Print Friendly, PDF & Email

Il lungo addio all'immagine di mondo occidentale

di Pierluigi Fagan

L’immagine di mondo è il sistema di pensiero col quale pensiamo il Mondo, noi stessi e la reciproca relazione. L’uomo è un essere la cui intenzionalità deriva dalla facoltà cognitiva e quindi è dal come pensiamo che deriva il come agiamo, ciò che facciamo.  Il termine -immagine di mondo-, coniato dal filosofo W. Dilthey[1], stava originariamente a significare una “filosofia” che ha per oggetto i tre punti dati. Ma limitare una immagine di mondo ad una filosofia, cioè al prodotto del pensiero di un pensante, non dà conto dell’intera situazione che è data anche dalla condizione esistenziale e socio-storica dei pensanti, dalle condizioni di pensabilità che limitano il pensabile, dalle condizioni storico culturali in cui si trovano gli oggetti del pensiero.

Senza questa necessaria ricostruzione, non si capisce il perché noi stagniamo in questo lungo addio, quali sono le ragioni per cui l’addio debba essere radicale ed urgente mentre il distacco sembra essere così dilaniante e difficile. Perché tardi il formarsi di principi che possano farci pensare una nuova immagine di mondo senza la quale, rimarremo aggrappati a quella vecchia anche se questa non sostiene più alcuna nostra valida inferenza, né sia più in grado di prescrivere azioni sensate sul mondo, proprio quando l’andamento del mondo richiederebbe invece un nostro urgente intervento.

Proviamo a vedere dunque quali sono queste ragioni, le ragioni che ci portano a questo pericoloso impasse.
 

A) Vivere il più a lungo possibile.

La prima di queste ragioni ha origini storico-biologiche. Rimanendo in un arco di tempo stretto un secolo, l’età media della popolazione mondiale passerà dai 23 anni del 1950 ai 36 del 2050, un incremento più del +50%. I giovani (0-14 anni) passeranno dal 34% al 21%, cioè a ridurre il loro peso da un terzo ad un quinto; gli anziani (60+) quasi triplicheranno, aumentando il peso da meno di un decimo (8.2%) ad un quinto (21.1%). Giovani e anziani, per la prima volta nella storia del mondo, avranno lo stesso peso demografico. Questa dinamica è però una media da scomporre poiché il risultato mondiale è sintesi di una dinamica forte all’invecchiamento dei paesi più sviluppati, in parte compensata da una natalità-mortalità più tradizionale nei paesi meno sviluppati. In Occidente (nell’accezione imprecisa coincidente con “paesi più sviluppati”) gli anziani triplicheranno (da 11.7% del 1950, al 33.5% del 2050) e saranno più del doppio dei giovani (33.5% vs 15.5%), quasi il triplo in Europa (36,6% vs 13.9%), più del triplo nell’Europa occidentale e meridionale dove toccheranno l’incidenza di 4 su 10 (i giovani saranno 1,2 su 10)[2].

Ci siamo limitati ad un secolo, partendo dal 1950, ma l’immagine di mondo occidentale non si formò certo nel 1950. Se estendiamo l’analisi  arrivando ai tempi della prima modernità, allora le speranze di vita media in Europa superavano di poco i 30 anni, oggi gli 80. La vita individuale ha dunque un respiro temporale del tutto diverso dal passato, l’arco esistenziale è quasi triplicato, la terza età che prima era un progressivo lasciarsi andare verso la chiusura della pratica esistenziale diventa quasi pari in estensione alla maturità. Ne conseguono cascate di cambiamenti. Sul piano sociale certo, il problema del lavoro e dell’assistenza, della salute e della qualità di vita, la lotta tra gerontocrazia e nuove generazioni sempre più sottili ed incerte. Ma prima ancora, sul piano esistenziale.

La lunga età porta una completamente nuova cadenza esistenziale, la vita non sarà più l’andare incontro ingenui e speranzosi, tonici ed esuberanti, incontro alle opportunità che celano la loro faccia problematica. Sarà l’andare incontro circospetti e conservatori incontro a rivoluzioni strutturali, problematiche e permanenti. La forza sovversiva ed innovatrice della rara gioventù, sarà sistematicamente repressa da una maggioranza di disincantati a cui si pone il problema centrale di amministrarsi e conservarsi, nel mentre intorno si producono continui e disorientanti cambiamenti. Il modello dell’esistenza fiammeggiante lascia il campo ad un più lento svolgersi di tempo da riempire di senso, la vecchiaia sarà un interamente nuovo spazio vitale da riempire di nuove intenzioni. Le verità apparenti che fanno da perno ad ogni sistema di pensiero, non potranno esser sfidate da spiriti rivoluzionari a priori, potranno solo esserlo da spiriti scettici a posteriori, stante il limite intrinseco del fatto che lo spirito scettico è strutturalmente critico ma non costruttivo. Nulla delle nostre immagini di mondo, si offre come guida per questo profondo cambio di atteggiamento. La nostra immagine di mondo a cui fatichiamo il dare addio, non dice nulla su i problemi  della nostra nuova condizione esistenziale che, di per sé, non è naturalmente orientata al cambiamento.
 

B) Vivere il meglio possibile.

La seconda ragione di questo impasse del pensiero occidentale è a sua volta il senso di terminazione della vigenza della tradizione socio-storico-culturale accumulata in quel periodo secolare a cui diamo nome di modernità. Questa epoca è giunta al termine nelle sue strutture portanti prima che il pensiero ne ratifichi la crisi stessa:

1)      La modernità sul piano sociale ha visto un lungo incremento costante di partecipazione attraverso l’estensione e diversificazione del lavoro e l’estensione della partecipazione politica giunta ai pieni suffragi universali tra l’inizio e la metà del secolo scorso. Quanto al lavoro, la nuova condizione è che il repentino l’incremento complessivo della popolazione mondiale sviluppatosi nella seconda metà del secolo scorso, ha portato pari incremento della forza lavoro complessiva e quindi dell’output produttivo globale, ulteriormente incrementato dagli aumenti di produttività offerti dall’evoluzione tecnica.

Questa vera e propria inflazione produttiva retroagisce come incremento della disoccupazione occidentale. Le nostre vite più lunghe non potranno esser dedicate a lavorare di più, più a lungo, senz’altro perché l’inflazione produttiva che continuerà a crescere non chiede più lavoro e più produzione. Non lo chiede la qualità della nostra vita tanto più piena di cose inutili, quanto più scarsa di tempo e di senso. E non lo chiede anche quella Natura posta in condizioni di perdurante stress dalla sempre maggiore estrazione di materie ed energie e dalla pari quantità di scarti che cicli sempre più compressi di  produzione-consumo, creano a ritmi esponenziali. Le nostre società fondate sul lavoro vedranno assottigliarsi il proprio fondamento.

Altresì, la partecipazione politica giunta nel dopoguerra alla sua piena realizzazione con passioni forti, partiti che muovevano speranze e certezze, dispute universali tra conservatori e progressisti, è oggi giunta alla sospensione di incertezza, lì dove la politica sembra aver perso il suo oggetto. Calano gli indici di partecipazione, quelli al voto come quelli alla pratica politica dentro le organizzazioni. I conservatori non sono più quelli di una volta ed anzi sembrano dei rivoluzionari che vogliono compulsivamente “liberare” non si sa bene cosa dai fatidici lacci e lacciuoli, immagine eroica ma che nella sua forma forte non corrisponde ad alcuna sostanza reale poiché gli “animal spirits” evocati da questi medium dell’essenza prometeica occidentale, vivono ancora nel ricordo di quel XIX° secolo o della ricostruzione post-bellica che è un altro tempo, di un altro mondo, che non è più, né più ritornerà ad essere. Essendo correlati come le particelle entangled della meccanica quantistica, anche i gemelli diversi dei progressisti sono patetici. Non sanno più verso dove progredire, hanno smarrito il senso della propria vocazione perché gli uni (i conservatori) e gli altri (i progressisti) si atteggiavano rispetto ad un corso storico dato, erano due atteggiamenti relativi ad un moto proprio del Mondo, l’uno frenante, l’altro accelerante. Oggi il moto proprio non c’è, c’è stasi e semmai regresso, per cui la conservazione ed il progresso, nel regresso, non hanno più senso. Progresso avrebbe senso semmai come scarto, come “altro”, come radicale salto su binari diversi, ammesso possa intendersi il corso socio-storico prossimo futuro come dotato di binari, cosa sulla quale non farei alcun affidamento. Più che un progresso, s’imporrebbe -un salto- che è categoria del moto del tutto diversa. Così i conservatori incitano a gettarsi senza freni verso il mondo che -non sarà più come lo abbiamo sempre conosciuto-, sarà cioè peggiore e i progressisti frenano recuperando onirici mondi di piena occupazione, diritti, più stato e meno mercato, il fatidico mondo migliore che però è nel passato. Ne consegue il non-senso politico poiché le categorie non hanno più contenuto relativo e soprattutto sembrano entrambe non avere più contenuto attinente alla realtà del mondo possibile. La politica non ha più progetto perché la sua giovane tradizione aveva come oggetto un flusso imperioso di opportunità prodotto dalla posizione occidentale nel mondo. Da quel canale oggi arrivano solo problemi di una complessità apparentemente eccedente le nostre facoltà di gestione. I problemi di natura sistemica, che arrivano a toccare l’ontologia stessa dei sistemi, chiederanno un tipo completamente nuovo di politica, un modo che non consociamo ancora. Lavoro e politica, i due assi del senso sociale occidentale, non sostengono più le proprie promesse di partecipazione, la società si disintegra e con essa buona parte del senso esistenziale dell’individuo. Vivremo più a lungo, ma come e per far cosa ci appare un mistero.

2)      La modernità sul piano storico si è espressa nelle traiettorie delle entità politiche e di quelle economiche. La modernità nasce proprio all’intersezione delle due, quando l’escalation della interrelazione conflittuale interna europea, richiede eserciti sempre più grandi e costosi, oltre la soglia compatibile con la scala feudale. Il re diventa prima una bandiera comune di più feudi, poi al re comincia a corrispondere un regno, un sistema territoriale centrale di tipo amministrativo-giuridico e soprattutto fiscale: lo Stato. Allo Stato poi si comincerà a far corrispondere una nazione, un popolo come sistema linguistico-culturale. Nasce lo stato-nazione. Dal XVIII° secolo a cominciare dalla Gran Bretagna, questa entità sociopolitica, nascerà fondandosi su un completamente nuovo tipo di ordinamento, il sistema economico di mercato (detto -capitalismo-) che apparentemente si autogoverna. In realtà è un sistema politico-economico preciso con lo Stato che crea continue  condizioni di possibilità per lo sviluppo economico la cui dinamica produce ordine sociale e la cui produzione di ricchezza è tassata da uno Stato che reinveste in condizioni di possibilità per l’ulteriore sviluppo economico. Questa doppia parabola, dello stato-nazione e della sua fondazione sulla libera attività economica promossa da capitali è connotata da tre fasi: la prima è quella della concorrenza europea tutta interna al continente, la seconda è quella di una concorrenza interna giocata però per gran parte in un mondo ridotto a colonia, la terza è la fine della parabola europea nel doppio conflitto mondiale nel mentre ascende il nuovo centro occidentale americano che sostituisce la modalità dell’impero formale con quella dell’impero informale.

Ciò corrisponde ad una precisa curva demografica. All’inizio  del  XVIII° secolo l’Occidente era ancora il 15% del mondo, nel XIX° secolo la percentuale sale al 21%, all’inizio del XX° siamo al 30% e tale rimane scendendo appena al 29% a metà secolo. Al passaggio del millennio, l’Occidente retrocede il suo peso complessivo a meno del 18% che diverrà 10% nel 2050. In un secolo ci ridurremo come peso relativo, dall’esser stati un terzo del mondo diverremo un decimo. Sul totale Occidente la contrazione è tutta a peso dell’Europa che passa da un 82% di peso relativo dei primi ‘900, ad un 68% dell’inizio millennio, ad un 53% del 2050. L’Europa passa dall’essere stata un quinto del mondo che dominava all’inizio del ‘900, ad un ventesimo nel 2050. Queste redistribuzioni di peso, corrispondono ad una redistribuzione di potenza politica ed economica, anche perché, al di là della demografia, la distanza in termini di vantaggio tecnologico è scesa per l’Occidente ed annullata per l’Europa, la quale non ha in effetti più alcun chiaro e reale vantaggio comparato significativo.  Ne consegue un evidente disadattamento della forma stato-nazionale europea, troppo piccola e fragile per competere con dimensioni di territorio-demografia quali quelle della Cina, dell’India, degli USA, della Russia e del Brasile. Poche o nulle risorse, poca massa demografica, sempre più anziana, mercati interni risibili, forza debole su quelli esterni. Ne consegue anche il disequilibrio permanente derivato dal fatto che il perno ordinante dell’economia non trasmette più benessere ma malessere dato che non si controllano più le produzioni, non si controllano più i mercati, non ci si può più servire delle colonie e del primato mondiale, i sistemi di welfare conquistati nell’espansione post-bellica sono troppo onerosi, la popolazione invecchia a vista d’occhio e mal si adatta a retrocedere le proprie condizioni di vita perché lo impone il riequilibrio dei mercati internazionali aperti come fossimo un unico, comune, villaggio intorno al mercato

Il sacrificio dello stato-nazione sull’altare del nuovo assetto economico globale sarebbe stato problematico in sé, ma visto che il nuovo sistema economico porta solo problemi e pochissime opportunità si perde il senso stesso di questa irrazionale operazione. La modernità iniziata per come la pensava Weber come migliore performance della razionalità, dissolve nella pura irrazionalità.  Ma non appena si forma questa consapevolezza di essere stati portati da élite egoiste ma anche un po’ ottuse, da cattivi maestri o dalle semplici impersonali nuove condizioni del mondo sull’orlo di un baratro e facciamo per volgerci indietro, ci rendiamo conto che anche il ponte che abbiamo attraversato è crollato. E’ il senso politico-economico stesso di sistemi nati secoli fa a non poter esser più tale. Eravamo dei giovani prepotenti al centro di un mondo che dominavamo, dominazione che faceva funzionare i nostri sistemi economici che sostenevano i nostri stati-nazione, ora si promette una lunga ed incerta vecchiaia mentre diventiamo sempre di meno, sempre più periferici, sempre meno autonomi, dipendenti da strutture nate in altre condizioni, che non possono più funzionare come prima. Nulla della nostra immagine di mondo ospita pensiero politico che vada oltre lo stato-nazione, né tantomeno ospita un modo di ordinamento dinamico della società, che non utilizzi come principale l’asse economico.

3)      Sul piano socio-culturale, la nostra civiltà ha compiuto l’intero tragitto della modernità che portò dall’emersione dell’autocoscienza del soggetto orgoglioso della sua autonomia razionale, alla società secolarizzata ora quasi del tutto anomica ed individualizzata. La perdita di senso è stata verticale ed oggi addirittura irrazionale poiché la società,  da sistema si è  liquidata sempre più in aggregato e il valore primario, la ricchezza, diventa un obiettivo sempre più per pochi, sempre più impossibile, sempre meno condiviso perché non distribuito e quindi anche sempre meno dotato di riconoscimento. Ne seguono élite nazionali che si auto-espellono dalle società di riferimento e si allegano in una super-élite de-territorializzata, defiscalizzata, denaturata essendo ormai dedita alla sola riproduzione del proprio capitale tramite scommesse finanziarie, sempre più speculative ed a brevissimo termine, con i cui profitti si compra, tra l’altro, protesi sempre più sofisticate per allungare la propria mortalità e terminali per rendersi la vita piena di nuove occasioni di distrazione. La grande camera sociale delle classi medio-qualcosa (alte-medie-basse) che era il vero baricentro della società moderna occidentale, stringe progressivamente le proprie pareti come nei compattatori d’immondizia. Non è solo una riduzione socio-demografica, è una riduzione del pilone portante, una riduzione del principio speranza, la speranza di potercela fare ed anzi di poter fare di più di come la sorte famigliare ci aveva posto ai nastri di partenza. Lo squeeze produce pochissimi cooptati verso i ranghi alti e moltissimi riversati nella discarica della precarietà ontologica, il che per una popolazione che invecchia non è certo una bella condizione. Essendo di sistema, la crisi in atto non sfocia in lotta di classe perché il problema non è disputarsi il bene tra due metà ineguali, il problema è l’assenza di bene, il fallimento di sistema. Non si tratta di riequilibrare il sistema, ne va pensato uno interamente nuovo, ma nulla della nostra immagine di mondo offre questa possibilità.

La modernità sta finendo e con essa i nostri stati-nazione fondati su sempre meno lavoro, sempre più precario, sempre meno retribuito, terminano le nostre econo-crazie ed i sistemi politici basati sulla democrazia del sondaggio quadriennale, declina il nostro privilegio mondiale che sosteneva il funzionamento dei nostri sistemi economici, si occludono le nostre condizioni di possibilità sociali, la nostra essenza moderna fieramente razionale si scopre irrazionale. Il significato esistenziale dissolve, mentre assolve una vita lunga, interminabile, densa di prospettive preoccupanti da affrontare con mezzi e forze scarse che avremmo preferito dedicare ad impieghi alternativi.

Il nostro pensante si trova in una nuova, inedita, condizione bio-esistenziale, con una vita già vissuta nei tempi in cui i sistemi funzionavano ed una vita da vivere in tempi in cui funzioneranno sempre meno. Si sta formando una asimmetria tra il nostro mondo che dissolve la propria costituzione secolare e l’immagine che noi ne abbiamo che è ancora quella che si è lungamente formata nei tempi in cui il mondo funzionava a nostro vantaggio. Mondo ed immagine non sono temporalmente sincronizzati, l’immagine non legge e riflette il mondo che è, ma quello che fu e non sarà più. Essa cominciò a registrare la sua inadeguatezza già nella seconda metà del XIX° secolo. Come ebbe a notare Hegel in una famosa immagine di civette al calar della sera, la filosofia non è mai sincrona aglii eventi, solo che nel nostro caso la civetta ha registrato la fine del modo filosofico precedente, ma qualcosa ha e sta impedendo il formarsi di un nuovo sistema del pensare. Se la facoltà pensante è ciò che ha prodotto il nostro adattamento al mondo che avveniva, oggi siamo in una condizione disallineata perché il mondo ha fatto un salto e la nostra immagine di mondo non riesce a farlo[3]. Siamo in una pericolosa condizione disadattativa, non sappiamo cosa fare perché non sappiamo più come pensare.
 

C) Vivere di più e meglio ci ha fatto pensare di meno e peggio.

Vediamo allora il livello proprio della nostra filosofia, il livello di quelle idee messe più o meno consapevolmente a sistema, su di noi, sul mondo stesso, sul senso e su i fini della nostra reciproca relazione che chiamiamo -immagine di mondo-. La filosofia occidentale termina di pensare a Io-Mondo e loro relazione con F. Hegel, è suo l’ultimo sistema generale di pensiero. Il sistema hegeliano è un ponte interrotto tra la storia secolare del pensiero occidentale continentale ed un futuro che termina con lui. Sull’altra sponda del baratro, non c’è un pensiero filosofico forte al pari dell’assenza che si registrò nell’Impero romano. L’Impero romano, come il sistema econocratico anglosassone, sono sistemi forti di per loro, basati l’uno sulla prassi della guerra e della conquista militare, l’altro sulla prassi della competizione e della conquista dei mercati. In quanto sistemi forti basati su prassi concrete, non necessitano di pensiero esplicito essendo guidati da alcuni assunti generali fissi che chiedono solo di trarre conseguenze più o meno necessitate. Il sistema hegeliano è l’ultima generazione del pensiero filosofico occidentale che cumula la tradizione precedente, prova ad aprirla ad una nuova curva evolutiva cercando di includere la metafisica perdente (quella dell’antico divenire eracliteo) ma nulla consegue in termini di concrete disposizioni sul modo di vivere, individuale ed associato. Contraddittoriamente, un sistema che voleva includere il divenire, sembra chiudersi in una verità definitiva, lasciandoci sospesi su un ponte che è negato.  Questa assenza, verrà riempita dalla prassi sistematizzata dagli anglosassoni da cui si deduce una immagine di mondo che è poi una versione ulteriore di quella a cui stiamo dando un lungo e doloroso addio, perché non più adattativa alle sorti del mondo reale. La prassi che chiamiamo capitalismo, figliò una simmetrica critica che è la filosofia della prassi marxista. Nel trionfo di queste prasseologie, cominciammo a dare prematuro addio all’interrogazione filosofica più sistematica.  Questo lungo addio ci lasciò  disarmati davanti alla problematica situazione di un mondo nuovo che oggi, infatti, non siamo più in grado di pensare. Non sapendo più come pensarlo, non sappiamo ancora come poterlo agire. Questo buco nero nella nostra cognizione, merita una veloce, ulteriore, approfondimento.
 

Il lungo addio alla metafisica occidentale.

P. Ricoueur ha coniato la felice espressione “scuola del sospetto” per identificare la coscienza critica emergente con i pensieri di Marx, Nietzsche e poi Freud, la coscienza del ruolo falso-coscienziale delle nostre immagini del mondo. Per Marx, le ideologie sono un riflesso razionalizzante ex-post le concrete condizioni materiali del vivere associato, per Nietzsche esse sono verità del tutto relative al servizio di una generica volontà di potenza, per Freud esse sono razionalizzazioni che tentano di resistere e domare il grande disordine dell’inconscio disadattato e straniato dall’incongruenza tra la nostra essenza animale e la sua reclusione nella gabbia della civiltà . Ma si potrebbe anche dire che Freud ha aperto l’abisso dell’Io che si riteneva un Uno razional-monadico e che si rivela in realtà una fragile emergenza di un sottostante contradditorio Molteplice. Marx rivela una società-Mondo Complesso che non ha alcuna Semplice giustificazione divina o naturale, dedita alla prosaica reciproca sopraffazione che sia come detto dallo stesso Marx tra classi o come poi dirà Lenin, tra nazioni. Nietzsche infine toglie il suggello metafisico della verità sotto forma di Assoluto, mostrando l’inestricabile Relatività delle forze in campo. Poiché l’Uno-Semplice-Assoluto è la trinità fondativa della metafisica occidentale che pensa Io-Mondo e reciproca relazione, la progressiva rivelazione di un Io-Mondo e reciproca relazione dotati di Molteplicità – Complessità – Relatività ne compromette irrimediabilmente la verità quanto a corrispondenza. La trinità di queste idee a priori proviene dall’Antica Grecia, venne assorbita e rilanciata dalla cristianità e rimase in vigore nel tratto razionalista-idealista, ancora fino alla metà del XIX° secolo. E’ questa longevità più che bimillenaria che nel frattempo ha intriso il nostro senso comune, le relazioni sociali, le istituzioni sociali  che spiega il perché, ancora oggi, non siamo stati in grado di rivederne ruolo e significato, nonostante sappiamo da oltre un secolo che la trinità ha oltrepassato il crepuscolo. E’ con una tradizione millenaria che dobbiamo fare i conti nel mentre termina anche  il segmento della modernità, siamo cioè capitati nella congiunzione di un doppio tramonto. Con la fine della modernità termina una immagine di mondo ma nel contempo, ci troviamo privi di quella fondazione metafisica a priori necessaria a pensare una altra immagine di mondo, la crisi fenomenologica della filosofia avviene sopra una ancor più grave crisi metafisica ontologica, ci troviamo senza pensieri ma anche senza facoltà di pensarne di nuovi. Nietzsche e Freud disintegrano l’immagine dell’Io occidentale, Marx la rappresentazione del nostro mondo sociale, ma altre disintegrazioni appaiono nel Mondo, anche in quello naturale. Si frantumano soggetti, ma anche oggetti e compaiono ovunque relazioni multiple, problematiche e intrecciate, la coscienza interpretante va a sua volta interpretata ma piombati nell’orrendo circolo riflessivo, chissà più da chi?

Che la filosofia fosse figlia di una metafisica occulta non sorprende, ma che anche la fisica lo sia, per alcuni è un po’ più sorprendente. Temporalmente sfalsata rispetto alla distruzione dei fondamenti coscienziali filosofici, in fisica corre una triplice messa in crisi dell’epistemologia scientifica, colonna portante della modernità. La fisica falsifica la sua metafisica di riferimento e lo fa in tre tappe. Con la termodinamica il mondo preciso e reversibile della meccanica diventa il mondo impreciso ed irreversibile delle relazioni tra molecole e temperature. Non è solo l‘inversione dei significati a colpire, ma la rottura dell’invisibile principio di unitarietà che doveva governare micro e macro, la pre-condizione per pensare il Mondo come dotato di una unica legge normativa, una legge di nuovo, una, semplice e dal valore assoluto. Il mondo si sdoppia per aspetti, all’aspetto certo, preciso e prevedibile della meccanica, si affianca un mondo più incerto, assai impreciso e prevedibile solo statisticamente. Con la relatività i due assi della nostra estetica trascendentale, lo spazio ed il tempo, diventano reciprocamente relativi tra loro e tra loro con noi, con il nostro specifico punto di vista e con la differenza delle velocità di moto tra noi che osserviamo e ciò che osserviamo. Scompare il riferimento terzo ad uno spazio e tempo assoluto. Con la meccanica quantistica si rivela il pozzo senza fondo del microuniverso, ovvero si polverizza il fondamento stesso del principio solido su cui immaginare il mondo, rivelando un mondo in cui la materia risulta esser solo l’emergenza di un sottostante ben più sfuggente: l’energia. Un micromondo sconosciuto, con leggi probabilistiche di comportamenti che non sembrano avere un loro fondamento, che sembrano mostrarsi a noi a seconda di come -e se noi- li osserviamo, un mondo in cui spazio e tempo forse non hanno significato o comunque non quello che abbiamo ritenuto essere una costante per noi autoevidente all’intuizione. E di nuovo, più che dirci qualcosa su come il mondo è, la meccanica quantistica ci dice che il mondo è a seconda della scala che la nostra intenzione ontologica taglia a priori, quello dei quanti non è quello di corpi e forse quello dei corpi del qui ed ora non è quello di miliardi di anni fa o di quello in cui supponiamo esserci ingente materia ed energia che diciamo “oscura” poiché non ne abbiamo visibilità materiale e concettuale. Anche qui, il Mondo non è Uno, non è affatto Semplice, non ha leggi e gerarchie Assolute e la sua conoscibilità dipende da come l’Io vi si relaziona a priori, secondo gli a volte invisibili presupposti posti nella sua metafisica di riferimento.

Dalla filosofia alla fisica, il sistema metafisico occidentale è stato ampiamente falsificato. C’è stato un tempo in cui ci si sentì liberati da questa inutile presunzione metafisica che a lungo aveva tiranneggiato la nostra idealizzata libertà, ma ora ci accorgiamo che senza una metafisica non siamo in grado di fare un pensiero completo, non possiamo darci come oggetto l’Intero, non sappiamo semplicemente più dire cos’è Io, cos’è Mondo e tantomeno cosa potrebbe o dovrebbe esser la loro necessaria relazione. Se non siamo in grado di  pensarlo difficile sarà trovare la soluzione alla nostra nuova ed inedita condizione di disadattamento poiché pensare viene prima di fare. Anche i tentativi ed errori hanno bisogno di una metafisica che li orienti in qualche modo tra le infinite possibilità della complessità del possibile. Tra la falsificazione filosofica e quella fisica, apparve un pensiero subito ingabbiato dentro i canoni dell’immagine di mondo standard, un pensiero che avrebbe avuto un diverso valore se diversamente interpretato. Darwin dipinse quella parte oscurata dalle nostre immagini di mondo, la parte che dice che noi come qualsiasi altro vivente, appariamo in un ambiente con le dotazione di specie ed attuiamo strategie di sopravvivenza per vivere e riprodurci. Per piante ed animali, queste strategie di sopravvivenza sono dettate da precisi vincoli genetici. Anche per noi esistono vincoli genetici ma la loro natura, ha fatto comparire il pensiero autocosciente e quindi noi possiamo adattarci trasformandoci e sincronicamente, trasformando il mondo a cui dobbiamo adattarci. A questo serve l’immagine di mondo, a far da raccordo tra il Mondo e il nostro Io, ponendoci nelle condizioni di immaginare prima ed agire poi, un certo tipo di relazione, una relazione il cui risultato sia reciprocamente adattativo, permettendoci così di soddisfare i nostri due imperativi: vivi il più a lungo ed al meglio possibile. Per osservare i due imperativi ontologici, ne dobbiamo osservare prima uno gnoseologico: pensa di più e meglio. Poiché la nostra storia recente ci ha portato a verificare che i fondamenti del nostro pensare erano assai precari, l’oggetto che dovremmo pensare è cambiato e vieppiù cambierà e la forma delle nostre società ci ha spinto a pensare sempre meno e sempre peggio fallendo l’imperativo gnoseologico, tenderemo a fallire anche quello ontologico. Forse vivremo di più, almeno all’inizio, ma assai peggio.
 

Per una nuova immagine di mondo.

Eccoci dunque in possesso dei costituenti minimi per tornare al nostro punto di partenza e dirci qualcosa sul problema principale, cosa pensare oggi di Io-Mondo e reciproca relazione, pensiero senza il quale non troveremo nessun adattamento alla Nuova Realtà, adattamento senza il quale è l’intera nostra forma di civilizzazione a rischiare un tremendo collasso. La prima questione è che la faccenda così posta, non è chiara ai più. Esiste una secolare dialettica interna all’Occidente, dialettica tra ideologie di classe sociale che si disputano il possesso dell’ordine del mondo. Dialettica  tra scienza e filosofia che si disputano il possesso dell’ordine del pensiero mentre la religione pur perdendo il ruolo ordinativo di primo piano rimane ancora fondativa nelle segrete stanze della metafisica. Dialettica tra filosofie fenomenologiche continentali e filosofie logico-ontologiche anglosassoni, che tra l’altro corrispondono a due modi diversi di essere “occidentali”. Queste dialettiche rischiano di rappresentarsi come un irrazionale litigio tra vagoni di un treno che corre verso dove il binario termina nel Nulla, quel fatidico Nulla che nullifica l’intero treno, i vagoni e le litigiose dialettiche che si disputano un Mondo che non c’è più e visioni del mondo che non hanno più ragione di esistere. Occorre quindi porsi questa serie di problemi per il solo fatto non solo di essere occidentali, ma soprattutto continentali e scuoterci tutti quanti dai lunghi sonni dogmatici che ci portano a pensare il mondo come una essenza eterna, governabile da modelli dotati di una certa idealità a-storica. Il primo compito è uno scuotimento generale delle nostre menti, un nuovo dubitare di tutto che ci riguarda tutti. Senza la primaria presa di coscienza dei particolari descrittivi minimi della situazione complessiva e soprattutto senza la primaria presa di coscienza della necessità radicale di rivedere le nostre convinzioni più profonde, non creeremo alcuna nuova condizione di possibilità per l’apertura ad una nuova stagione di pensiero adattativo-trasformativo

Coloro che si dedicano maggiormente al pensiero, dovrebbero sentire il dovere imperativo di assumere a sé il problema dell’immagine di mondo e delle sue condizioni di pensabilità. Se è la metafisica fondativa che va rifondata c’è un grande lavoro da fare. Avevano ragione i Maestri del sospetto ottocenteschi, le nostre immagine di mondo sono sistemi di idee autofondati, verità autodichiarate, avatar concettuali che giustificano il giorno al calar della sera, che tentano di ripristinare di continuo il precario ruolo di un Io che non è padrone in casa sua, che non dicono il mondo com’è ma come ci piace raccontarcelo, ma ciò non giustifica affatto quel senso di lutto irreparabile che aleggia come nichilismo generalizzato per il quale se non c’è la Verità, allora non vale darci il pensiero di pensarne una. Questo è ancora un atteggiamento infantile. La Verità nei secoli, ha funto da “come se”, è sempre stata un “come se fosse veramente vero che…”, da questo punto di vista l’unica cosa che cambia è passare dal non saper di questa utile finzione e crederci dogmaticamente con convinzione assoluta al crederci con non meno convinzione ma in forma relativa e consapevolmente precaria. Ne potrebbe nascere una nuova apertura, una rinnovata disponibilità al dialogo tra le menti, una sostituzione dell’atteggiamento di definitività con quello di ricerca, magari comune. Alla luce della Verità relativa, va condotta una nuova ricerca collettiva su i fondamenti, fondamenti che riflettano la nuova condizione dell’uomo occidentale, plurale, complesso, relativo.  Che possano fungere da perno sul quale far leva per inaugurare nuove immagini di mondo dalle quali far scaturire la nuova era della costruzione consapevole dell’Io, del Mondo e della loro relazione possibile. Occorre terminare il lungo funerale della Verità, non c’è e non tornerà più con la presuntuosa innocenza arrogante che maledicevamo ma in fondo amavamo perché ci permetteva di fondare stabili immagini di mondo, fondarci su quella -ragione che ha ragione-. Il punto però è che non per forma ma per sostanza, la Verità non c’è mai stata, è sempre stata pura ipotesi, questo era ed è il suo intrinseco statuto ontologico, da sempre. Era un “come se” e come tale possiamo con rinnovata consapevolezza continuare a trattarla, questo è un progresso, fare questo piccolo salto. Vivere come se ci fosse pur sapendo che non c’è, come Dio.

Per ridurre la distanza tra la nostra situazione occidentale e le nuove condizioni del mondo avremmo bisogno di azione, ma per avere azione occorre prima il pensiero e per avere pensiero occorre creare le condizioni di pensabilità, condizioni che affondano le proprie radici in quegli ombrosi ambiti che la tradizione chiamò metafisica. “Dopo la fisica” significa ciò che è nel pensiero umano prima ancora che vi giunga un qualche dato esterno, è il comitato di ricevimento delle percezioni, sensazioni, intuizioni, ciò che entifica, produce concetti, li pone in logiche deduttive ed induttive, crea le condizioni di pensabilità di quei sistemi che chiamiamo immagini di mondo, stabilisce contenuto, statuto ed uso della Verità. Il comitato trascendentale dell’Uno-Semplice-Assoluto va definitivamente sostituito con qualcos’altro, qualcosa di più adatto ad un Mondo e ad un Io che si stanno rivelando dotati di grande molteplicità, complessità e relatività diffusa.

Dobbiamo aprire la mente a nuove ipotetiche verità.
 


 


[1] Si tratta della fatidica –Weltanschauung- .
[2] United Nations, Department of Economic and Social Affairs Population Division: World Population Ageing 1950-2050. http://www.un.org/esa/population/publications/worldageing19502050/
[3] C’è una longeva questione sulla natura dei cambiamenti con due posizioni, al solito, simmetriche: il cambiamento progressivo per cumulazione e il cambiamento gestaltico per salto. In politica, le due posizioni danno vita alla dialettica riformismo-rivoluzione. In fisica dopo il lungo dominio della convinzione sulla progressione che affondava le sue radici nel tempo profondo (“natura non fecit saltus”  locuzione latina ma il concetto risale forse addirittura a Pitagora), ai primi del Novecento si formò l’opposto concetto saltazionista da ciò che emergeva dalla fisica quantistica. La fisica ha sempre condizionato più di ogni altra scienza l’epistemologia poiché, di base, il pensiero umano è per natura metafisico e per oggetto, fisico. Esiste quindi una via breve di relazione tra le due modalità per cui la metafisica impone alla fisica degli a priori che la fisica a volte conferma per lungo tempo ma talvolta falsifica retroagendo sulla stessa costituzione della metafisica che fatica a resettarsi. Anche le interpretazioni della teoria dell’evoluzione (che si dovrebbe chiamare teoria dell’adattamento poiché è una dinamica con un fine immediato e concreto non metafisico) registrano la dicotomia tra i post-darwinisti e le innovazioni saltazioniste di Gould-Eldredge. Come spesso accade e sempre più verificheremo, il problema è nel porre queste due interpretazioni come alternative poiché si presuppone erroneamente, debba esistere un solo posto della verità. Sono semplicemente vere entrambe, cioè si manifestano nell’uno e nell’altro caso. Le immagini di mondo hanno avuto storicamente, cambiamenti progressivi e non saltazionisti. Questo perché una immagine di mondo è un sistema molto complesso, ma soprattutto perché è un sistema dell’autoconsapevolezza di un soggetto umano non però preso singolarmente, ma collettivamente. Il tempo necessario alla sua formazione secondo nuovi assetti, il tempo necessario alla sua condivisione quanto più ampia ed il tempo necessario a confermarne la capacità in base ai feedback provenienti da ciò che gli uomini fanno in base a questo nuovo sistema di pensiero, produce progressione ed esclude il salto. Non inganni il concetto kuhniano di -rivoluzione copernicana- . L’avvento della scienza fu lungamente preparato dalla rivoluzione artigiana del XV° secolo, accompagnata da quella razionalistica in filosofia e comunque impiegò quasi due secoli prima di dar vita a quella -rivoluzione industriale- che in realtà fu anticipata da un moto precedente che è stata chiamato rivoluzione -industriosa- . Nella storia del pensiero il concetto di rivoluzione è un portato del XIX° secolo dovuto alla fenomenologia storica del tempo (mentre il termine è proprio dell’astronomia dei tempi di Copernico) e forse deriva da un effetto ottico che schiaccia gli eventi del passato, quasi avessero una immediatezza causa-effetto che in realtà , non ebbero proprio.


Prima bibliografia di riferimento:
G. Arrighi, B.J.Silver, Caos e governo del mondo; Bruno Mondadori, 2010
Z. Baumann – in pratica quasi tutta la sua produzione più recente
F. Braudel – La dinamica del capitalismo; Mulino, 1981
F. D’Agostini; Introduzione alla verità; Bollati Boringhieri, 2011
W. Dilthey; La dottrina delle visioni del mondo, Guida editori, 1998
S. Freud, Il disagio della civiltà; Bollati Boringhieri, 2003
D. Harvey; La crisi della modernità, il Saggiatore, 2010
G. Ingham; Capitalismo, Einaudi, 2008
A. Koyré; Dal mondo del pressappoco all’universo di precisione; Einaudi, 2000
M. Livi Bacci; Storia minima della popolazione del mondo, Mulino,1985-2002
E. Morin; Il metodo; Feltrinelli, 1983.
L. Martell; Sociologia della globalizzazione; Einaudi 2010
K. Marx, F. Engels; L’ideologia tedesca, Bompiani, 2011
F. Nietzsche, Ecce homo; Adelphi, 2008
S. Ortoli, J-P Pharabod; Metafisica quantistica; Castelvecchi, 2013
K. Pomeranz; La grande divergenza, Mulino, 2004
P. Ricoeur; Dell’interpretazione. Saggio su Freud; il Saggiatore 2002
I. Todd; L’illusione economica, Marco Tropea Editore, 2004
L. Urbani Ulivi (a cura di); Strutture di mondo; Mulino, vol. I 2010, vol. II 2013
G. Vattimo; Addio alla verità; Meltemi, 2009
T. Veblen; La teoria della classe agiata; Einaudi, 2007
P. Wagner; Modernità, Einaudi, 2012

Add comment

Submit