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Come il Mes. Anche il Recovery fund ha le condizionalità

di Alessandro Somma

01 BACHECA Altan lEspresso 5luglio2020Fake news

A prescindere da come si valuti la reazione dell’Europa all’emergenza sanitaria e alla relativa crisi economica, la conferma della sua irrimediabile inadeguatezza o il segno di un nuovo inizio, occorre riconoscere che le iniziative intraprese sono circondate da una vera e propria coltre di notizie false.

Non corrispondono al vero i numeri che descrivono l’entità dell’assistenza finanziaria, perché si presentano come direttamente stanziate dall’Europa cifre che saranno eventualmente mobilitate dai fondi messi a disposizione. Esemplare quanto detto dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha parlato di uno sforzo complessivo di 2400 miliardi per contrastare la crisi: una dichiarazione cui ha reagito duramente il Parlamento europeo, che ha messo “in guardia la Commissione contro il ricorso a sortilegi finanziari e a dubbi moltiplicatori per pubblicizzare cifre ambiziose”[1].

E che dire del dibattito surreale sul cosiddetto Mes sanitario, che si ritiene possa essere attivato a condizionalità leggere: il solo “impegno a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento nazionale dei costi diretti e indiretti per la sanità, le cure e la prevenzione”[2]. Certo, questa possibilità è stata confermata in una lettera del Vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e dal Commissario per l’economia Paolo Gentiloni[3]. E tuttavia questa lettera indica un impegno politico, e in nessun caso può prevalere su quello che dicono le regole giuridiche a proposito di Mes. I Trattati europei stabiliscono che esso fornisce assistenza finanziaria solo se “soggetta a una rigorosa condizionalità” (art. 136 Tfue), e lo stesso precisa il Trattato istitutivo del Mes, aggiungendo che le condizionalità “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12).

C’è poi un regolamento europeo in cui si prescrive ai Paesi assistiti dal Mes una “valutazione della sostenibilità del debito pubblico” (art. 6), la definizione di un “programma di aggiustamento macroeconomico” (art. 7) e un meccanismo di “sorveglianza post-programma” (art. 14)[4]. Si tratta, come si vede, di un quadro normativo che non lascia spazio alcuno alle ipotesi fantasiose sulle quali è incentrato il discorso pubblico, incapace di concentrarsi sulla sostanza dei problemi.

 

Debito comune

Non poche notizie false circondano anche il dibattito sul Fondo per la ripresa (Recovery fund), ovvero sullo strumento pensato per consentire agli Stati, più che di affrontare l’emergenza sanitaria, di sostenere la ripartenza economica. L’ultimo Consiglio europeo ne ha discusso in modo particolarmente animato, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica, che tuttavia si è concentrata unicamente su due aspetti: la cifra complessivamente destinata al Fondo e la tipologia dell’assistenza (sovvenzione o prestito). In questo modo si sono trascurati altri aspetti centrali, trattati dai media con superficialità e a partire da dati non corrispondenti al vero: il reale vantaggio economico derivante dall’accesso al Fondo e il regime delle condizionalità che incide sul suo utilizzo.

Cerchiamo allora di mettere in luce questi aspetti, ripercorrendo le tappe che hanno condotto all’accordo raggiunto al Consiglio europeo. Potremo così identificare il complessivo orizzonte ideologico di riferimento per l’azione dell’Europa, e verificare se davvero la crisi è stata colta come occasione per un cambio di rotta: per mettere in discussione il tradizionale ossequio al neoliberalismo e con ciò la centralità attribuita al mercato quale strumento per redistribuire risorse.

Del Fondo per la ripresa si è discusso fin dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, ma la sua struttura e il suo funzionamento hanno iniziato a prendere forma in seguito a una dichiarazione congiunta della Cancelliera tedesca e del Presidente francese. Nelle loro intenzioni, il Fondo verrebbe costituito con una dotazione di 500 miliardi da erogare sotto forma di sovvenzioni nell’ambito del bilancio pluriennale europeo per il periodo 2021-27. Al suo finanziamento la Commissione dovrebbe far fronte indebitandosi con i mercati “a nome dell’Unione europea” entro limiti prestabiliti: “definendo chiaramente l’ammontare e il periodo di riferimento”. Le somme così raccolte sarebbero impiegate per “investimenti nei settori e nelle regioni più colpite”, tuttavia solo in presenza di “un chiaro impegno” dei beneficiari “a realizzare politiche economiche sane e un’ambiziosa agenda di riforme”[5].

La dichiarazione franco tedesca rafforza la volontà di superare, pur con tutte le precisazioni riferite, un principio finora ritenuto incrollabile: quello per cui all’Unione europea non è consentito indebitarsi, perché questo dispongono i Trattati nel momento in cui precisano che nel bilancio dell’Unione “entrate e spese devono risultare in pareggio” (art. 310 Tfue)[6]. Questa volontà è stata anticipata con la costituzione del Fondo di sostegno alla disoccupazione (Sure), che avrà una capienza sino a un massimo di 100 miliardi presi a prestito dai mercati finanziari, sebbene solo dopo che tutti gli Stati membri avranno complessivamente messo a disposizione 25 miliardi come garanzia di quel prestito[7].

Ci troviamo indubbiamente di fronte a una novità non da poco, se pensiamo che la difesa del principio per cui il bilancio europeo deve essere in pareggio è stata sempre tenace, e non è stata scalfita neppure durante la recente crisi del debito sovrano. Allora, il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso propose di affrontarla emettendo Eurobond, peraltro a beneficio dei soli Paesi disposti ad adottare “tutti gli strumenti necessari per garantire integrazione e disciplina”[8]. La reazione della Germania fu l’elaborazione di un piano per attuare nell’arco di pochi giorni l’uscita dall’Eurozona: opzione considerata fonte di oneri minori rispetto a quelli riconducibili a un sistema di condivisione dei rischi[9].

 

Next generation Eu

I propositi dei leader francese e tedesco sono stati subito ripresi dalla Commissione europea, che li ha precisati nell’ambito di un articolato pacchetto di misure contemplate nella proposta di bilancio pluriennale per il periodo 2021-27[10].

La dotazione complessiva del nuovo bilancio è decisamente superiore a quella dei bilanci: 1.850 miliardi, a fronte dei circa mille stanziati per il periodo 2014-20. Di questi, 750 miliardi fanno capo a uno strumento chiamato Next generation Eu, concepito per destinare risorse, oltre che al Fondo per la ripresa cui spetterebbero 560 miliardi, anche ad altri fondi con cui promuovere la coesione sociale, la transizione verso l’economia verde, il sostegno alle imprese e la resilienza dei sistemi sanitari. Di questa cifra, però, solo i 500 miliardi già menzionati nella dichiarazione franco tedesca sono sovvenzioni: i restanti 250 sono erogati in forma di prestiti, come diremo meglio tra breve[11].

La Commissione propone di finanziare l’intera dotazione di Next generation Eu, e quindi anche del Fondo per la ripresa, ricorrendo a prestiti sui mercati finanziari. Le altre somme deriverebbero invece da un ampliamento del bilancio europeo, ovvero intervenendo sulle risorse proprie. L’ampliamento è per la verità molto contenuto, anche al netto della mancata contribuzione del Regno Unito, dal momento che il quadro pluriennale 2014-2020 aveva una dotazione di circa 1.000 miliardi e ora si vorrebbe passare a 1.100: un incremento davvero modesto alla luce delle sfide che l’Europa afferma di voler affrontare. Le risorse proprie comprendono al momento poche voci, la principale delle quali è un’aliquota del reddito nazionale lordo dei Paesi membri, per un gettito complessivo pari a circa l’1% del reddito nazionale lordo europeo. In futuro questa quota verrebbe raddoppiata incrementando l’aliquota e istituendo nuove risorse proprie, basate ad esempio “sul sistema di scambio delle quote di emissione”, o “sull’attività delle grandi imprese”, o ancora sulla “tassazione del digitale”[12].

Ci sarebbero cioè delle tasse europee, e anche questa non è una novità di poco conto: tanto da legittimare l’ipotesi che le misure proposte per sostenere la ripresa possano avviare un percorso “verso una configurazione federalista del bilancio comunitario”[13]. Tentativi in questo senso si sono fatti ripetutamente, in particolare da parte di un Gruppo ad alto livello voluto dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo, la cui presidenza è stata affidata a Mario Monti. Le proposte elaborate in questo contesto e presentate nel 2016, in larga parte riprese ora dalla Commissione, sono però rimaste lettera morta[14], almeno finora.

Per comprendere il funzionamento del Fondo per la ripresa è decisivo muovere dalla sua base giuridica: la disposizione dei Trattati dedicata alla politica di coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione. Lì si prevede la possibilità di “azioni specifiche che si rivelassero necessarie fuori dai fondi” strutturali già esistenti (art. 175 Tfue)[15]: il Fondo sociale europeo, il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia. Si spiegano così, oltre al carattere eccezionale e temporaneo del Fondo per la ripresa, le cui risorse dovranno essere impegnate entro il 2024, anche le indicazioni circa l’utilizzo dell’assistenza finanziaria, ovvero il regime delle sue condizionalità. Gli Stati membri dovranno impiegare le somme ricevute per la “transizione verso un’economia pulita”, la garanzia di una “ripresa equa e inclusiva” fondata sulla “solidarietà” e sulla “uguaglianza”, il rilancio della sanità pubblica per migliorare “l’accesso all’assistenza, alle diagnosi e alle terapie”, lo sviluppo dei sistemi di protezione sociale per renderli capaci di tutelare i lavoratori ora sostanzialmente esclusi, come in particolare gli “operatori delle piattaforme digitali”[16].

 

Condizionalità

Come si vede, si tratta di condizionalità apparentemente non generate da fervore neoliberale, anche se l’impegno per la coesione sociale non necessariamente implica un cambio di rotta: i neoliberali la promuovono attraverso e non contro il mercato, ovvero rafforzandolo in quanto strumento per la redistribuzione della ricchezza.

E proprio in questa direzione vanno altre indicazioni contenute nelle proposte della Commissione, a partire da quelle concernenti il mercato unico, il cui rafforzamento resta lo sfondo immobile per tutte le azioni volte a promuovere la ripresa. L’assistenza finanziaria erogata nell’ambito di Next generation Eu deve infatti coordinarsi con il ripristino delle libertà limitate dalla pandemia: di circolazione delle persone, dei beni e dei servizi. Occorre poi che la ripresa si accompagni al rilancio e all’ulteriore consolidamento della libertà risparmiata dal coronavirus e considerata l’architrave del modo neoliberale di concepire lo stare insieme come società: la libertà di circolazione dei capitali. È infine centrale il ritorno a una politica della concorrenza epurata dalle misure limitative adottate per fronteggiare l’emergenza, per evitare che determinino “una frammentazione a lungo termine del mercato unico”[17].

Il regime delle condizionalità di matrice neoliberale emerge anche e soprattutto da un’altra indicazione fornita dalla Commissione con specifico riferimento al Fondo per la ripresa: quella per cui l’impiego delle somme erogate, da illustrare in “piani per la ripresa e la resilienza”, deve “contribuire ad affrontare in modo efficace le raccomandazioni” formulate “nel contesto del semestre europeo”[18]. Quest’ultimo è una complessa procedura volta a imporre uno stretto coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio dei Paesi membri, che formalmente sono di loro competenza, ma che di fatto sono fortemente condizionate a convergere verso gli obiettivi stabiliti dal Patto di stabilità e crescita. In questo modo anche il Fondo per la ripresa diviene un espediente concepito per ottenere un simile risultato.

Per misurare la pervasività di questo meccanismo possiamo fare riferimento alle raccomandazioni formulate all’indirizzo dell’Italia nell’ambito del semestre europeo. Non bisogna però consultare quelle relative all’anno in corso, confezionate dopo che il Patto di stabilità e crescita era stato sospeso[19], e con esso l’obbligo di perseguire il cosiddetto obiettivo di medio termine: il pareggio di bilancio o il surplus. Dobbiamo fare riferimento alle raccomandazioni degli anni precedenti, presumibilmente le stesse che verranno formulate quando, nel corso del prossimo anni, il Patto di stabilità e crescita tornerà a funzionare a pieno regime. E l’Italia dovrà riprendere il percorso verso l’obiettivo di medio termine, questa volta partendo da un deficit e da un debito pubblico esploso rispetto ai valori pre-crisi.

Anche le raccomandazioni per gli anni passati contengono richieste che ben potrebbero dar vita a condizionalità decisamente apprezzabili, come l’invito ad assicurare “l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia” per sostenere così “la partecipazione delle donne al mercato del lavoro”. Si impongono però anche la riduzione della spesa pubblica in misura tale da ottenere “un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6% del pil”, quindi l’utilizzo delle “entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico pil” e la piena attuazione delle “passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica”[20].

Insomma, collegare l’accesso al Fondo per la ripresa al semestre europeo significa dover tagliare la spesa sociale in tutti quei settori in cui l’Unione europea non ha esplicitamente deciso di investire. Con la precisazione che anche in questi ultimi non si potrà spendere se non si sarà tenuto un comportamento di bilancio in linea con quanto prescritto dal Patto di stabilità e crescita. Così facendo si azzerano le possibilità di una politica economica non riconducibile ai dettami neoliberali, e si degrada ogni riferimento alla dimensione sociale della costruzione europea a mera clausola di stile.

 

Meno soldi di quanto si dice

Dobbiamo infine valutare il reale vantaggio in termini economici del ricorso al Fondo per la ripresa, considerando le cifre che la Commissione propone di destinare agli Stati e le relative modalità di erogazione. Incominciamo da queste ultime: dei 560 miliardi previsti, 310 saranno concessi sotto forma di “sostegno non rimborsabile in regime di gestione diretta”, ovvero di sovvenzioni, mentre i restanti 250 miliardi sotto forma di prestiti. E questo significa che anche il Fondo per la ripresa, come il Mes sanitario e il Sure, è almeno in parte destinato a incrementare direttamente il debito dei Paesi destinatari, ovvero a peggiorare la loro posizione nel momento in cui il Patto di stabilità e crescita tornerà a funzionare.

Detto questo, sappiamo che l’intera dotazione di Next generation Eu si ottiene attraverso prestiti dai mercati, e non anche ricorrendo all’acquisto dei titoli del debito da parte della Banca centrale europea o ad altre forme di monetizzazione del debito, incompatibili con l’ortodossia neoliberale accolta nei Trattati (art. 123 Tfue). Certo, il debito di cui parliamo è imputabile all’Unione e non ai singoli Stati, ma ciò non toglie che debba essere restituito. E infatti la Commissione propone che questo si realizzi “attraverso i futuri bilanci dell’Unione europea non prima del 2028 e non oltre il 2058”[21].

La restituzione del debito contratto dall’Unione per il finanziamento di Next generation Eu può avvenire in tre modi. Si possono utilizzare somme derivanti interamente dalle risorse proprie, ma questo è altamente improbabile, e comunque almeno in parte connesso con un incremento della pressione fiscale sui cittadini europei: quindi con una corrispettiva riduzione degli spazi di fatto lasciati al livello nazionale. In alternativa si possono ridurre i trasferimenti ai Paesi membri, ad esempio quelli provenienti dai fondi per la coesione, il che danneggerebbe quelli abituati a farvi affidamento. Infine si potrebbero incrementare le contribuzioni nazionali al bilancio europeo, e questo comporterebbe il ridimensionamento, se non l’annullamento, dell’effetto redistributivo riconducibile al criterio di ripartizione degli importi erogati dal Fondo per la ricostruzione: “calcolati in base alla popolazione, all’inverso del prodotto interno lordo pro capite e al relativo tasso di disoccupazione”[22].

Ma non è tutto. Per conoscere il reale beneficio derivante ai singoli Stati dagli importi assegnati attraverso Next generation Eu, occorre considerare la differenza tra questi e il contributo dovuto al bilancio europeo nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2021-27. Per l’Italia la Commissione ha ad esempio stimato che, a fronte di un trasferimento complessivo di 153 miliardi, il Paese dovrà contribuire al bilancio europeo per 96 miliardi, sicché il trasferimento netto ammonta a 57 miliardi[23]. Una cifra non certo trascurabile, eppure distante da quella da cui muove il dibattito pubblico attorno alle proposte avanzate dalla Commissione per finanziare la ripresa.

 

Il Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020

Veniamo infine all’ultima riunione del Consiglio europeo, quello conclusosi con l’approvazione del Programma Next generaton Eu e del bilancio pluriennale collegato, quello per gli anni 2021-27[24]. Con l’occasione non si sono modificati gli importi complessivi: il Programma continua ad avere una dotazione di 750 miliardi, tutti recuperati attraverso prestiti dai mercati finanziari. Diminuiscono però le risorse dato a titolo di sovvenzione, che complessivamente scendono a 390 miliardi, a fronte di un aumento delle somme date a prestito, che ammontano ora a 360 miliardi. Il Fondo per la ripresa viene portato a 672,5 miliardi, con i prestiti che superano le sovvenzioni: sono rispettivamente 360 e 312,5 miliardi. Il resto delle somme, pari a 77,5 miliardi, sono destinate ai programmi minori, il cui finanziamento viene dunque ridotto[25].

Il bilancio pluriennale 2021-27 subisce invece una piccola sforbiciata e passa a 1074 miliardi, con ritocchi anche sui contributi di alcuni Stati contributori netti: quelli che di norma destinano al bilancio europeo più fondi di quelli che ricevono da Bruxelles. I ritocchi riguardano soprattutto i Paesi che avrebbero voluto dotare il Fondo per la ripresa di risorse date soprattutto a prestito: sono stati cioè utilizzati come merce di scambio per ottenere l’approvazione di Next generation Eu. Lo strumento utilizzato sono i rebates, ovvero gli sconti accordati sulla scia di un risalente accordo concluso con il Regno unito, che per primo ottenne il varo di un meccanismo di correzione al ribasso delle contribuzioni dovute, poi esteso a tutti gli Stati “con onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità”[26]. Non stupirà allora se, oltre alla Germania, sono stati beneficiati da questo meccanismo la Danimarca, l’Olanda, l’Austria e la Svezia.

Vi sono state decisioni importanti anche per quanto attiene alla gestione dell’assistenza finanziaria, di norma spettante alla Commissione. Ebbene, i Paesi da ultimo menzionati hanno voluto contenerne il peso, in quanto la reputano troppo morbida con i Paesi in difficoltà. E hanno ottenuto di attribuire nel merito un ruolo preminente al Consiglio: l’organo in cui sono rappresentati gli Stati, che dovrà decidere a maggioranza qualificata, con la possibilità dunque di costituire minoranze di blocco. La Commissione valuterà i “piani nazionali per la ripresa e la resilienza in cui è definito il programma di riforme e investimenti dello Stato membro interessato”, ma sarà il Consiglio ad approvarli. Si prevede inoltre un coinvolgimento del Consiglio europeo nel caso in cui anche un solo Stato reputi che “vi siano gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali”[27]. Non è il diritto di veto sull’utilizzo dei fondi di Next generation Eu voluto dall’Olanda, ma non siamo troppo lontani.

Infine il Consiglio europeo ha ribadito e precisato che il sostegno alla ripresa deve essere utilizzato per promuovere “una sana governance economica”. Si precisa infatti che “il collegamento tra le politiche di finanziamento dell’Unione e la governance economica dell’Unione” deve comportare la possibilità per la Commissione “di richiedere revisioni o modifiche dei programmi pertinenti al fine di sostenere l’attuazione delle pertinenti raccomandazioni del Consiglio o di massimizzare l’impatto dei fondi sulla crescita e sulla competitività”. Agli stessi fini la Commissione può anche “proporre al Consiglio di sospendere integralmente o in parte gli impegni o i pagamenti a favore di uno o più programmi di uno Stato membro che omettesse di intraprendere azioni efficaci nel contesto del processo di governance economica”[28].

 

Un assist agli euroscettici

È stato calcolato che, rispetto alla proposta originaria della Commissione, l’accordo uscito dal Consiglio europeo è migliorativo dal punto di vista delle risorse destinate all’Italia, che ammonterebbero ora a 207 miliardi[29]. L’incremento sarebbe davvero notevole, se utilizziamo come raffronto i 153 miliardi emersi dalla precedente stima della Commissione: forse il primo valore è stato sovrastimato, o il secondo sottostimato, o sono avvenute entrambe le cose. Detto questo, bisogna considerare che, a fronte dei ritocchi al bilancio europeo, la quota di contribuzione spettante all’Italia potrebbe aumentare, e ridimensionare se non annullare l’incremento a livello di saldo finale. Inoltre, a un decremento delle sovvenzioni accompagnato a un aumento dei prestiti, si determinerà anche un aumento del debito pubblico, e con esso una ricaduta negativa sul posizionamento rispetto ai parametri presidiati dal Patto di stabilità e crescita.

Insomma, il sostegno dell’Europa alla ripresa economica porta con sé alcune novità di rilievo: come in particolare la scelta di contrarre un debito comune e il possibile avvio di un sistema fiscale sovranazionale. Detto questo, il contributo destinato ai singoli Paesi incrementerà il loro debito immediato, se erogato sotto forma di prestito, o quello futuro, se consiste in sovvenzioni: la dotazione di Next generaton Eu, interamente recuperata dai mercati finanziari, dovrà essere ripagata attraverso i futuri bilanci europei e dunque attraverso le contribuzioni dei Paesi membri, inclusi evidentemente quelli beneficiati dal Fondo per la ripresa.

Si può anche sostenere che il tutto sia comunque conveniente, soprattutto se si pensa che tra il 2012 e il 2018 l’Italia è stato contributore netto nei confronti dell’Unione europea per circa 36 miliardi. Non è però conveniente nella misura indicata nel prevalente dibattito pubblico, e soprattutto non lo è se si tiene conto delle condizionalità agganciate all’utilizzo di Next generation Eu: la sostanziale cessione della sovranità fiscale e di bilancio, e probabilmente il vincolo a realizzare nuovi piani di privatizzazioni e dismissione di quel poco di patrimonio pubblico rimasto.

Di questo si dovrebbe parlare. E invece il discorso pubblico è caratterizzato da posizioni ideologiche e preconcette, e a monte inquinato da notizie false o quantomeno confezionate ad arte per produrre consenso attorno alle politiche europee. Così facendo però, si creano le condizioni per un brusco risveglio dell’opinione pubblica, e quindi per il repentino mutamento degli umori politici, a tutto vantaggio delle forze euroscettiche.


NOTE
[1] Risoluzione del Parlamento europeo sul nuovo quadro finanziario pluriennale, le risorse proprie e il piano di ripresa del 15 maggio 2020, P9_Ta-Prov(2020)0124.
[2] Report on the comprehensive economic policy response to the Covid-19 pandemic del 9 aprile 2020, www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic.
[3] Letter from Executive Vice-President Dombrovskis and Commissioner Gentiloni to Eurogroup President Centeno clarifying how the Commission intends to carry out surveillance in the framework of the ESM’s pandemic crisis support del 7 maggio 2020, undefined
[4] Regolamento sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri nella Zona Euro che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria del 21 maggio 2013, 472/2013/Ue.
[5] Così il comunicato predisposta dall’Ufficio stampa del governo tedesco: A French-German initiative for the European recovery from the coronavirus crisis del 18 maggio 2020, www.bundesregierung.de/resource/blob/973812/1753772/414a4b5a1ca91d4f7146eeb2b39ee72b/2020-05-18-deutsch-franzoesischer-erklaerung-eng-data.pdf?download=1.
[6] La Comunità economica europea emise invece debito comune all’epoca della crisi energetica, attivando il Community loans mechanism: cfr. S. Horn, J. Meyer e Ch. Trebesch, European Community Bonds since the Oil crisis: Lessons for today?, in Kiel Policy Brief, 136, 2020.
[7] Regolamento che istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (Sure) a seguito dell’epidemia di Covid‐19 del 19 maggio 2020, 2020/672/Ue.
[8] Cfr. Rinnovamento europeo - Discorso sullo stato dell’Unione del 28 settembre 2011, undefined
[9] M. Hesse et al., Am Abgrund, in Der Spiegel del 28 novembre 2011, www.spiegel.de/spiegel/print/d-82244908.html.
[10] Comunicazione Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione del 27 maggio 2020, Com/2020/456 def.
[11] Comunicazione Il bilancio dell’Ue come motore del piano per la ripresa europea del 18 giugno 2020, Com/2020/442 fin. 2.
[12] Ivi, p. 4 s.
[13] V. Giacché, Audizione presso la Commissione XIV della Camera dei deputati dell’11 giugno 2020, www.centroeuroparicerche.it/wp-content/uploads/2020/06/20200611AudizioneCER20200611_R6_ok.pdf, p. 28.
[14] Cfr. Future Financing of the Eu. Final Report and Recommendations of the High Level Group on own Resources (dicembre 2016), undefined Del Rapporto esiste una sintesi in italiano: Gruppo ad Alto livello sul futuro delle risorse proprie, Sintesi e raccomandazioni, undefined
[15] Proposta di Regolamento che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza del 28 maggio 2020, Com/2020/408 fin. p. 4.
[16] Comunicazione Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione del 27 maggio 2020, cit., p. 6 ss.
[17] Comunicazione Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione del 27 maggio 2020, cit., p. 6 ss.
[18] Proposta di Regolamento che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza del 28 maggio 2020, cit., p. 3.
[19] Comunicazione sull’attivazione della clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita del 20 marzo 2020, Com/2020/123 fin.
[20] Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2019 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2019 dell’Italia del 5 giugno 2020, Com/2020/512 fin.
[21] Comunicazione Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione del 27 maggio 2020, cit., p. 4.
[22] Cfr. Proposta di Regolamento che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza del 28 maggio 2020, cit., p. 8.
[23] Commission staff working document Identifying Europe’s needs del 27 maggio 2020, Swd/2020/98 fin., pp. 43 e 51.
[24] Per una sintesi v. la nota predisposta dagli uffici studi di Camera e Senato, Esiti del Consiglio europeo straordinario – Bruxelles 17, 18, 19 20 e 21 luglio 2020, www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01161684.pdf.
[25] Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, Conclusioni della Presidenza, undefined, p. 6.
[25] Ivi, p. 5.
[26] Consiglio europeo del 25-26 giugno 1984, Conclusioni della Presidenza, www.consilium.europa.eu/media/20671/1984_giugno_-_fontainebleau__it_.pdf, p. 2.
[27] Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020, Conclusioni della Presidenza, cit., p. 6.
[28] Ivi, p. 35.
[29] Cfr. la nota predisposta dagli uffici studi di Camera e Senato, Esiti del Consiglio europeo straordinario, cit.

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