Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

Il fascismo del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

IMMAGINE ARTICOLO BELLINILa struttura in crisi: lo Stato in mano alla sola borghesia

In svariati passaggi delle opere di Karl Marx si parla di struttura e sovrastruttura, e in premessa del presente articolo, si desidera ricordare che questi concetti sono attuali, che abbracciano ideologie e politica, e che spiegano il titolo di questo scritto. Come noto, la descrizione sintetica ma limpida di struttura e sovrastruttura il filosofo di Treviri ce la pone nella prefazione del testo Per la critica dell’economia politica del 1859: “Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale e a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale. I cambiamenti nella base economica portano prima o dopo alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura”.

Quindi ci dobbiamo porre la domanda se la struttura è entrata in crisi e di quale crisi stiamo parlando. Per dare una risposta plausibile occorre chiamare in aiuto, seppur brevemente e con la consueta criticabile sintesi, altri concetti filosofici a guisa “d’utensili” di comprensione. Hegel ci ricorda, all’interno delle sue famose Lezioni sulla filosofia della storia: “Noi vediamo un enorme quadro di eventi e di azioni, di infinitamente varie formazioni di popoli, Stati, individui, in un succedersi instancabile… dappertutto vengono proposti e perseguiti fini… Diffuso su tutti questi eventi e casi noi vediamo un umano agire e soffrire, una realtà nostra dovunque e perciò dovunque una inclinazione o un’avversione del nostro interesse… Talora vediamo il più vasto corpo di un interesse generale procedere con maggiore difficoltà, e disgregarsi lasciato in preda ad infinito complesso di piccoli rapporti; talora vediamo nascere il piccolo da un enorme dispiegamento di forze, e l’enorme da ciò che appariva insignificante… e se una vien meno, ecco che un’altra ne prende il posto”. Esattamente al contrario delle famigerate tesi di Fukuyama sulla fine della Storia nelle braccia del capitalismo, Hegel ci insegna che la vicenda umana sulla terra è in costante e continua evoluzione, e che procede non in linea retta, ma in modo dialettico. La struttura, quindi, evolve in continuazione plasmata dal modo di produzione. Karl Marx studia e critica l’Inghilterra del capitalismo industriale dell’era vittoriana, cuore centrale e pulsante dello sviluppo dell’umanità di allora, e quindi della progressiva sostituzione al controllo dello Stato delle vecchie classi aristocratiche di origine feudale, con il loro armamentario ideologico, con la nuova borghesia dotata a sua volta di un proprio corredo ideologico, processo iniziato con la Rivoluzione francese del 1789 e sostanzialmente conclusosi con la sconfitta degli Imperi centrali del 1918.

Oggi quel capitalismo, fatto di surplus derivante dalla forza lavoro, è stato superato da un altro tipo di capitalismo, quello finanziario, che nasce indubbiamente dai profitti del suo predecessore, ma che poi si emancipa dallo stesso attraverso due meccanismi ben distinti: l’abbandono delle valute dalla propria convertibilità in oro (Gold Standard prima e Gold Exchange Standard poi); la produzione di debito senza alcun limite, sostanzialmente a partire dal 1971. Cosa rappresenta, tuttavia, dal punto di vista della filosofia della storia questa produzione illimitata di debiti da parte degli Stati, cioè degli enti che hanno il potere di battere moneta, come si sarebbe detto un tempo? Tra la fine del XVIII e XIX secolo l’ideologia della borghesia imprenditrice era il liberismo che si sintetizzava nel celebre principio del “laisser faire” cioè dell’azione egoistica del singolo cittadino, nella ricerca del proprio benessere, sufficiente a garantire la prosperità economica dell’intera società secondo il mito creato da Adam Smith della “mano invisibile”. La ragione politica di questo concetto risiedeva nel fatto che il controllo dello Stato era ancora saldamente nelle mani delle famiglie aristocratiche che si dividevano i vertici istituzionali tra quelle che sedevano sui troni, quelle che occupavano i posti nei governi e nei Parlamenti e quelle poste ai vertici di burocrazia e esercito. Quindi la borghesia, che non era affatto amica dell’aristocrazia, cercava di arginare la loro influenza potenzialmente negativa sui grandi commerci internazionali e sulla nascente industria moderna dell’era della macchina a vapore. Ancora alla fine del XIX secolo, nonostante la borghesia controllasse industria e commerci mondiali, doveva tuttavia condividere il controllo dello Stato con l’aristocrazia, anche in Inghilterra e tale delicato equilibrio si traduceva appunto nel Gold Standard System e nella Sterlina moneta di riserva mondiale, che non aveva la facoltà di creare un debito illimitato perché ancorata al metallo giallo. Da un punto di vista di filosofia della storia, l’Impero britannico era un passo intermedio tra il controllo aristocratico dello Stato e quello borghese, e tale modello cessò nel 1945, dopo due sanguinosissime guerre mondiali. All’Impero dei Windsor si sostituì quello delle antiche colonie americane, che rappresentavano, sempre alla luce della filosofia della Storia, la piena presa del controllo dello Stato da parte della borghesia: la metropoli imperiale di oggi non era più retta da sovrani, duchi e conti, ma esclusivamente da Mister. Dopo il 1990, grazie all’auto-liquidazione dell’URSS, la borghesia ha potuto determinare la politica di un Impero quasi planetario senza aver sostanziali impedimenti da parte di altre classi sociali. Questo monopolio ha anche determinato l’evoluzione del concetto di liberismo da un estremo ad un altro: dal “laisser faire” degli economisti classici Smith, Malthus, Say, Ricardo fino a giungere a John Stuart Mill, alla celebre frase del Segretario di Stato al Tesoro degli Stati Uniti, John Connally jr., rivolto al mondo finanziario e commentando la sospensione degli accordi di Bretton Woods da parte di Richard Nixon dell’agosto 1971, sentenziò: “Our currency, but your problem.” La borghesia americana si era talmente impadronita del controllo dello Stato, e con essa del suo fondamentale ruolo di battere moneta, da trasformare il dollaro da mezzo di scambio di merci ad arma suprema: gli Stati Uniti avrebbero messo a tributo tutto il mondo occidentale costringendo le provincie imperiali a fornire materie prime (ad esempio il Petrolio del Golfo Persico e del Venezuela), beni tangibili (CEE, Giappone e più tardi Cina) in cambio dei verdi biglietti di carta emessi dalla Federal Reserve. Abbiamo quindi capito che la cifra della borghesia in pieno controllo dello Stato, la quale si è liberata da un lato dalla classe aristocratica e dall’altro da quella proletaria dell’epopea sovietica è una sola: fare debiti senza limiti e senza pericoli di restituzione. La produzione incontrollata di debito, il conseguente aumento della massa monetaria circolante, e ancora la produzione del denaro dal denaro senza nessun passaggio intermedio attraverso le merci sono struttura. Gli anni 1971 (sospensione di Bretton Woods), 1990 (fine dell’Unione Sovietica), 2008 (Crisi dei Subprime) e 2020 (Pandemia da Covid-19) sono, a mio avviso, le tappe della crisi della struttura che, probabilmente, proprio a partire dal 2020 è entrata nella fase iniziale della sua fine, prima della trasformazione in una nuova struttura.

 

La sovrastruttura in crisi: la rappresentanza politica

Se accettiamo la tesi che la struttura è entrata in crisi, perché mai dovremmo ritenere che le sovrastrutture collegate non lo siano? Qual è la sovrastruttura ideologica e politica della borghesia padrona dello Stato? Facciamo un elenco riassuntivo e non esaustivo: in politica la democrazia liberale; in economia l’ultra liberismo; per i principi ideali i diritti individuali. Fermiamoci qua. Abbiamo visto che la cifra del controllo esclusivo della borghesia sugli Stati si traduce nella produzione di debiti senza limite, che non va letta in rapporto al PIL, in quanto non vi è nessuna intenzione di restituzione: Stati Uniti 131.000 miliardi di dollari, Giappone 7.300 miliardi, Gran Bretagna 2.963 miliardi, Italia 2.742 miliardi persino la Germania ha un debito di 92 miliardi di dollari. L’analisi dei deficit annuali dei bilanci statali, inoltre, suggerisce che non vi è nessuna strategia di rientro di tali debiti, ma non è affatto vero che nessuno li paga seppure parzialmente. La produzione di denaro fittizio (da debito) e da altro denaro porta con sé la progressiva concentrazione dello stesso in poche mani e il progressivo depauperamento della maggioranza della popolazione, e a tale proposito citiamo uno dei tanti studi che ci confermano in questa affermazione: “Secondo il Global Wealth Report 2022 del Credit Suisse Research Institute, la ricchezza globale aggregata nel 2021, nonostante le incertezze correlate al Covid-19 è cresciuta del 12,7%, ma è aumentato anche il numero di individui con un patrimonio netto ultra elevato (UHNW) denunciando un aumento della disuguaglianza, diminuita comunque nel lungo periodo per effetto della crescita dei mercati emergenti”. Vi sono paesi, poi, come l’Italia dove la crescita della povertà non rappresenta uno stato momentaneo, ma al contrario è una condanna perpetua come dimostrano Maurizio Franzini e Michele Raitano in un articolo del 19 Maggio 2022: “Se gli indicatori con cui si misura la disuguaglianza economica registrano un aumento vuol dire – ed è banale – che le distanze economiche tra le persone sono aumentate. Questo è quanto è avvenuto in Italia, e non solo, negli scorsi decenni per quello che riguarda i redditi delle famiglie e delle persone e, in modo marcato, per quella importante componente dei redditi complessivi rappresentata dai redditi da lavoro. Guardando soltanto a questi redditi e con riferimento all’universo dei lavoratori dipendenti privati risulta – dati INPS – che tra il 1982 e il 2017 l’indice di Gini (l’indicatore più usato per misurare la disuguaglianza) delle retribuzioni annue lorde è cresciuto del 24%, passando da 0,34 a 0,42. Un aumento davvero notevole date le caratteristiche dell’indicatore…. Utilizzando dati longitudinali (ovvero dati che consentono di osservare continuativamente gli stessi individui nel corso degli anni) è possibile oggi acquisire qualche utile conoscenza di queste dinamiche. E, come mostra una ricerca in corso di Subioli e Raitano, anche osservando gli stessi individui per un non breve periodo (ben 11 anni), la quota di individui che cambiano posizione nel corso del tempo è limitatissima (il coefficiente di correlazione fra la posizione iniziale e quella finale è intorno all’80%) e ha mostrato una tendenza a diminuire negli ultimi decenni. Se ne può desumere che le disuguaglianze crescenti indicano, sostanzialmente, un ampliamento delle distanze ‘permanenti’ tra i medesimi individui. Il trascorrere del tempo non permette, quindi, di bilanciare quelle distanze, anzi in qualche modo le aggrava se non altro perché disuguaglianze cumulate, anno dopo anno, crescono e al termine del ciclo di vita possono essere enormi”.

Quindi nasce un urgente bisogno di aumentare il controllo da parte di una sempre più ristretta élite di alta borghesia ricchissima nei confronti di una sempre maggiore aliquota di popolazione impoverita: all’interno di questa urgenza va misurata la mutazione della sovrastruttura. Prendiamo in esame un Paese in una fase d’infinita decadenza sotto ogni punto di vista: morale, culturale, economica, sociale e quindi politica e geopolitica, l’Italia, e a solo scopo esemplificativo tracciamo una parabola ideale la quale dai punti di partenza contempla i partiti della II Legislatura della Repubblica (25 giugno 1953-11 giugno 1958) e quelli della XVIII Legislatura (23 marzo 2018-24 settembre 2022) dall’altro capo della parabola. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una rappresentanza parlamentare chiara sia sotto il profilo dell’identificazione del partito, sia sotto quello della sua ideologia, sia sotto il profilo del suo programma politico. Anche a distanza di 69 anni, se scorriamo le formazioni di quel Parlamento è difficile avere dubbi su chi fossero, ad esempio nella composizione della Camera dei deputati: la Democrazia cristiana con 263 deputati, il Partito Comunista Italiano con 143, il Partito Socialista Italiano con 75, Il Partito Nazionale monarchico con 40, Movimento Sociale Italiano con 29, Partito Socialdemocratico con 19, Partito Liberale con 13 e infine Partito Repubblicano con 5. Questi partiti erano immediatamente riconoscibili a partire dai nomi e mediamente riconducibili a determinate classi sociali; la percentuale degli astenuti fu del 6,16%. I 6 governi che si susseguirono furono tutti targati DC, monocolori oppure con l’appoggio dei partiti di centro fino al PSDI, mentre PCI e PSI rimasero sempre all’opposizione. Questo scenario non avrebbe mai potuto dare adito alla presenza del “Partito Unico”, ad una struttura in salute si abbinava una sovrastruttura di democrazia liberale sostanzialmente veritiera. Veniamo ora alla composizione della Camera dei Deputati nella XVIII legislatura all’atto del suo insediamento: Movimento 5 Stelle 227 deputati, Lega 125, Partito Democratico 112, Forza Italia 104, Fratelli d’Italia 32, Liberi e Uguali 14 e un restante di 16 deputati divisi in una serie di sigle minori. La prima osservazione è che non è più immediata la percezione della matrice politica di questi partiti: sono di destra, sinistra o di centro? Occorre, quindi, un passaggio supplementare di conoscenza, come un ulteriore passo è necessario se si vuole avere anche un’idea generica del loro programma politico. La seconda osservazione deriva dal numero di astenuti alle elezioni del 4 marzo 2018 che è stata del 27,39%, il 21% in più rispetto a quelle del 1953. La terza osservazione, ed è quella decisiva per l’individuazione della presenza di un partito unico mascherato in diverse formazioni, riguarda le tre diverse maggioranze che hanno accompagnato il Movimento 5 Stelle, sempre al governo: nel primo gabinetto Conte Lega Nord e indipendenti, gli altri partiti all’opposizione; nel secondo gabinetto Conte esattamente l’opposto Movimento 5 Stelle e centro sinistra, con il centro destra all’opposizione; nel primo gabinetto Draghi con tutti i partiti precedenti, tranne Fratelli d’Italia. Un processo, quindi, di costante chiarificazione del sistema il quale, alla sua fine e a causa dell’endemico stato di debolezza morale, sociale e economico, è stato costretto a venire allo scoperto. Si potrebbe obiettare che Fratelli d’Italia, unico partito che non è mai andato al governo nei tre gabinetti della XVIII legislatura, sia stata l’effettiva opposizione, successivamente premiata dalla vittoria alle elezioni del 25 settembre 2022. Possiamo facilmente smentire questo dubbio andando a riassumere e sistematizzare le caratteristiche politiche che si hanno in presenza di un partito unico. La prima è l’indefinitezza della collocazione politica e della rappresentanza sociale di un raggruppamento politico: il Partito democratico è di sinistra oppure di centro? Rappresenta il mondo dei salariati oppure quello della media borghesia? Fratelli d’Italia è erede del Movimento Sociale oppure un neo partito conservatore? Rappresenta i professionisti e i commercianti oppure il sottoproletariato delle aree urbane? La Lega viene votata dagli operai tassati fino all’ultimo centesimo oppure dagli evasori ed elusori fiscali? E via di questo passo. La seconda caratteristica risiede nell’alta percentuale di astensionismo, cioè del voto d’opinione il quale, a differenza di quello organizzato e clientelare, va a votare perché si sente effettivamente rappresentato da un dato ceto politico. Se il voto d’opinione si sente sempre meno rappresentato, e avverte una crescente omologazione del messaggio politico che riceve prima e durante la campagna elettorale, ottieni i seguenti risultati: astensione al 27,39% nel 2018 ulteriormente cresciuta al 36,21% nel 2022.

Cosa si intende per omologazione del messaggio politico? Il fatto che sugli argomenti fondamentali, dove la sovrastruttura lambisce la struttura, le posizioni delle varie correnti del partito unico collimano. Facciamo l’esempio dell’atlantismo: prendiamo la dichiarazione di un Roberto Speranza ripresa da Dire del 16 settembre 2022: “Abbiamo l’ipotesi che una potenza esterna, la Russia di Putin, abbia finanziato forze politiche dei Paesi dell’Unione europea, e non solo. Gli italiani devono sapere se tra queste forze ci siano anche partiti politici italiani. Su una materia del genere non possono esserci zone d’ombra… Conosciamo le relazioni di Putin in Italia, non ci sono segreti conosciamo quali erano le personalità che avevano particolare propensione positiva verso Putin. Si dica con chiarezza se queste risorse sono arrivate o meno. Sarebbe un fatto gravissimo”; prendiamo ora Open del 1° dicembre “Giorgia Meloni come Draghi: cosa ci sarà nel nuovo decreto sulle armi all’Ucraina”. In teoria, i due estremi dell’emiciclo che si sono scambiati le poltrone di governo, sul fondamentale tema dell’obbedienza ai diktat di Washington sui rapporti Europa Russia hanno una sostanziale identità di vedute. Possiamo fare un altro veloce esempio sull’unico strumento minimamente valido per difendere salari e stipendi dalla pesante erosione dell’inflazione, il salario minimo: conquiste del lavoro del 30 agosto: “M5s: Pd candida Camusso e Furlan contrarie al salario minimo “Letta a chiacchiere è a favore, nei fatti contro”; ADN Kronos del 24 giugno “Salvini: “Salario minimo per decreto è follia”. Il partito unico ha un programma preciso il quale, nascosto da innumerevoli sfumature di facciata, è stato magistralmente esposto dal mentore del nuovo Presidente del Consiglio Meloni, Mario Draghi: La Repubblica del 28 settembre 2022 “Kiev e conti pubblici, contatti di Draghi con l’Ue: Meloni starà ai patti. Il premier fa da garante con Bruxelles, Parigi e Berlino. Le tre condizioni: sostegno all’Ucraina, fedeltà alla Nato e non far esplodere il debito. Palazzo Chigi smentisce… Secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche di Parigi, Berlino e Bruxelles, il presidente del Consiglio in carica ha contattato Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Ursula von der Leyen. Garantendo per la leader di Fratelli d’Italia. E rassicurando i big dell’Unione sui tre pilastri che guideranno l’azione del futuro governo. Si tratta di tre condizioni che l’ex banchiere ha preventivamente sottoposto alla leader di Fratelli d’Italia. E che Meloni si è impegnata ad accettare. Primo: il nuovo governo continuerà a sostenere l’impegno – anche militare – per l’Ucraina e a tenere unito il fronte delle sanzioni contro Mosca. Secondo: l’ancoraggio stabile e indiscutibile alla Nato, senza tentennamenti o smarcamenti. Terzo: non approverà nuovi scostamenti di bilancio, in modo da tenere sotto controllo il debito pubblico”. Se oggi un leader vuole sedere a Palazzo Chigi, a prescindere dai risultati elettorali, questo è il dogma.

 

La sovrastruttura in crisi: la mitizzazione dei diritti civili

Abbiamo quindi visto che la struttura in crisi non tollera più che la sovrastruttura “Democrazia liberale fondata sui partiti” sia effettivamente tale, ma è iniziato un processo di omologazione delle idee politiche all’interno di un partito unico, che si presenta alle elezioni ai soli fini di rappresentazione, e, ovviamente, d’interesse puramente personale per i privilegiati eletti. Il processo che porta al partito unico è condiviso in tutte le democrazie liberali occidentali, però a stadi diversi: nei paesi dove lo stato di crisi è minore come in Francia e Germania, tale processo è in atto ma incontra forti resistenze; in paesi allo sbando come l’Italia è giunto alla sua plastica definizione. La struttura in crisi, quindi, non tollera più una vera rappresentanza politica, ma non solo, non tollera più la presenza della pluralità delle idee, non sopporta quindi il presupposto di diverse posizioni politiche, il pensiero plurale.

Occorre fare una premessa al concetto di Pensiero Unico, che precede e accompagna il Partito Unico: abbiamo visto che le istituzioni statuali e sovra statuali che hanno il potere legale di battere moneta sono saldamente nelle mani dell’alta borghesia finanziaria e che tale possesso sta generando il colossale indebitamento di tutte le economie occidentali. Gli stessi signori del denaro, però, sono perfettamente a conoscenza delle seguenti tre principali conseguenze: l’allargamento smisurato della base monetaria corrisponde ad un processo di forte concentrazione in poche strutture monetarie, in altre parole tanti soldi in sempre minori mani; l’inflazione moderna, al contrario di quella dello scorso secolo, è tipicamente zoppa, al crescere dei prezzi non crescono salari e stipendi depauperando così sempre maggiori strati della popolazione specialmente quelle giovani; vi è il rischio che sorgano forme di critica che possano diventare opposizione e quindi alternativa al sistema. I signori del denaro sono anche “domìni” della cultura e dell’informazione, capaci quindi di far valutare scenari e rischi, e porre i rimedi necessari. Nel 1835, Alexis de Toqueville pubblicava La democrazia in America, nella quale si pronosticavano le due potenze del futuro, che allora erano ai margini della gerarchia delle nazioni: Stati Uniti e Russia. La grande potenza di allora, la Gran Bretagna, era quindi informata e avvertita con congruo anticipo, ed esiste un’importante letteratura sul ruolo di Londra nella Guerra di Secessione americana di trent’anni dopo. Nel 1987 Paul Kennedy pubblicava Ascesa e declino delle grandi potenze, nella quale si spiegava e pronosticava l’imminente crisi del sistema bipolare della Guerra Fredda. Kennedy non faceva altro che sistematizzare e pubblicare studi precedenti che avevano indotto gli Stati Uniti all’abbandono di Bretton Woods del 1971, proprio per evitare che Washington seguisse immediatamente Mosca nella sua dissoluzione della fine degli anni Ottanta. È dal 2008 che i think thank americani sanno che le crisi del dollaro sarebbero state vieppiù incontrollabili col passare degli anni e sono state elaborate varie strategie di contenimento. Tra le più importanti, come detto, vi è l’imposizione del Pensiero Unico tramite la mitizzazione dei diritti civili. L’enciclopedia Treccani ci fornisce questa definizione di mito: “m. si occupano di argomenti importanti per l’esistenza della comunità. Raccontando le origini del mondo, del popolo, delle singole istituzioni, essi non intendono offrirne una spiegazione causale, bensì legittimarle e sanzionarle, proiettandole in un tempo che, essendo il tempo di attività di esseri mitici (dei, eroi, antenati ecc.), ne fornisca la giustificazione religiosa e la garanzia di immutabilità. Perciò il m. è funzionale alle forme di esistenza della comunità e nello stesso tempo fornisce i modelli dell’attività umana che segue le linee di condotta statuite, nel tempo delle origini, dagli esseri mitici”.

Nell’Occidente si è sviluppata una singolare forma di mitologia che ha il preciso scopo d’irretire qualsiasi forma di opposizione. Non si desidera affatto promuovere effettivamente i diritti civili, perché parallelamente alla loro mitizzazione vi è la sistematica negazione di quelli sociali e economici, che invece sono i presupposti necessari all’affermazione di tutti. Infatti, i diritti civili disgiunti da quelli legati al lavoro e alla corretta redistribuzione del reddito si traducono nel privilegio dei ricchi, ed è per questa ragione che i “sacerdoti” del mito dei diritti civili sono i membri visibili dell’“upper class”: intellettuali, giornalisti, cantanti, attori, sportivi eccetera. Una ristretta élite di privilegiati che dalle loro lussuose ville di Beverly Hills fanno la morale agli operai disoccupati della “rust belt” di Steubenville in Ohio, o di Johnstown in Pennsylvania che votano Donald Trump. Lo scopo della mitizzazione dei diritti civili è, quindi, di reprimere qualsiasi critica alla sovrastruttura e quindi alla struttura stessa. Se si fa notare che il flusso migratorio potrebbe essere uno strumento di pressione esercitato dagli Stati Uniti nei confronti del debole fronte mediterraneo, e del ruolo spesso ambiguo delle ONG (Il ministro Tajani: “Le Ong non facciano i taxi dei clandestini” il 16 novembre 2022), e che una volta giunti in Italia gli immigrati alimentano un mercato del lavoro domestico storicamente fatto di sommerso diffuso e mancanza di controlli generalizzati, opponendo quindi lavoratori poveri italiani ad omologhi stranieri ancora più poveri, si è immediatamente additati come razzisti. Se si fanno notare tutte le contraddizioni legate alla guerra in Ucraina, agli otto anni di conflitto promosso da Kiev in Donbass, all’imminente ingresso dell’Ucraina nella Nato, invece di lavorare per la sua opportuna neutralità, si è additati come “putiniani”, e così via. Il pensiero unico, quindi, ha il preciso compito di spaventare, irretire e di comprimere l’opinione pubblica, mentre dall’altro versante prosegue inesorabile la sua depauperazione, tema che merita una breve carrellata di titoli: “Italia, standard di vita: italiani sempre più poveri” Moneyfarm.it del 16 maggio 2022; “5 milioni di poveri assoluti. Ocse: in Italia la scuola non è più ascensore sociale”, RaiNews; “Rapporto ISTAT, italiani sempre più poveri, mille euro lordi al mese per un lavoratore su tre” Italia Informa del 8 luglio 2022. Mitizzazione dei diritti civili da un lato e depauperazione dall’altro sono le facce della medesima medaglia, non è un caso ma è una strategia voluta.

 

Il fascismo del XXI secolo: una tradizione in evoluzione

La classe che domina la struttura, e attraverso di essa determina la sovrastruttura, lo abbiamo visto, studia e pianifica come difendere le proprie posizioni, che essa stessa sta portando al disastro. Vivendo in un sistema capitalistico, e non nella Cina socialista, il tema non è come risolvere il problema, ad esempio, della crisi inflazionistica del dollaro, ma più semplicemente chi deve pagarne il conto. Non si tratta, però, di un quesito che lascia particolari dubbi sulla risposta: pagano i soliti noti, le classi subalterne. Negli anni Duemila, ad esempio, il passaggio da rappresentanza politica a partito unico ha fatto in modo che i nati a partire dalla fine dei novanta invecchino più poveri rispetto alla loro infanzia, al contrario dei loro padri nati nel boom degli anni Cinquanta, invecchiati mediamente e tendenzialmente maggiormente benestanti rispetto alla loro fanciullezza. L’introduzione del Partito Unico, quindi, ha privato il “popolo sovrano” della facoltà di esercitare tale sovranità per correggere questo meccanismo. Il processo di mitizzazione dei diritti civili e la contemporanea compressione di quelli economici, hanno il solo scopo d’imporre un’opprimente e profondamente ipocrita Pensiero Unico: irretire una popolazione sempre più povera da un lato e promuovere la guerra tra diseredati dall’altro.

Dobbiamo ora porci la seguente domanda: abbiamo nel recente passato modelli politici che hanno assomigliato, ad esempio, al recente gabinetto di Mario Draghi in carica dal febbraio 2021? Un uomo presentato dai Mass Media italiani come un autentico salvatore della Patria, di altissimo profilo e prestigio internazionale, quasi un “uomo della provvidenza”; tale la reputazione e tale il momento di difficoltà della nazione (ma il momento peggiore della Pandemia da covid-19 non era stato il 2020?) che quasi tutto il Parlamento si è sentito in dovere di appoggiare il suo esecutivo, mentre Fratelli d’Italia si produceva in un’opposizione collaborativa. Forte dell’incondizionato sostegno della maggioranza degli italiani, sempre secondo i mass media, Draghi si è posto tra i capi di un’ampia coalizione internazionale contro il solito impero del male, la Russia, aderendo ad una tradizione tenuta viva dall’indimenticato Ronald Reagan, da vari presidenti americani durante gli anni della Guerra fredda e da Adolf Hitler negli anni Trenta e Quaranta. Una sordida congiura parlamentare, però, ci ha privato di quest’autentico Febo della politica, il quale, per tutta risposta, ha assicurato una corretta transizione del potere a Giorgia Meloni, facendole da mentore internazionale e da modello ideale per la sua prima finanziaria. Non viene in mente qualcosa? Potrebbe essere, ad esempio, una forma moderna di fascismo, che ha seguito un percorso di negazione delle proprie origini simile a quello degli “eredi” del comunismo italiano. La struttura è in crisi e la sovrastruttura assume nuove forme nelle quali porre vecchi contenuti. Il movimento fascista italiano a partire dal programma di San Sepolcro del 1919 fu dedito alla ricerca di una terza via tra liberismo e comunismo, accanto al pericolo bolscevico vi era anche la critica alle plutocrazie alle quali fu dichiarata guerra prima che all’Unione sovietica. La sconfitta militare nella Seconda Guerra mondiale ebbe la conseguenza di far rinnegare al fascismo italico tutta la sua critica ai sistemi liberale e liberista trasformandolo in un movimento puramente anti comunista, reazionario e collaborazionista con i vincitori americani del tutto simile a quelli che esprimevano i vari regimi più o meno golpisti dell’America latina. Il collaborazionismo dei fascisti post bellici è stato anche una condizione imprescindibile per ottenere la “clemenza” del vincitore angloamericano in un primo stadio, per poi diventare mero strumento politico e a volte paramilitare. Il compito che si assunse l’MSI in Italia fu quello di combattere il comunismo, sia nelle aule parlamentari nei confronti del PCI, ma soprattutto all’interno della società italiana, attraverso le sue varie articolazioni. Ad esempio, se nelle scuole e nelle università il PCI era presente attraverso la Federazione Giovanile Comunista Italiana, l’MSI si contrapponeva nelle stesse aule attraverso il Fronte della Gioventù. Se nel dopoguerra il PCI era sospettato, a torto o a ragione, di essere uno strumento finanziato e eterodiretto dal PCUS, l’MSI non si fece remore ad offrirsi quale terminale operativo degli Stati Uniti e della sua intelligence, pronto a prendere il potere in caso di bisogno direttamente oppure indirettamente tramite organizzazioni da esso promanate come il Fronte Nazionale del principe Junio Valerio Borghese, Ordine Nuovo di Pino Rauti e Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie. Tutti questi movimenti costituirono poi un mondo torbido, collaborando con organizzazioni non fasciste come Gladio e addirittura strutture d’intelligence del calibro dell’Ufficio Affari Riservati a guida del prefetto Federico Umberto D’Amato. È noto il ruolo di tutti questi attori durante la stagione della strategia della tensione negli anni Settanta e Ottanta, in contrapposizione appunto alle organizzazioni comuniste a loro antagoniste. Caduto il muro di Berlino nel 1989, analogamente ai dirigenti del PCI, anche quelli missini ebbero la loro occasione di rompere le catene che li tenevano lontani dal potere, e tutti accomunati sotto il motto “Parigi val bene una messa” il 27 gennaio 1995 sciolsero l’MSI nel nuovo movimento Alleanza Nazionale a guida Gianfranco Fini, per partecipare con maggiore agevolezza politica al primo gabinetto Berlusconi (1994-1995). Da quel momento in avanti si può parlare correttamente di post fascisti, avendo accettato non solo le regole costituzionali e parlamentari, ma anche quelle maggiormente ostiche che presiedono alla partecipazione ad un governo di una provincia imperiale USA. Dal 1994 al 2022, quindi, i post fascisti hanno compiuto un percorso di progressiva omologazione al sistema e di distacco dalle proprie radici in modo molto più marcato, ad esempio, rispetto a quello intrapreso da Marine Le Pen in Francia: Alleanza Nazionale prima, Il Popolo delle Libertà poi, e infine Fratelli d’Italia dal 2012, movimento guidato da Giorgia Meloni dal 2014 con l’intento di restituire una casa politica alla destra italiana che, in qualche maniera, si riconosceva nella tradizione che abbiamo illustrato. La tradizione fascista italiana, al contrario di quanto pensano strumentalmente alcuni esponenti della cosiddetta sinistra, non è rimasta immobile col passare degli anni, ma si è profondamente trasformata, tanto da farsi apprezzare dall’alto rappresentante degli Stati Uniti in Europa, Mario Draghi, come validi esecutori delle volontà della metropoli americana: ecco la vittoria del 25 settembre scorso.

 

Il fascismo del XXI secolo: basta orbace e saluti romani

L’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato ha assunto dei significati politici che vanno ben oltre la riapertura dello stucchevole teatrino che tanto piace ai Radical Chic colle pezze ai jeans di Radio Popolare: gli eredi del fascismo al potere mettono Costituzione e democrazia in pericolo, dimenticandosi che chi ha violato ripetutamente la Carta fondamentale è stato il centro sinistra con Speranza e Letta in prima fila. L’elezione di un vecchio rappresentante della tradizione missina ha sancito due susseguenti e fondamentali passaggi politici: la gratificazione data ad una storia politica ben precisa, quella appunto missina con tutto il suo bagaglio storico e politico; allo stesso tempo la definitiva chiusura di quell’esperienza e di conseguenza con tutto il sottobosco neo fascista e neo nazista dei vari Casa Pound, Forza Nuova e movimenti Naziskin. Giorgia Meloni, politica nata e cresciuta nella politica, oggi ha ben altri modelli ai quali ispirarsi, come Enrico Letta prima di lei, e il principale è certamente Mario Draghi: il fascista del XXI secolo. Basta con le scemenze dei saluti romani, delle camicie nere, dei busti di Mussolini in casa, dei gagliardetti e del feticismo legato ad un’esperienza storica morta e sepolta. Il modello, antico per certi versi, è il rappresentante del potere sovranazionale intimamente convinto dell’ideologia che ammanta il suo mondo: iper liberismo della scuola di Chicago, la preminenza del capitale finanziario su quello produttivo, la centralità degli Stati Uniti quali faro della democrazia liberale, l’incondizionata fedeltà che tutto il mondo deve a Washington, l’odio fanatico nei confronti di Cina, Russia, e tutti coloro che, ad ogni livello, non sono d’accordo con la sua ideologia. Piace lo stile di Mario Draghi: uomo algido, altero, elegantemente sussiegoso, fiero del suo status di privilegiato e che tratta i subalterni, ad esempio i giornalisti ma anche deputati oppure alti burocrati, restituendo il vero significato delle loro mansioni: servitori a vario livello. Adesione alla fanatica ideologia atlantista e dell’aristocrazia apolide del denaro che ha immediatamente trovato in Enrico Letta un entusiasta emulo, tanto da immolare il suo stesso partito in nome del draghismo, e ora Giorgia Meloni. Gli americani sono contenti di questi adepti come confermato da Edward Luttwak “Letta e Meloni ambedue conoscono tutti i dossier in ogni dettaglio – cosa rara fra i politici del mondo – Letta da ricercatore (AREL), mentre la Meloni ha fatto tutto da sola. Se diventa Presidente del Consiglio sarà leader intellettuale fra i G-7, dando una voce all’Italia per la prima volta” (Tweet del 9 settembre 2022). Giorgia Meloni è piaciuta a Mario Draghi, come un esecutore scelto dal mandante, il quale si è opportunamente sottratto alla probabile macelleria sociale che caratterizzerà l’Italia nel 2023.

Concludendo questo articolo, avanzo un dubbio in capo al presidente del Consiglio, un dubbio che sorge dalla grande letteratura del XIX secolo. Il 6 dicembre scorso Giorgia Meloni si è trovata nel palco reale della Scala di Milano, accanto al Presidente della Repubblica, a quello della Commissione europea, al gotha della borghesia milanese, a personaggi famosi eccetera. Essendosi comportata finora bene, compreso l’invio di armi e denaro al pupazzo degli americani Zelensky, l’accoglienza di “pubblico e critica” è stata eccellente. Tuttavia, agli occhi di un Mario Draghi e di una Ursula von der Leyen, veri fascisti dei nostri tempi, la Meloni viene guardata comunque con un misto di sospetto e disprezzo: sospetto perché a differenza del burattino Zelensky, questa donna ha una sua storia politica che potrebbe non renderla totalmente etero-dirigibile; disprezzo perché in ogni caso il capo del governo italiano è originaria del quartiere popolare romano della Garbatella, non ha fatto le scuole esclusive dell’upper class, non ha parentele e aderenze nel “gran mondo”, un livello inferiore rispetto, ad esempio, ad un Enrico Letta. Per i signori del denaro Giorgia Meloni per ora rimane un’abile “missina” ma non è ancora una fascista del XXI secolo.


* Studioso, esperto di questioni internazionali, collaboratore di "Cumpanis"

Comments

Search Reset
0
Massimo
Saturday, 07 January 2023 13:36
Quindi se Draghi. la Der Leyen, Letta e compagnia, i radical-chic e tutti coloro che si battono per i diritti civili sono fascisti, mentre la Meloni, essendo nata alla Garbatella, e'una di noi, che ci resta da dire: Meloni facci sognare!
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Massimo
Saturday, 07 January 2023 13:31
Quindi Draghi, la Der Leyen, Letta, i radicali chic a questo punto tutti i partiti e i movimenti che si battono per i diritti civili sono fascisti, mentre la Meloni, essendo nata alla Garbatella. è una di noi. Meloni facci sognare!
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit