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Uno scandalo bipartisan: i ricchi, gli arricchiti

di Goffredo Fofi

consumismoGli economisti sanno bene che le disuguaglianze tra i ceti sociali e le persone vanno crescendo a vista d’occhio (cominciano a rendersene conto anche in Italia, anche se i più, e non importa di che schieramento, fingono di non vedere o elaborano effimere ricette destinate a scontrarsi con l’avidità e la amoralità della classe dirigente, di cui peraltro sono parte integrante). Per consolarsi, dicono che però diminuiscono quelle tra i popoli, e fanno l’esempio della Cina e dell’India ma tacciono di tanti altri paesi e del continente africano. Nel quadro complessivo il peso centrale dell’impoverimento dei più è dato certamente dal predominio della finanza sulla produzione: la dimensione finanzaria sopravanza quella prettamente economica e cioè la realtà, ed è questo a permettere gli arricchimenti più facili e improvvisi di chi con la finanza sa giocare e di chi sta loro attorno.

Se aggiungiamo a questo quadro l’assenza di una funzione ridimensionante del sistema fiscale, di cui la politica si serve con molta disinvoltura, attentissima a farsi amici coloro che i soldi sanno farli e maneggiarli, non c’è da stare allegri e certamente non si può essere ottimisti sul nostro futuro. Sul futuro delle maggioranze.

Capisco poco di economia, ma fin qui ci arrivo anch’io.

So anche benissimo che le maggioranze non sono innocenti, e che si meritano questo e altro, essendosi lasciate irretire, compresi i proletari, nel perverso gioco delle suggestioni pubblicitarie. Non aveva torto Godard quando in un film degli anni in cui il consumo di massa esplodeva, ne interruppe la narrazione con la scritta a pieno schermo: la pubblicità è il fascismo del nostro tempo. Era una formula incandescente, essenziale, estrema, della cui verità ci si è resi conto molto lentamente e i più non vogliono rendersi ancora conto. Si indicava con quello slogan una forma moderna di dittatura sulle coscienze, illuse che la loro libertà consistesse nella loro capacità di consumo e consideranti il consumo come la misura di tutti i valori. Lo si poteva anche comprendere, in quegli anni, perché si avevano alle spalle, e ancora non erano del tutto finiti, gli anni della scarsità (ed era questa la ragione di alcune polemiche con Pasolini, che vedeva lucidamente ma forse astrattamente i pericoli dello sviluppo senza progresso). Si può comprendere l’ansia che pervadeva i nostri connazionali degli anni del boom e quella di chi oggi vive in contesti di fame, con tutte le preoccupazioni che ne conseguono – prima fra tutte l’insicurezza del futuro per i propri figli e non solo per sé. Si comprende però molto meno la disattenzione degli intellettuali su questi temi, se non in chiave di complicità.

Si comprende infatti benissimo il servilismo dei media nei confronti della pubblicità, anima dei loro commerci. Si comprende meno bene l’atteggiamento della Chiesa, mai così cauta come in questi due ultimi papati nei confronti dei ricchi, una Chiesa che sembra considerare anche ufficialmente i ricchi come i suoi più ovvi e diretti alleati, pronta a tollerarne tutte le ipocrisie (compresa quella di essere, mettiamo, nella realtà abortisti e nelle dichiarazioni pubbliche antiabortisti: ma siamo per l’appunto un paese cattolico). E naturalmente si comprende molto poco quello della sinistra, che è sempre stata, nella sua ufficialità, molto opportunista. Enrico Berlinguer, nei suoi ultimi anni di vita – e io considero la sua morte causata dalla politica, come quella di Moro e come quella del nostro Langer – sembrò comprendere con tragico ritardo tutta l’importanza che rivestiva il problema dell’austerità, cioè, in sostanza, della riduzione dei consumi – per il futuro del paese e del pianeta. Ma ricordo ancora la mia irritazione di fronte alle battutacce dei compagni (anche quelle di molti insospettabili amici, ma soprattutto quelle dei membri del suo partito) sul suo irrealismo, una reazione che peraltro era coerente con le più antiche convinzioni dei dirigenti e intellettuali della Terza Internazionale. (Esprimendo il mio scandalo per la ricchezza spavalda di un artista comunista, un conoscente molto perbene che era anche membro del Cc del Pci mi rispose sbalordito: ma che marxista sei? sei ancora fermo a queste cose?) Ma la ricchezza nasce dal furto, dissero i socialisti dell’Ottocento, e non avevano torto.

Non c’è da stupirsi dunque delle morali correnti oggi, e del rapporto con la ricchezza e con il consumo che hanno tanti bei nomi, a sinistra come a destra. La riduzione dei consumi è un bello slogan, ma da lì a praticarla ne corre! Come la maggior parte dei nostri connazionali anche la nostra sinistra ama dire A, fare B e pensare C, dice un amico, che poi anche lui…

Il consumo è, peraltro, consumo del superfluo – e a volte di un superfluo che è dannoso per la sorte di tutti, e gli esempi sono mille e mille, dall’eccesso di automobili a quello dei prodotti di bellezza. La cultura della ricchezza e del superfluo è penetrata in tutte le coscienze, ed è diventata cultura unica; è diventata, oltre ogni menzogna ideologia, progetto unico. Una generale laicizzazione (che significa anche scomparsa di un super-io etico) riguarda tutti, compresi, e infatti ne parlano sempre meno, i sacerdoti, che sembrano essersi convinti anche loro che non ci saranno mai più per la ricchezza e per i suoi abusi e per le ingiustizie mostruose che essi comportano, punizioni di sorta, né nell’al di là dei morti (l’inferno) né nel futuro dei vivi (le rivoluzioni). Salvo le punizioni che immancabilmente deriveranno, e stanno già derivando dall’abuso. Ma di queste cose si preoccupa chi pensa al domani, mentre la cultura del nostro tempo, la cultura dell’eterno presente, sembra aver abolito insieme a ogni riflessione sul passato ogni idea e ogni progetto di domani.
Per secoli e secoli la ricchezza è stata considerata, con l’omicidio, il peggiore dei peccati, strumento privilegiato di Satana (e l’oro era lo sterco del diavolo). Oggi è venerata e idolatrata da tutti coloro che stimano la vita degna di venir vissuta solo se si ascende ai consumi esclusivi, all’Olimpo dei vecchi e dei nuovi ricchi, e invidiata dai poveri che non sanno come accedervi, e che mai vi accederanno compresi i nuovi poveri, vittime dell’economia contemporanea e del suo delirio. Anni fa, quando morì uno dei massimi responsabili del degrado ambientale e civile dell’Italia, il nefasto Agnelli, tutto il popolo lo pianse, ricchi e poveri, onesti e ladri, maschi e femmine, credenti e non credenti, sapienti e analfabeti, artisti e... operai. Fu davvero una data fatidica, il punto di un non-ritorno.

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