempre che sia possibile), se la BCE diventa solo il garante del debito che sottoscrive senza limiti, si troverà, prima o poi, col portafoglio pieno di titoli tossici di paesi in crisi e a quel punto fallirà di fatto se non di diritto. Anche qui proposte di azione sugli effetti e non sulle cause. Un’ultima considerazione sugli eurobonds a suo tempo cavallo di battaglia del non rimpianto ministro Tremonti. La logica dell’eurobond è che le emissioni di titoli dei paesi dell’Eurozona, dovrebbero essere sostituite da emissioni comuni, il che significa che i paesi più forti (o meno deboli) come Germania e Francia dovranno garantire anche per i Piigs; è evidente, però, che se l’economia tedesca garantisce anche per noi o per la Grecia il mercato non si accontenterà di un interesse del 2% perché il rischio sarà più rilevante e quindi presumibilmente i tassi di interesse degli eurobonds si fisseranno ad un livello intermedio tra quelli italiani e quelli tedeschi, in sostanza i tedeschi pagheranno di più e noi pagheremo di meno, che la cosa non entusiasmi i nostri vicini teutonici mi sembra comprensibile e mi sembra patetico da parte nostra chiedere l’altruismo sul portafoglio degli altri.

Può darsi però che davanti al rischio di un crollo dell’euro, e di un ritorno alla guerriglia tra monete nazionali, che colpirebbe le esportazioni tedesche, la Germania faccia delle concessioni, ma come in tutte le ipotesi precedenti saremmo sempre in presenza di un intervento che opera sugli effetti e non sulle cause: il problema è che tutti i paesi europei si indebitano e hanno bilanci in sofferenza per motivi profondi e strutturali che vanno risolti a livello strutturale e produttivo (rilanciare l’occupazione e i consumi) le stregonerie puramente finanziarie non cavano un ragno dal buco.

 

 

4) Italia. Sempre più a fondo tra dramma e ridicolo.


A) PIL , occupazione, risparmio, banche, consumi.

L’economia italiana è in netta frenata: all’inizio del 2011 le previsioni che circolavano in sede europea davano il PIL tedesco tornato ai livelli di inizio 2008 per la fine del 2011, la Francia si sarebbe fermata leggermente al di sotto, mentre Spagna e Italia sarebbero restate nettamente al di sotto dei livelli precrisi130 . Poi la situazione è peggiorata (per tutti a cominciare dalla Germania) e a fine anno la commissione europea stima la nostra crescita del 2011 allo 0,5% (stima precedente 1%) mentre per il 2012 si prevede una crescita dello 0,1% contro la precedente stima di 1,3%131 , secondo l’agenzia Fitch siamo già in recessione, ma ancora peggiori le previsioni OCSE di fine 2011: il nostro PIL calerà dello 0,5% nel 2012, saremo in recessione con Grecia e Portogallo, disastrose le previsioni della Goldman Sachs prima citate.

La disoccupazione ufficiale è, a fine anno, dell’8,5%, ma è un dato che potrebbe soddisfare solo l’ex ministro Sacconi, perché secondo l’Istat gli scoraggiati che non cercano più lavoro ma lo vorrebbero sono 2,7 milioni (l’11,1% della forza lavoro) il che significa che tra disoccupati e scoraggiati siamo a circa 5 milioni, 1/5 della forza lavoro, un livello spagnolo, la differenza tra noi e la Spagna è che le statistiche spagnole mentono meno delle nostre. Inoltre la disoccupazione giovanile è vicina al 30% e 2,2 milioni sono i c.d. neet che non lavorano, non studiano, non cercano lavoro, sono totalmente passivi132 . Quanto alle donne il dottor Saccomanni (numero due della Banca d’Italia) ha recentemente citato una ricerca della Banca Mondiale da cui risulta che il tasso di attività delle donne in Italia è bassissimo, il 46,1%, siamo al 74° posto nel mondo, tra i 7 grandi peggio di noi solo il Giappone133 .

Il 76% dei nuovi contratti di lavoro sono a carattere precario134 , mentre la cassa integrazione nel 2011, pur calando leggermente, era tre volte i livelli dell’inizio della crisi135 .

L’OCSE segnala che siamo un paese record per i bassi salari e le disuguaglianze sociali, negli ultimi anni i redditi alti sono cresciuti sei volte di più di quelli bassi136 .

L’INPS ci informa che il 50,8% delle pensioni è inferiore ai 500 euro e per Co.Co.Co. si prospetta in futuro una pensione di 120 euro mensili137 . Il risparmio è calato del 60% rispetto al 1990138 ; Eurostat rileva che nell’ultimo trimestre del 2010 il risparmio in Europa cala sotto i livelli del 2006 e noi siamo sotto la media europea, un tempo eravamo un popolo di formiche, un tempo appunto.

Ovviamente i consumi ristagnano o calano: l’Istat fornisce i dati dei primi nove mesi del 2011, si segnala un calo su base annua dell’1,6% per le vendite al dettaglio. Ma in realtà il ristagno è un fenomeno di lungo periodo, dal 2000 ad oggi solo in tre regioni relativamente piccole (Molise, Basilicata, Friuli Venezia Giulia) i consumi sono cresciuti, nelle altre 17 si cala139 . Durante l’anno si susseguono le notizie che danno in costante peggioramento la situazione delle famiglie, qui mi limiterò di riportare i dati di una ricerca presentata a novembre ad opera del Forum Ania-Consumatori: “Metà delle famiglie italiane riesce appena a far quadrare i conti. Il 15% deve intaccare ogni mese i propri risparmi, i 6,1% è costretto a chiedere aiuti e prestiti. Nove nuclei su 10 potrebbero non reggere ad uno choc economico inatteso. Mentre già uno su 4 non sa come affrontare spese impreviste”. Il commento del prof. De Rita è che è arrivata la povertà anche per le famiglie che fino a 4-5 anni or sono erano “il presidio della nostra ricchezza”140 .

Quanto alle banche tutti ripetevano, fino a poco tempo fa, il ritornello della loro robustezza, ma a fine anno arriva la notizia della crisi Unicredit che fa dileguare i facili ottimismi, tale crisi però non è certo un fulmine a ciel sereno, poiché le sofferenze bancarie erano pari, a marzo 2011, a 93,8 miliardi (dato ABI) in crescita del 30% sull’agosto 2010141 ; la CGIA di Mestre evidenzia come le sofferenze bancarie delle imprese siano cresciute nel luglio 2011 del 40% su base annua arrivando a 74,5 miliardi142 . Per contro le banche hanno disperato bisogno di liquidità e vengono richieste al mercato 12 miliardi di denaro fresco nei primi 6 mesi del 2011 contro 6,8 miliardi per tutto il 2010143 . A fine anno Vegas, presidente della CONSOB, certifica che le banche sono in piena crisi di liquidità144 , a luglio gli stress tests europei ci avevano largamente promossi.

I fallimenti e le chiusure sono all’ordine del giorno: chiudono in Italia dall’inizio della crisi 130 esercizi al giorno per un totale di 230 mila registrato nel corso del 2011145 . Una parte di responsabilità in tali chiusure è senza dubbio dovuto allo sviluppo del prestito usuraio: secondo la Confesercenti nel 2010 chiudono 50 imprese al giorno a causa dell’usura e gli usurai in attività di esercizio sarebbero oggi 40 mila contro i 25 mila del 2000, in parte espressione della criminalità organizzata e in parte operatori individuali146 .

I salari reali non tengono dietro all’inflazione che rialza la testa: l’Istat rileva che a settembre 2011 i salari crescono su base annua dell’1,7% contro una crescita dei prezzi del 3%, il peggior dato dal 1997; ad ottobre però il record è battuto in senso negativo perché i prezzi, ancora per l’Istat, crescono su base annua del 3,4% contro una crescita dei salari sempre dell’1,7%.

Gli appalti pubblici sono in crisi: nel primo trimestre del 2011 i cantieri calano del 55% su base annua147 , l’Ance annuncia che nel 2004 le opere pubbliche valevano 33,9 miliardi e nel 2011 appena 23,1 miliardi.

Non meraviglia se un’indagine Confesercenti – IPSOS rileva che il 76% degli italiani è pessimista sull’economia e il 71% pensa che il peggio deve ancora arrivare; l’Istat rileva inoltre che il 42,7% delle famiglie ritiene di stare peggio del 2010.

Dopo un quadro come quello tracciato è del tutto normale che si pensi così148 .

 

B) L’eterna piaga dell’evasione fiscale.

L’anno scorso il governatore della Banca d’Italia , Draghi ammise che l’evasione fiscale era la causa della macelleria sociale; un banchiere, sia pure pubblico, compie un’ammissione importante, ma parziale, poiché non meno grave dell’evasione è il sostegno che essa ottiene dal potere politico. Nel corso del 2011 c’è stata una fioritura di studi e di indagini sull’argomento che ha gettato nuova luce su un problema di cui mi occupo dal 1975; in particolare un gruppo di studio costituito presso il Ministero dell’Economia e coordinato dal presidente dell’Istat, ha stabilito che il reddito occultato è pari al 17,5% del PIL (275 miliardi) cui corrispondono 120 miliardi di tasse evase149 , si evadono 2093 euro a testa in media ma le teste sono molto diverse tra loro poiché lavoratori autonomi e imprenditori evadono nel 56,3% dei casi, mentre i proprietari di case nell’83,7% dei casi, quanto ai pensionati pagano il 7,7% in più del dovuto. Geograficamente l’evasione si distribuisce per il 14,5% del reddito dichiarato al nord, per il 17,4% al centro, e per il 7,9% al sud, ma queste percentuali crescono al 38% per i lavoratori autonomi e gli imprenditori150 .

L’evasione, quindi, ha chiari connotati classisti: le classi imprenditoriali e proprietarie evadono di più e i pensionati nulla, inoltre dove vi sono più affari e ricchezze (al centro nord) si evade di più. Per anni abbiamo sentito dire che l’evasione si distribuisce per tutte le classi e che al sud si evade di più, adesso fonti quanto mai ufficiali ci dicono che queste tesi sono delle colossali balle; può darsi anche che un sottoproletario napoletano evada la tassa sui rifiuti, ma tra chi ruba una mela e chi un milione c’è una bella differenza. Ancora: in Veneto si evade il 22,4% del reddito151 ; oltre due milioni di veneti non paga il ticket perché indigenti (la notizia compare sulla prima pagina del “Gazzettino” del 16.4.11), da questo punto di vista il ricco Veneto sembra quasi l’Uganda. Ovviamente la questione dell’evasione non è una questione di carattere o genetica (argomenti di questo genere li lascio volentieri ai leghisti) ma una questione socio-economica, dove ci sono più soldi e più affari si evade di più.

C’è da chiedersi allora quale sia la reazione dello Stato contro un simile contegno evasivo. Ancora una volta il gruppo di studio costituito presso il Ministero dell’Economia ci fa sapere che lo Stato elargisce 161 miliardi di esenzioni fiscali, alcune giuste (lavoratori, pensionati e famiglie), altre assurde: così nel campo dell’IVA ci sono ben 38,8 miliardi di esenzioni152 . L’assurdo sta nel fatto che l’IVA dovrebbe essere versata da imprese e lavoratori autonomi, che evadono sfacciatamente tale tassa, tanto è vero che l’anno scorso la Banca d’Italia stimò in 30 miliardi l’evasione IVA153 , di fronte a ciò lo Stato risponde regalando altri 40 miliardi (o quasi) agli evasori, e lo stesso si può dire per la proprietà immobiliare che ha alcuni miliardi di esenzioni a fronte di una evasione clamorosa come si è visto. Lo Stato, dunque, premia e sostiene chi lo affonda; sarebbe logico aspettarsi da parte dello Stato una reazione nel senso che, dal momento che si evadono 30 miliardi di IVA, le esenzioni dovrebbero ridursi di una somma corrispondente e calare a 8-9 miliardi, sarebbe logico attendersi un simile contegno da parte dello Stato ma evidentemente la logica non sovrintende alle scelte politiche.

Tornando all’evasione, che per le fonti ufficiali sarebbe solo il 17,5% del PIL, mentre per altri si arriverebbe al 35%154 , mi sembra evidente che solo riducendo della metà il suo importo non sarebbero state necessarie le manovre lacrime e sangue degli ultimi 12 anni che la CGIA di Mestre stima in 575,5 miliardi di euro, e cioè circa 6.200 euro a testa155 , infatti recuperando 60 miliardi l’anno arriviamo a 720 miliardi in 12 anni, non solo non sarebbero state necessarie le manovre lacrime e sangue ma avremmo avuto risorse per sostenere lo sviluppo evitando il ristagno strisciante dell’economia.

Nell’ambito della classe dominante evadono tutti o quasi: esistono 800 mila S.p.A. o srl in Italia e l’80% delle stesse hanno bilanci in parità, in rosso o con tenui attivi, dovrebbero fallire ma, forse per l’intervento di S. Gennaro, continuano ad operare156 . Quanto alle grandi imprese e alle grandi banche oltre la metà di esse hanno sede in un paradiso fiscale157 .

Se poi si scorrono i dati che vengono pubblicati dai media ciò che colpisce il senso sfacciato dell’impunità che traspare dal contegno degli evasori. In Veneto una grossa impresa conciaria che rappresenta l’1% della produzione mondiale del settore, ha inviato in Lussemburgo 1,3 miliardi di redditi evasi in 10 anni e lavorava con 800 dipendenti in nero, per 10 anni nessuno se ne è accorto158 . Dall’altro versante imprenditoriale un piccolo artigiano di Orvieto ha nascosto in pochi anni oltre 1 milione di reddito , dichiarando poco o nulla, mentre girava per Orvieto (piccola città dove tutti si conoscono) con un’auto di 200 mila euro159 ; anch’io conosco Orvieto, città che frequento da anni, e so che in essa si trova una grossa caserma della Guardia di Finanza, questo signore ostentava il suo lusso e la sua evasione sotto il naso dei finanzieri.

Sorge spontanea la domanda del perché vi sia un tale senso di sfacciata impunità, e la risposta si trova in un dato quanto mai ufficiale fornito dalla Banca d’Italia sulla massa di titoli di credito che lo Stato vanta per motivi fiscali e che non vengono riscossi per quanto siano immediatamente esecutivi: si tratta di 45 miliardi l’anno per gli ultimi dieci anni, in totale 450 miliardi di crediti non riscossi160 . Questo significa che quando leggete che la Guardia di Finanza ha scoperto 30 miliardi di imponibile nascosto quel dato non significa niente perché lo Stato non riscuote le tasse evase che vengono scoperte e questo dà all’evasore uno sfacciato senso dell’impunità, anche se lo scoprono una qualche soluzione si trova; addirittura per l’ultimo condono tombale deciso dal governo Berlusconi nel 2002-2003 si è ancora in attesa della riscossione dell’ultima rata, i condonati, pagata la prima rata e ottenuta l’immunità penale, spesso si sono dimenticati di pagare le altre rate161 .

La cosa è così macroscopica che non si può spiegare sempre e solo con la solita solfa dell’inefficienza della PA, che esiste certo ma si accompagna ad un altro fenomeno, la corruzione, stimata dalla Corte dei Conti in 60 miliardi l’anno162 . Siamo in presenza non di “qualche mela marcia” come dicono le anime candide (o “gli amici del giaguaro”) ma di un fenomeno generalizzato per cui possiamo supporre che quando un signore si trova in presenza di un debito fiscale consistente e divenuto esecutivo, qualcuno gli farà sapere che una soluzione si può trovare, e la soluzione evidentemente si trova163 . Ora in uno Stato di diritto liberale ed efficiente questo implicherebbe che il responsabile dell’ufficio “dormiente” risponda per responsabilità contabile davanti alla Corte dei Conti, che potrà poi inviare gli atti alla Procura della Repubblica competente, se sentirà odore di reati penali. Rimborso del danno, condanna penale, perdita del posto queste sono le conseguenze previste nel nostro sistema, ma nulla o pochissimo si muove in tal senso e questo esprime una situazione di oggettiva tolleranza e benevolenza verso l’evasione fiscale. Questo è uno Stato “forte con i deboli e debole con i forti” come diceva Pietro Nenni (quando era ancora un dirigente della classe operaia), io direi più semplicemente che è uno Stato sfacciatamente classista164 .

 

C) Le manovre lacrime e sangue e le ricette inconsistenti.

In questo contesto degradato piovono le manovre del 2011: la CGIA di Mestre ha calcolato che da qui al 2014 queste manovre costeranno alle famiglie 145 miliardi di euro165 , dal canto suo la Corte di Conti ha denunciato il carattere pesantemente recessivo di tali manovre166 . Inoltre le previsioni della commissione europea già citate sono chiare: nel 2012 ristagno (o crescita dello 0,1%) ma si tratta di previsioni ormai già superate in senso negativo. Il governo continua ad utilizzare come bancomat pubblici dipendenti e pensionati, c’è chi ha calcolato che dal 2010 al settembre 2011 vi sono stati ben 23 giri di vite sui pubblici dipendenti167 .

Nel frattempo l’Istat nel suo rapporto annuale 2010 denuncia che l’Italia è l’ultima in Europa per il sostegno al reddito: mentre salari e consumi sono in caduta libera e senza adeguati sostegni, lo Stato non trova meglio che sparare su di loro. Eppure dovrebbe essere evidente che se tagli salari e consumi tagli lo sviluppo economico e le entrate dello Stato: Bankitalia ci fa sapere, ad inizio settembre, che il debito pubblico è cresciuto in Italia del 3,9% (luglio 2011 su luglio 2010) arrivando a 1911 miliardi, quanto alle entrate fiscali nel periodo gennaio-luglio 2011 sono cresciute su base annua solo dell’1,7%, molto meno della crescita dei prezzi: in cifra assoluta oltre 70 miliardi in più di debito contro 6-7 miliardi di crescita delle entrate fiscali, una forbice insostenibile. Le lacrime e il sangue non risolvono nulla, ma alimentano una spirale che cresce su se stessa diventando sempre più insostenibile: tagli consumi e salari e tagli l’economia che annega riproducendo su scala allargata il debito, e così via secondo lo schema del cane che si morde la coda.

Sono considerazioni banali, da scoperta dell’acqua salata nel mare, ma sembra proprio che la nostra dirigenza politica sia incapace anche di questo.

Davanti al disastro incombente c’è un fiorire di ricette anticrisi, poche idee banali, confuse e riciclate.

Esordisce l’on. Veltroni per cui il riformismo che salverà l’Italia dovrà mettere d’accordo crescita della produttività e crescita dell’occupazione168 . Ora anche il governatore Visco in una recente intervista sulla piaga della disoccupazione giovanile ha rilevato che la disoccupazione è dovuta molto più all’uso di tecnologie moderne (ad alta intensità di capitale e ad alta produttività) che non alla globalizzazione, e ciò permette alle imprese di pagare poco e di tenere i salari d’ingresso dei giovani ai livelli di 30 anni or sono in termini reali169 .

Certe cose le sa anche il governatore della Banca d’Italia ma le ignora l’on. Veltroni per cui conciliare elevata produttività e crescita dell’occupazione è cosa che andrebbe de plano.

Quanto alla Confindustria propone una ricetta in sei mosse: 1) alzare l’età pensionabile; 2) ridurre il cuneo fiscale; 3) ridurre tasse su imprese e lavoro; 4) flessibilità della forza lavoro; 5) liberalizzazioni; 6) vendita del patrimonio statale. Sulle misura 4 e 5 ho già scritto l’anno scorso evidenziando l’inconsistenza di queste parolette, che concretamente non significano nulla170 , per la vendita del patrimonio statale si parla di 15 miliardi nei prossimi anni che dovrebbero servire a ridurre il debito pubblico a luglio stimato in oltre 1900 miliardi, inezie. Alzare l’età pensionabile significa ridurre gli sbocchi di lavoro per i giovani, che già adesso sono oltre 2 milioni parcheggiati nella più totale passività. Questa misura avrebbe senso se il mercato del lavoro fosse in espansione: nel Giappone del miracolo (anni ’60), si assumevano commesse anche settantenni, ma non sembra che questa sia la situazione attuale. La verità è che si vuole ridurre l’età delle pensioni erogate e fare cassa sulle stesse contraendo le possibilità di lavoro dei giovani171 .

Quanto al cuneo fiscale o alla riduzione delle tasse su imprese e lavoro c’è il piccolo problema di uno Stato squattrinato che non ha la minima intenzione di lottare contro l’evasione fiscale o di imporre patrimoniali effettive e non simboliche. Stando così le cose la richiesta di riduzioni fiscali sul lavoro per rilanciare i consumi è una richiesta semplicemente velleitaria, a meno che la Confindustria, il cui ufficio studi ha ammesso la consistenza e la crescita dell’evasione fiscale172 , non entri nell’ordine di idee di diventare l’alfiere della lotta all’evasione stessa, cosa che mi sembra improbabile, perché per fare questo la Confindustria dovrebbe espellere la maggior parte dei propri iscritti, dato il carattere di classe del fenomeno che abbiamo rilevato.

Quanto ad Alessandro Penati propone di tassare di più le cose piuttosto che i redditi (vecchia tesi di Tremonti), vendere i beni pubblici, ridurre o rallentare la crescita della spesa previdenziale173 . Misure non risolutive, poiché della vendita dei beni pubblici si è detto e per la spesa previdenziale è appena il caso di notare che anche per Penati questo è un onere da ridurre. Il fatto è però che le pensioni non sono un onere come non lo sono le forme di sostegno al reddito, ma sono un sostegno ai consumi e allo sviluppo, ancora una volta ribadirò che ridurle significa ridurre lo sviluppo stesso.

Tassare le cose in un momento in cui l’economia è ferma e i prezzi salgono, significa tassare di più i consumi alimentando l’inflazione, inoltre quello che i lavoratori incasserebbero di più con un’eventuale riduzione dell’IRPEF lo pagherebbero con l’aumento dell’IVA e di accise varie, imposte che notoriamente sono regressive nel senso che chi guadagna di meno proporzionalmente ne è più colpito174 .

Infine Boeri e Garibaldi che propongono riforme a costo zero. Quali?

Innanzitutto investire per l’integrazione degli immigrati e per un’efficiente apprendistato universitario, poi salario minimo garantito ed incentivi ai dipendenti della PA per renderla efficiente, riformare gli ordini professionali nonché la classe politica, pensioni con contributivo per tutti, e, dulcis in fundo voto a 16 anni175 .

Ora mi pare che questa ultima proposta sia una riforma a costo zero come anche la riforma degli ordini professionali o della classe politica, per il resto i costi ci sono sia a carico dello Stato che delle imprese (il salario minimo), oppure a carico dei pensionati per i quali il contributivo significa pensioni più basse (anche se pudicamente si dice che quel metodo permette di realizzare risparmi, dimenticando che tali risparmi li paga il pensionato). Ora in rapporto a queste proposte si pone il problema di trovare le risorse per finanziarle in una situazione di bilancio fallimentare come il nostro, e per quel che riguarda il taglio delle pensioni col passaggio totale al contributivo non devo ripetere che un simile taglio significa tagliare consumi ed economia. Non si vede poi quale può essere l’effetto economico del voto a 16 anni e non è certo quantificabile in termini di sviluppo la riforma degli ordini professionali come anche una vaga riforma della classe politica.

In sostanza per tutto questo tipo di proposte, come abbiamo visto anche per le proposte che vengono avanzate in sede europea o americana, ci troviamo davanti a ricette improvvisate, nessuna delle quali affronta il discorso prendendo il toro per le corna e cioè dicendo con estrema chiarezza: le cause della crisi sono queste e vanno eliminate agendo in questo modo.



5) Oriente. La Cina un declino irreversibile. Giappone un paese senza prospettive.

 

A) Il nuovo piano cinese e la svolta consumista del PCC.

La Cina frena e nel 2011 crescerà attorno al 9% passando allo sviluppo ad una cifra, che per l’OCSE, come si è visto, non vale molto; a marzo 2011 viene, altresì, presentato il nuovo piano quinquennale che prevede una crescita media del 7% contro il 7,5% del piano precedente176 .

Ora per la dirigenze cinese una crescita al 7% è l’equivalente di una recessione177 , anche se, è bene dirlo, è probabile che i dirigenti di Pechino abbiano volato basso per poi sostenere che il piano sarebbe riuscito oltre le migliori aspettative; anche per il piano precedente l’obiettivo (7,5%) era stato fissato in basso, in modo da poter poi vantare un risultato eclatante a due cifre. Tuttavia adesso non siamo nella situazione di cinque anni fa, ormai lo sviluppo ad una cifra sembra un dato acquisito per il ristagno (meglio la depressione) delle economie ricche dove la Cina esportava tanta parte del proprio PIL, imponendo ad operai e contadini “l’industria della cinghia”178 . Il pianificatore cinese allora, cambia spalla al suo fucile e lancia la parola d’ordine “consumare è glorioso”, qualcuno dice che il PCC è diventato il partito consumista cinese179 .

I consumi delle famiglie cinesi, che nel 2010 erano il 35% del PIL dovrebbero diventare il 42-45% del PIL tra cinque anni e i salari dovrebbero crescere (del 20% solo nel 2011)180 ; il fatto è, però che da anni sento parlare della crescita dei salari e dei consumi in Cina ma nel lontano 1999 (all’inizio del miracolo) i consumi delle famiglie erano il 44,1% del PIL e cioè 407,5 miliardi in cifra assoluta181 , appena l’1,43% del PIL mondiale; nel 2008 erano 1471,3 miliardi di dollari, pari al 34% del PIL cinese e al 2,42% del PIL mondiale, considerando anche i consumi collettivi cinesi arriviamo al 3,5% del PIL mondiale182 ; in Italia nello stesso anno i consumi della famiglie sono 1357,8 miliardi di dollari (il 59% del nostro PIL) ma con la piccola differenza che le famiglie italiane mettono insieme 58,9 milioni di persone e quelle cinesi oltre 1336 milioni (a parte la popolazione nascosta nelle campagne). I livelli occidentali sono abissalmente lontani da quelli cinesi che sono un’entità modesta sia a livello mondiale che in rapporto al loro PIL, e se tutto andrà bene (se cioè si realizzeranno gli obiettivi del piano) la Cina tornerà ai livelli relativi del 1999 che sarebbero estremamente bassi, tant’è vero che in India quell’anno i consumi delle famiglie erano pari al 64% del PIL183 .

La rivoluzione consumista sembra estremamente lontana ed il prof. Roubini osserva che la depressione dei consumi cinesi è strutturale e richiederebbe svariati decenni per essere modificata184 . Posizione direi ottimistica perché a mio avviso la depressione dei consumi cinesi può essere ritoccata ma non superata. Per avere infatti una crescita consistente di salari e consumi occorrono tre condizioni tutte essenziali: a) un incremento notevole della produttività del lavoro, senza la quale le imprese che pagassero alti salari fallirebbero; b) una situazione favorevole per gli operai sul mercato del lavoro; c) le libertà sindacali.

Ora la produttività media nell’industria cinese è 1/10 di quella occidentale, per cui occorrerebbe incrementarla in modo molto più spinto ed è questo che i cinesi intendono fare: il nuovo piano vorrebbe realizzare l’obiettivo di 3,3 brevetti per 10 mila abitanti e cioè 330 per ogni milione di abitanti e 450 mila circa per tutta la Cina, questo verrebbe ottenuto con un impegno del 2,2% del PIL cinese destinato alla ricerca185 . Ora, però, nel 2005-07 i brevetti del Giappone furono 127.224 con una popolazione inferiore ad 1/10 di quella cinese e per ottenere questo risultato il Giappone impegnò il 3,4% del suo PIL in ricerca, la Cina impegnando allora l’1,49% del suo PIL, ottenne solo 25.990 brevetti. La Cina, dunque, dovrebbe aumentare il volume dei brevetti di circa 18 volte facendo crescere la spesa in ricerca di solo il 50% in termini di PIL, direi che è alquanto problematico e anche se vi riuscisse sarebbe lontanissima dai livelli giapponesi in termini relativi al rapporto brevetti-popolazione.

Il vero problema, però è un altro, se la Cina avesse i livelli di produttività dell’Italia si troverebbe con un esubero di forza lavoro pari a circa 700 milioni di unità (senza considerare la popolazione nascosta)186 ; inoltre il nuovo piano prevede la creazione di 45 milioni di posti di lavoro, ciò che dovrebbe tenere la disoccupazione sotto il 5%187 , ma nel 2008 si era al 4,2% e la media del periodo 1999-2008 era il 3,6%, a cui va aggiunta una massa enorme di disoccupati nascosti188 e di sottoccupati, una simile situazione sul mercato del lavoro non favorisce certo chi cerca lavoro. A tal proposito le IM, che investono in Cina, proprio per lucrare sui bassi salari e sulla possibilità di produrre spazzatura a basso costo da vendere nel terzo mondo o ai poveri delle aree ricche189 , non sembrano disposte ad accettare una politica di alti salari: molte di esse delocalizzano verso l’interno del paese dove i salari sono più bassi e dove c’è l’enorme riserva di forza lavoro contadina190 ; altre, come la Foxcann di Taiwan hanno lanciato un programma di robotizzazione forzata: 300 mila robot a breve e un milione entro il 2014, ciò, ha detto l’A.D. della multinazionale, non porrà problemi di tagli del personale a breve termine, ma in un prossimo futuro il problema del costo del lavoro dovrà essere affrontato, in altre parole i tagli sono solo una questione di tempo191 . Nel capitalismo, infatti, se impianti un milione di robot devi rifarti dei costi non indifferenti e normalmente rifarsi dei costi significa tagliare il personale.

La strada del pianificatore cinese è piena di ostacoli che paiono insormontabili e ad essi se ne aggiunge un altro: l’elevata inflazione che a febbraio 2011 era al 4,9% contro il 10,3% dei beni di consumo alimentari192 , che incidono mediamente di più nel paniere di un consumatore a basso reddito, che deve destinare ad essi una percentuale elevata del proprio guadagno. A ciò si aggiunga la beffa della pessima qualità della produzione cinese anche in campo agroalimentare, dove l’inquinamento produce ovini e bovini gonfiati, suini fluorescenti, verdure velenose, etc.193 . Il consumatore cinese spende di più per comprare schifezze e sembra che questo lo mandi in bestia194 .

Infine l’elemento sub c) e cioè la ben nota mancanza delle libertà sindacali, che sono un ulteriore pesante ostacolo alla crescita reale di salari e consumi. Del resto lo stesso pianificatore cinese sta tentando di alzare i consumi imitando la strada occidentale della crescita degli stessi attraverso l’indebitamento: l’anno scorso ho evidenziato come si fosse tentata, con massicce dosi di credito, una sorta di traduzione di Keynes in cinese195 .

Quest’anno il prof. Roubini ha evidenziato come in realtà l’indebitamento pubblico cinese sia molto più alto di quanto dicano le statistiche, poiché gli enti locali, per finanziare programmi di lavori pubblici e di edilizia popolare si sono molto indebitati, sicchè in rapporto debito pubblico-PIL sarebbe in Cina al 77%196 , una cifra pesante per un paese che ha un livello di PIL procapite da paese sottosviluppato197 .

Può darsi che i calcoli del prof. Roubini siano un po’ esagerati ma la tendenze è questa e preoccupa il governo cinese che già nel 2010 ha compiuto vari piccoli interventi per raffreddare il credito198 , interventi continuati nel 2011 , ma intanto il volume del debito raggiunto appare preoccupante: a Wenzhou, la città più ricca della Cina, l’indebitamento delle imprese ha raggiunto i 70 miliardi di dollari e può crescere del 20% ogni mese, mentre si è creato un mercato parallelo dell’usura con tassi del 70%199 , analoghi fenomeni li abbiamo segnalati come si è visto in Inghilterra ed in Italia.

Il problema è molto semplice: la Cina non può sopportare livelli di indebitamento occidentali perché non ha i livelli di sviluppo dell’occidente.

Per il dragone si profila un declino senza ritorno.

 

B) Giappone, un paese senza prospettive.

È dagli anni ’90 che il Giappone è in una fase di crescita lenta che negli ultimi 10 anni si accentua, mentre nel frattempo il debito pubblico del paese è, in rapporto al PIL al 229%, un record mondiale, nel 2009 era appena al 189,3%; anche qui siamo davanti ad un’economia che produce molti più debiti che ricchezza. Nel 2011 si ha una forte drammatizzazione solo in parte attribuibile alla vicenda di Fukushima ( il Giappone è a livello di crescita negativa già da prima del famoso incidente): la produzione di auto crolla a marzo del 57,3% su base annua, ma tutti i 16 principali settori industriali sono in flessione, mentre le vendite calano dell’8,5% e i salari del 4,1%200 , solo la disoccupazione (4,6%) sembra essere a livelli non catastrofici ma ciò solo perché dagli anni posteriori alla fine del miracolo le statistiche giapponesi mentono spudoratamente,201 come altrove del resto. Basti pensare che per l’occupazione femminile il Giappone è, come si è visto, dietro l’Italia che a sua volta è al 74° posto nel mondo202 , questo significa che in Giappone ci sono intorno a 18 milioni di donne in età da lavoro che sono definite “inattive”. Anche però dalle statistiche ufficiali giapponesi comincia a trapelare la pesantezza della situazione occupazionale: ad ottobre 2011 il governo ammette che il tasso di copertura tra domanda e offerta di lavoro è di 0,67 ciò significa che per ogni 67 posti offerti ci sono 100 richieste di lavoro.

Quanto agli investimenti siamo lontanissimi dai livelli del miracolo (anche il 35% del PIL) nel 2008 siamo al 24%.

La vicenda di Fukushima si verifica in un quadro già deteriorato e lo aggrava, colpendo il Giappone in un punto nevralgico: la politica dell’energia atomica perseguita con grande tenacia dopo la crisi del 1973/75 anche a costo di esporre il paese a pericoli terribili. A tal proposito la giustificazione addotta (il fatto era imprevedibile) può soddisfare soltanto i filoatomici ingenui, disposti a bere qualunque balla. Infatti il 28.4.2011 la trasmissione della TV pubblica italiana “Annozero” trasmette il filmato di un signore giapponese che racconta una storia molto “edificante”: si tratta del progettista dell’impianto, che accortosi della sua pericolosità aveva avvertito la ditta titolare dell’impianto stesso, che gli aveva tappato la bocca con l’equivalente di 30 mila euro. Dopo il dramma di Chernobyl nel 1986 il progettista aveva avuto uno scrupolo di coscienza e aveva avvertito il governo giapponese della situazione, che a sua volta, aveva aperto un’istruttoria lampo chiusa nel giro di 48 ore con un responso netto: impianto sicurissimo. Inoltre a parte questo episodio, abbastanza disgustoso, in linea generale in una zona ad alta pericolosità sismica la possibilità di eventi che escano fuori scala è da prendere sempre in considerazione: anche da noi a Messina si verificò nel 1908 un terremoto che non aveva eguali a memoria d’uomo, con questo vogliamo dire che certi fatti non sono imprevedibili ma sono semplicemente imprevisti, perché non si vuole prevedere. Il governo giapponese, dunque, ha delle gravissime responsabilità e qualche mese dopo è stato costretto a fare macchina indietro ed ad ammettere che si doveva uscire dal nucleare perché i rischi erano troppo elevati203 .

Questo però significa che un paese in ristagno e pieno di debiti non ha più la sua politica energetica di riferimento, mentre il mercato e l’economia mondiale rallentano con pregiudizio delle esportazioni giapponesi.

Piove sul bagnato.

 

 

6) L’economia crolla e la società esplode. Bilancio delle lotte nel 2011.


Nel 2011 continua con forza la tendenza all’incremento alle lotte sociali ciò è evidente nel 2010. In Italia viene pubblicato uno studio volto a dimostrare che lo sciopero, almeno in Europa, è un’arma arrugginita poiché nel periodo 2000-2009 calano drasticamente le ore di sciopero sia pure con eccezioni (Francia e Austria), ciò però non sarebbe dovuto al superamento delle cause del conflitto sociale ma al ricatto delle delocalizzazioni posto in essere dalle imprese, poi con la grande crisi riprendono gli scioperi dopo il 2009204 . Non pare, dunque, che lo sciopero sia proprio finito, il suo ridotto uso nel periodo considerato è dovuto al ricatto delle imprese non certo alla fine della conflittualità che è stata compressa ma non eliminata; a tal proposito un sociologo conservatore molto intelligente (capita, sia pure raramente) e cioè Lewis Coser, ha affermato che il conflitto svolge una funzione di equilibrio e di stabilizzazione sociale nel nostro mondo perché permette di sfogare le tensioni, costringe le parti a riconoscersi reciprocamente, a legittimarsi e a trattare mediando il conflitto stesso nell’alveo del sistema, comprimerlo e farlo incancrenire significa creare le condizioni di esplosioni violente dovute all’accumularsi di tensioni irrisolte205 . In altre parole se il conflitto non viene espresso ed incanalato una parte potrebbe essere tentata di abbandonare o di rompere il rapporto che la lega all’altra parte, nel linguaggio accademico, ciò significa una cosa molto semplice che i gruppi sociali subalterni potrebbero essere tentati di fare una rivoluzione, molto meglio è, perciò, permettere al conflitto di esplicarsi incanalandolo. Quello che sta avvenendo in Europa e nel mondo dopo il 2009 dimostra quanto sia pericoloso comprimere il conflitto e farlo incancrenire e quanto avesse ragione Coser, ma il conservatorismo intelligente è una pianta molto rara.

In Spagna il movimento degli indignati diventa un caso mondiale e contagia l’America dove dopo 30 anni ritornano i movimenti di massa duramente critici verso il capitalismo: “Occupy Wall Street” ne è il simbolo e prima che esso esplodesse il sindaco di New York Bloomberg aveva paventato che la pace sociale fosse per finire in USA, evidentemente aveva ragione206 .

In Israele una giovane studentessa lancia su “Facebook” la parola d’ordine di una manifestazione di massa per la giustizia sociale: dopo poco le città israeliane sono invase da masse enormi di piccoli e medi borghesi impoveriti ed il corso di Telaviv si riempie per chilometri di tende di protesta contro la politica di governo207 ; in Cile una giovane studentessa comunista, Camila Vallejo, mette in difficoltà il governo Piñeda e diventa una star internazionale, un nostalgico di Pinochet dice “uccidete la cagna”, ma sarà costretto a dimettersi dal suo ruolo di dirigente statale208 , tempi duri per i nostalgici!

Il culmine del movimento si ha in ottobre quando vengono convocate manifestazioni contemporanee in 980 città di 82 paesi, una cosa enorme , per trovare un fenomeno similare occorre tornare indietro al 1912 quando l’Internazionale socialista convocò una serie di manifestazioni per ammonire i governi europei che in caso di una grande guerra i partiti socialisti avrebbero cercato di trasformarla in rivoluzione209 . In Portogallo e in Grecia scioperi generali contro le misure di austerità210 ; in Slovacchia una nuova forma originale di lotta dei medici del servizio sanitario nazionale contro gli stipendi ritenuti molto bassi (1600 euro), essi minacciano di dimettersi in massa ed il ministro della sanità corre ad offrire 300 euro di aumento211 , una simile forma di lotta se si generalizzasse in altri paesi e in altri settori della PA potrebbe mettere in crisi le manovre lacrime e sangue negli ultimi anni.

In Germania nuova battaglia tra ecologisti e polizia: un treno con 150 tonnellate di scorie radioattive proveniente dalla Francia è bloccato: 150 feriti e 1300 arresti212 .

In Inghilterra nel corso dell’estate la polizia arresta un uomo di nome Manning nel quartiere degradato di Tottenham, si dice che l’uomo fuggendo abbia sparato e costretto la polizia a rispondere al fuoco. Subito dopo si capisce che è un’infame menzogna: la prova del guanto proverà che l’uomo non aveva sparato e che il colpo che lo ha ucciso è stato un colpo frontale213 ; la rivolta divampa e coinvolge prima gli altri quartieri di Londra e poi le principali città inglesi, le immagini diffuse attraverso internet hanno un effetto esplosivo e contagioso. Ciò dà il senso di quale carica di violenza e di rabbia si nasconda dietro una calma apparente, basta poco (una vergognosa azione della polizia) perché la protesta divampi. In precedenza inoltre c’era già stato a Londra il movimento degli “squatter” che andavano ad occupare le case dei ricchi momentaneamente vuote214 .
Nelle aree povere del mondo le tensioni non sono da meno: in India non c’è alcun segnale di riflusso del movimento di guerriglia nelle campagne215 , mentre in città esplode il caso di un vecchio militante epigono di Gandhi , che lancia uno sciopero della fame contro il parlamento indiano che nicchia sui provvedimenti anticorruzione (l’India è un paese corrottissimo), lo sostiene un movimento di massa enorme: scioperano per lui categorie di lavoratori che mai l’avevano fatto dai taxisti ai pony che portano il pranzo agli impiegati di grado elevato nell’ora di pausa , il parlamento indiano dovrà cedere216 .

Dalla Cina arrivano notizie di scioperi e rivolte (lì i due concetti sono coincidenti) con valutazioni da brivido. L’Accademia delle scienze cinesi ritiene che le rivolte in Cina siano state nel 2010 oltre 100 mila , 300 al giorno217 , a sua volta la Banca Popolare di Cina ritiene che siano state 180 mila e che con un tasso di sviluppo inferiore all’8% del PIL la situazione diventerebbe incontrollabile218 . Nel 2005 la dirigenza cinese ammise che le rivolte quell’anno erano state 85 mila contro le 8.500 del 1993; i dati sul tappeto il trend storico sono da brividi, ormai le rivolte in Cina sono un fenomeno quotidiano ed in espansione, con un PIL dallo sviluppo asfittico la Cina esploderebbe, e anzi sta già esplodendo.

Infine la primavera araba iniziata negli ultimi mesi del 2010, che ha fatto crollare regimi ritenuti quanto mai stabili dalla diplomazia occidentale (Tunisia e Egitto) e che si sta estendendo alla Siria, ma anche nei paesi petroliferi del golfo (Bahrein) non sono mancate gravi tensioni come in Yemen, mentre i timidi tentativi di modernizzazione della monarchia saudita dimostrano che anche la corte di Riad comincia a temere per la permanenza del suo regime nell’attuale versione autoritaria e repressiva.

Di notevole interesse, poi, le reazioni dell’occidente e della sua cultura ufficiale che sono un misto di stupore, conformismo ed isteria. Il prof. Fukuyama, teorico della fine della storia (col trionfo dei regimi liberali) vede nella primavera araba la conferma delle sue tesi: quando il liberalismo avrà vinto nel mondo arabo ed in Cina la storia avrà realizzato il suo fine e la sua fine219 .

Peccato, però, che le rivolte non riguardino solo il mondo arabo e la Cina ma anche l’India, la più grande democrazia del mondo, e l’occidente a cominciare dall’America stessa: “Occupy Wall Street” non mi sembra un inno alla democrazia liberale al capitalismo che ne è il fondamento220 . La verità è che i giovani tunisini, americani, egiziani, spagnoli, israeliani etc. chiedono a questo sistema economico ed alle sue diverse articolazioni politiche esattamente quello che non possono dare, un futuro ed un lavoro dignitoso; dimentica, inoltre, lo studioso nippo-americano che le rivolte arabe hanno colpito regimi alleati e sostenuti dall’occidente che, quindi non è proprio quel simbolo di libertà e di democrazia che pretende di essere. Molto più esatto è il giudizio che si legge sulle colonne del NYT: “In India centinaia di migliaia di persone appoggiano un attivista che fa lo sciopero della fame contro la corruzione. Israele è scossa dalla più grande manifestazione di piazza della sua storia. In Spagna e in Grecia ragazzi arrabbiati occupano le piazze della città. In tutto il mondo si protesta per problemi comuni: la corruzione, la mancanza di alloggi a buon mercato, la disoccupazione. Ma dall’Asia al cuore dell’Europa e a Wall Street c’è qualcosa che accomuna i manifestanti: la diffidenza, e in alcuni casi il disprezzo per la politica tradizionale e per i processi democratici che la governano, le persone scendono in piazza anche perché non hanno fiducia nelle elezioni (…) Questa delusione arriva 20 anni dopo quella che fu accolta come la vittoria del capitalismo democratico sulla dittatura. Da allora una serie di crisi hanno fatto vacillare se non crollare questa convinzione: il crack delle borse asiatiche nel 1997, lo scoppio della bolla di internet nel 2000, la crisi bancaria del 2007, e le ripetute crisi del debito pubblico in Europa e negli Stati Uniti. A ciò si aggiunga l’evidente incapacità della politica di governare o di difendere i cittadini”221 .

Nei confronti poi della rivolta delle città inglesi si ha un fenomeno di isteria collettiva: i giovani sono trattati da delinquenti nati di lombrosiana memoria, mentre la povertà e l’emarginazione dei quartieri periferici sono ignorati come il contegno criminale e omicida della polizia222 . In quest’orgia di conformismo becero e terrorizzato fa eccezione un giornalista inglese, che pur essendo un moderato non è un imbecille o un servo sciocco e scrive: “Ma al tempo stesso è da stupidi non avere immaginato che questioni come la crescente disoccupazione, i tagli dei servizi sociali e la rabbia rimasta in molti per le crisi di due tre anni or sono non avrebbero avuto conseguenze”.223

Ma la reazione ufficiale fu assai semplice: delinquenza giovanile di saccheggiatori e i saccheggi vi furono senza dubbio alcuno, ma non puoi definire un governo che fa impennare le tasse universitarie, privando dell’istruzione i giovani delle classi basse, e che ignora l’emarginazione, come un collegio di statisti e i giovani che saccheggiano un supermercato come dei delinquenti nati. Questi ultimi ruberanno articoli alimentari o di altra natura ma governi che fanno questa politica rubano il futuro ad intere generazioni ed ho il sospetto che siano socialmente molto più pericolosi anche se il diritto considera legittime le loro scelte e illegittime le azioni dei giovani disperati224 .

Qualche imbecille dirà che questa è una facile spiegazione sociologica, ma, in verità, le spiegazioni sociologiche se radicali (nel senso che vanno alla radice dei problemi) non sono facili, sono indigeste.

Più articolati i giudizi sulla primavera araba, che per alcuni sarebbe solo un colpo di Stato mascherato, oppure un rigurgito islamico. In realtà si è osservato che in Tunisia il detonatore della rivolta (non certo la causa) fu un suicidio, atto empio per ogni religione monoteista (cristianesimo in testa)225 , mentre è indubbio che esistevano enormi tensioni sociali irrisolte226 . Molto più equilibrato è il giudizio che viene dallo statista israeliano Shimon Peres , che considera la primavere araba come una rivolta sociale che egli auspica possa evolvere positivamente227 . Indubbiamente in Tunisia le elezioni le hanno vinte gli islamici, che però sono su posizioni moderate228 , e avendo ottenuto il 41% dei voti non potranno governare da soli (né lo pretendono); così del resto a suo tempo è accaduto in Turchia e perciò appare assurdo identificare Islam e fondamentalismo estremista, nessuno si scandalizza se in occidente un partito cattolico vince le elezioni, e non vedo perché ci si debba spaventare a priori davanti alla vittoria di un partito islamico, al fondo di questa posizione c’è l’idea pregiudiziale che la civiltà sia rappresentata dal mondo cristiano e la barbarie dagli altri.

Egualmente superficiale il giudizio sulla vicenda egiziana ridotta ad un golpe militare229 . Si dimentica che Mubarak era egli stesso un militare e l’esercito il pilastro del suo regime, e se l’esercito lo ha buttato a mare ci sarà una ragione, l’insostenibilità della pressione popolare. Poi, ovviamente, le forze conservatrici hanno tentato di riprendere il proprio spazio e si delinea a novembre un sanguinoso ed alterno braccio di ferro tra esercito, conservatori e la ribellione popolare230 ; tale braccio di ferro non è risolto mentre scrivo, ma è chiaro che l’Egitto non è più un paese bloccato e pietrificato (la stabilità conservatrice che tanto piace alle cancellerie occidentali), ma un paese in movimento tra spinte e controspinte.

Un panorama di posizioni, quindi, da cui traspare l’incomprensione, a volte la paura isterica, per il nuovo che le rivolte e i conflitti rappresentano.

 

 

7) Segue. Internet e le lotte sociali. Una svolta epocale, il declino dell’”infrangibilità burocratica” e della “folla solitaria”. Tootle va in pensione.

 

A) I soggetti sociali in movimento.

I soggetti che animano le esplosioni sociali che sono davanti a noi, la folla in movimento, presentano al proprio interno una grossa articolazione: innanzitutto la classe operaia europea che riscopre lo sciopero assieme all’enorme classe operaia cinese per cui lo sciopero è rivolta, poi le masse contadine che in Cina sono protagoniste di molte delle oltre 100 mila (o 180 mila) rivolte che avvengono annualmente nel paese, masse contadine che in India sono il retroterra naturale di una guerriglia in espansione. Ancora, la media borghesia impoverita ed i giovani senza futuro: un tempo si diceva che questa era la società dei due terzi ed un terzo, due terzi garantiti ed un terzo emarginato. Nell’epoca del grande miracolo post-bellico, del welfare e di Keynes, lo Stato aveva costruito una vasta rete di alleanze e di consenso attorno alla classe dominante, a volte suo malgrado231 . In anni passati (nel mitico ’68) mi sono opposto alla tesi che il vasto mondo dei ceti medi impiegatizi (pubblici e privati) fosse un nuovo proletariato, poiché a mio avviso la loro condizione era profondamente diversa da quella della classe operaia232 . La marcia dei 40 mila a Torino nel 1980 espresse plasticamente questa realtà: “i marciatori” non si sentivano operai anzi li disprezzavano. Poi lo Stato diventa sempre più incapace di imporre le regole per il buon funzionamento del sistema alla sua classe di riferimento (con relativi costi), per i motivi più volte illustrati, è divenuto uno Stato sempre più debole, incapace di difendere il welfare, uno Stato che si arrende alla logica di un capitalismo selvaggio, che pretende meno regole e costi e che lo ricatta continuamente. Il welfare entra in crisi e si comincia a parlare della società dei tre terzi: un terzo garantito, un terzo non garantito, un terzo intermedio che è garantito ma che può da un momento all’altro scivolare verso il basso233 .

All’inizio degli anni ’90 ancora una volta è la Fiat che esprime in Italia questa realtà: nuova crisi dell’auto e questa volta i licenziamenti colpiscono quadri ed impiegati, “i marciatori” del 1980. Ricordo le interviste in TV degli impiegati Fiat che commentavano: “La Fiat ci ha gettati via”. Un capitalismo sempre più globalizzato è in grado di ricattare continuamente sia i dipendenti (operai ed impiegati) sia lo Stato, e così anche i “quadri” scoprono che sono un costo che può essere tagliato, non diversamente dagli operai.

Dalla fine degli anni ’70 in poi, lentamente, il mondo del lavoro dipendente (sia operai che impiegati) perde terreno nella ripartizione del reddito: da 7 a 10 punti di PIL nei paesi industriali avanzati, e le statistiche sulla ripartizione ufficiale del reddito prescindono dal fenomeno enorme ed in espansione dell’evasione fiscale ad opera delle classi dominanti. Dire che il vasto mondo delle classi medie sia proletarizzato è forse eccessivo, ma è chiaro che sta scivolando sempre più verso il basso avvicinandosi alla condizione della vecchia classe operaia. Nel 1980 quando osservavo quella condizione delle classi medie non era in quel momento quella della classe operaia, osservavo, però, al tempo stesso, che un sistema che si avviava a produrre solo disoccupazione e inflazione (la crisi del 1973-75 a mio avviso chiudeva una fase storica di sviluppo e ne apriva un’altra che è quella che viviamo) avrebbe messo in crisi il riformismo politico (di cui il conservatorismo illuminato di Roosevelt era una delle espressioni più forti)234 trasformando la società dei due terzi ed un terzo, col consenso di massa al capitalismo che implicava, in un ricordo del passato. Ora, inoltre, anche la società dei tre terzi sta diventando impraticabile: non siamo al mondo del 99% contro l’1% che è scritto sui cartelli dei giovani indignati di tutto il mondo, ma alla società del 90% contro il 10%: il 10% che ha in mano l’83% della ricchezza del pianeta che si contrappone al rimanente 90% che si divide “il residuo” 17%235 .

 

B) Perché ora e perché le lotte sono in espansione.

Qualcuno potrebbe obiettare che lo sfruttamento, le disuguaglianze sociali e le ingiustizie sono sempre esistite e non necessariamente producono rivoluzioni o anche solo conflitti estesi.

Verissimo. Qualche anno fa ho scritto che la storia diventa storia della lotta di classe solo nel e col capitalismo, prima, per millenni, la storia è stata solo storia del dominio di classe, essendo le rivolte contro i sistemi di dominio dei fenomeni occasionali e sporadici rapidamente soffocati236 . Solo con il capitalismo si ha una stabile organizzazione delle classi subalterne e del conflitto e solo con il capitalismo si entra nell’era delle rivoluzioni (sono le tesi notissime di un grande storico come Charles Tilly).

Ora, però, sembra a me che negli ultimi decenni, ed in particolare negli ultimi anni, si sono create le condizioni per lo sviluppo di un conflitto sempre più radicale ed in particolare è entrato in crisi uno strumento fondamentale di controllo sociale e cioè la frammentazione delle classi subalterne in rapporto ad un apparato di potere centralizzato e verticale.

Se si rileggono le pagine di Max Weber sull’apparato burocratico, organizzazione essenziale della società ed infrangibile237 , si scopre che questo apparato (sia esso civile che militare) accentra il potere in una cupola ristretta di funzionari che ha il monopolio delle conoscenze e delle informazioni, mentre le unità di base della struttura organizzativa non comunicano tra loro ma possono comunicare solo attraverso il vertice. Non è che questo avvenga solo nel capitalismo, ma avviene in tutte le società di classe: “divide et timpera” dicevano i romani e la logica della burocrazia mandarinale cinese non era diversa. Quando a livello di base c’era una rivolta il potere concentrava la sua forza contro il focolaio isolato e lo soffocava.

Nel capitalismo questo modello comincia ad essere messo in discussione: abbiamo una dialettica conflittuale senza precedenti storici, nascono organizzazioni che gestiscono il conflitto in modo stabile (sindacati e partiti operai) ma il sistema tiene e all’interno delle stesse organizzazioni operaie rinasce uno schema burocratico affine a quello del potere238 , che permette al conflitto ad essere incanalato nell’alveo del sistema, di cui può diventare un momento di stabilizzazione e di modernizzazione239 .

Lo schema autoritario-verticale sopravvive e si modernizza e l’uomo che vive in questa società rimane l’uomo della “folla solitaria”, una folla di uomini che vivono chiusi nella ricerca della soddisfazioni dei propri bisogni in questo quadro sociale, voltandosi reciprocamente le spalle, la folla degli uomini solitari o la folla solitaria che è il titolo di una celebre ricerca sociologica240 .

L’uomo della folla solitaria però, è un uomo eterodiretto, qualcuno gli impone schemi ideali, valori e comportamenti: David Riesman, il sociologo della “folla solitaria” analizza la favola di Tootle, una locomotiva che aveva la strana abitudine di uscire dai binari per andare a raccogliere le margherite, ma il personale delle ferrovie, preoccupato per questo contegno deviante, decise di correre ai ripari. Quando Tootle uscì per un’ennesima volta dai binari si trovò di fronte una bandiera rossa (segno di direzione vietata che le avevano insegnato a rispettare), cercò di cambiare direzione e di nuovo si trovò di fronte una bandiera rossa, era disperata ma quando voltò lo sguardo verso i binari scoprì una rassicurante bandiera verde e capì che la felicità nella vita consisteva nel correre sempre e solo sui binari241 . È chiaro che con una simile favoletta, assai poco innocente, si allevano sergenti delle SS o tenentini dei marines che vanno in giro a distruggere villaggi di contadini vietnamiti. Ma non è solo la famiglia che educa, con queste “innocenti favolette", ma educa la scuola, il quarto potere (stampa), il quinto potere (televisione)242 ; quanto alle organizzazioni burocratiche, fondate sull’obbedienza gerarchica, si deve dire che le stesse organizzazioni di origine operaia, come abbiamo rilevato, sono fondate anch’esse su criteri verticali e burocratici analoghi243 .

L’eterodirezione è la regola e il dissenso se non è soffocato è emarginato e messo in condizioni di non nuocere. Per Weber il futuro non è della rivoluzione ma della burocratizzazione, la burocrazia, il potere verticale che frammenta e dirige è infrangibile, seppure si riesce a fare una rivoluzione, in un momento di debolezza del potere, la burocrazia risorge necessariamente: questa è una società di uomini eterodiretti, necessariamente.

Discorso terribile anche se doveva confrontarsi col fatto che il XX secolo è pieno di rivoluzioni244 , per cui quanto meno il potere burocratico può essere contestato e messo in crisi per quanto indubbiamente sia forte. Oggi, però, c’è un fatto nuovo, sviluppatosi negli ultimi anni: internet, che, intendiamoci, non è la rivoluzione245 , ma è uno strumento organizzativo che apre possibilità enormi e pone in crisi una struttura di potere tipica del capitalismo ma anche delle altre società di classe perché in tutte, come si è detto, troviamo un apparato burocratico alienato rispetto alle classi subalterne e che le governa frammentandole.

Attraverso questo mezzo, nato per fini di ben altra natura246 , gli uomini della folla solitaria possono mettersi in contatto tra loro scavalcando il potere e l’organizzazione che l’isola condannandoli all’impotenza; l’informazione (e la controinformazione) viene scambiata, le parole d’ordine corrono da un capo all’altro del mondo, le menzogne del potere sono demistificate, i suoi segreti svelati e messi in piazza, tutti i principi su cui si fonda l’organizzazione burocratica infrangibile vengono contestati e messi in crisi.

Alcuni esempi chiariranno il carattere dirompente del fenomeno: tre anni fa da New York il corrispondente del TG2 ci mostra una ragazzetta americana dall’aspetto insignificante, che in realtà a 15 anni è un’autentica diavolessa. L’anno prima a 14 anni, ha creato un sito internet a carattere antimilitarista , che sbugiarda sistematicamente le versioni ufficiali del Pentagono sulle guerre in corso: il sito realizza 30 mila contatti al giorno, sicchè la giovane diavolessa ha festeggiato il suo quindicesimo compleanno non con la solita festa in discoteca, cui invitare le varie Tootle di passaggio, ma con una manifestazione antimilitarista assieme ai frequentatori del suo sito.

Della studentessa israeliana che mobilita da sola un intero paese (cosa che i sindacati ufficiali e burocratici mai si sarebbero sognati di fare) si è detto: come delle 980 manifestazioni convocare contemporaneamente in 82 paesi; inoltre è nota l’attività di Wikileaks che svela i segreti del potere, come anche la rete gemella Anonymous, che ha messo a disposizione della dissidenza cinese un manuale per sfuggire alla censura; infine in USA nasce il progetto di una rete gratuita ed impermeabile alla censura247 , ipotesi che ogni potere considera con terrore.

Durante, poi, la primavera araba i giovani egiziani hanno avuto l’aiuto degli internauti e degli hackers serbi, che hanno fornito loro le tecniche usate per la lotta contro Milosevic248 . Lo ripeto questo mezzo ha una portata dirompente perché permette una organizzazione orizzontale contro un potere verticale, supera la frammentazione delle classi subalterne e determina la circolazione di una informazione alternativa che svela i segreti del potere: da millenni non si vedeva una cosa simile.

Contro una simile realtà in movimento c’è un potere in difficoltà estrema: la crisi che è esplosa e irrisolvibile, non solo per i limiti della dirigenza politica attuale, la cui mediocrità è evidente, ma perché oggettivamente non esistono soluzioni possibili per essa. Inoltre la durezza della crisi impone tagli pesanti anche alle spese del controllo sociale, che sono di due tipi: repressione (esercito e polizia), e ricerca del consenso (welfare), entrambi questi due tipi di spese sono pesantemente tagliati come si è documentato.

Emblematico è quello che è avvenuto a Londra in occasione della rivolta di Tottenham: si scopre che l’organico della polizia londinese, in una città che ha la popolazione dell’Olanda, è di 2500 effettivi quanto basterebbero a dirigere il traffico (e neanche). Durante quei giorni drammatici RaiNews24 trasmette l’intervista col capo della polizia londinese che risponde alle critiche di Cameron che aveva accusato la polizia cittadina di incapacità. Il capo dei “cops” di Londra gli risponde a muso duro che sono stati loro e non i politici a fronteggiare la rivolta e lo hanno fatto a ranghi ridotti. Dopo il programma di contrazione degli organici della polizia non verrà ritirato: la crisi morde ed il bilancio piange.

In sintesi abbiamo uno strumento organizzativo senza precedenti che mette in crisi la funzione e la struttura del sistema e che viene ormai largamente usato per organizzare masse che rappresentano potenzialmente il 90% della popolazione mondiale; di fronte c’è un sistema (capitalistico) che non sa fronteggiare una crisi irrisolvibile e che, a causa della crisi stessa, deve tagliare le spese di controllo e repressione sociale. Non è ancora la rivoluzione ma è l’inizio di un processo rivoluzionario, di cui non è possibile prevedere percorso, tappe e durata, né è possibile (per me almeno) prevedere la sua conclusione, ma una cosa mi sembra certa: questo sistema non ha alcuna possibilità di salvezza. Se non governi le tue contraddizioni , muori; ed è esattamente quello che sta accadendo.

Vedi anche:
Antonio Carlo: Capitalismo 2009: la via verso il crollo
Antonio Carlo: Capitalismo 2010: un morto che cammina
 

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1 Cosa già da me rilevata l’anno scorso, v. A. CARLO, Capitalismo 2010: uomo morto che cammina, in www.sinistrainrete.info, 2011.
2Ibidem.
3 Euro 3 indica il complesso di Germania, Francia e Italia. I dati sono consuntivi per i primi due trimestri e preventivi per gli altri due. In seguito, soprattutto a fine anno, è un susseguirsi di previsioni e revisioni di stima tutte al ribasso.
4 Fenomeno rilevato nei miei ultimi articoli sulla crisi, al lavoro citato nella nota 1 aggiungi A. CARLO, Capitalismo 2009: la via verso il crollo, in www.countodown.info, 2010, e in www.sinistrainrete.info, 2010, par. 1.
5 Vedi J. LANCHESTER, La ricetta per tornare a crescere, in “Internazionale”, 15.9.11, pp. 14 sgg. a p. 16 ove tabella.
6 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 5 dove accenno al fatto che il governo cinese spaventato per il rischio che si potesse creare una bolla debitoria incontrollabile, ha proceduto dalla fine del 2010, ad una serie di operazioni di mini riduzione del credito; adesso però (fine 2011) arriva la notizia che il governo cinese, davanti al rallentamento dell’economia, ha di nuovo dilatato il credito (sia pure in misura modesta) v. G. DI DONFRANCESCO, Pechino inverte la rotta e “allenta”, ne “Il Sole 24 ore”, 1.12.11, p. 4; F. SISCI, Ora Pechino teme il contagio, ivi, pp.1 e 4.
7 Vedi B. PANKER, Seconda frenata inevitabile ma questa volta andrà peggio, i governi non hanno più armi, in “La Repubblica”, 19.8.11, p. 6 ove intervista agli economisti americani Bremmer e Roubini.
8 Vedi E. POLIDORI, Debiti per 3600 miliardi nelle banche mondiali, in “La Repubblica”, 14.4.11, p. 31.
9 Ma falsi come nota il SEC americano, v. A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 1.
10 Vedi F. RAMPINI, Scricchiolano le banche europee, torna la sindrome del crac Lehman, in “La Repubblica”, 22.8.11, p. 15 dove si cita tra l’altro un noto broker di Wall Street che dichiara, al Wall Street Journal, come il mondo delle banche USA sia opaco, cosa accade al loro interno non si sa e bisogna agire sulla base di semplici voci. A fine novembre, inoltre, arriva la notizia che Standard & Poor’s ha declassato ben 37 banche USA: ai due lati dell’Atlantico le cose vanno piuttosto male.
11 Vedi F. RAMPINI, USA raffica di licenziamenti nelle banche, in “La Repubblica”, 31.8.11, p. 24.
12 Per il dato sulla Bofa v. TELEVIDEO, 12.9.11, p. 837 (quando citeremo il Televideo sarà solo quello Rai); per il dato sulla MF Global v. F. RAMPINI, Tornano gli scatoloni a Wall Street, MF Global licenzia 1000 dipendenti, in “La Repubblica”, 13.11.11, p. 25. Ma non sono solo le banche a licenziare così un colosso come la Nokia annuncia un taglio di 17000 dipendenti su 74000 entro il 2013 (v. TELEVIDEO, 23.11.11, p. 835); quanto alla Panasonic annuncia 30000 tagli ad inizio 2011 (v. G. VISETTI, L’onda lunga dello tsunami mette in ginocchio il Giappone, crollano produzione e consumi, in “La Repubblica”, 29.4.11 p. 29).
13 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 2 e 3.
14Ibidem.
15 Anche gli stress tests decisi in sede UE nel luglio 2011 hanno evidenziato la presenza nei portafogli delle banche di grosse quantità di titoli di Stato potenzialmente tossici.
16 Vedi E. POLIDORI, FMI: all’Italia serve una manovra correttiva, in “La Repubblica”, 12.4.11, p. 24.
17 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 1.
18 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 1.
19 Vedi F. RAMPINI, Giardinieri, muratori, cuochi, le dieci professioni del futuro, in “La Repubblica”, 14.2.11. pp. 1 e 23, ove è riassunta la ricerca americana.
20 Vedi F. RAMPINI, Laureati ma disoccupati. Il nuovo incubo di Pechino, in “La Repubblica”, 6.6.06, p. 19; v. anche F. RAMPINI, Cina la rivolta degli studenti, ivi, 25.6.06, p. 19.
21 Vedi A. CARLO, La società industriale decadente, Liguori, Napoli, III ed. 2001, (I ed. 1980), p. 181.
22 Vedi B.K. , Ce n’est qu’un début, in “Economia”, n. 37, sett. 1977, pp. 56 e sgg.
23 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi della società industriale, Loffredo, Napoli, 1984, p. 111.
24 Vedi R. MANIA, De Rita “Basta con gli studi inutili meglio andare ad imparare in fabbrica”, in “La Repubblica”, 18.4.11, p. 14.
25 Il discorso sulla sottoutilizzazione dei laureati in Italia è piuttosto vecchio, v. A. CARLO, op. ult. cit. , pp. 237-38
26 Vedi F. POLLOCK, Automazione, Einaudi, Torino, 1970, II ed.; H. BRAVERMAN, Lavoro e capitale monopolistico, Einaudi, Torino, 1978; A. CARLO, La società industriale cit.; J. RIFKIN, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano, 1995, V ed.; H. BECK, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro, Einaudi, Torino, 2000.
27 Vedi A. CARLO, op. ult. cit., pp. 172 e seg.
28Ivi, pp. 191 e sgg.
29 Secondo alcuni invece (gli ultimi giapponesi che resistono nella foresta) internet e le nuove tecnologie creerebbero occupazione v. R. LUNA, Così l’Italia spreca il tesoro di internet, in “La Repubblica”, 21.9.11, pp. 1 e 43, che cita il rapporto McKensey secondo cui internet creerebbe molti più posti di quanti ne distrugga: in particolare in Italia la grande industria (che è stata l’unica ad usare internet) avrebbe creato 700 mila nuovi posti di lavoro contro i 380 mila distrutti con un saldo netto di 320 mila posti dal 1995. Ricerche simili mi ricordano quelle volte a dimostrare che il fumo fa bene ai polmoni come una vacanza sulle montagne svizzere, oppure che la questione ambientale non esiste, chi, infatti, segue l’andamento dell’occupazione, sa che l’Istat segnala, da oltre 30 anni almeno, un costante calo degli addetti nella grande industria (oltre 500 dipendenti), che siano stati creati 320 mila posti di lavoro dal 1995 è solo una favola. Si noti poi che i posti creati con internet sono spesso posti precari e sottopagati: i ragazzi del call center ne sono un esempio.
30 Vedi A. CARLO, Economia, potere, cultura, Liguori, Napoli, 2000, p. 475. La cosa è stata anche rilevata per altri paesi come la Francia, v. D. BERTAUX, Destins personnels et structure de classe, PUF, Paris, 1977,
31 Vedi . C. WRIGHT MILLS, Politica e potere, Bompiani, Milano, 1960, pp. 143 sgg, a p. 162, dove si osserva che il modo statisticamente più sicuro per accedere alla business élite è quello di nascervi dentro.
32 Vedi e.p. , Lagarde: domanda a rischio collasso servono coraggio e impegno politico, in “La Repubblica”, 24.9.11.
33 Si tratta di dati notissimi che ho citato più volte negli ultimi anni, in genere il calo del reddito da lavoro dipendente nei paesi industriali avanzati oscillerebbe da 7 a 10 punti del PIL.
34 Vedi infra, par. 2, 3 e 4.
35 Vedi infra, par. 5.
36 Vedi N. NAIM, Dove sta il coraggio di essere ottimisti, in “La Repubblica”, 2.10.11, pp. 1 e 16, che cita un rapporto ONU per cui la povertà estrema era al 12% contro il 35% del 1980.
37 Vedi infra, par. seguente.
38 Vedi E. MOLINARI, Banca mondiale: “allarme cibo”, in “Avvenire”, 17.4.11 p. 5 che cita questo dato, ma l’articolo non è per nulla ottimista.
39 Vedi infra par. seg.
40 Vedi A. CARLO, La società industriale cit. , p. 186.
41 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009 cit. par. 1.
42 Vedi BIT, L’emploi , la croissance et les besoins essentiels: problème mondial, BIT, Genève, 1976, p. 18
43 Vedi M. DAVIS, Il pianeta degli slums , Feltrinelli, Milano, 2006.
44 Vedi retro nota 38.
45 Vedi M.T. KLARE, Il circolo vizioso, in “Internazionale”, 7.4.11, pp. 38 e sgg., a p. 39.
46 Vedi E. POLIDORI, Nuovo allarme sui mercati “boom dei prezzi alimentari”, in “La Repubblica”, 18.4.11, p. 12.
47 Vedi J. VIDAL , Bisogna fermare la speculazione, in “Internazionale”, 7.4.11, p 40 sgg a p. 41, dove si fa l’esempio del caffè. I difensori del sistema osservano che il problema dei prezzi agricoli è dovuto alle debolezze strutturali dell’agricoltura dei paesi poveri, e indubbiamente il problema esiste, ma la speculazione lo esaspera a livelli insopportabili: nel 2008, ad esempio, l’economia mondiale andava in recessione, e non si poteva prevedere un’esplosione di domanda mondiale di petrolio e di prodotti agricoli, pur tuttavia essi esplosero, perché i mercati, e chi speculava in essi, volle credere ad un’azione USA contro l’Iran che avrebbe reso problematici i rifornimenti di petrolio dal Golfo con conseguente impennata dei prezzi del barile e dei costi di produzione dell’agricoltura. Nel mercato dei futures si scommette sul prezzo di barili di petrolio o di sacchi di grano che non verranno mai prodotti, si tratta cioè di un fenomeno meramente speculativo che, però, può fare impennare i prezzi con conseguenze disastrose per i consumatori, soprattutto quelli dei paesi poveri.
48 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., nota 69.
49 Vedi G. DI MAURO, Ricchi, in “Internazionale”, 16.6.11, p. 3.
50 Su ciò v. A. CARLO, Economia, potere, cultura, cit., pp. 134 e sgg, dove evidenzio le tendenze a livello fenomenologico, e pp. 149 e sgg. dove analizzo i meccanismi strutturali che producono certe tendenze.
51 Vedi A. CARLO, Il leviatano morente, Liguori Napoli, 2001, III ed. (I ed. 1981), p. 14; ID., Economia, potere, cultura, cit., p. 135.
52 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., p. 135.
53 Vedi G. DI MAURO, Divario, in “Internazionale”, 15.9.11, p. 3.
54 Vedi T. JUDT, Guasto è il mondo, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 12.
55 Vedi A. SMITH, La ricchezza delle nazioni, Isedi, Milano, 1973, dove in vari punti si accenna al fatto che la pressione fiscale ricade essenzialmente sulle classi basse, cosa largamente provata dalle recenti ricerche sulla rivoluzione industriale inglese, su cui v. A. CARLO, Economia, potere, cultura, cit. , p. 125 testo e note ove indicazioni.
56Ivi, p. 130 e sgg., 134 e sgg.
57 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi cit.. pp. 209-10; per dati più recenti v. W. UCHATIUS, Più tasse per i ricchi, in “Internazionale”, 15.9.11, pp. 34 e sgg., a p. 37 ove grafico illustrativo delle tendenze dal 1981 al 2011 per i principali paesi capitalistici.
58 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009 cit, par. 3.
59 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi cit., p. 161.
60 Vedi da ultimo D. SHENEIDEMANN, Solo ipocrisia e arroganza, in “Internazionale” 15.9.11, p. 39, quanto a me sono decenni che osservo come le classi dominanti abbiano strumenti enormi (dallo sciopero degli investimenti alla fuga dei capitali, fino al rifiuto di sottoscrivere il debito statale) per imporre la propria volontà allo Stato, sicchè i rarissimi tentativi di redistribuzione attraverso il fisco (ormai un ricordo del passato) sono falliti.
61 V. A. CARLO , Il capitalismo impianificabile, Liguori, Napoli, 1979 (II ed.), p. 271.
62 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi cit., p. 12
63 Vedi W. BUFFET , Io milionario d’America vorrei pagare più tasse, in “La Repubblica”, 17.8.11, pp. 1 e 19.
64 Gli altri due sono Bill Gates e il magnate messicano Carlos Slim.
65 Vedi A .CARLO, Studi sulla crisi cit., p. 160.
66Ivi, p. 162; v. anche A. CARLO, Economia, potere, cultura cit., pp. 157-58.
67 Di recente il dottor Luttwak, noto politologo conservatore americano, ha osservato in una intervista al Messaggero, posteriore alla sortita di Buffet, che la tesi dei capitalisti paghino poche tasse è idiota perché essi subiscono una doppia imposizione sui profitti risultanti dai bilanci della società e sui dividendi distribuiti ai soci. Ciò sarebbe vero se veramente accadesse (scusate l’ovvietà) ma non accade perché i profitti sono occultati a monte, come si è visto, oppure erosi a valle attraverso generose esenzioni. Il prof. Samuelson osserva, nel suo classico manuale, che in USA i capitalisti non hanno bisogno di evadere ma attraverso le esenzioni erodono legalmente la base imponibile (i casi di Buffet e Getty sono clamorosi e normali) sicchè egli osserva ironicamente che: “lo zio Sam scava in profondità nelle tasche dei ricchi ma con un colabrodo” (v. P.A. SAMUELSON, Economia, Zanichelli Bologna, 1983, p. 152). Inoltre egli nota che esistono gruppi sociali (quelli più forti naturalmente) che possono trasferire sugli altri il carico fiscale sicchè il fisco USA è altamente regressivo e i poveri pagano un ammontare “spropositatamente elevato” di imposte (ivi, p. 160).
68 Vedi P. GRISERI, All’estero l’evasione fa flop, in “La Repubblica”, 23.8.11, p. 20. Se questo fosse vero non si spiegherebbe come i 120-140 paradisi fiscali che esistono al mondo sono invasi da società che provengono da tutto il mondo. C’è però da rilevare che a volte l’evasione in senso tecnico non c’è, perché non c’è la tassa: se nel Deleware non si paga la tassa sui profitti societari le imprese che pongono lì la loro sede in realtà non evadono nulla, poiché se non c’è tassa non c’è evasione, ma è chiaro che questo è un formalismo che può essere accettato solo dalle anime candide (come le volpi).
69 Vedi A. TARQUINI, Anche i Paperoni tedeschi si schierano: “Tassateci di più e non tagliate il welfare”, in “La Repubblica”, 30.8.11, p. 29
70 Vedi W. E. LEUCHTEUBURG, Roosevelt e il new deal, Laterza, Bari, 1968, p. 19.
71Ibidem.
72 Per una illustrazione molto critica delle tesi di Attali v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 1.
73 Vedi G. MARTINOTTI, Il FMI prepara prestiti per i paesi in crisi, G20 appello a Germania e Cina più stimoli, in “La Repubblica”, 5.11.11, p 14.
74 Vedi T.R. MALTHUS, Popolazione e povertà, Ed. Riuniti, Roma, 1998 citato in R. LUNGARELLA, Introduzione, p. 12. E dire che poveracci come me si affannano a cercare i meccanismi sociali che producono la povertà, invece la soluzione è semplicissima, è una questione di lotteria, il povero in sostanza è uno sfigato.
75 Vedi S. MICOSSI, Se i banchieri sparano contro Basilea III, in “La Repubblica”, Affari & Finanza”, 10.10.11, pp. 1 e 5.
76 Vedi D. RODRIK, La globalizzazione intelligente, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 232-33.
77Ivi, p. 247.
78 Due-tre anni or sono vi fu il famoso scandalo del latte alla melamina in cui era coinvolta una famosa IM europea, ed è solo un esempio.
79 Vedi anche Infra, par. 5.
80 Vedi C.M. REINHART, K.S. ROGOFF, Questa volta è diverso, il Saggiatore, Milano, 2010, p. 238.
81 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2009 cit., par. 3, tabella 2; per ulteriori dati v. J. RIFKIN, La terza rivoluzione industriale, Mondadori, Milano, 2011, pp. 29-30.
82 Vedi A. CARLO, La società industriale cit., pp. 146-48.
83 Quando parlo dello Stato come regolatore minimo del capitalismo non intendo dire che lo Stato possa pianificare lo sviluppo economico come ho cercato di dimostrare in tre monografie qui citate (Il capitalismo impianificabile, La società industriale decadente, Il leviatano morente,), ciò che lo Stato può fare è creare alcune regole del gioco all’interno delle quali si possa incanalare l’anarchia del capitalismo tra una crisi e l’altra, che è un fattore ineliminabile. Incanalare l’anarchia non eliminarla, né eliminare le contraddizioni che producono l’anarchia stessa.
84 I contratti sui futures come la speculazione al rialzo o al ribasso dei titoli azionari (e non solo) ne sono un’illustrazione, si scommette su un evento contro qualcuno che fa la scommessa opposta, chi vince incassa e chi perde paga ma nessuna ricchezza viene creata. Sul carattere di crisi di sovrapproduzione della crisi del ’29, v. A. CARLO, Il Leviatano morente cit., pp. 10-20.
85 Fonte Tesoro USA.
86 Su ciò vedi A. CARLO, Ricerche di sociologia negativa, Liguori, Napoli, 1994, pp. 70 e sgg.; ID, Il Leviatano morente cit., pp. 95 e sgg.; ID, Economia, potere, cultura cit., pp. 72-74.
87 Con grande scandalo di alcuni suoi sostenitori come il prof. Rifkin (op. ult. cit. pp. 178 e sgg.)
88 Su ciò v. A. CARLO, Studi sulla crisi cit., pp. 11 e sgg.
89 Vedi F. RAMPINI, Consumatori, debito, immobiliare, i nodi irrisolti dell’economia USA, in “La Repubblica Affari & Finanza”, 20.6.11., p. 3. Per quel che riguarda invece la disoccupazione, a novembre sarebbe calata all’8,6% una lieve limatura che non cambia il quadro, epperò anch’essa è molto dubbia, poiché sarebbero stati creati solo 120 mila nuovi posti di lavoro, pochini per ridurre dello 0,4% il tasso di disoccupazione. In realtà non basterebbero nemmeno per assorbire le nuove leve che dovrebbero presentarsi sul mercato del lavoro ogni mese, in un paese di oltre 300 milioni di abitanti. Ora la cosa può spiegarsi solo (l’ho rilevato anche l’anno scorso) col fatto che aumentano gli scoraggiati (che non si scrivono più nelle liste di disoccupazione) o i giovani inattivi che raggiunta l’età da lavoro non lo cercano.
90 Vedi F. RAMPINI, I baby boomer senza pensione dovranno lavorare fino a 70 anni, in “La Repubblica”, 21.2.11, p. 18; ma non sono solo i fondi pensione ad essere in crisi anche le poste, a causa dello sviluppo delle e-mail, sono vicine al default, v. A. AQUARO, Poste USA in ginocchio per le e-mail poca liquidità , c’è il rischio di default, in “La Repubblica”, 6.9.11, p. 22.
91 Vedi F. RAMPINI, Negli USA poveri record, sono 46 milioni, in “La Repubblica”, 14.9.11, p. 24; TELEVIDEO, 14.9.11, p. 135.
92 Vedi M. MARGIOCCO, Giappone e USA non stanno meglio, ne “Il Sole 24 Ore” , 19.6.11, pp. 1 e 3.
93 Vedi A. PENATI, I debiti non sono uguali, in “La Repubblica”, 30.7.11, p. 24.
94 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009 cit. , par. 3.
95 Vedi A. ZAMPAGLIONE, Intesa sul debito USA, ma ora tocca al congresso, in “La Repubblica”, 2.8.11, p. 4; nelle ultime settimane dell’anno la commissione bipartisan non ha realizzato l’accordo.
96 Vedi A. ZAMPAGLIONE, Wall Street boccia l’accordo sul debito. Spaventano downgrading e recessione, in “La Repubblica”, 3.8.11, p. 7.
97 Vedi A. CARLO, op, ult, cit., par. 2.
98 La cosa è passata quasi sotto silenzio nei nostri media, che io sappia se ne è occupato seriamente solo “Rainews 24”.
99 Vedi TELEVIDEO, 10.11.11, p. 823.
100 Vedi A. AQUARO, Dietrofront di Obama sull’inquinamento, in “La Repubblica”, 4.9.11, p. 26.
101 Vedi M. MARGIOCCO, Un new deal per i derivati, ne “Il Sole 24 ore”, 26.4.11, p. 3.
102 C. GATTI, Torna la finanza creativa, Wall Street teme l’impatto, ivi, pp. 1 e 3, ID., Le lobby fermano l’avvio delle riforme, ivi , 26.4.11, p. 3.
103 Vedi TELEVIDEO, 18.11.11., p. 821 e 27.11.11., p. 823, dove si accenna alle dure reazioni (popolari e governative) contro un attacco dei “drones” USA contro l’esercito pakistano con 24 soldati morti (in territorio pakistano), si noti che il Pakistan dovrebbe essere un alleato degli USA.
104 Vedi TELEVIDEO, 1.9.11, p. 822.
105 Vedi, Per chi suona la campana, in “Limes”, n. 1, 2011, p. 8 editoriale anonimo.
106 Vedi H. MATAR, Era impensabile invece succede, in “La Repubblica”, 24.8.11, pp 1 e 13.
107 Vedi c. gad, Torture e sequestri così Gheddafi aiutava la CIA, in “La Repubblica”, 4.9.11, p. 19 dove si riferisce che militanti per la difesa dei diritti umani scoprono a Tripoli, dopo la caduta di Gheddafi, documenti da cui risulta che il dittatore libico collaborava con CIA ed M16, interrogando e torturando terroristi , in cambio l’occidente, scudo delle libertà, lo aiutava contro gli oppositori.
108 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 2.
109 Vedi TELEVIDEO, 5.10.11, p. 834.
110 Vedi F. RAMPINI, La Fed fa partire l’operazione twist, compravendita di bond per ridurre i tassi, in “La Repubblica”, 22.6.11, pp. 1 e 33.
111 Vedi F. RAMPINI, Le tredici idee che possono salvare il capitalismo, in “La Repubblica”, 22.6.11, pp. 1 e 33.
112 Fonte Eurostat
113 Vedi M. FROJO, La BCE vede “rischi per la crescita” e taglia le stime del PIL 2011-2012, in “Finanza & Mercati”, 11.11.11, p. 2. Epperò nel giro di poche settimane il quadro peggiora e cominciano a circolare previsioni di un’Europa in recessione nel corso del 2012, addirittura la Goldman Sachs arriva a prevedere un – 0,8% per l’Eurozona e – 1,6% per l’Italia.
114 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., nota 32. Il tasso di attività è la percentuale di persone in età di lavoro effettivamente occupate.
115 Vedi R. BIANCHI, Lo stage mente, ne “Il Venerdì di Repubblica”, 4.11.11, p. 40.
116 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit. par. 3. Alcune fonti giornalistiche, alludo al “Sole 24 ore”, hanno valutato in 600 miliardi di euro, sui 2000 ricevuti, la somma che le banche europee avrebbero restituito agli Stati; la cifra vera, però., certificata dalla Commissione europea è di 4500 miliardi di aiuti fino ad ottobre 2010, di cui quindi sarebbero stati restituiti meno del 15%, pochissimo.
117 Vedi F. RAMPINI, Scricchiolano le banche europee cit.; A. BONANNI, A. GRECO, Spunta un patto salva banche, governi pronti a ricapitalizzare, in “La Repubblica”, 5.10.11, p.7; a. gr., Poca liquidità è l’incubo dell’effetto domino, ivi, p. 6 dove si rileva che i primi 91 istituti europei hanno in portafoglio 465 miliardi di titoli sovrani periferici, potenzialmente tossici.
118 Fonte Acea.
119 Vedi E. FRANCESCHINI, Microprestiti a tassi di usura, ma a Londra è un successo, in “La Repubblica”, 7.10.11, p. 33.
120 Su ciò v. A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 3.
121 Vedi A. TARQUINI, , Germania spaccata sui salvataggi europei, in “La Repubblica”, 25.8.11, p. 30 ove citazione di Wulff.
122 La stima a fine anno è stata fatta dal “Sole 24 ore”, ma è pacifico che la BCE abbia compiuto massicci acquisti dei titoli dei paesi a rischio.
123 Vedi A. TARQUINI, Merkel gela i mercati, un sogno la fine della crisi, in “La Repubblica”, 17.10.11, p. 26.
124 Vedi TELEVIDEO, 17.5.11, p. 835.
125 Vedi A. GINORI, La Tobin tax spacca l’Europa, i mercati bocciano Merkel e Sarkozy , in “La Repubblica”, 18.8.11, p. 2.
126 La costituzione americana , per quanto più volte emendata è sempre quella scritta da Jefferson.
127 Vedi infra par. seg.
128 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 3.
129 Nel senso criticato si esprime b.t. , Come salvare l’euro, in “Internazionale”, 29.9.11, pp.16 e sgg, l’articolo è apparso in origine sull’”Economist”.
130 Vedi L. GRION, Persi 10 anni senza riforme, la politica non pensa alla crescita, in “La Repubblica”, 27.5.11, p. 18 ove grafico.
131 Vedi , E l’UE gela l’Italia “niente pareggio”, in “Finanza & Mercati”, 11.11.11, p. 2 articolo anonimo.
132 Vedi V. CONTE, Uno su 4 non studia e non lavora, Bankitalia fotografa i giovani “neet”, in “La Repubblica”, 8.11.11, p. 23.
133 Vedi S. TAMBURELLO, Donne escluse dal lavoro perdiamo 7 punti di PIL, ne “Il Corriere della Sera”, 19.10.11, p. 22.
134 Vedi R. MANIA, Lavoro nel pieno della crisi globale. Contratti a termine per il 76% degli assunti, in “La Repubblica”, 17.3.11, p. 29.
Peraltro la nostra sicurezza è affidata assai spesso a lavoratori precari v. A. ANANASSO, Medici, piloti e vigili del fuoco, la sicurezza è affidata ai precari, in “La Repubblica”, 12.6.11, p. 9.
135 Vedi V. CONTE, Ma il vero nodo resta la cassa integrazione, verso un miliardo di ore nel 2011, in “La Repubblica”, 30.10.11, p. 6.
136 Vedi l. gr., Italia ai vertici della disuguaglianza, redditi alti cresciuti sei volte più dei bassi, in “La Repubblica”, 7.5.11, p. 27; L. CILLIS, OCSE: in Italia bassi salari e tasse alte, ivi, 12.5.11, p. 24; R. PETRINI, OCSE, in Italia crescita lenta e lavoro al palo, ivi, 26.5.11, p. 28.
137 Fonte Istat.
138 Vedi F. MIMMO, Crolla il risparmio delle famiglie, in “La Repubblica”, 29.3.11, p. 27
139 Vedi A. ANANASSO, Consumi fermi, in 17 regioni peggio del 2000, in “La Repubblica”, 30.8.11, p. 28, si tratta di un’indagine della Confcommercio
140 Vedi V. CONTE, Crisi di fine mese per il 50% delle famiglie, in “La Repubblica”, 18.11.11, p. 30; v. anche L. GRION , Un paese con 8 milioni di poveri, nei guai un terzo delle famiglie con tre figli, ivi, 16.7.11, p.9; ID., Famiglie ancora al palo, cala il potere d’acquisto e si risparmia di meno, ivi, 9.4.11, p. 31; ID., Crescita Italia fanalino di coda, una persona su 4 a rischio povertà, ivi, 24.5.11, p. 12.
141 Il dato di agosto 2010 è in A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 4.
142 Vedi TELEVIDEO, 8.10.11, p. 828. Per quel che concerne le famiglie l’ABI rileva che i loro debiti sono cresciuti su base annua (settembre 2011) del 5,5% contro una media del 3,2% dell’Eurozona.
143 Vedi V. PULEDDA, Banche aumento di capitale chiesti 12 miliardi in sei mesi, in “La Repubblica”, 19.6.11, p. 24
144 Vedi M. GIANNINI, Vegas allarme banche non c’è più liquidità, in “La Repubblica”, 30.11.11, pp. 1 e 4.
145 Vedi L. PAGNI, Famiglie in crisi fermi i consumi e risparmi, Confcommercio “recessione ad un passo”, in “La Repubblica”, 26.10.11, p. 26.
146 Vedi TELEVIDEO, 21.11.11, p. 136.
147 Vedi A. CUSTODERO, Gli appalti pubblici nel tunnel della crisi, domanda di lavoro giù del 22,2%, in “La Repubblica”, 6.9.11, p. 23.
148 E dire che fino a qualche giorno fa c’era chi diceva che i ristoranti erano pieni e che si esagerava con una crisi che era più “percepita” che reale.
149 Questi dati hanno avuto vasta eco sulla stampa v. M. MOBILI, D. PESOLE, Evasione IRPEF in media 2000 euro, ne “Il Sole 24 ore”, 3.6.11, p. 3; I contributi sono fuori regola in 4 ispezioni su 5, ibidem (articolo anonimo); E. TROVATI, Sono 337 mila gli stranieri con lavoro irregolare, ibidem; R. PETRINI, Giovani, autonomi e proprietari di case, l’evasore medio nasconde al fisco 2093 euro, in “La Repubblica”, 3.6.11, p. 26; E. MARRO, Fisco evasione al 38%, ne “Il Corriere della Sera”, 3.4.11, pp. 1 e 2.
150 Vedi E. MARRO, op. cit..
151 Vedi L. GRION, Ma al nord evasione fiscale record, in Veneto sparisce il 22,4% del reddito, in “La Repubblica”, 15.5.11, p. 4, dove si sintetizza una ricerca Svimez.
152 Vedi In Italia sgravi per 161 miliardi ma pronta la scure di Tremonti, in “La Repubblica”, 4.6.11, p. 24, trafiletto anonimo
153 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 4.
154 Secondo altre fonti (Eurispes) sarebbe al 35% del PIL, oltre 500 miliardi di base imponibile nascosta. Quanto a me è dagli anni ’80 che sostengo, sulla base di un libro bianco del Ministero delle Finanze del decennio precedente, che l’evasione è 1/3 del PIL, ciò perché da allora ad oggi nulla si è fatto per batterla, al contrario lo Stato premia chi evade. Ma non voglio sparare sulla croce rossa, anche il dato ufficiale è terrificante.
155 Vedi TELEVIDEO , 20.11.11, p. 828. La stessa CGIA ritiene che il peso delle manovre di luglio-agosto 2011 sia di oltre 140 miliardi da qui al 2014.
156 Vedi N. PENELOPE, Soldi rubati, Salani – Ponte delle Grazie, Milano, 2011, p. 37.
157Ivi, p. 17.
158 Vedi R. MANIA, La fabbrica di 800 operai che evadeva tutte le tasse, in “La Repubblica”, 27.8.11, pp. 1 e 21.
159 Vedi TELEVIDEO , 12.7.11, p. 122, ma i media forniscono giornalmente una pioggia di notizie sul fenomeno: così a Gorizia un’agenzia di viaggi ha nascosto al fisco redditi per 2 milioni in soli due anni (TELEVIDEO, 12.11.11., p. 823); il TG 2 pomeridiano del 7.6.11 dà notizia di un noto psicanalista che avrebbe nascosto al fisco appena 3 miliardi di euro con fatture false; a fine novembre grande scandalo per due coniugi veneti che non erano evasori totali, in quanto presentavano una dichiarazione di redditi da cui risultavano redditi per 5 e per 1 euro a testa, mentre all’estero avevano accantonato 200 milioni etc. etc.
160 Vedi N. PENELOPE, op. cit. , p. 29.
161 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 4.
162 Dato ripreso anche da N. PENELOPE, op. cit., p.11.
163 Naturalmente “il garantista di sua maestà” osserverebbe che per sostenere simili tesi occorrono prove; verissimo in un processo penale devi provare la responsabilità di x e di y, ma qui stiamo facendo un ragionamento sociologico, incrociando e collegando dati. In un paese che è la settima potenza industriale del mondo ed in cui la corruzione è normale, la mancata riscossione di 45 miliardi l’anno puzza lontano un miglio, poiché è veramente strano che nessuno dia un’occhiata, sui computers di cui la PA è largamente dotata, all’elenco delle persone passibili di un procedimento esecutivo.
164 A tal proposito parecchi anni or sono un economista democristiano scrisse, sullo Stato italiano, cose che un perbenista della sinistra ufficiale mai avrebbe osato dire, v. S. LOMBARDINI, Oltre la crisi, Il Mulino, Bologna, 1979. Il prof. Lombardini nega la teoria di Marx sullo Stato “comitato di affari della borghesia” (ivi p. 118) ma subito dopo (ivi, p. 119) afferma che lo Stato realizza una garanzia di sopravvivenza del sistema capitalistico, che poi significa sostanzialmente dire, in modo indiretto, cose del tutto analoghe a quelle di Marx; ma è sul giudizio relativo all’Italia che Lombardini è durissimo: da noi lo Stato si è configurato sempre come subalterno alla borghesia (ivi, pp. 155-159) e la nostra costituzione, così decantata come progressista, si è rivelata impotente e disarmata di fronte all’economia (ivi, pp. 159 e sgg.).
165 Vedi retro nota 155; peraltro questo dato non comprende la manovra durissima di Monti varata a fine anno, mentre scrivo quest’articolo.
166 Vedi TELEVIDEO, 30.8.11, p. 832; TELEVIDEO, 11.10.11, p. 131.
167 Vedi V. CONTE, Pubblico impiego 23 strette in un anno, in “La Repubblica”, 28.10.11, p. 7. Mentre scrivo arriva la nuova stangata del governo Monti: di nuovo inasprimenti sulle pensioni, crescono IVA, accise, addizionali IRPEF, bolli, estimi catastali, viene ripristinata l’ICI sulla prima casa, etc. etc. Una manovra che preleva soldi dalle tasche degli italiani, mentre il paese va in recessione. La conseguenza ovvia è quella che segnaliamo nel testo e da anni: se tagli i consumi, tagli l’economia ed in un’economia che rallenta il problema dei conti si ripropone, così si va solo verso il disastro. Del resto nella conferenza della presentazione della manovra lo stesso Viceministro dell’Economia, il dott. Grilli ha ammesso che per il 2012 è atteso un calo del PIL dello 0,4-0,5%, mentre per il 2013 crescita piatta e cioè stagnazione. Per inciso sulle pagine di un giornale come “La Repubblica”, entusiasta di Monti e del governo dei professori, traspare lo sgomento per una manovra che è la solita e tradizionale stangata, v. M. GIANNINI, Molte tasse poca crescita, in “La Repubblica”, 5.12.11, pp. 1 e 45. Dice Giannini che da Monti e dai suoi tecnici si aspettava di più.
Io no.
168 Vedi W. VELTRONI, Il riformismo che salverà l’Italia, in “La Repubblica”, 26.8.11, pp. 1 e 9.
169 Vedi B. DI GIOVANNI, Il governatore Visco “Il vero cambiamento investire sui giovani”, ne “L’Unità”, 26.11.11, pp 6-7.
170 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 1.
171 Aumentando l’età pensionabile si riduce il numero di anni in cui la pensione verrà erogata a spese dei giovani che dovranno rimanere più anni parcheggiati in attesa di un lavoro sempre più scarso. Si noti poi che molti lavoratori (sono assai più di quanto dicano le statistiche sui lavori usuranti) compiono lavori che non permettono di superare i 60 anni: un lavoratore di un’industria che opera secondo schemi toyotisti (v. su ciò K. SATOSHI, Toyota l’usine du deséspoir , Les editiones ouvrières, Paris, 1973, operaio sociologo alla Toyota che ne ha descritto dall’interno il carattere oppressivo) ormai diffusissimi, i lavoratori di industrie minerarie, chimiche (altamente nocive), edili (dove di lavoro si muore) così come un pompiere, un poliziotto, un autista di autobus e di tir etc., non possono lavorare oltre una certa età se non a rischio proprio o a rischio di terzi. Pretendere che individui spremuti continuino a lavorare oltre i 60 anni significa sperare che tolgano l’incomodo prima di arrivare alla pensione con un consistente risparmio per le casse degli enti previdenziali.
172 Vedi N. PENELOPE, op. cit, p. 28, dove si citano i dati dell’ufficio studi della Confindustria che rileva come l’evasione fiscale sia passata da 100 miliardi del 2007 a 125 miliardi nel 2009.
173 Vedi A. PENATI, Debito, speculazione, banche, la mappa della crisi globale, come si rischia e come uscirne, in “La Repubblica”, 25.8.11, p. 18
174 Infatti chi dispone di un reddito di 1000 euro che investe totalmente in consumi pagherà il 20% circa del proprio reddito in IVA; chi dispone di 5000 euro di reddito mensili e ne consuma 3000, risparmiando il resto, pagherà a parità di aliquote €600,00 di IVA, il 12% del proprio reddito contro il 20% di chi guadagna appena 1000 euro e non può risparmiare alcunché; la cosa peraltro è nota.
175 Vedi T. BOERI, P. GARIBALDI, Le riforme a costo zero, Chiare lettere, Milano, 2011.
176 Vedi F.P. RAMPINELLI, In Cina meglio puntare sui beni di consumo, in “La Repubblica Affari & Finanza”, 23.5.11, p. 27.
177 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 5.
178 Che il rallentamento delle economie ricche abbia influito negativamente sull’export cinese è indubbio ed incontroverso: di recente si è notato che a ottobre 2011 le esportazioni cinesi in Italia (epicentro della crisi dell’Eurozona) sono calate del 18% su base annua (v. F. SISCI, Ora Pechino cit.).
179 Vedi G. VISETTI, Il partito consumista cinese, in “La Repubblica”, 4.3.11, pp. 49-51.
180Ibidem.
181 I dati sulla Cina in questo paragrafo ove non sia indicata altra fonte, sono ripresi dall’“Economist” o sono nostre elaborazioni su quei dati.
182 Questi dati valgono a gelare l’entusiasmo di quelli che pensano che i consumi cinesi potrebbero sostituire quelli americani come traino della ripresa, è chiaro che consumi così modesti a livello mondiale non possono trainare alcunché.
183 Per inciso anche la situazione dell’India è in netta frenata: per la prima volta da due anni e mezzo la crescita del PIL scende sotto il 7% (trimestre luglio-settembre) a causa degli aumenti dei tassi di interesse decisi per ben 13 volte negli ultimi tempi per fronteggiare un’inflazione al 9%, v. L’economia indiana paga il rialzo dei tassi, ne “Il Sole 24 ore” , 1.12.11, p. 4, articolo anonimo. Si noti che se per la Cina un tasso del 7% è l’equivalente di una recessione, ciò è anche più vero per l’India che ha un PIL globale e pro capite molto più basso della Cina
184 Vedi N. ROUBINI, L’atterraggio duro della Cina, in “La Repubblica”, 8.9.11, p. 25.
185 Vedi F. P. RAMPINELLI, op. cit.
186 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 5.
187 Vedi F. P. RAMPINELLI, op. cit.
188 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2009 cit.,par.6.
189 Sulla bassa qualità della produzione cinese sono tornato varie volte nei miei articoli sulla crisi pubblicati nel 2009 e nel 2010, dove spesso ho accennato ai sequestri che in Italia e in Europa si sono fatti dei prodotti cinesi, spessissimo contraffazioni di bassa qualità. Qui aggiungo: TELEVIDEO, 15.6.11, p. 824, la G.d.F. sequestra a Padova merce contraffatta e di bassa qualità cinese per 700 milioni di euro; TG2 delle 13,00, del 29.6.11, sequestrati a Venezia 560 mila paia di occhiali cinesi nocivi per la vista; TELEVIDEO, 11.11.11, p. 822, a Catania scoperti 2,5 milioni di giocattoli cinesi non conformi agli standards europei; TELEVIDEO, 2.12.12, p. 823 sequestrati 180 mila cuscinetti e parti di auto fatti in Cina e potenzialmente pericolosi.
190 Vedi G. VISETTI, Cina fuori gli operai la fabbrica in mano ai robot, in “La Repubblica”, 22.11.11, p. 39
191Ibidem.
192 Vedi G. VISETTI, Il partito consumista cit., p. 50. Nel corso, poi, del 2011 l’andamento dei prezzi ha superato la crescita del 5-6% secondo i dati diffusi dal National Bureau of Statistics cinese.
193 Vedi G. VISETTI, La biofarm dei capi di partito nella terra del cibo spazzatura, in “La Repubblica”, 15.6.11, p. 38, dove si cita questa posizione della commissione per la sicurezza alimentare: “La maggioranza degli avvelenamenti di massa sono ormai conseguenza di violazioni intenzionali per brama di profitto”.
194 Vedi G. VISETTI, Il vento della crisi spazza anche l’Asia, prezzi boom e consumatori in rivolta, in “La Repubblica”, 10.8.11, p. 14
195 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit., par. 5.
196 Vedi R. ROUBINI, Ora dobbiamo preparaci al problema dei bond cinesi, in “La Repubblica”, 17.9.11, p. 19.
197 Cosa ho rilevato più volte e su cui v. anche D. RODRIK, op. cit. , p. 305 che rileva come la Cina sia ad un livello non molto più elevato di Salvador o Egitto. Spesso, però, quando si parla della Cina si danno i numeri (come si dice a Napoli) nel senso che si forniscono valutazioni del PIL cinese molto più alte di quelle ufficiali dello stesso governo cinese, è il caso di F. RAMPINI, Se l’elefante batte il dragone, in “La Repubblica”,6.9.11,pp. 35-37, che fornisce dati fondati sulle valutazioni della CIA. La cosa è strana anche perché l’anno scorso lo stesso giornalista fornì valutazioni in linea con quelle ufficiali (e molto più basse) del governo cinese, v. F. RAMPINI, Il dragone brucia i progetti di Obama, ivi, 17.8.10, pp. 1 e 13.
Il fatto è che queste supervalutazioni si fondano sul presupposto che lo yuan sarebbe sottovalutato; ora questo può, forse, essere in parte vero, ma si tratta di una sottovalutazione molto opinabile dal punto di vista quantitativo (in genere non si va al di là di un 20-30%) e soprattutto si tratta di un dato virtuale poiché se lo yuan venisse rivalutato i prezzi delle merci cinesi salirebbero e finirebbe il miracolo cinese export led, sicchè il PIL cinese calerebbe invece che rivalutarsi. Si tratta cioè di valutazioni astratte e costruite sulla sabbia.
198 Vedi A. CARLO, Capitalismo 2010 cit. par. 5.; peraltro a fine 2011 il governo cinese ha di nuovo dato ossigeno al credito perché preoccupato per il rallentamento dell’economia (v. retro nota 6); infatti nelle ultime settimane il National Bureau of Statistics cinese ha comunicato che, per la prima volta in 32 mesi, l’indice Pmi (che segna lo sviluppo dell’attività industriale) è sceso a livello 49, si noti che 50 è lo spartiacque che segna il passaggio da crescita a stagnazione.
199 Vedi G. VISETTI, Le centomila rivolte di cui sappiamo poco ma che fanno tremare Pechino, ne “Il Venerdì di Repubblica”, 25.11.11, pp. 70 sgg a p. 73.
200 Vedi G. VISETTI, L’ondata lunga dello tsunami cit.; per ulteriori dati v. G. VISETTI, La caduta dell’impero giapponese, in “La Repubblica”, 9.8.11, pp. 29-30 e 43.
201 Vedi A. CARLO, Studi sulla crisi cit., pp. 111-12.
202 Vedi retro par. 4.
203 Vedi V. ZUCCONI, Giappone, il paese martire dell’atomo ora dice addio alle centrali, in “La Repubblica”, 14.7.11, p. 53.
204 Vedi P. ARZILLA, Sciopero, un’arma arrugginita, in “Avvenire”, 3.9.11, p. 3
205 Vedi L.A. COSER, Le funzioni del conflitto sociale, Feltrinelli, Milano, 1967.
206 Vedi F. RAMPINI, Lo spirito delle rivolte, in “La Repubblica”, 20.9.11, pp. 2-3.
207 Vedi A. STABILE. Fra il popolo delle tende di Israele che fa tremare il governo Netanyahu, in “La Repubblica”, 1.9.11, p. 45; v. anche TELEVIDEO, 3.9.11, p. 834.
208 Vedi O. CIAI, Il contagio, ne “IL Venerdì di Repubblica”, 2.9.11, pp. 18 e sgg.
209 Per inciso questo fatto pone uno dei problemi storiografici più grossi del XX secolo: perché i partiti socialisti nell’arco di soli due anni (1912-1914) passarono da una posizione radicale rivoluzionaria, ad una di sostegno alla politica di guerra delle loro borghesie?
210 In Portogallo lo sciopero si verifica a fine novembre 2011, nello stesso tempo in Inghilterra sciopero generale dei dipendenti della PA che blocca il paese , il più grande da trenta anni a questa parte (v. TELEVIDEO, 30.11.11, P. 828).
211 Vedi TELEVIDEO, 29.11.11, p. 828.
212 Vedi A. TARQUINI, La battaglia del treno delle scorie: Germania in migliaia invadono i binari, in “La Repubblica”, 28.11.11, p. 16.
213 Vedi D. MASTROGIACOMO, Londra brucia, dilaga la rivolta, muore un ragazzo: 600 arresti, in “La Repubblica”, 10.8.11, p. 2,; v. anche R. CASTELLETTI, Dalla strada tra rabbia e saccheggi : povertà e razzismo ora diciamo basta, ivi, p. 3.
214 Vedi R. CASTELLETTI, Gli squatter invadono Londra, occupate le megaville dei vip, in “La Repubblica”, 8.3.11, p. 21.
215 Su cui v. A. CARLO , Capitalismo 2009, par. 6.
216 Vedi TELEVIDEO 16.8.11, p. 828; TELEVIDEO, 28.8.11, p. 157.
217 Vedi G. VISETTI, Le centomila rivolte, cit.
218 Vedi G. VISETTI, La rivolta degli schiavi che fa tremare la Cina, in “La Repubblica”, 24.6.11, p. 41.
219 Vedi F. RAMPINI, Avevo ragione, la storia è finita, in “La Repubblica”, 30.3.11, p. 57 ove intervista a Fukuyama.
220 Questo è uno dei limiti di Fukuyama: separare il sistema politico istituzionale dalla sua base strutturale, cosa che, a mio avviso è errata, v. su ciò A. CARLO, , Economia, potere, cultura cit, cap. III. Né deve meravigliare che uno stesso sistema economico abbia articolazioni politiche differenti (democrazia liberale e regimi totalitari di varia natura) , poiché la medesima struttura può essere gestita politicamente da diversi regimi, che però sono varianti di uno stesso modello e presentano un dato comune di fondo: la difesa del dominio di classe del capitale (ibidem).
221 Vedi W. KULISH, Il giro del mondo delle proteste, in “Internazionale”, 13.10.11, pp. 20-1; v. anche L. PENNY, Anche l’America si ribella, ivi, pp. 16 e sgg.. Il primo articolo è apparso sul NYT e il secondo sul “New Statesman” inglese.
La folla degli indignati è assai variegata e comprende giovani senza futuro, disoccupati, medio borghesi impoveriti, brokers da poco licenziati , v. M. MOORE, Le mie notti con gli indignati, in “La Repubblica”, 2.10.11, pp. 1 e 14-15; N.D. KRISTOFF, I ragazzi rivoluzionari a Wall Street, ivi, 3.10.11, pp. 1 e 15; A. AQUARO , Il prof. , il broker, la disoccupata, ecco i ribelli anti – Wall Street, ivi, 3.10.11, pp. 14-15; F. RAMPINI, Strana lotta di classe a Wall Street, in “La Repubblica Affari & Finanza”, 10.10.11, pp. 1 e 4; P. KRUGMAN, Il ritorno di Karl Marx nel cuore di Wall Street, in “La Repubblica”, 11.10.11, pp. 1 e 35.
222 Ricordo le interviste proiettate in TV ad alcuni esperti, che cercavano molto timidamente di inserire qualche elemento di riflessione sociologica sui fatti e venivano trascinati e spinti dall’intervistatore (nella specie un gigantesco giornalista nero) verso spiegazioni lombrosiane, giovani delinquenti nati, rifiuti dell’umanità. Uno spettacolo disgustoso.
223 Vedi A. CAMPBELL, La città malata, in “La Repubblica”, 10.8.11, pp. 1 e 4, a p. 4.
224 Mi vengono in mente le battute di Chaplin davanti al Tribunale che lo giudica per i suoi delitti nel film “Monsieur Verdou”: “Ho ucciso alcune persone e sono un assassino, se ne avessi uccisi milioni sarei stato uno statista. In democrazia è il numero quello che legittima”.
Così nel nostro caso un governo che condanna all’ignoranza i figli delle classi basse è un collegio di statisti, chi saccheggia un supermercato è un rifiuto dell’umanità. Intendiamoci il diritto vieta i saccheggi ai supermercati, mentre quelle dei politici sono scelte legittime di statisti, ma questo significa solo che il nostro sistema giuridico ha natura di classe ed è il caso di ripetere la citazione di Pietro Nenni: “Questo governo è forte con i deboli e deboli con i forti”.
225 Vedi T. BEN JALLUN, La rivoluzione senza islam, in “La Repubblica”, 11.4.11, pp. 1 e 14-15.
226 Vedi F. RIZZI, Mediterraneo in rivolta, Castelvecchi, Roma, 2011, pp. 19 e sgg.
227 Vedi V. NIGRO, Peres: la primavera araba ora dia libertà alle donne, in “La Repubblica”, 4.9.11, pp. 1 e 19, intervista a Peres che identifica la causa delle rivolte in 42 anni di dittature, dimenticando, però, che Israele era stata in ottimi rapporti con il regime di Mubarak.
228 Ricordo la TV che trasmetteva i festeggiamenti dei militanti tunisini del partito islamico: molte giovani donne con i capelli al vento ed i jeans.
229 È il giudizio di molti tra cui il politologo conservatore americano Pipes, v. A. ZAMPAGLIONE , “Non è ancora un successo, i ribelli rischiano di essere peggiori di Gheddafi”, in “La Repubblica”, 24.8.11, p. 11. , ove intervista a Pipes che si occupa anche della primavera araba, oltre che della Libia, su cui sospendo il giudizio
230 V. su ciò F. SCUTO, I militari cedono alla piazza, in “La Repubblica”, 23.11.11, p. 19; ID. Piazza Tahrir incorona El Baradei, ivi, 26.11.11, p. 14; U. DE GIOVANNANGELI , Il nuovo premier non piace a Piazza Tahrir, ne “L’Unità”, 26.11.11, pp. 18-19.
231 Nel senso che la politica di alleanze, attraverso il welfare, la realizza lo Stato piuttosto che la borghesia assai spesso restia a pagare i costi che il welfare richiede anche alla classe dominante. Roosevelt non era amato dalla sua classe, che lo considerava un traditore. Durante la campagna elettorale del 1936 Roosevelt (grandissimo comunicatore) raccontò questo apologo: “Immaginate un uomo con il cilindro ed il frack che cammina lungo un pontile, cade in acqua e sta per affogare. Voi vi buttate in acqua e lo salvate, ma la corrente porta via il cilindro. Anni dopo incontrate di nuovo l’uomo ed egli vi dirà: ti ricordi quando mi salvasti la vita? E però dimenticasti di salvarmi il cilindro!”.
L’uomo è chiaramente il capitale, che Roosevelt ha salvato, ed il cilindro sono i costi (modesti) della salvezza che il capitale non vuole pagare.
232 Vedi A. CARLO, La società industriale cit. pp. 35-44.
233 È la nuova schematizzazione proposta ad esempio dall’Eurispes.
234 Vedi A. CARLO, op.ult. cit., pp. 156-162.
235 Vedi retro par. 1.
236 Vedi A. CARLO, Conflitto. Controllo sociale. Rivoluzione. 13 tesi sulla fine del capitalismo, in www.crisieconflitti.it , 2008, par. 1.
237 Vedi su ciò A. CARLO, Economia, potere, cultura, cit., pp. 194 e sgg e 274 sgg., ove ampie citazioni di Weber.
238Ivi, pp. 208 e sgg, 215 e sgg.
239 Secondo quanto affermato da un sociologo conservatore, illuminato ed intelligente come Coser.
240 Vedi D. RIESMAN, D. GLAZER, R. DENNEY, La folla solitaria, Il Mulino, Bologna, 1956.
241Ivi, pp. 130-133
242 Su carattere di strumenti del dominio di classe di stampa e TV, v. A. CARLO, op. ult. cit. , cap. V.
243 Vedi su ciò A. CARLO, op.ult. cit. pp. 206 sgg.
244 Ogni volta che ne faccio l’elenco mi rendo conto che è incompleto: 3 in Russia (1905 e due nel 1917); 3 in Cina (1912, 1927, 1949), la rivoluzione messicana, quella cubana, il Vietnam, l’Algeria, la Jugoslavia, 3 tentativi rivoluzionari falliti in Germania (1919, 1921, 1923), Ungheria 1919 e 1956, la guerra civile spagnola con la spinta anarchica verso l’autogestione, Portogallo 1974, Iran 1979, oltre vari movimenti di lotta che scossero il sistema pur non essendo rivoluzioni in senso stretto (il ’68).
245 In questo senso sono d’accordo con chi dice che per fare le rivoluzioni occorrono programmi, ed internet non lo è ma è un mezzo per coagulare ed organizzare lo scontento ed arrivare ad un programma: anche i soviet erano in sé solo un mezzo organizzativo e non un programma, ma la rivoluzione “sovietica”, è impensabile senza di essi.
246 Internet nasce per fini economici essenzialmente ed illustra bene come il capitalismo sia un sistema senza una guida (o piano), che non può controllare gli effetti della sua dinamica; così è accaduto per il prolungamento della durata della vita, grazie all’azione delle industrie farmaceutiche o della biotecnologia, che ha permesso alle IM del settore di fare enormi profitti, ma ha creato un problema terribile: se l’occupazione si contrae come utilizzerà il sistema delle vite che ormai sono “vite a perdere”?
247 Vedi Y. EUDES , Prove di rete libera, in “Internazionale”, 29.9.11, pp. 45 e sgg.
248 Vedi D. CASTELLANI PERELLI, La gioventù serba con l’Europa e contro Mladic, ne “Il Venerdì di Repubblica”, 15.7.11, pp. 56 sgg.

 

 

 

 

 

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