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intelligence for the people

Mar Rosso, la sfida a USA e Israele che viene dallo Yemen

di Roberto Iannuzzi

Washington preferisce l’escalation alla diplomazia in una crisi dalle radici lontane, che gli USA hanno contribuito a creare, e che aggiunge incertezze al già instabile panorama regionale

6c335f1b 5ef5 4fd8 a6a8 99016ff3b34c 1024x718Il Mar Rosso è solitamente una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. Circa il 12% del commercio mondiale, quasi il 30% del traffico marittimo di container, e quantità significative di petrolio, passano attraverso il Canale di Suez a nord e lo Stretto di Bab el-Mandeb a sud.

Quest’ultimo, il cui nome letteralmente significa “porta della lamentazione” o “porta delle lacrime” (probabilmente per il pericolo che tale passaggio, caratterizzato da correnti e venti imprevedibili, secche e barriere coralline, anticamente costituiva per la navigazione), congiunge il Mar Rosso al Golfo di Aden, e quindi all’Oceano Indiano e alle ricchezze del continente asiatico.

Ai due lati dello stretto si fronteggiano Gibuti, sulla costa africana, e lo Yemen, all’estremità sudoccidentale della Penisola Arabica. Ed è proprio dallo Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, che il movimento sciita di Ansar Allah, meglio noto come gli “Houthi” (dal nome del fondatore Hussein al-Houthi), ha lanciato la sua sfida a Israele e agli Stati Uniti.

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Stretto di Bab el-Mandeb, Mar Rosso (Skilla1st - Own work, CC BY-SA 4.0)

 

Guerra a Israele e ai suoi scambi commerciali

Lo scorso 31 ottobre, il gruppo (considerato un alleato dell’Iran) ha di fatto dichiarato guerra a Israele. Con un comunicato, esso annunciò di aver lanciato (già nei giorni precedenti) missili balistici e da crociera, e un gran numero di droni, contro vari obiettivi israeliani. L’attacco era inteso a supporto dei palestinesi di Gaza costretti a fronteggiare “l’aggressione israelo-americana”, alla luce della “debolezza dei regimi arabi e della collusione di alcuni di essi con il nemico israeliano”.

Questi missili e droni non rappresentavano un pericolo particolarmente serio per Israele. Alcuni furono intercettati dai sistemi di difesa missilistica israeliani, altri furono abbattuti da navi militari USA nel Mar Rosso.

Più grave era la potenziale minaccia che il gruppo di Ansar Allah rappresentava per il traffico commerciale israeliano in questo tratto di mare. La distanza tra le frastagliate coste del Mar Rosso è relativamente esigua, e in corrispondenza dello Stretto di Bab el-Mandeb non supera i 26 km.

Il 19 novembre, emersero alcuni video che mostravano forze Houthi calarsi da un elicottero e requisire la Galaxy Leader, una nave battente bandiera delle Bahamas, ma di proprietà di una compagnia co-fondata da un miliardario israeliano.

A questa incursione seguirono ripetuti attacchi a navi commerciali gestite o possedute da israeliani nel Mar Rosso. A inizio dicembre, il movimento di Ansar Allah estese la propria sfida a tutte le navi provenienti da, o dirette verso Israele, a prescindere dalla loro proprietà.

Il corridoio del Mar Rosso è di cruciale importanza per l’economia israeliana, i cui scambi commerciali con l’Asia sono cresciuti considerevolmente negli ultimi anni. Nel 2006, circa 191.000 container raggiunsero i porti israeliani dall'Asia orientale, mentre 268.000 provenivano dall'Europa occidentale. Nel 2019 il sorpasso degli scambi israeliani con l’Asia si era ormai consumato, essendo le cifre rispettivamente di 278.000 container asiatici a fronte di 260.000 europei.

La quasi totalità di questi scambi avviene per nave attraverso il Mar Rosso. Una piccola quota raggiunge il porto israeliano di Eilat che si affaccia sul Golfo di Aqaba, mentre il resto raggiunge i grandi porti di Haifa e Ashdod attraverso il canale di Suez.

A metà dicembre, il traffico commerciale del porto di Eilat era crollato dell’80%, mentre i costi assicurativi per le navi di proprietà israeliana, o dirette verso i porti israeliani, erano cresciuti sensibilmente.

Non solo. Le principali compagnie mondiali di spedizioni navali – MSC, Maersk, CMA CGM – avevano deciso di lasciare il Mar Rosso per il ben più lungo e costoso (ma sicuro) percorso di circumnavigazione dell’Africa.

A inizio gennaio, anche il colosso cinese COSCO (la quarta compagnia di container al mondo, che controlla circa l'11% del commercio mondiale), ha sospeso i propri servizi di spedizione verso Israele attraverso il Mar Rosso

Gli Houthi hanno chiarito che il loro embargo era una diretta risposta ai massacri commessi da Israele a Gaza, e riguardava essenzialmente il traffico marittimo legato a Israele. Ma, alla luce della reazione delle principali compagnie mondiali di spedizioni, quella di Ansar Allah è divenuta anche una sfida all’ordine mondiale a guida americana, e a una delle sue più importanti rotte marittime.

 

“Proteggere la prosperità”

Il 18 dicembre, gli USA e alcuni loro alleati hanno annunciato l’operazione “Prosperity Guardian”, una forza navale multinazionale a guida americana finalizzata a garantire la sicurezza delle navi commerciali nel Mar Rosso. Gli attacchi degli Houthi sono però proseguiti, e molte compagnie internazionali hanno continuato a tenersi alla larga da questo braccio di mare.

Il 3 gennaio, Washington e Londra hanno lanciato un ultimatum ad Ansar Allah, minacciando di bombardare le postazioni del movimento nello Yemen se gli attacchi alle navi commerciali non fossero cessati.

Per tutta risposta, gli Houthi hanno eseguito per la prima volta un attacco con un drone acquatico, poche ore dopo l’annuncio dell’ultimatum, e il 10 gennaio hanno orchestrato un'altra azione su vasta scala con droni e missili, intercettati dalle navi da guerra americane e britanniche.

Infine, la notte del giorno successivo, Washington e Londra, con il supporto logistico di una manciata di altri paesi, hanno deciso di rompere gli indugi compiendo attacchi aerei e missilistici contro oltre 60 obiettivi in 16 postazioni militari degli Houthi in territorio yemenita, in particolare nel porto di Hodeidah e nella capitale Sanaa.

Ansar Allah, un movimento che è sopravvissuto a più di 8 anni di guerra con i sauditi, e che non può certamente essere eliminato con dei semplici attacchi aerei, ha già risposto che non si lascerà intimidire e risponderà all’offensiva angloamericana.

Le crescenti tensioni nel Mar Rosso, e il legame che unisce Ansar Allah all’Iran, alimentano dunque il timore che un conflitto su vasta scala possa scoppiare fra gli USA, Israele, e i loro alleati occidentali da un lato, e gli Houthi, altre milizie sciite filo-iraniane della regione, e lo stesso Iran dall’altro.

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Mappa del Mar Rosso (Eric Gaba, CC BY-SA 4.0)

 

Lotta per il controllo del Mar Rosso

Pochi tuttavia conoscono le ragioni storiche della sfida lanciata da Ansar Allah, e gli intrecci che legano Israele, gli USA e il Regno Unito alla storia dello Yemen.

Le origini della rivalità fra Tel Aviv e i paesi arabi per il controllo del Mar Rosso risalgono al marzo 1949, quando il neonato stato ebraico occupò il villaggio di Umm al-Rashrash, nel corso dell’operazione “Uvda”, l’ultima della prima guerra arabo-israeliana. Lì sarebbe sorto il porto di Eilat, che avrebbe permesso a Israele di stabilire una presenza sul Golfo di Aqaba.

Controllando le isole di Tiran e Sanafir all’imboccatura del Golfo, l’Egitto avrebbe cercato negli anni successivi di bloccare l’accesso israeliano al Mar Rosso. Le guerre di Israele con i vicini arabi nel 1956, 1967 e 1973 avrebbero invariabilmente comportato il tentativo arabo di bloccare le navi israeliane in questo tratto di mare.

In tale contesto, Tel Aviv intervenne nella guerra civile yemenita del 1962-1970 sostenendo con armi e denaro la dinastia dei Mutawakkiliti (per ironia della sorte, di fatto i predecessori degli Houthi) contro i repubblicani sostenuti dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser.

Fra le ragioni dell’intervento israeliano vi era la speranza di impantanare l’esercito egiziano nello Yemen. Circa 26.000 soldati egiziani morirono nella guerra civile yemenita.

Negli anni ’70, Israele cercò di occupare diverse isole nel Mar Rosso, stringendo rapporti con l’Etiopia che all’epoca ne controllava alcune. Nell’ottobre del 1977, lo Yemen del Nord inviò un memorandum segreto alla Lega Araba in cui si confermava una crescente presenza militare etiope ed israeliana sulla costa prospiciente lo Stretto di Bab el-Mandeb, nell’odierna Eritrea.

Il trattato di pace fra Egitto e Israele del 1979 avrebbe permesso a Tel Aviv di godere di ampia libertà di navigazione in gran parte del Mar Rosso. Quello stesso anno, tuttavia, la rivoluzione islamica in Iran pose fine al rapporto di amicizia fra Teheran e Tel Aviv, grazie al quale quest’ultima aveva soddisfatto gran parte del proprio fabbisogno petrolifero proprio attraverso il Mar Rosso, e diede vita a una nuova rivalità in Medio Oriente.

 

Nascita e ascesa degli Houthi

Nel frattempo, nel 1978 era salito al potere il generale repubblicano Ali Abdullah Saleh nello Yemen del Nord. Egli avrebbe governato il paese per i successivi 33 anni, riunendo Yemen del Nord e del Sud in un'unica entità statale nel 1990.

Il movimento sciita di Ansar Allah emerse negli anni ’90 nella regione settentrionale del paese, sotto la guida del carismatico leader Hussein al-Houthi, come forma di resistenza contro Saleh e il suo governo corrotto.

L’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 contribuì a radicare sentimenti antiamericani negli Houthi. Essi presero a modello il partito sciita libanese di Hezbollah, che nel 2000 era riuscito a scacciare Israele dal sud del Libano, sebbene i due movimenti aderissero a differenti confessioni sciite.

Ansar Allah appartiene infatti alla setta sciita zaydita, radicata nello Yemen, che si distingue anche dallo sciismo iraniano.

Dopo il 2003, Saleh lanciò una serie di campagne militari per distruggere gli Houthi, con l’aiuto dei sauditi. Sebbene Saleh riuscì a far uccidere il leader Hussein al-Houthi l’anno successivo, il movimento finì per sconfiggere sia Saleh che i sauditi, umiliando soprattutto questi ultimi, che spendevano miliardi di dollari nell’acquisto delle più moderne armi americane.

 

Rivolta pacifica e guerra civile

Con lo scoppio delle rivolte arabe del 2011, gli Houthi deposero le armi per unirsi al movimento nazionale di rivolta pacifica contro Saleh. Quando quest’ultimo fu rimpiazzato da un sunnita del sud, Abdrabbuh Mansur Hadi (che era stato vicepresidente di Saleh), essenzialmente tramite una manovra di palazzo sponsorizzata dai sauditi e da altre monarchie del Golfo, Ansar Allah si oppose.

Il processo di riconciliazione nazionale promosso da Hadi fu visto dal movimento come una manovra per emarginarlo. Con uno spettacolare voltafaccia, gli Houthi si allearono col deposto presidente Saleh, che continuava a godere della lealtà di gran parte dell’esercito, e mossero guerra all’impopolare Hadi, visto come un fantoccio dei sauditi.

Nel gennaio 2015, la capitale Sanaa cadde nelle mani dell’alleanza ribelle. Gli Houthi si impadronirono anche dell’importante porto di Hodeidah sul Mar Rosso e si apprestarono a marciare su Aden, capitale del sud e strategico porto sull’Oceano Indiano.

I sauditi non potevano permettere che un movimento ostile come Ansar Allah si impadronisse dello Yemen, da sempre considerato dalla monarchia saudita come il proprio “giardino di casa” (e una fonte di manodopera a basso costo), né che gli Houthi mettessero le mani sullo strategico Stretto di Bab el-Mandeb.

Accusandoli di essere agenti dell’Iran, Riyadh avviò un intervento militare in grande stile nello Yemen nel marzo del 2015.

 

Intervento saudita e rivalità con Teheran

Sebbene sussistessero rapporti di amicizia fra Teheran e Ansar Allah, come abbiamo visto, quest’ultimo si distingueva per la propria identità confessionale zaydita, ed era essenzialmente un attore indipendente.

Questa valutazione era condivisa dalla stessa intelligence americana, secondo la quale l’Iran aveva in realtà cercato, senza successo, di scoraggiare gli Houthi dall’impadronirsi di Sanaa e dal rovesciare apertamente Hadi, preferendo un approccio meno radicale. Gli USA, fra l’altro, avevano avuto un proficuo rapporto di cooperazione con Ansar Allah nella comune lotta contro al-Qaeda nello Yemen.

La campagna militare saudita fu condotta dal giovane e inesperto Mohammed Bin Salman, figlio del re Salman appena salito al trono a Riyadh.

L’allora presidente americano Barack Obama decise di appoggiare lo sforzo bellico saudita, anche per rassicurare la monarchia del fatto che Washington non intendeva abbandonarla, sebbene stesse negoziando con Teheran un accordo nucleare a cui Riyadh si era duramente opposta.

I sauditi si posero alla testa di una coalizione che includeva gli Emirati Arabi Uniti (EAU), il Bahrein, e altri paesi arabi.

 

Washington e Londra favoriscono una catastrofe umanitaria

L’appoggio americano e britannico fu essenziale per mantenere efficiente la macchina bellica saudita.

La Royal Saudi Air Force è equipaggiata con aerei statunitensi e britannici, e dipende da Washington e Londra per l’addestramento dei piloti, la manutenzione e i pezzi di ricambio. Questi aerei sganciarono sullo Yemen tonnellate di ordigni prodotti in America e nel Regno Unito.

Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, l’Arabia Saudita divenne il maggiore importatore mondiale di armi nel primo quinquennio della guerra yemenita, dal 2015 al 2019. Le sue importazioni crebbero del 130% rispetto ai cinque anni precedenti. Il 73% delle armi importate dai sauditi proveniva dagli USA, il 13% dal Regno Unito.

Non solo. Washington e Londra fornirono supporto militare, logistico e di intelligence per il terribile embargo navale che i sauditi imposero allo Yemen, un paese che importa circa il 90% del proprio fabbisogno alimentare.

A causa di questa durissima gestione del conflitto, nel 2022 l’ONU stimava che circa 400.000 persone fossero decedute, mentre 16,2 milioni erano sull’orlo della fame. Quella che le stesse Nazioni Unite definirono “la maggiore crisi umanitaria nel mondo”, rimase tuttavia largamente dimenticata e ignorata dai media occidentali.

 

Israele a fianco degli Emirati, e l’inaspettato esito del conflitto

Anche Tel Aviv ha giocato un ruolo nella tragedia yemenita. Nel contesto di una crescente normalizzazione dei rapporti con gli EAU, Israele ha condiviso con Abu Dhabi molti obiettivi militari nella guerra contro gli Houthi.

Ha addestrato mercenari assoldati dagli Emirati per combattere contro Ansar Allah; ha stretto rapporti con il Consiglio di Transizione del Sud, entità formalmente alleata di Hadi, oltre che degli EAU, ma con ambizioni secessioniste; ha trasformato la strategica isola di Socotra (a sud delle coste yemenite nel Mar Arabico), finita sotto il controllo di fatto degli Emirati, in un centro di spionaggio e di intelligence in chiave anti-Houthi e anti-iraniana.

Malgrado l’ampia coalizione schierata contro Ansar Allah, e la catastrofe umanitaria abbattutasi sullo Yemen, il movimento sciita è uscito di fatto vincitore dal conflitto, assieme all’Iran. Sebbene i sauditi siano riusciti a bloccarne l’avanzata, gli Houthi hanno mantenuto il controllo di tutto il nord del paese, inclusa la capitale.

Inoltre, l’intervento a guida saudita ha avuto l’effetto di cementare il rapporto fra Ansar Allah e l’Iran. Teheran ha fornito al gruppo tecnologia militare, in particolare nel settore missilistico e in quello dei droni, trasformando gli Houthi in una forza di tutto rispetto, in grado di colpire a centinaia di km, in territorio saudita così come in quello degli Emirati. Allo stesso modo, il movimento è ora in grado di colpire obiettivi nel Mar Rosso, rappresentando un grattacapo per il commercio mondiale.

Sebbene militarmente dipendente dall’Iran, quello di Ansar Allah rimane però un movimento fieramente autonomo. La decisione di dichiarare guerra a Israele, e di prendere di mira il traffico navale legato allo stato ebraico, è dovuta, oltre che alla solidarietà nei confronti di Gaza, a interessi del gruppo.

In primo luogo quello di acquisire ulteriore potere contrattuale nei confronti dei sauditi, ormai desiderosi di chiudere il conflitto per via negoziale.

Secondariamente, a causa della loro travagliata storia, gli Houthi fondano una parte consistente del loro potere su uno stato di mobilitazione permanente, che stava venendo meno a seguito del processo negoziale avviato con i sauditi.

 

Si espande la destabilizzazione prodotta dal conflitto di Gaza

Da ciò segue che Teheran ha tuttora una limitata capacità di influenzare le scelte del gruppo, sebbene superiore rispetto al passato. Gli USA, dal canto loro, si trovano a dover fare i conti con una minaccia all’ordine internazionale da essi presieduto, che è in gran parte frutto delle loro passate politiche fallimentari nella regione.

La sfida lanciata dagli Houthi complica il panorama regionale e ne inasprisce le tensioni. Essa conferma che il protrarsi del catastrofico conflitto di Gaza sta riattivando numerosi focolai regionali più o meno latenti, i quali si evolvono poi secondo dinamiche proprie e autonome, ma per altri versi interconnesse.

Con gli attacchi aerei americani e britannici, una spirale di escalation sembra definitivamente essersi innescata nel Mar Rosso. Il rischio è che una progressiva saldatura di questo e altri focolai di crisi porti a una pericolosissima e incontrollabile deflagrazione regionale.

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