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Il sindacato in mezzo al guado

Giuliano Garavini

Il sindacato ancora non riesce a scegliere se divenire definitivamente un sindacato "concertativo", cioè concentrato sul negoziato con il Governo in carica e l'offerta di servizi alle imprese, o un sindacato impostato su conflitto, partecipazione e l'eguaglianza fra i lavoratori

Una volta in mezzo al guado ci stava il Partito comunista. Non seppe scegliere alla fine degli anni Settanta se trasformarsi definitivamente in un credibile partito socialdemocratico, oppure se riprendere le fila di una serrata critica del capitalismo che gli avrebbe imposto un rinnovamento del suo armamentario ideologico e un legame con i fermenti sociali più innovativi.

Oggi in mezzo al guado c'è il sindacato, il quale ancora non riesce a scegliere se divenire definitivamente un sindacato "concertativo", cioè concentrato sul negoziato con il Governo in carica e l'offerta di servizi alle imprese, o un sindacato impostato su conflitto, partecipazione e l'eguaglianza fra i lavoratori.

Nel 1993 i sindacati confederali avevano scelto insieme la concertazione, credendo di avere di fronte interlocutori credibili e fissandosi il grande obiettivo della partecipazione con il gruppo di testa alla moneta unica. In nome di questo "obiettivo Europa" essi hanno chiesto sacrifici ai lavoratori, che sono stati rilevanti, e hanno chiesto garanzie sugli investimenti. Nessun investimento sui servizi e le infrastrutture del Paese è stato realizzato ma solo privatizzazioni, mentre l'obiettivo dell'euro è stato, quello sì, centrato.

La stagione della concertazione è però finita. E' finita perché oggi siamo nell'euro (entrati male ma ci siamo) e non ci sono grandi obiettivi per i quali concertare. D'altra parte il diminuito peso del mondo del lavoro a favore di rendite e profitti ha certamente contribuito alla crisi odierna, il disinvestimento pubblico nei servizi è tra le ragioni dell'arretratezza del nostro sistema economico.

CISL e UIL hanno preso atto della fine dell'era della concertazione e hanno abbracciato l'era della "cooptazione", o della "complicità" che dir si voglia. Si sono rese disponibili a trasformare il sindacato in un'associazione di iscritti che collabora per offrire servizi, posti di lavoro e personale disciplinato alle imprese. Dal punto di vista politico hanno già introiettato che il sindacato non ha un ruolo politico generale ma deve premere per una società improntata alla "sussidiarietà": cioè pietosi interventi da parte di chi ha i soldi, come fondazione bancarie ed enti bilaterali, per tamponare le situazioni di maggior disagio sociale che inevitabilmente si creeranno in un mondo di salari bassi, lavoratori senza diritti e in guerra fra di loro.

La CGIL non poteva imboccare così facilmente la via della "complicità". L'attuale maggioranza prende dunque decisioni tutte contraddittorie e incerte. Da un lato non firma il nuovo modello contrattuale insieme agli altri due confederali, ma d'altra parte non critica quelle categorie (come chimici e alimentaristi) che quel modello contrattuale hanno nella sostanza accettato nei loro accordi. Fa l'opposizione al governo nella speranza che questo si faccia più gentile con lei, che le consenta di salvare l'onore, e poter tornare presto insieme agli altri sindacati.

La recente decisione dello sciopero generale incentrato sulla questione fiscale, mentre potrebbe nuovamente dare un piccolo sobbalzo di combattività, ha totalmente sbagliato il bersaglio e sembra avere come motivazione quella di cavalcare l'unico tema con il quale ci sia una consonanza di posizioni con gli altri due sindacati confederali. Si richiede qualche frazione di punto in meno di tassazione sul lavoro dipendente. Ma siamo sicuri che siano queste le priorità di lavoratori con i salari più bassi d'Europa, con una disoccupazione al 10 per cento, con i giovani che hanno solo contratti precari. E' infatti questo uno sciopero generale al silenziatore su un tema che non può destare la dovuta combattività nella società italiana, e che per di più lascia fuori licenziati, precari e immigrati che sarebbero invece i principali gruppi sociali e sacche di combattività cui la CGIL dovrebbe guardare.

La CGIL è dunque in mezzo al guado e la battaglia congressuale è particolarmente importante proprio per questo motivo. Se vincerà di larghissima misura la maggioranza guidata da Epifani, il processo di ricomposizione con CISL e UIL sarà lento ma inesorabile, così come lenta e inesorabile sarà la trasformazione dell'ex sindacato comunista di Di Vittorio in un'associazione complice con il mondo imprenditoriale. Se otterrà un risultato importate la "mozione due", che più chiaramente critica il passato concertativo e chiede un cambiamento di rotta e un sussulto di partecipazione che indebolisca le pratiche burocratiche invalse nell'ultimo ventennio, sarà solo l'inizio di un lungo cammino per ripensare il sindacato.

In ogni caso solo se il congresso CGIL sarà un congresso vero che porterà iscritti e cittadini a discutere intorno alle questioni vere del mondo del lavoro ci sarà un futuro per le organizzazioni dei lavoratori. Se resterà un cosa per tecnici e addetti ai lavori il sindacato uscirà dal congresso semplicemente più anemico e scoraggiato.

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