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consecutiorerum

Antonio Gramsci e le scienze sperimentali

di Camilla Sclocco

4jo875r1. Introduzione

Le note dei Quaderni del carcere sulle scienze sperimentali coinvolgono un ampio ventaglio di discussioni particolari. Dalla polemica verso il causalismo meccanicistico alla critica del concetto di previsione come atto conoscitivo, dal rifiuto di elevare il metodo sperimentale a metodologia universale alla polemica con il riduzionismo della scienza agli strumenti materiali, fino alla questione epistemologica dell’esistenza della realtà esterna. Il fil rouge è la critica a Teoria del materialismo storico di Bucharin1, che aveva assunto acriticamente i concetti di causa, legge e previsione delle scienze sperimentali, intese nella loro formulazione positivistica, e le aveva applicate allo studio di una storia come materia autosvolgentesi. Come il recluso sintetizzerà tra il luglio e l’agosto 19322, la conseguenza era la scissione della filosofia della prassi in “una teoria della storia e della politica concepita come sociologia” “da costruirsi secondo il metodo delle scienze naturali (sperimentale nel senso grettamente positivistico)” e in una “filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico”3.

Gramsci affronta le tematiche sulla scienza dal maggio 1930 alla fine del 1932. Inizia a enucleare le questioni nelle prime due serie degli Appunti di filosofia4, per poi ritornavi nella terza e in due note del Quaderno 6. Tra il luglio e il dicembre 1932 rielabora le riflessioni nel Quaderno 11, dove su trenta testi di prima stesura ventitré sono rielaborati nella sezione seconda del quaderno, “Osservazioni e note critiche su un tentativo di ‘Saggio popolare di sociologia”, cinque nella terza, “La scienza e le ideologie scientifiche” e uno nella quarta, “Gli strumenti logici del pensiero5.

La redazione delle note sulla scienza negli Appunti di filosofia consente di situarle in quella fase della riflessione carceraria dominata dalla “volontà di ridefinire i fondamenti teorici del marxismo”6. Tanto più se si considera che la discussione scientifica si ricollega alla polemica antipositivistica verso l’“introduzione nel materialismo storico dei concetti di causa e materia ripresi dalle scienze naturali”7. La stessa disposizione nel Quaderno 11 delle note di carattere scientifico, raggruppate per la quasi totalità nella sezione dedicata alla critica della sociologia di Bucharin, conferma che l’interesse carcerario verso la scienza è connesso alla necessità di elaborare una filosofia marxista declinata come filosofia della praxis, libera dal legame di dipendenza verso il positivismo e capace di produrre un’autonoma teoria delle scienze sperimentali. Come Gramsci si esprime tra l’agosto e il dicembre 1932: “una trattazione sistematica della filosofia della praxis […] deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali8.

 

2. Sulla sfortuna della riflessione gramsciana sulle scienze sperimentali

Le riflessioni carcerarie sulle scienze sperimentali costituiscono uno degli aspetti meno studiati e più fraintesi del pensiero di Gramsci. Occorre rintracciare le ragioni storiche di questa scarsa attenzione e ricostruire la genesi di alcune letture del dopoguerra, le quali, ripetute dimenticandone l’origine, rischiano di cristallizzarsi in neutrali interpretazioni esegetiche.

La prima maniera con cui gli scritti carcerari furono resi disponibili, l’edizione tematica curata da Palmiro Togliatti e Felice Platone tra il 1948 e il 1951, risentiva delle condizionalità della guerra fredda. La denuncia del totalitarismo sovietico da parte di Churchill nel discorso del marzo 1946 a Fulton, la nascita del Cominform nel settembre 1947 e, a livello nazionale, l’inizio del piano Marshall, la fine dell’alleanza parlamentare antifascista del maggio 1947 e l’estromissione delle sinistre dal governo favorirono la polarizzazione dell’intellettualità italiana e l’arroccamento ideologico del Pci. Sono gli anni in cui Togliatti “subiva il più severo condizionamento del Cominform”9 e con la pubblicazione delle Lettere dal carcere nel 1947 e di Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce nel 1948 cercava di rendere il pensiero gramsciano compatibile con il marxismo-leninismo depurandolo dei suoi aspetti eterodossi10.

La Prefazione al volume del 1948 presentava il marxismo di Gramsci come una prosecuzione “dell’attività teorica e pratica di Lenin e di Stalin”11 e indicava l’espressione filosofia della prassi come una parafrasi del lemma materialismo storico, utilizzata per non “insospettire la censura”12. Un’esegesi che impedì di comprendere il carattere originale del marxismo gramsciano. Non a caso, lo studio che lo metteva già efficacemente in luce venne da un intellettuale di formazione liberale come Nicola Matteucci che in Antonio Gramsci e la filosofia della prassi del 1951 concluse che mentre Lenin, Engels e Stalin “danno grande importanza al materialismo metafisico, quale fonte del materialismo dialettico, per Gramsci una ripresa della filosofia della prassi è possibile solo nella traduzione in termini storicisti dell’idealismo speculativo” che “ha sconfitto la metafisica della trascendenza”13. Solo l’edizione cronologica dei Quaderni del carcere del 1975, rendendone possibile lo studio filologico, riuscì a restituire l’originalità del marxismo gramsciano.

L’inizio della pubblicazione dei Quaderni del carcere coincise con il vi Congresso del Pci del gennaio 1948, nel quale fu istituita la Commissione culturale del partito affidata alla direzione di Emilio Sereni che, nel momento in cui “la ‘battaglia ideologica’ era ritenuta prioritaria”14, aveva la forma mentis che meglio si adattava alle indicazioni del Cominform. Intervenendo nella presentazione di Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce presso la Casa della cultura di Milano, Sereni avvicinava il pensiero di Gramsci a quello di Ždanov, risolvendo l’affermazione dell’autonomia del marxismo nella “partitarietà della scienza, della filosofia e della cultura predicata dal marxismo sovietico”15. Affermava che con Gramsci “il marxismo si viene affermando già arricchito della sua superiore elaborazione leninista-staliniana”16 e che il suo pensiero rappresentasse “un salto della cultura italiana” “che nemmeno quel grande pensatore che era Antonio Labriola era riuscito a compiere”17, contrastando la linea di Togliatti che mirava a “ricollegarne il pensiero alla tradizione democratica”18 nazionale. Con lo scoppio del caso Lysenko nel settembre 1948 la guerra fredda si allargò al panorama scientifico. Il Pci decise “di allinearsi sulla posizione sovietica senza aprire alcuna discussione pubblica” mentre gli scienziati legati al partito “nonostante le pesanti riserve”19 scelsero la via del silenzio. Il modulo sovietico della contrapposizione tra la scienza occidentale, ‘reazionaria’ e ‘idealista’, e quella marxista, ‘progressiva’ e ‘materialista’, diede modo a Sereni di rendere più assertiva la battaglia a favore della partitarietà della scienza. Già nel maggio 1948 nella relazione di apertura alla Casa della cultura di Roma aveva sottolineato l’importanza di una battaglia ideologica nella scienza fondata sulla contrapposizione tra materialismo e idealismo20, sottolineando che l’arretratezza scientifica italiana dipendeva dalla ‘svalutazione’ delle scienze operata dall’idealismo crociano, scegliendo una tesi circolante anche nelle correnti filosofiche neoilluministe. Nel novembre 1948, nella relazione tenuta a Bologna in occasione del mese di amicizia italo-sovietica, ribadì il suo sostegno alla genetica di Lysenko. Nella prima riunione della Commissione culturale del giugno 1949, nonostante la maniera con cui il Pci aveva gestito l’affaire Lysenko ne avesse determinato un discredito culturale, replicando ad Antonio Giolitti che lo aveva invitato a esser “cauti nel riportare a noi le esperienze sovietiche” Sereni ribadiva la necessità di “avere un atteggiamento fideistico”: “tutto quello che viene da quella parte è roba nostra”21. Non solo “dobbiamo tradurre le cose sovietiche in Italia” ma è “anche vero che dobbiamo tradurre Gramsci”, i suoi “appunti, che non sono opera elaborata nella terminologia”22.

Non stupisce che nella produzione culturale degli intellettuali comunisti, nel periodo in cui la guerra fredda coinvolse la scienza, la concezione epistemologica dei Quaderni del carcere non sia stata riconosciuta nel suo carattere originale. Un caso emblematico è costituito dal saggio Gramsci, la scienza e la natura come storia comparso nel settembre 1950 su “Società” di Massimo Aloisi, che pure insieme a Emanuele Padoa si era scontrato contro Sereni sul caso Lysenko23. L’articolo prendeva le mosse da Gramsci e la scienza di avanguardia e interpretava l’interesse epistemologico di Gramsci come un modo con cui egli “in quanto marxista” aveva tentato di appropriarsi della scienza contro la “svalutazione sistematica del valore gnoseologico dell’attività scientifica” costituita dal “crocianesimo”24. Pur dando conto della reazione di Gramsci alla “concezione oggettivistica della realtà del mondo esterno”25 di Bucharin, a proposito dei passaggi dei quaderni in cui si metteva in evidenza che “senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici” l’oggettività sarebbe “un caos, cioè niente”26, un “‘nulla’ storico”27, Aloisi sosteneva che occorreva mettere in guardia “di fronte a quel ‘nulla’ storico che può generare equivoci ed errori”, non avendo il recluso “esplicitamente sviluppato […] il suo pensiero”28. Gramsci avrebbe condiviso la leniniana “confutazione della posizione empirio-criticista di molti scienziati borghesi”29 e, al contrario di Croce, non sarebbe mai giunto a negare “la realtà (e storicità quindi) di un mondo prima della comparsa dell’uomo”30.

Il dicembre successivo Matteucci, in una nota sulla rivista “Emilia”, criticava questa interpretazione, persuaso “dei motivi nuovi e dei contribuiti originali di Gramsci circa il problema gnoseologico”31. La concezione epistemologica carceraria era il luogo nel quale maggiormente risaltavano “le differenze dal Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo, dove l’affermazione dell’esistenza obbiettiva della materia è assai recisa ed esplicita”32. Per il giovane studioso bolognese non vi potevano essere dubbi sul fatto che la definizione della materia umana come “nulla storico” fosse un’“esplicita traduzione” della critica neoidealista verso la trascendenza materiale né che nei Quaderni del carcere fosse contenuta la negazione della “passiva adeguazione del pensiero alla realtà”33. Ulteriori note critiche verso Gram- sci, la scienza e la natura come storia comparvero all’inizio del 1951 nella rubrica “Note e discussioni” di “Società”, la stessa rivista in cui era comparso il saggio di Aloisi, testimonianza di come la rassegna, pur nel suo legame con la politica culturale comunista, costituisse un “terreno di incontro di una pluralità di energie”34 che non venne mai meno alla discussione.

Anche dal 1947, con la partecipazione di Giuseppe Berti, Ambrogio Donini e Sereni al comitato redazionale, la rassegna non si ridusse “a semplice organo di formazione del quadro intellettuale di partito”35. Uomini come Delio Cantimori e Gastone Manacorda da un lato e Berti, Donini e Sereni dall’altro testimoniavano “itinerari […] irriducibili” che distinguevano il marxismo dei primi, frutto dell’elaborazione di una crisi della cultura borghese “vissuta […] come crisi della propria cultura”, e quello degli altri, che quella crisi la avevano percepita come “crisi di un’altra cultura”36. La predominanza della prima tendenza fece sì che lo studio dei Quaderni del carcere non si riducesse a “una lettura materialistico-dialettica”37 e che si sviluppasse verso la questione dell’Anti-Croce, che consentiva il confronto con la tradizione. Si spiega in questa maniera il dibattito acceso verso Gramsci, la scienza e la natura come storia di Aloisi, “il contributo che più esplicitamente mette a confronto il pensiero di Gramsci con i convincimenti teorici del diamat”38. Armando Borelli obiettò che Gramsci non si liberò mai dai “residui idealistici” del suo pensiero che “gli facevano ritenere […] senza significato il mettersi dal punto di vista del cosmo in sé”39. Omero Bianca, più polemicamente, richiamando il passo dei quaderni secondo il quale concepire un mondo senza l’essere umano equivale a “una forma di misticismo”40, stigmatizzò le conclusioni di Aloisi non conformi “alle esplicite dichiarazioni in senso contrario di Gramsci”, che aveva rigettato come “metafisica” ogni affermazione dell’esistenza di una materia “che si muove e cresce secondo un proprio ritmo”41. La rivista non promosse tuttavia nuove indagini sulla concezione gramsciana delle scienze sperimentali volgendo il suo sguardo principalmente alle questioni degli intellettuali e dello storicismo.

L’attività della commissione culturale conobbe una svolta con il vii congresso del Pci dell’aprile 1951 e la nomina a responsabile di Carlo Salinari che, più vicino alla prospettiva togliattiana, individuò il “terreno nazionale come terreno d’azione degli intellettuali comunisti”42. Il biennio 19521953, con la morte di Stalin, l’allentamento della guerra fredda e, sul piano nazionale, la fine del centrismo nelle elezioni del giugno 1953, “segnò l’iniziò di una nuova politica culturale fondata sull’eredità di Gramsci”43. Un cambiamento che, rafforzato dalla “fine del ruolo preminente di Pietro Secchia”44, diede modo a Togliatti di varare il progetto di una genealogia del marxismo italiano alimentata dalla tradizione democratica. I nuovi eventi promossero anche la ristrutturazione della Fondazione Gramsci. Nel marzo del 1954 la segreteria del PCI ne sancì la trasformazione in Istituto, accogliendo la sollecitazione di Salinari espressa nella riunione della commissione culturale del novembre 195345, e l’anno successivo la direzione venne affidata ad Alessandro Natta46. I fatti del 1956 segnarono una nuova svolta con la nomina a presidente di Ranuccio Bianchi Bandinelli, storico dell’arte antica, archeologo e filologo, e con la riorganizzazione delle sezioni di lavoro affidate a personaggi che, come Valentino Gerratana e Franco Ferri, avrebbero favorito il coinvolgimento di intellettuali esterni al partito.

Principale espressione di questi cambiamenti fu l’organizzazione del primo convegno di studi gramsciani svoltosi a Roma nel gennaio 1958. La possibilità di indagare il pensiero gramsciano senza vincoli con il diamat sovietico permise a Luciano Gruppi di mettere in evidenza che la polemica carceraria verso la gnoseologia materialistica non toccava solo Bucharin ma anche “una serie di formulazioni filosofiche di Lenin”, che, con la sua teoria della conoscenza come riflesso, aveva riprodotto “il dualismo tra oggetto e soggetto che caratterizza il realismo ingenuo”47. Attraverso le Tesi su Feuerbach e confrontandosi criticamente con l’idealismo, Gramsci giungeva a un nuovo concetto di “scienza”: “abbandonato il concetto di materia” spetta a ogni singola scienza definire “l’oggetto della propria ricerca”, in quanto la sperimentazione scientifica non è “concepibile al di fuori di quell’indagine”48. La concezione epistemologica gramsciana veniva esplicitamente riconosciuta in tutta la sua originalità anche dagli intellettuali rappresentativi del Pci.

Sono questi, tuttavia, gli anni in cui le ricerche sulla collocazione del pensiero di Gramsci all’interno di una genealogia nazionale divenne oggetto di una critica pungente, rilevabile dalle pagine del “Contemporaneo”, di “Ragionamenti” e del volume La città futura del 1959. Esse reputavano necessario svincolare Gramsci dall’idealismo italiano, dal marxismo di Labriola e dalla politica culturale togliattiana49. Tutto ciò spinse Togliatti a delineare un nuovo orizzonte interpretativo, ridimensionando il legame di Gramsci con la tradizione nazionale ed enfatizzandone l’immagine di “grande pensatore del movimento comunista calato nel dibattito internazionale”50. Come ha osservato Marcello Musté, ciò che mancò da parte comunista fu la capacità di inserire la cultura italiana nell’orizzonte della cultura mondiale e di conquistare “una precisa determinazione” della teoria della traducibilità dei linguaggi “con cui Gramsci aveva ricostruito il nesso tra la dimensione nazionale e quella globale”51. Col 1956 e la crisi dei rapporti tra il Pci e gli intellettuali, lo storicismo marxista era ormai in difficoltà e nelle nuove correnti filosofiche la concezione epistemologica gramsciana non poteva trovare adeguata discussione.

In primo luogo, perché iniziò ad avere fortuna quel ritorno allo studio diretto di Marx condotto da Gaetano Della Volpe nel segno di una critica radicale dell’hegelo-marxismo, che spinse Mario Tronti a giudicare la filosofia della praxis come un pensiero non compiuto. Nel contributo a La città futura Tronti sosteneva che Gramsci, pensatore “tipicamente […] italiano”52 e legato a Croce e Gentile, aveva finito per “riscoprire il marxismo attraverso la lente dell’idealismo”53. L’obiettivo di rintracciare il nucleo originale del marxismo oltre la revisione idealista e positivista non sarebbe stato da lui raggiunto a causa dei canoni filosofici dell’idealismo che aveva “inconsapevolmente accettati”54. In altre parole, Gramsci non aveva compreso che la novità del marxismo consisteva nel non essere più una filosofia ma una “considerazione scientifica della storia” e, infondo, una “sociologia”55. Nella sua interpretazione non trovava posto né la critica gramsciana del positivismo, che aveva utilizzato Croce “come termine di paragone per rigenerare il marxismo”56 né, conseguentemente, la discussione sulla concezione gramsciana delle scienze. I rilievi di Tronti sarebbero “esplosi nella prima età degli anni Sessanta”, provocando “un forte regresso della fortuna di Gramsci”57.

In secondo luogo, perché la discussione sulle scienze era sviluppata principalmente dal neoilluminismo agglutinatosi nel 1950 intorno alla proposta avanzata da Nicola Abbagnano in Verso il nuovo illuminismo: John Dewey. Accolta tra gli altri da Ludovico Geymonat, Norberto Bobbio, Mario Dal Pra, unificava il bisogno di quegli intellettuali che opponevano allo storicismo crociano e gramsciano la necessità di un dialogo con il pensiero europeo del Novecento: un empirismo che, riconosciuta la precarietà della ragione messa in luce dall’esistenzialismo, faceva prevalere la ricerca di “tecniche razionali adeguate per condurre a compimento un’attività conoscitiva”58. Era un programma di ricerca tracciato da Geymonat già nel 1945 in Studi per un nuovo razionalismo, dove la conquista della democrazia veniva collegata al compito di rinnovare il contatto con i “problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano” e di individuare un razionalismo “metodologico” in grado di sgombrare il pensiero dalle “vuotaggini dell’idealismo italiano”59. In questo quadro si inserì il “Politecnico” di Elio Vittorini con il richiamo “alla tradizione dell’Illuminismo lombardo proseguita nell’Ottocento da Carlo Cattaneo”60. Il movimento fece prevalere la convinzione che la mancanza di un confronto della filosofia italiana con la scienza fosse da imputare alla nota ‘svalutazione crociana della scienza’, ignorando che la scarsa attenzione verso la scienza, se veramente c’era stata, era dipesa dalla mancanza in Italia, fino all’avvento del piano Marshall, di una grande industria nazionale. Si può quindi sostenere che la battaglia neolluminista contro lo storicismo crociano e gramsciano non favorì il confronto con le indagini epistemologiche dei Quaderni del carcere. Nell’intervento al convegno gramsciano del 1958 Geymonat, accogliendo la tesi di Garin per cui i temi caratteristici del pensiero gramsciano erano nutriti dalla filosofia crociana, sollevò la questione “dell’attualità ‘piena e completa’ dell’opera di Gramsci”: in un orizzonte filosofico caratterizzato da “temi nuovi, assolutamente ignoti alla problematica crociana […] connessi alla metodologia scientifica, alla tecnica, alla logica formale e presenti in altri filoni della cultura italiana (Cattaneo, Peano, Vailati Enriques)” si trattava di decidere se nell’opera di Gramsci si potessero ritrovare “gli elementi fondamentali al fine di risolvere i nuovi problemi filosofici di oggi”61.

Durante gli anni Sessanta l’argomento venne pressoché ignorato, tornando in auge solo dopo la pubblicazione dell’edizione critica dei Quader- ni del carcere62. La nuova stagione interpretativa, inaugurata dalle ricerche filologiche sui Quaderni, ricollega la discussione epistemologica alla formulazione della filosofia della praxis, espressione che, coniata da Antonio Labriola nel 1898, viene ripresa da Gramsci per indicare la filosofia originale di Marx oltre la contaminazione del marxismo con il positivismo e con i residui speculativi dell’idealismo novecentesco63. Tuttavia, ancora oggi, nonostante la fioritura di studi innovativi64, l’argomento è scarsamente frequentato.

 

3. La critica al positivismo negli anni giovanili

La riflessione di Gramsci sulle scienze sperimentali è inscindibile dalla sua critica del positivismo. Questa emerge già negli scritti giovanili tra il 1915 e il 1918, occasionati dalle polemiche politiche con aree diverse del socialismo italiano: con le correnti del sindacalismo rivoluzionario, caratterizzate da un approccio economicistico e da una concezione della “coltura come sapere enciclopedico”65, con il nozionismo delle Università Popolari, che facevano della conoscenza un qualcosa “di apoditticamente indiscutibile”66, con le correnti del pensiero cattolico per le quali “il socialismo dovrebbe diventare cristiano”67, col socialismo riformista di Filippo Turati e Claudio Treves. La matrice comune di queste controversie è l’opposizione al dualismo tra azione soggettiva e realtà materiale, caratterizzante il primo socialismo italiano, che si traduceva in nell’incapacità di elaborare “una concezione soggettivistica della politica e della storia”68. Il giovane Gramsci aveva ben chiaro che il positivismo, da “sistemazione logica del metodo sperimentale”, era divenuto “dottrina dell’essere e della conoscenza” caratterizzata dal vecchio “dualismo cattolico tra lo spirito umano e il Dio inconoscibile”: “per il positivismo il dualismo è tra la coscienza umana e la natura, anch’essa trascendente questa coscienza”69.

Il giudizio negativo sul positivismo segnala l’interesse, di cui vi sono segni “sin dagli anni del liceo a Cagliari”70, per quel composito movimento culturale italiano di inizio Novecento che, avviato da riviste come il “Leonardo” di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini del 1902 e dalla ripresa della tradizione dell’hegelismo meridionale promossa da Croce e da Giovanni Gentile con “La Critica” del 1903, valorizzava la volizione e l’atto creativo contro la trascendenza del dato materiale. L’opposizione verso la filosofia positiva sarà poi coltivata nell’università di Torino, in comunione culturale con le riviste fiorentine e con il movimento di rinnovamento intellettuale crociano71. I corsi di Arturo Graf, Rodolfo Renier, Umberto Cosmo, Arturo Farinelli e Matteo Bartoli concorsero a orientare la formazione del giovane Gramsci “in senso storicistico” e “avverso a ogni forma di naturalismo e di meccanicismo”72.

Se non è dubbio che per i protagonisti dell’“Ordine Nuovo” l’interesse per il movimento delle riviste fi entine è un “segno di appartenenza generazionale”73, fi dal 1913 Gramsci manifesta profonde riserve verso Papini, poiché la sua “esuberante vitalità” non aveva preso la forma di un pensiero razionale ma si era fermata a un generico spirito di ribellione, espressione di “impotenza che vuol parere robustezza”74. Anche Togliatti nell’articolo Parassiti della cultura del 1919, pur giudicando i “movimenti di cultura degli ultimi decenni, dal Leonardo alla Voce” come “i giorni migliori della nostra giovinezza”75, non riconosce a Prezzolini e Papini la capacità di sintesi teoriche. Come è stato sottolineato da Leonardo Rapone, l’infl filosofi che si rivelò decisiva per la maturazione intellettuale di Gramsci è quella degli esponenti dell’idealismo italiano: sono “Croce e Gentile” e “con un salto all’indietro […] Bertrando Spaventa e Francesco De Sanctis”76 i maestri che plasmarono la sua mente filosofi ai quali è da aggiungere “Henri Bergson, con la sua polemica antimeccanicistica e antievoluzionistica”.77

Durante gli anni del carcere Gramsci ricorderà di essere stato “tendenzialmente piuttosto crociano”78 e di aver preso parte “al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l’uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o positiva”79. Nella concezione crociana della storia come spirito universale la filosofia prendeva il posto occupato tradizionalmente dalla religione, in quanto, aveva scritto in Religione e serenità, essa “dimostra che ogni nostro atto, appena compiuto, si stacca da noi e vive vita immortale, e noi stessi (i quali, realmente non siamo che il processo dei nostri atti) siamo immortali, perché aver vissuto è vivere per sempre”.80 L’adesione giovanile al frammento crociano, testimoniata dalla ripubblicazione che ne

fece nel numero unico della “Città Futura” del 1917 indicando il fi napoletano come “il più grande pensatore d’Europa in questo momento”81, rinsaldò i rapporti culturali tra i membri dell’“Ordine Nuovo”, che ne ripubblicarono le pagine nel luglio 192082. Il laicismo crociano, che nel 1931 è ancora considerato come “il maggior contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani”, una “conquista civile che non deve essere perduta”83, negli scritti giovanili stimola il rifi di tutte le correnti culturali europee che avevano ereditato il dualismo religioso:

il socialismo – scrive in Audacia e fede nel maggio 1916 – è precisamente la religione che deve ammazzare il cristianesimo. Religione nel senso che è anch’esso una fede, che ha i suoi mistici e i suoi pratici; religione, perché ha sostituito nelle coscienze al Dio trascendentale dei cattolici la fiducia nell’uomo e nelle sue energie migliori come unica realtà spirituale. Il nostro evangelo è la filosofia moderna […] quella che solo nella storia pone le sue fondamenta, nella storia, di cui noi siamo le creature per il passato e i creatori per l’avvenire84.

La polemica contro il determinismo socialista, che si inasprisce dal 1917, si incentra sul rifiuto di una storia concepita come materia autosvolgentesi secondo leggi determinate e verso forme predefinibili. Non a caso negli articoli del numero unico “La Città Futura”85 la questione centrale è quella della prevedibilità degli eventi storici, che già da questi anni viene risolta nella critica alla previsione come atto conoscitivo. In Tre principii e tre ordini, per esempio, Gramsci evidenzia che “i fatti concreti dipendono da tante cause, che finiscono per non aver più causa, e per essere imprevedibili”86; e nel passo successivo si esprime così:

l’uomo ha bisogno per operare, di poter almeno in parte prevedere. Non si capisce volontà che non sia concreta, che cioè non abbia uno scopo. Non si capisce volontà collettiva che non abbia uno scopo universale concreto. Ma questo non può essere un fatto singolo, o una serie di fatti singoli. P essere solo un’idea o un principio morale. Il difetto organico delle utopie è tutto qui. Credere che la previsione possa essere previsione di fatti, mentre essa può esserlo solo di principii o di massime giuridiche87.

L’identificazione dell’atto predittivo con il principio morale lascia emergere l’influenza di Croce che nella Filosofia della pratica, constatando che le circostanze contingenti “non possono mai essere prevedute dalla legge”, aveva concluso che la previsione “non osserva in realtà la legge, ma il principio pratico ed etico; e l’osserva individualizzandolo”88. L’atto predittivo veniva trasferito dall’esterno di una realtà solo conosciuta all’interno di una volontà ridefinita come atto creatore del futuro.

La rivoluzione bolscevica agisce come conferma effettuale dell’errore politico del determinismo socialista che dal Capitale di Marx aveva desunto “la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia” “prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa”89, come si legge nel celebre La rivoluzione contro il Capitale. I bolscevichi, spiega Gramsci, hanno rinnegato “Carlo Marx” ma non il suo “pensiero immanente”:

vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, e che in Marx stesso si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. E questo pensiero pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che […] comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell’economia, la plasmatrice della realtà oggettiva90.

La lettura della rivoluzione sovietica come smentita degli schemi deterministici venne aspramente criticata da Bordiga, che nell’articolo Com- menti alla rivoluzione russa, del febbraio 1918, la giudicò come “sconfitta del metodo del materialismo storico” e “affermazione, per converso, di valori ‘idealistici’”91. Gramsci specificò la sua posizione nell’articolo Mi- steri della cultura e della poesia, dove mise in evidenza che, nonostante le deviazioni materialistiche siano da imputare a Marx stesso, il quale “non era un filosofo di professione, e qualche volta dormicchiava anch’egli”, il “comunismo critico”92 “non ha niente in comune col positivismo filosofico, metafisica e mistica dell’Evoluzione e della Natura” ma “si fonda sull’idealismo”, “dottrina dell’essere e della conoscenza, secondo la quale questi due concetti si identificano e la realtà è ciò che si conosce teoreticamente, il nostro stesso io”93.

La fusione delle riflessioni neoidealiste in una nuova sintesi del marxismo fu ciò che accomunò gli ordinovisti, come evidenziato da Togliatti nell’articolo La nostra ideologia, pubblicato il 7 luglio 1925 in risposta alle accuse di idealismo mosse dal Comitato di Intesa durante il dibattito che precedette il Congresso del 1926:

al marxismo si può giungere per diverse vie. Noi vi giungemmo per la via seguita da Carlo Marx, cioè partendo dalla filosofia idealistica tedesca, da Hegel. Attendiamo che ci si dimostri che questa origine è meno legittima di una eventuale origine […] dal naturalismo o dalla filosofia positiva […]. Per conto nostro la via che abbiamo seguita è, rispetto a qualsiasi altra, la via maestra e ha tutti i vantaggi dell’esser tale. E questo sia detto con particolare riguardo alle forme assunte […] dal marxismo in Italia. Dopo la prima originale esegesi ed elaborazione di Antonio Labriola […] la via normale per giungere al marxismo fu tra di noi quella del cosiddetto positivismo scientifico. […] Come risultato si ebbe una curiosa degenerazione del marxismo in dottrina metafisica annunciatrice di un divenire sociale del tutto prestabilito nelle sue forme.94

Il Marx degli ordinovisti “discende direttamente da Hegel e dalla filosofia tedesca”95, viene riscoperto dalla prospettiva del neoidealismo italiano e si contrappone al Marx che l’ideologia socialista aveva ridotto a “metafisico positivista”96. La polemica antipositivistica del giovane Gramsci lo lega a una linea genealogica che da Spaventa conduce a Labriola, a Croce e a Gentile e, in carcere, attraverso ulteriori elaborazioni teoretiche, diverrà uno degli “elementi divenuti stabili e permanenti” del suo “pensiero proprio”97. Queste influenze filosofiche negli anni Trenta verranno impiegate come “termine di paragone per rigenerare il marxismo”98 e renderanno possibile una nuova visione marxista della scienza.

 

4. La “quistione più importante riguardo alla scienza”

La maniera con cui Gramsci risolve diversi problemi connessi all’epistemologia, alla metodologia e allo statuto della scienza sperimentale rivela una sintonia con l’insofferenza degli ambienti scientifici europei di primo Novecento verso la filosofia della scienza positivistica. Similmente al convenzionalismo di Henri Poincaré e all’empiriocriticismo di Richard Avenarius, Ernst Mach e Aleksandr Aleksandrovič Bogdanov, Gramsci nega sussistenza ontologica alla realtà materiale in sé, ridefinendo il concetto di oggettività come processo di selezione di sensazioni. Ciò che stupisce, tuttavia, è che in nessun luogo dei quaderni e delle lettere dal carcere viene avviato un dialogo con questi autori, i cui volumi non sono presenti nel Fondo Gramsci, ma che non si può escludere che avesse frequentato durante il soggiorno moscovita e viennese del 1922-192499. Questo lascia supporre che il confronto con la nozione di scienza di ascendenza positivistica non sia motivato da una disinteressata riflessione sulla filosofia della scienza, quanto dalla necessità di avviare la critica delle tendenze sociologiche del marxismo à la Bucharin, che non a caso è il principale interlocutore delle note carcerarie sulle scienze100. E, inoltre, avvalora la tesi secondo la quale la discussione gramsciana sull’epistemologia scientifica non sia che un momento della costruzione della filosofia della praxis.

Già nell’ottobre 1930, nella prima nota dedicata alla realtà del mondo esterno, il § 42 del Quaderno 4 [b], Gramsci chiarisce che “la quistione più importante riguardo alla scienza è quella dell’esistenza obbiettiva della realtà esterna”101. Tra ottobre e novembre la discussione sull’oggettività viene svolta a partire da un passo dell’Antidühring:

In un certo punto (credo dell’“Anti-Dühring”) Engels afferma, su per giù, che l’oggettività del mondo fisico è dimostrata dalle ricerche successive degli scienziati (cfr. il testo esatto). Questa asserzione di Engels dovrebbe, secondo me, essere analizzata e precisata102.

Non vi è dubbio che la necessità di soffermarsi su questo passo discenda dalla soluzione materialistica del problema epistemologico contenuta in esso. Ciò che è meno chiaro è la ragione per la quale Gramsci, invece di evidenziare il limite materialistico della posizione engelsiana, ne tenti nel passo successivo un’interpretazione artificiosa: “Io penso […] che Engels voglia affermare il caso tipico in cui si stabilisce il processo unitario del reale, cioè attraverso l’attività pratica, che è la mediazione dialettica tra l’uomo e la natura, cioè la cellula “storica” elementare.”103. L’esegesi del brano appare forzata, in quanto tende a negare che Engels intendesse ribadirvi l’indipendenza della materia e ad affermare, per converso, che avrebbe inteso la nozione di oggettività scientifica come costruzione dell’attività pratica degli scienziati.

La forzatura lascia trasparire un confronto con tutto il marxismo prece- dente che, a partire da Engels, aveva cominciato ad assumere “passivamente i concetti di legge e previsione delle scienze naturali”104. È noto che l’An- tidühring con il ricorso “alle scienze sperimentali aprì la strada alla conce- zione evoluzionistica”105 prima nell’ambiente della Seconda Internazionale e poi, “attraverso Plechanov e lo stesso Lenin”106, nel marxismo sovietico. A tal proposito giova richiamare l’attenzione sul fatto che il brano di En- gels è citato integralmente due volte in Materialismo ed empiriocriticismo: nel paragrafo Del trascensus”, ovvero V. Bazarov rielabora Engels, dove è interpretato come negazione dell’esistenza di qualcosa “al di fuori del mon- do sensibile”107; e nel paragrafo Il principio dell’economia del pensiero e la questione dell’“unità del mondo”, nel quale Lenin sostiene che l’intenzione di Engels era quella di mostrare

che una filosofia, […] può dedurre l’unità del mondo o dal pensiero – e allora […] i suoi argomenti si riducono fatalmente a frasi ciarlatanesche – oppure dalla realtà obiettiva esistente fuori di noi, che porta da lungo tempo in gnoseologia il nome di materia e viene studiata dalle scienze naturali108.

In polemica con Bogdanov, che combinava il marxismo con l’empiriocriticismo di Mach, Lenin aveva tratto dalle pagine dell’Antidühring la legittimazione ad applicare la teoria positivistica del riflesso al marxismo e ad affermare che le sensazioni sono “immagini o riflessi delle cose”109.

Chiunque legga con un minimo d’attenzione l’Antidühring […] troverà decine di passi nei quali Engels parla delle cose e dei loro riflessi nel cervello dell’uomo, nella nostra coscienza, nel pensiero. Engels non dice che le sensazioni o rappresentazioni sono ‘simboli’ delle cose, poiché ai ‘simboli’ il materialismo conseguente deve qui sostituire le ‘immagini’ le figure o i riflessi. […] Si tratta della contrapposizione del materialismo all’idealismo […]. Bisogna procedere dagli oggetti alla sensazione e al pensiero? O dal pensiero e dalla sensazione agli oggetti? Engels segue la prima via, la via materialistica. 110

Materialismo ed empiriocriticismo, partendo dall’Antidühring, impresse al marxismo della Terza Internazionale l’impronta di una metafisica materialistica. L’impostazione giunse fino alla Teoria del materialismo storico di Bucharin, nel quale la conformità della storia alle leggi della natura viene indicata come “oggettiva” e “indipendente dalla coscienza degli uomini”111. Si può ipotizzare che Gramsci, individuata questa linea, abbia tentato di sottoporre il brano engelsiano a un’operazione di riscrittura per strapparlo agli svolgimenti materialistici che ne aveva fatto Lenin e ricondurlo alla riconfigurazione del marxismo in filosofia della praxis che andava compiendo in quegli anni. A riprova di ciò si osservi come in un passo della seconda stesura della nota, che i curatori dell’edizione tematica dei quaderni avevano omesso, si sottolinea che “è certo che in Engels (Antidühring) si trovano molti spunti che possono portare alle deviazioni del Saggio112.

Nonostante Gramsci non ne faccia mai menzione è verosimile che conoscesse Materialismo ed empiriocriticismo. È lui stesso a fornirne una breve descrizione nel numero del marzo 1924 della terza serie dell’“Ordine Nuovo”, dedicato all’attività di Lenin come capo rivoluzionario e corredato da un elenco di cenni bibliografici. Come emerge dalla lettera del 27 gennaio 1924 da Vienna, intendeva affidare a Togliatti una rassegna completa dei testi di Lenin pubblicati in Italia:

il primo numero sarà in buona parte dedicato al compagno Lenin. Io scriverò l’articolo di fondo […]. Penso ora che nel primo numero sarebbe più opportuno che tu facessi per la rubrica una rassegna dei libri e degli opuscoli di Lenin stampati in italiano, inquadrandola in un apprezzamento della funzione che l’opera e il prestigio di Lenin hanno avuto in Italia in tutti questi anni113.

Sul numero, tuttavia, non comparve la bibliografi richiesta, ma una bibliografi ragionata. È probabile che Togliatti non inviasse a Gramsci il materiale richiesto, costringendolo a compilare autonomamente la bibliografi D’altronde è noto che Gramsci “fu il reale animatore” della terza serie dell’“Ordine Nuovo” e nonostante le richieste di collaborazione “ricevette scarso aiuto”114. Nell’elenco bibliografi è presente il testo di Lenin del 1908: “Marxismo e critica empirica” 1909. Lenin combatte contro deviazioni filosofi del marxismo che si erano rivelate in un gruppo di socialisti russi alla cui testa era l’economista A. Bogdanov.115. Che la descrizione sia stata stilata da Gramsci è attestabile anche sottoponendo i “Cenni Bibliografi ” ad analisi stilistica. Qualche riga sopra il testo di Lenin La questione agraria è presentato con il titolo di “‘La quistione agraria’”, secondo una modalità (‘quistione’ e non ‘questione’) riscontrabile anche negli articoli giovanili e nei quaderni.

La consapevolezza gramsciana dell’impostazione materialistica del testo leniniano è inoltre desumibile dall’uso che Bordiga ne fece tra il 1924 e il 1926 in polemica con gli ordinovisti. Il rivoluzionario napoletano doveva conoscere il testo leniniano fi dal 1921, in quanto lo cita indirettamente nell’articolo Il pioniere di Bergson116 pubblicato sul “Comunista” nel giugno di quell’anno. Riferimento esplicito al volume sarà compiuto nella Conferenza del 24 febbraio 1924 tenuta a Roma in occasione della morte di Lenin:

A un certo momento della complessa storia del movimento marxista russo […] sorge una scuola, capeggiata dal filosofo Bogdanof, che vorrebbe sottoporre a una revisione la concezione materialista e dialettica marxista, per dare al movimento operaio una base filosofica a carattere idealistico e quasi mistico. Questa scuola vorrebbe far riconoscere ai marxisti il preteso superamento della filosofia materialista e scientifica da parte di moderne scuole filosofiche neo-idealistiche. Lenin risponde a essa in modo definitivo con un’opera (Materialismo ed empirio- criticismo) disgraziatamente poco tradotta e poco nota, apparsa in russo nel 1908, nella quale […] svolge una critica dei sistemi filosofici idealistici antichi e moderni, difende la concezione del realismo dialettico di Marx ed Engels […], dimostra infine come le scuole idealistiche moderne siano espressione di uno stato d’animo recente della classe borghese […]. Lenin stabilisce, in modo che per noi esclude ulteriori dubbi, che ‘non vi può essere una dottrina socialista e proletaria su basi spiritualiste, idealiste, mistiche, morali’117.

Qualche mese più tardi gli argomenti di Materialismo ed empiriocritici- smo vengono da lui utilizzati per mettere in luce il legame con l’idealismo crociano della nuova direzione centrista del PCd’I:

Graziosa […] l’ammissione ordinovista, che il leninismo è una completa concezione del mondo e non solo del processo della rivoluzione proletaria. Molto bene; ma come conciliare con questo l’adesione dei leaders ordinovisti alla filosofia idealista, alla concezione del mondo propria non di Marx e di Lenin ma dei neo-hegeliani e di Benedetto Croce? […] Lenin ha scritto opere fondamentali contro il preteso comunismo su base idealistica […] ma l’ordinovismo continua imperterrito ad adoperare Croce118.

Gramsci, avendo presenti gli interventi di Bordiga, dovette avvertire l’esigenza politica di un confronto con il testo leniniano, del quale tanto in merito alla posizione epistemologica quanto al giudizio sulla filosofia idealista non poteva non aver rilevato spunti critici. Non è quindi azzardato ipotizzare che, a fondamento dell’interpretazione del passo dell’An- tidühring avanzata nei quaderni, sia presente in forma velata la volontà di misurarsi con Materialismo ed empiriocriticismo.

Come mai questo rilievo critico rimane implicito nelle pagine dei Qua- derni del carcere? Come mai Gramsci non nomina mai Materialismo ed empiriocriticismo, né nella lettera del 3 agosto 1931119 in cui comme ta l’articolo di Dmitrij Petrovič Mirskij Bourgeois History and Historical Materialism, dove per ben due volte ci si riferisce al testo leniniano120, né quando critica Theory and Practice of Historical Materialism di Bucharin, nel quale compare una citazione del volume121? A mio parere non è convincente spiegare ciò in base a un complesso “di inferiorità”122. Stando al § 16 del Quaderno 11, 6°, nel quale Gramsci si riferisce “con ogni probabilità a Lenin”123, la “‘vera’ filosofia” del capo bolscevico non si troverebbe negli scritti di “filosofia” ma in quelli di “politica”124, che essendo la sua “attività dominante” contiene il vero “pensiero, implicito”, “in contraddizione con quello espresso ex professo125. Nel testo di prima stesura, redatto tra l’ottobre e il novembre 1930, il § 48 del Quaderno 4 [b], che precede il § 49 dove compare il riferimento all’espressione dell’Antidühring, Gramsci osserva:

avviene realmente che il ‘filosofo’ occasionale più difficilmente sappia astrarre dalle correnti dominanti del suo tempo, dalle interpretazioni divenute dogmatiche di una certa concezione del mondo ecc.; mentre invece come scienziato della politica si sente libero da questi idola del tempo, affronta più immediatamente la stessa concezione del mondo, vi penetra nell’intimo e la sviluppa originalmente126.

Ad ogni modo, il bersaglio polemico nella discussione epistemologica rimane Bucharin. I rilievi critici di Gramsci si riferivano ai due testi che egli possedeva durante la detenzione a Turi: La théorie du matérialisme historique, edizione francese del manuale del 1921 richiesto nella lettera a Tania del 25 marzo 1929127, e Theory and Practice from the Standpoint of Dialectical Materialism, che poteva leggere nel volume Science at the Cross Roads, giuntogli il 31 agosto 1931 tramite la mediazione di Sraffa 128. Il vero quesito sul confronto con questi testi nasce dal fatto che, nonostante sia impossibile negare che Gramsci li avesse a disposizione, rilevabile dalla puntualità con cui ne fa riferimento129 e dalla corrispondenza130, i due volumi non sono conservati nel Fondo Gramsci.

L’assenza si può ricollegare a un’operazione di Ambrogio Donini, primo direttore della Fondazione Gramsci fino al 1954, il quale, in occasione della prima pubblicazione dell’elenco dei libri del carcere nel numero di luglio-agosto del 1952 di “Movimento Operaio” in appendice all’articolo I libri del carcere di Antonio Gramsci di Giuseppe Carbone, ritenne prudente celare che Gramsci possedeva in carcere i testi di Bucharin131. Così si espresse nella lettera a Togliatti del 18 novembre 1952:

il n. 4 di “Movimento Operaio”, di imminente pubblicazione a Milano, conterrà una descrizione del “Fondo Gramsci”, cioè dei libri e delle riviste che Tatiana Schucht riuscì a mandare a Mosca dopo la morte di Gramsci e che sono oggi conservati alla “Fondazione”. L’elenco, che era stato richiesto da varie parti, è stato da noi riprodotto con la massima cura, ma senza cadere in esagerazioni ‘oggettivistiche’. Io ho fatto togliere tre o quattro titoli di libri di Trotski e Bukharin, ai quali avremmo dato attraverso questa menzione un’inutile pubblicità 132.

La cautelosa censura di Donini si spiega anche col fatto che il dirigente sovietico, dopo l’iniziale sostegno della leadership staliniana, a partire dal 1929 era entrato in conflitto con Stalin per la soppressione dell’economia mista e l’avviamento dell’industrializzazione forzata e, per questo, fu accusato di trotzkismo ed espulso sia dall’Ufficio politico del Partito che dal Presidium dell’Internazionale. Verrà arrestato nel 1937 e fucilato nel marzo 1938, divenendo autore proibito in Unione Sovietica, nonostante “la versione del marxismo che fu fissata da Stalin nel corso degli anni Trenta come filosofia di stato” fosse “largamente concordante con i capisaldi della Teoria del materialismo storico133.

Nei Quaderni del carcere la prima critica alla concezione epistemologica di Bucharin emerge nel novembre 1931, nel § 47 del Quaderno 7 [b], ma non vi sono dubbi che essa sia già implicita nel § 42 del Quaderno 4 [b] dell’ottobre 1930. Gramsci osserva che tanto in Thèorie du matérialisme historique quanto in Theory and Practice from the Standpoint of Dialectical Materialism Bucharin aveva presentato “il problema della ‘realtà oggettiva del mondo esterno’” in modo “estraneo al materialismo storico”134. L’errore principale consisteva nel rapporto di derivazione dai lui stabilito tra la concezione religiosa e le filosofie idealistiche, che riteneva accomunate dall’affermazione della creazione mentale del mondo esterno:

In point of fact, it is only in the case of the first-created Adam, just manufactured out of clay and for the first time seeing, again with eyes opened for the first time, the landscape of paradise with all attributes, that such a statement [la soluzione soggettivista rispetto al problema epistemologico] could be made135 .

Gramsci obietta che Adamo, secondo la concezione religiosa, “è creato dopo il mondo” e che la tradizione cattolica “sarebbe in questo caso ‘materialista’”, in contrasto con “l’idealismo”, non potendosi allontanare “dal concetto della ‘realtà’ indipendente dall’uomo pensante”136. La polemica torna nel marzo 1932, nel § 50 del Quaderno 8 [b], in riferimento al problema di Thèorie du materialisme historique se sia “la matière qui donne naissance à l’esprit, ou bien l’esprit à la matière”137, che nella relazione del 1931 era presentato come “the question of the objective reality of the external world, indipendent of the subject perceiving”138. La questione per Gramsci, lungi da rappresentare “le problème fondamental de la philosophie”139, è “una superfetazione e un bisogno da intellettuale”: “il pubblico popolare è ben lungi dal porsi il problema se il mondo esterno esista obbiettivamente o sia una costruzione dello spirito. Il pubblico popolare ‘crede’ che il mondo esterno sia obbiettivo ed è questa ‘credenza’ che occorre analizzare, criticare, superare scientificamente”140. Il fatto che “per secoli” si sia creduto che il mondo sia stato “creato da dio prima dell’uomo” ha fatto sì che la credenza nell’esistenza di un’oggettività indipendente dal soggetto diventasse “un dato del ‘senso comune’” attivo “anche quando il sentimento religioso è spento”141. Il filosofo sovietico avrebbe così espresso un punto di vista “‘reazionario’”, “di ritorno implicito al sentimento religioso”142. Non avrebbe compreso che “le teorie idealistiche” furono “il più grande tentativo di riforma morale e intellettuale che si sia verificato nella storia per eliminare la religione dal campo della civiltà” e che nel marxismo “la concezione delle superstrutture” è una “realizzazione dell’idealismo e della sua affermazione che la realtà del mondo è una costruzione dello spirito”143.

Tra il novembre e il dicembre 1931 “il concetto di oggettivo della filosofia materialistica volgare” è giudicato una forma di “metafisicheria”144. Mediando dall’idealismo viene proposta una nuova definizione della nozione di oggettività, di tipo soggettivistico: “cosa significa ‘oggettivo’? Non significherà ‘umanamente oggettivo’ e non sarà perciò anche umanamente ‘soggettivo’? L’oggettivo sarebbe allora l’universale soggettivo145. La ripresa del neoidealismo ne presuppone al contempo la critica dei residui speculativi e il superamento dell’impasse, presente nel sistema dello spirito crociano, generata dalla contraddizione tra storicismo assoluto e sistema filosofico di categorie ideali prive di genesi storica. Questa, non a caso, era stata la critica di fondo mossa da Labriola al Croce che andava formulando il suo sistema filosofico146. In Gramsci l’oggettività diviene catarsi dei contrasti sociali e assume l’aspetto di un processo egemonico, di un progressivo processo di oggettivizzazione del soggetto che lotta per l’unificazione culturale dell’umanità147.

Il soggetto conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario. La lotta per l’oggettività sarebbe quindi la lotta per l’unificazione culturale del genere umano; il processo di questa unificazione sarebbe il processo di unificazione del soggetto, che diventa sempre più un universale concreto, storicamente concreto148.

Nel testo di seconda stesura, redatto tra il luglio e l’agosto 1932, il rilievo critico mosso all’idealismo crociano viene approfondito fino alla negazione della possibilità di un’oggettività che sia universale concreto già nel periodo precedente la sparizione delle classi sociali:

l’uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall’origine pratica della loro sostanza. C’è quindi una lotta per l’oggettività (per liberarsi delle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l’unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ‘spirito’ non è un punto di partenza, ma di arrivo, l’insieme delle sovrastrutture in divenire verso l’unificazione concreta e oggettivamente universale149.

Nel prosieguo della nota emerge il peculiare ruolo dell’attività scientifica nel processo dell’unificazione culturale del genere umano. La scienza, già nell’epoca delle contraddizioni sociali, tende a costruire un’oggettività con il carattere dell’universale concreto.

La scienza sperimentale è stata (ha offerto) finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stata l’elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo ‘spirito’, a farlo diventare più universale; essa è la soggettività più oggettivata e universalizzata concretamente150.

Tra l’agosto e il dicembre 1932 nel § 2 del Quaderno 11, 3°, che rielabora un testo dell’ottobre 1930, viene ribadito che è “un errore domandare alla scienza come tale la prova dell’obbiettività del reale”, essendo quest’ultima una particolare “concezione del mondo”151 fondata su una visione dualistica del reale. Nel tentativo di stabilire una nozione di oggettività scientifica che escluda l’orizzonte di una materia trascendente e che, per questo, possa essere “accettata dalla filosofia della praxis”152, il dato scientifico è ricondotto al procedimento di selezione di sensazioni, i reali “elementi primordiali della conoscenza”153.

L’oggettività della scienza diviene prodotto finale di una progressiva selezione di sensazioni. Un processo costituito da due fasi distinte: l’elaborazione di “principi nuovi e complessi di induzione e deduzione”154 che rafforzano “gli organi delle sensazioni”155 e l’applicazione di questo complesso “di strumenti materiali e mentali” alle sensazioni, in modo da distinguere “ciò che nelle sensazioni è necessario da ciò che è arbitrario, individuale, transitorio”156. Questa doppia procedura consente di realizzare l’universalizzazione della percezione umana e di stabilire

ciò che è comune a tutti gli uomini, ciò che tutti gli uomini possono controllare nello stesso modo, indipendentemente gli uni dagli altri, purché essi abbiano osservato ugualmente le condizioni tecniche di accertamento. ‘Oggettivo’ significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo157.

Lo statuto dell’oggettività è trasportato dal piano della ricerca definitoria a quello dell’indagine metodologica, nella convinzione che ciò che interessi la scienza sia “l’uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali” e i suoi “strumenti logici (incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento”158. Anche all’interno del panorama scientifico “cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso o metafisico, appare nient’altro che un paradosso”159. L’unificazione di soggetto e oggetto nell’attività umana, “creatrice di tutti i valori, anche scientifici”, determina la degradazione della nozione trascendente di oggettività a “vuoto”160 storico. Il paradigma epistemologico delle scienze sperimentali è ricondotto alla filosofia della praxis: “ per la filosofia della praxis – conclude Gramsci – l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco di cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso”161. Il carattere delle procedure scientifiche è ulteriormente indagato nel corso del confronto, indirettamente stimolato da Sraffa162, con alcuni problemi epistemologici sollevati dalla fisica atomica163. L’argomento è affrontato inizialmente nel novembre 1931, nel § 5 del Quaderno 8 [b], Ideologie scientifiche, in riferimento al volume Escursione in terre nuove dello scrittore e critico letterario Giuseppe Antonio Borgese164, secondo il quale la scoperta del vuoto atomico da parte di Ernst Rutherford e le successive teorie dell’astrofisico Arthur Stanley Eddington avevano sovvertito “l’idea della Natura” e mostrato che la fisica non è “scienza esatta” ma “metafisica”165. Posizione che viene schernita da Gramsci come parto della “fantasia”166: “un corpo rimane ‘massiccio’, nel senso tradizionale, anche se la nuova fisica dimostra che quel corpo contiene un milione di parti di ‘vuoto’”167. Nello stesso mese Gramsci polemizza con il fisiologo Mario Camis168, che nella recensione del volume On the Principles of Renal Function di Gösta Ekehorn aveva ripreso l’osservazione di Borgese per cui i fenomeni invisibili a occhio nudo “non si possono considerare esistenti indipendentemente dal soggetto che li osserva”169 e la aveva applicata allo studio dei fenomeni renali, secondo lui vincolati “alle indefinibili ed inimitabili intuizioni manuali dello sperimentatore”170 e non sottoponibili a proceduralizzazione scientifica. Per Gramsci, al contrario, l’osservazione dei fenomeni “infinitamente piccoli”171 non dipende dall’abilità soggettiva dello scienziato, perché in tal modo il loro studio non coinvolgerebbe l’intera comunità scientifica e cadrebbe nel dominio “dell’intuizione personale”172.

Tra l’agosto e il dicembre 1932, nella nota di nuova stesura che riunisce le due appena considerate, ai fenomeni infinitamente piccoli viene riconosciuto uno statuto di oggettività, il quale non viene fatto dipendere da una esistenza “a prescindere dall’osservatore”173 ma dalla possibilità di una riproduzione universale dell’esperimento. Attraverso medesimi strumenti materiali e logici che selezionano le stesse sensazioni un fenomeno può essere “osservato oggettivamente da vari scienziati, indipendentemente gli uni dagli altri”174. Il “progresso scientifico” è infatti organicamente connesso alla possibilità di dar luogo a “nessi nuovi e originali”175 a partire dai fenomeni già osservati e, chiede sarcasticamente Gramsci, “come questo potrebbe avvenire se l’esperienza data non si riproducesse” una volta “mutato l’osservatore”176?

 

5. Le scienze sperimentali nella filosofia della praxis

Nei Quaderni del carcere la discussione epistemologica come “quistione più importante riguardo alla scienza”177 si intreccia alla riflessione, di importanza capitale per il marxismo, sul ruolo della scienza nella dialettica tra struttura e sovrastruttura e sul suo legame col processo produttivo. Il tema emerge nella prima nota dedicata alle scienze, il § 8 del Quaderno 4 [b] redatto nel maggio 1930, dove, con riferimento critico alla sociologia di Bucharin che aveva fondato lo studio della storia sui concetti di causa, legge e materia presi dalle scienze sperimentali – positivisticamente intese –, Gramsci dichiara che “la scienza è anch’essa una superstruttura”178. In quanto tale essa “non si presenta come nuda nozione obiettiva mai” ma “appare sempre rivestita da una ideologia”: “concretamente è scienza l’unione del fatto obiettivo e dell’ipotesi o di un sistema di ipotesi che superano il mero fatto obiettivo”179. La scienza si caratterizza così come un’attività complessa, qualificata da una “natura ancipite”180. È capace di operare la costruzione del mondo comune unificando l’umanità e, allo stesso tempo, è attività ideologica che porta in sé il segno dei rapporti di produzione181.

Ma – egli aggiunge – nello studio delle sovrastrutture la scienza occupa un posto a sé, per il fatto che la sua reazione sulla struttura ha un carattere di maggiore estensione e continuità di sviluppo, specialmente a partire dal 700, quando fu fatto alla scienza un posto a parte nell’apprezzamento generale182.

Con la rivoluzione industriale e lo sviluppo della società borghese la scienza si salda con il sistema produttivo e, mantenendo il carattere di sovrastruttura, assume un ruolo centrale nella sua riproduzione. Il suo carattere distintivo consiste nell’essere una sovrastruttura strettamente connessa alla produzione industriale che ha la capacità di rovesciarsi senza complesse mediazioni sui rapporti strutturali, in quella reciprocità tra forze materiali e circolo delle distinte forme sovrastrutturali cui Gramsci dà il nome di blocco storico183. Lo sviluppo delle scienze viene così giudicato “consustanziale allo sviluppo del capitalismo”184.

La riflessione è approfondita tra l’ottobre e il novembre 1930 con la definizione dell’attività scientifica come “cellula ‘storica’ elementare”185 del modo di produzione capitalistico. Nel processo di “mediazione dialettica tra l’uomo e la natura”186 inaugurato dall’esperienza scientifica Gramsci scorge una “nuova forma di unione attiva tra l’uomo e la natura”187 che “separa veramente due mondi della storia”188, in quanto apre un nuovo rapporto tra società e ambiente, un rapporto attivo, caratterizzato dal dominio conoscitivo e pratico tramite la mediazione della tecnologia: “lo scienziato […] è il primo esempio di uomo che il processo storico ha tolto dalla posizione di camminare sulla testa, per farlo camminare sui piedi”189. Con ciò emerge il tratto galileiano della filosofia della praxis. Sul piano della Weltanschauung l’affermarsi del metodo sperimentale inizia la “dissoluzione della teologia e della metafisica e la nascita del pensiero moderno” fondato sul rifiuto della trascendenza, “il cui coronamento è nella filosofia della praxis”190. Considerazione che riecheggia le osservazioni di Del ma- terialismo storico. Dilucidazione preliminare, dove Labriola aveva definito “tutto l’accelerato moto del sapere scientifico, dal secolo decimosettimo” come “la serie degli atti compiuti dallo intelletto scaltrito dall’esperienza, per assicurare al lavoro umano, nelle forme di una raffinata tecnica, il dominio su le condizioni e forze naturali”191 e aveva concluso che “questa scienza, che l’epoca borghese per le sue stesse condizioni ha così fomentato e fatto crescere gigante, è il solo retaggio dei secoli passati, che il comunismo accetti e faccia suo senza riserva”192.

Tra il maggio e l’agosto 1930 la discussione sulla natura sovrastrutturale della scienza dà luogo alla polemica con il riduzionismo della scienza agli strumenti materiali, considerato una conseguenza della tendenza alla ridu- zione della struttura agli strumenti di produzione. Anche questo argomen- to nasce da un confronto critico con Thèorie du materialisme historique, in particolare con il capitolo L’équilibre entre les éléments de la société e il para- grafo Superstructure et idéologie. Structure del superstructures del Supplément. Benché alcune sovrastrutture abbiano una “‘struttura materiale’” “il loro sviluppo non è ‘immanente’ nella loro particolare ‘struttura materiale’”: il “pensiero scientifico” “è una superstruttura che crea ‘gli strumenti scienti- fici’”193. Nel § 20 del Quaderno 4 [b], Lo strumento tecnico nel saggio po- polare, ribadendo che nel testo buchariniano “la concezione generale dello ‘strumento tecnico’” “è sbagliata nel suo complesso”194, Gramsci avvicina la posizione di Bucharin a quella di Achille Loria, il primo a “sostituire arbitrariamente all’espressione marxista ‘forze materiali di produzione’ l’altra di ‘strumento tecnico’”195. La fonte è il saggio Le teorie storiche del prof. Loria196 di Croce dove si dimostrava l’illegittimità dell’identificazione di struttura economica e strumento di produzione:

il Croce nota che Marx ha spesso messo in rilievo l’importanza storica delle invenzioni tecniche e invocato una storia della tecnica […] ma non si è mai sognato di fare dello ‘strumento tecnico’ la causa unica e suprema dello svolgimento economico. […] Il Croce aggiunge poi che il Marx non si è mai proposto questa indagine intorno alla causa ultima della vita economica. ‘La sua filosofia non era così a buon mercato. Non aveva civettato invano con la dialettica dello Hegel, per andar poi a cercare le cause ultime197.

Il rifiuto del riduzionismo della scienza ai suoi strumenti materiali comporta la valorizzazione dell’apparato teorico e metodologico nel processo dello sviluppo scientifico. Nel novembre 1930, partendo dall’esempio della “Geologia”, scienza in continua evoluzione pur non avendo altri strumenti “oltre il martello”, Gramsci osserva che “i principali ‘strumenti’ del progredire delle scienze sono di ordine intellettuale, metodologico”198. Sono gli strumenti intellettuali, e non materiali, a costituire il motore principale dell’evoluzione della scienza. La loro capacità di influire sul progresso scientifico dipende dalla storicità che li costituisce, dal fatto che essi, secondo un’affermazione dell’Antidühring già considerata nel § 19 del Quaderno 4 [b] a partire da una citazione in Le teorie storiche del prof. Lo- ria, “non sono nati dal nulla, non sono innati, ma sono acquisiti e si sono sviluppati e si sviluppano storicamente”199. Questo complesso di dispositivi intellettuali racchiude anche il momento ideologico del discorso scientifico nel quale si manifesta lo scontro tra visioni del mondo radicate in forze storiche opposte. Nel testo di seconda stesura, redatto tra il luglio e l’agosto 1932, attraverso la forma dell’interrogazione retorica, si osserva infatti “quanto ha contribuito al progresso delle scienze l’espulsione dell’autorità di Aristotele e della Bibbia dal campo scientifico? E questa espulsione non fu dovuta al progresso generale della società moderna?”200. A tal proposito viene ricordato “l’esempio delle teorie sull’origine delle sorgenti”201, già considerato nel dicembre 1916 nell’articolo LUniversità popolare, dove si metteva in risalto “tutto lo sforzo che è costato il liberare lo spirito degli uomini dai pregiudizi e dagli apriorismi divini o filosofici” per raggiungere la conclusione “che le sorgenti d’acqua hanno la loro origine dalla precipitazione atmosferica, e non dal mare”202.

Il problema metodologico della scienza viene così “impostato storicamente”203, nella convinzione che a ogni differente scienza sia connaturato un metodo determinato e particolare. Nel novembre 1930 Gramsci osserva che la pretesa positivistica di una metodologia applicabile a ogni distinta attività conoscitiva deriva “dal non comprendere la storicità” “delle opinioni scientifiche”204. Un tema che ritorna nel dicembre 1931 nel § 180 del Quaderno 6 e poi tra il febbraio e il marzo del 1932 nel § 37 del Quaderno 8 [b], dove, ribadendo che l’elemento che più di tutti “non è accettabile” nel “concetto di ‘scienza’” di Bucharin è l’innalzamento del metodo sperimentale a metodo “generale”205, Gramsci perviene all’identificazione di scienza e metodo. La filosofia della praxis, storicismo compiuto, rifiuta come metafisica la ricerca di una metodologia universale. Ogni metodo è “proprio di una determinata ricerca, di una determinata scienza” ed è “stato elaborato insieme allo sviluppo e alla elaborazione di quella determinata ricerca e scienza e forma tutta una cosa con esse”206. Anche Croce in Logica come scienza del concetto puro aveva fatto riferimento all’impossibilità di rinvenire un metodo unico per tutte le scienze: “il metodo di una forma del sapere, e, in generale, di una forma dello spirito, non è qualcosa di diverso e nemmeno di distinguibile da questa forma stessa”207.

 

6. Conclusione

La nostra indagine su Antonio Gramsci e le scienze sperimentali vorrebbe essere un contributo alla nuova stagione di studi gramsciani inaugurata dall’attività dell’Edizione Nazionale delle opere di Antonio Gramsci e fondata sul principio per cui la ricostruzione delle diverse discussioni dei Quaderni del carcere deve essere condotta in base criteri diacronici e storicistici in grado di restituire il ritmo del pensiero gramsciano e il legame con la storia che lo anima. Attraverso la ricostruzione diacronica e l’analisi filologica è stato mostrato che le riflessioni carcerarie sulla scienza non costituiscono un’indagine a sé stante e indipendente dalla riflessione più direttamente filosofica. Lungi dal rappresentare una disinteressata indagine epistemologica, esse sono parte integrante della traduzione gramsciana del marxismo in filosofia della praxis e rispondono al tentativo di mostrare come la filosofia della praxis consenta la formulazione di un’originale epistemologia marxista, indipendente dall’affermazione materialistica dell’esistenza oggettiva della realtà esterna.

Come risulta dall’analisi filologica delle note carcerarie, l’obiettivo polemico gramsciano non è soltanto il manuale di Bucharin, ma la più ampia tendenza filosofica della Terza Internazionale, che, assumendo le affermazioni più materialistiche dell’Antidühring di Engels e seguendo la linea indicata dal Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo, accoglieva la teoria positivistica del riflesso e formulava la contrapposizione tra una scienza materialista ‘progressista’ e una filosofia idealista ‘reazionaria’ e ‘borghese’, come sarebbe poi stato fissato dalla teoria staliniana del diamat. In particolare, è stato mostrato che per comprendere il legame di Gramsci con Mate- rialismo ed empiriocriticismo è indispensabile ricostruire la maniera con cui Amadeo Bordiga, fin dal 1921, interpretava il testo leniniano e comprendere la rilevanza politica che riconobbe a esso tra il 1924 e il 1926.

La ricerca ha infine messo in luce che la negazione gramsciana della materia in sé è fortemente influenzata dalla critica neoidealistica della trascendenza materiale e dalla polemica antipositivistica condotta da Benedetto Croce nei primi anni del Novecento, le quali ebbero un notevole peso nella sua formazione filosofica e nei Quaderni del carcere diventano oggetto di una ritraduzione storicistica, mai di critiche distruttive. I brevi cenni storici che sono stati proposti nelle prime pagine consentono di rilevare che il modulo esegetico secondo il quale gli obiettivi polemici della riflessione epistemologica gramsciana sarebbero non solo il materialismo buchariniano ma anche la cosiddetta ‘svalutazione crociana delle scienze’ ha la sua genesi nelle vicende culturali del dopoguerra italiano, nell’idea di partitarietà della cultura che dominò gli intellettuali comunisti fino agli eventi del 1956 e nella stagione di studi legata all’edizione tematica dei Quaderni del carcere. Individuare le radici concrete di quella interpretazione non contribuisce solo alla ricostruzione della concezione gramsciana delle scienze ma, più in generale, aiuta a impostare correttamente lo studio delle relazioni tra la filosofia della praxis e la filosofia dello spirito e a riscoprire Gramsci e Croce come classici del pensiero, le cui riflessioni filosofiche attraversano i secoli e le vicende umane.


* Ricercatrice indipendente (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.)

** Il presente contributo costituisce una sintesi di alcuni punti della mia tesi di laurea magistrale discussa presso la facoltà di Filosofia dell’Università degli studi di Roma La Sapienza nel gennaio 2020. Ringrazio Marcello Mustè e Giuseppe Vacca per aver incoraggiato e seguito la scrittura di queste pagine, Francesco Giasi e Giuseppe Cospito per i suggerimenti fornitimi. Ringrazio Elvezio Lazzaroni per le preziose indicazioni riguardanti Amadeo Bordiga.

Note
1 Gramsci in carcere possedeva un’edizione francese del volume: Boukharine (1927).
2 Nelle pagine che seguono la datazione delle note è desunta da Cospito (2011b, 897904). La numerazione delle note dei Quaderni del carcere si attiene all’ordinamento stabilito dall’Edizione Nazionale, per le varianti rispetto all’edizione critica di Gerratana di veda Cospito (2011a, 10).
3 Q, 1425 (Q4, c. 36v).
4 Sullo sviluppo delle tre serie di Appunti di filosofia si veda Mustè (2018, 175-222).
5 Il § 1 del Quaderno 7 [b], dove compare si fa riferimento alla funzione delle scienze sperimentali nel quadro della riforma intellettuale e morale, è rielaborato nel Quaderno 10.
6 Paladini Musitelli (2008a, 13).
7 QM, 741, n. 66.
8 Q, 1448 (Q11, c. 47v), corsivi miei.
9 Vacca (2018, 72-73).
10 Cfr. Vacca (2005, 13-29).
11 Gramsci (1955, XVI).
12 Ivi, XXIII.
13 Matteucci (1977, 84, n. 13). Cfr. Vacca (2018, 72) e Liguori (2012, 103).
14 Vittoria (2015, 53).
15 Vacca (2018, 75).
16 Sereni, (1948, 27).
17 Ivi, 21.
18 Liguori (2012, 105).
19 Cassata (2008, 52).
20 Vacca (2018, 77-82).
21 Vittoria (2015, 58).
22 Ivi, 59.
23 Aloisi, all’epoca professore di patologia generale nell’Università di Modena, nel secondo dopoguerra fu tra gli intellettuali comunisti più attivi nel dibattito sull’epistemologia scientifica. Cfr. Cassata (2008, 57-75).
24 Aloisi (1950, 386-7).
25 Ivi, 388
26 Q, 1457 (Q11, c. 52v).
27 Q, 1444 (Q11, c. 46r).
28 Aloisi (1950, 404).
29 Ivi, 403.
30 Ivi, 409.
31 Matteucci (1950, 400).
32 Ibidem.
33 Ivi, 400.
34 Ciliberto (1981, 5).
35 Di Domenico (1979, 57).
36 Mangoni (2013, 161-162).
37 Di Domenico (1979, 76).
38 Ibidem. Cfr. Liguori (2012, 107-108).
39 Borelli (1951, 104).
40 Q, 1416 (Q11, c. 32v).
41 Bianca (1951, 106).
42 Vittoria (2015, 92).
43 Vacca (2018, 95).
44 Vittoria (2015, 98).
46 Sulla direzione Natta dell’Istituto Gramsci si veda Sorgonà (2019, 41-61).
47 Gruppi (1958, 170-171).
48 Ivi, 180.
49 Mustè (2020, 204).
50 Liguori (2012, 150).
51 Mustè (2020, 206-7).
52 Tronti (1959, 156).
53 Ivi, 158.
54 Ivi, 160.
55 Ivi, 151.
56 Vacca (2017, 164).
57 Liguori (2012, 160).
58 Ferrari (2016, 91-92).
59 Geymonat (1945, VIII).
60 Ferrari (2016, 17).
61 Geymonat (1958, 148).
62 Sull’interpretazione diacronica dei Quaderni del carcere si faccia riferimento a Cospito (2011); Francioni (1984); Francioni (2009, 21-60).
63 Cfr. QM, 460-1 (Q4, c. 43r-v); e, in particolare Q 1507 (Q11, cc. 78v-79v). Sull’elaborazione della filosofia della praxis si veda Vacca (2016), ora in Vacca (2020, 53110); e Mustè (2018).
64 Rossi (1976), Barletta (1978), Mazzù (1978), Lefons (1978), Finocchiaro (1979), Cospito (2008), Paladini Musitelli (2008b), Omodeo (2016), Mustè (2018, 206209), Di Meo (2020, 203-249).
65 Gramsci (2019b, 128); comparso il 29 gennaio 1916 sul “Grido del Popolo”.
66 Gramsci (2019d, 805); comparso il 29 dicembre 1916 sull’“Avanti!”.
67 Gramsci (2019c, 389); comparso il 22 maggio 1916 sull’“Avanti!”.
68 Vacca (2007, 14).
69 Gramsci (1984b, 346-347); comparso il 19 ottobre 1918 sul “Grido del Popolo”.
70 Rapone (2011, 45).
71 Cfr. Ragionieri (1974, XXVIII).
72 Rapone (2011, 42).
73 Ivi, 46.
74 Gramsci (2019a, 5); comparso il 5 febbraio 1913 sul “Corriere universitario”.
75 Togliatti (1974a, 27); comparso il 15 maggio 1919 su “L’Ordine Nuovo”.
76 Rapone (2011, 47-8).
77 Ivi, 48.
78 Q, 1233 (Q10, c. 49r).
79 LC, 619-620; missiva del 17 agosto 1931 indirizzata a Tatiana Schucht.
80 Croce (1915, 154-155).
81 Gramsci (2015c, 101).
82 Croce (1963, 546); comparso il 17 luglio 1920 sull’“Ordine Nuovo”.
83 LC, 620.
84 Gramsci (2019c, 389).
85 Il numero viene pubblicato nel febbraio 1917 dalla Federazione giovanile socialista piemontese interamente redatto da Gramsci. Cfr. Gramsci (2015a, 81-82, n. 2); e Gramsci (1982, 4, n. 1).
86 Gramsci (2015b, 84).
87 Ibidem, corsivi miei.
88 Croce (1996b, 338).
89 Gramsci (2015d, 617).
90 Ivi, 618.
91 Bordiga (1998, 417); articolo comparso sull’edizione romana dell’“Avanti!” del 27 e 28 febbraio 1918 e sull’edizione milanese del 2 marzo 1918 col titolo Commenti alla rivoluzione russa; ripubblicato sullo “Stato Operaio” del 25 marzo e del 3 aprile 1924.
92 L’espressione comunismo critico segnala la ripresa di Labriola, che aveva coniato la formula nel 1895 per indicare la filosofia originale del marxismo: “comunismo critico – questo è il vero suo nome, e non ve n’è altro di più esatto per tale dottrina” (Labriola, 1968, 15).
93 Gramsci (1984b, 348).
94 Togliatti (1974b, 648); comparso il 23 settembre 1925 su “L’Unità”.
95 Spriano (1963, 20).
96 Gramsci (1984a, 4) comparso il 4 maggio 1918 sul “Grido del Popolo”.
97 QM, 657 (Q4, c. 41r).
98 Vacca (2017, 164).
99 Sul legame con l’empiriocriticismo si veda Wu Ming 2 (s.d.).
100 Su questa problematica si veda Lefons (1978, 117-120).
101 QM, 721 (Q4, c. 75r-v).
102 QM, 731 (Q4, c. 80r). L’espressione di Engels, ricordata in questo passo a memoria, nel testo di seconda stesura (Quaderno 11, 2°, § 22) tornerà citata tra virgolette, in una forma che sintetizza la citazione del brano riportata nel precedente § 5. La fonte non è stata individuata e al presente stadio degli studi non risulta che Gramsci durante la reclusione avesse a sua disposizione l’Antidühring; cfr. QM, (734 n. 7); cfr. Q, (2624-2625, n. 4). Sul rapporto carcerario con Engels si veda Cospito (2008); Liguori (1996, 84-92).
103 QM, 731 (Q4, c. 80r).
104 Vacca (2017, 170).
105 Musto (2006, 15).
106 Vacca (2017, 170).
107 Lenin (1955, 114).
108 Ivi, 169.
109 Ivi, 38.
110 Ivi, 39.
111 Bucharin (1983, 36).
112 Q, 1449 (Q11, c. 48v). Il significato reale che il passo doveva avere secondo Gramsci è desumibile dalle ultime battute del § 47 del Quaderno 7 [b], dove è citato un passo del testo di Mario Casotti Saggio di filosofia dell’educazione - ripreso nell’articolo Il co- gito ergo sum di Cartesio e la nostra conoscenza dell’anima pubblicato il 3 ottobre 1931 sulla “Civiltà Cattolica”: “Mario Casotti, Maestro e scolaro, p. 49 scrive: ‘le ricerche dei naturalisti e dei biologi presuppongono già esistenti la vita e l’organismo reale’, che suona come una frase di Engels nell’Antidühring” (Q, 894: Q7, c. 73v).
113 Togliatti (1962, 176), corsivi miei.
114 Somai (1979, 138). Cfr. Giasi (2009,185-208).
115 Gramsci (1924, 4). Ringrazio Franceso Giasi per avermi segnalato questi cenni bibliografici.
116 “Noi siamo su di una base teoretica che prima della rivoluzione russa, molto prima, Lenin stabiliva con la dimostrazione schiacciante che non può esistere una dottrina del socialismo e della rivoluzione proletaria su basi teoriche idealiste, spiritualiste o semi-idealiste” (Bordiga 2015, 469), comparso il 26 giugno 1921 sul “Comunista”. Un altro possibile suo riferimento a Materialismo ed empiriocriticismo è individuabile anche nell’articolo Marx o Bergson, comparso su “Il Soviet” il 25 novembre 1920. Ringrazio Elvezio Lazzaroni della Fondazione Amadeo Bordiga per avermi indicato questi due articoli e per avermi fornito preziosi suggerimenti riguardanti la conoscenza bordighiana di Materialismo ed empiriocriticismo.
117 Bordiga (1924, 12-13). La conferenza era stata pubblicata il 28 febbraio 1924 sullo “Stato Operaio” e il 15 marzo 1924 sul “Prometeo”.
118 Bordiga (1925).
119 Cfr. LC, 613.
120 Il riferimento compare in Mirskij (1931, 456, nn. 2 e 3). La rivista “Labour Monthly. A Magazine of International Labour” venne recapitata nel carcere di Turi grazie all’operato di Piero Sraffa, che ne comunica l’invio nella lettera a Schucht del 11 luglio 1931 (cfr. Sraffa 1991, 14). Il primo fascicolo ricevuto è quello del luglio 1931, dove Gramsci ebbe modo di leggere l’articolo di Mirskij Bourgeois History and Historical Materialism. È certo che Gramsci consultò la rivista fino ai fascicoli dell’ottobre 1931, in quanto nel § 205 del Quaderno 8 commenta l’articolo di Mirskij The Philosophical Discussion in the C. P. S. U. in 1930-31, contenuto nel numero di ottobre. Alla fine del mese entrò in vigore un nuovo regolamento carcerario che prevedeva una restrizione delle riviste concesse (cfr. LC, 1174, n. 2). Si veda l’istanza al Capo del Governo presentata dal recluso alla fine dell’ottobre 1931, dove viene fornito un elenco delle riviste che non sarebbero più state concesse, tra le quali è presente anche il “Labour Monthly” (ivi, 1173-4); la quale non fu accolta (ibidem). Sulla lettura carceraria del “Labour Monthly” il riferimento è a De Domenico (1991); e Frosini (2003, 103122). Una copia digitale del numero del 1931 del “Labour Monthly”, che non era reperibile in Italia, è stata da me depositata presso la Fondazione Antonio Gramsci Onlus di Roma, dopo averla recuperata dall’estero grazie alla collaborazione di Attilio Trezzini, direttore del Centro di ricerche e documentazione Piero Sraffa.
121 Bucharin (1931, 8). 122 Orfei (1961, 43). 123 Cospito (2015, 41).
124 Q, 1493 (Q11, c. 70v).
125 Ibidem.
126 QM, 731 (Q4, cc. 79v-80r).
127 “Sulla teoria della storia vorrei avere un volume francese uscito recentemente: Boukharine – Théorie du matérialisme historique, Editions Sociales – Rue Valette 3, Paris (Ve)” (LC, 349).
128 L’invio del volume è annunciato da Sraffa nella lettera del 23 agosto indirizzata a Schucht: “Nino riceverà, spero tra non molto, un libro che certo lo interesserà intitolato Science at the Crossroads. Forse lo invoglierà a leggere altri libri di carattere scientifico” (Sraffa 1991, 23). Il 31 agosto, in una lettera a Tania, il recluso comunica: “proprio oggi è arrivato il libro inglese sulla Scienza al bivio” (LC, 630).
129 Cfr. Q, 2438.
130 Cfr. Francioni (1987, 28-30).
131 Cfr. QM, XXXII-XXXIII, n. 57.
132 Daniele (2005, 123), corsivi miei.
133 Frosini (2003, 105, n. 8).
134 Q, 894 (Q7, c. 73v).
135 Bucharin (1931, 12).
136 Q, 894 (Q7, c. 73v).
137 Boukharine (1927, 52).
138 Bucharin (1931, 1).
139 Boukharine (1927, 52).
140 Q, 1075-6 (Q8, c. 70v).
141 Q, 1076 (Q8, c. 70v).
142 Ibidem.
143 Ibidem.
144 Q, 1049 (Q8, c. 56v).
145 Ivi, 1048 (Q8, c. 56r-v).
146 Cfr. lettera di Labriola a Croce del 25 dicembre 1896 in Labriola (1983, 758).
147 Cfr. Schirru (2008, 767-791).
148 Q, 1048-9 (Q8, c. 56v).
149 Q,1416 (Q11, c. 32r).
150 Ibidem (Q11, c. 32r-v).
151 Ivi, 1455 (Q11, c. 51v).
152 Ivi, 1456 (Q11, c. 52r).
153 Ivi, 1455 (Q11, cc. 51v-52r).
154 Ivi,1455-6 (Q11, c. 52r).
155 Ivi, 1455 (Q11, c. 52r).
156 Ivi, 1456 (Q11, c. 52r).
157 Ibidem.
158 Q,1457 (Q11, c. 52v).
159 Ibidem.
160 Ibidem.
161 Ibidem.
162 L’economista, tramite la mediazione di Schucht, tra il luglio e il settembre 1931 propose al recluso di riflettere su temi legati alla scienza. Nella lettera dell’11 luglio 1931 comunica l’invio della rivista mensile “Labour Monthly. A Magazine of International Labour” e in quella del 23 agosto 1931 del volume Science at the Cross Roads. In quest’ultima missiva segnala che “in questi tempi alcuni scienziati, almeno in Inghilterra, sembrano aver lasciato il positivismo per darsi ad una specie di grossolano misticismo” (Sraffa 1991, 24). A queste osservazioni, trascritte da Tania nella lettera del 25 agosto, Gramsci risponde nella lettera del 31 agosto 1931, dove esprime la seguente richiesta: “vorrei avere il libro di Sir James Jeans L’universo intorno a noi pubblicato recentemente dal Laterza di Bari. Il Jeans era citato nell’articolo del Mirski. Anche il Treves ha pubblicato o sta per pubblicare un libro di fisica di uno scrittore inglese molto noto (non ho presente il nome, mi pare sia l’Eddington) tradotto dal figlio di Gentile: il Jeans è un fisico puro, l’Eddington invece accetta l’idealismo nella scienza” (LC, 630). Nei mesi seguenti riceverà i seguenti volumi: J. Jeans (1931) e Eddington (1929), che si sono conservati nel Fondo Gramsci. Si veda la precisazione in LC 632, n. 7.
163 Si veda Greco (2008).
164 Borgese (1931). Il volume, conservato nel Fondo Gramsci e riportante sulla pagina di risguardo il visto del direttore Vito Azzariti, è un resoconto romanzato del vii Congresso Internazionale di filosofia tenuto a Oxford il 1-6 settembre 19030 e mette in risalto le implicazioni filosofiche delle scoperte scientifiche di Ernst Rutherford e Arthur Stanley Eddington. Borgese aveva esordito nella critica letteraria nel 1905 con Storia della critica romantica in Italia, pubblicata per le Edizioni della Critica sotto impulso di Croce. Nel 1907 inaugurò la sua attività giornalistica come corrispondente in Germania di “Il Mattino” di Napoli e de “La Stampa” di Torino.
165 Borgese (1931, 49).
166 Q, 1043 (Q8, c. 52r).
167 Ibidem (Q8, c. 52v).
168 Sull’attività scientifica di Camis si veda Berlucchi, Moruzzi (2017).
169 Borgese (1931, 48).
170 Camis (1931, 131).
171 Q, 1048 (Q8, c. 56r).
172 Ibidem.
173 Mustè (2018, 209).
174 Q, 1454 (Q11, c. 51r).
175 Q, 1452 (Q11, c. 50r).
176 Ibidem.
177 QM, 721 (Q4, c. 75r).
178 QM, 672 (Q4, c. 49r).
179 Ibidem.
180 Mustè (2018, 206)
181 Occorre osservare che per Gramsci si dà la possibilità di scindere la “nozione obiettiva” della scienza dal suo ideologico “sistema di ipotesi”, così che un gruppo sociale può, attraverso un “processo di astrazione”, “appropriarsi la scienza di un altro gruppo senza accettarne l’ideologia” (Q, 1458: Q11, c. 53). Il riferimento gramsciano è all’articolo di Mario Missiroli Il socialismo contro la scienza, pubblicato nel luglio 1919 sull’“Ordine Nuovo”, dove la scienza era rifiutata in quanto concezione del mondo borghese e privilegio di classe. Si veda Rossi (1976, 41-45).
182 QM, 672 (Q4, c. 49r)
183 Sul concetto di blocco storico il riferimento è a Cospito (2011, 218-225); e Mustè (2018,198-202). Il lemma compare tra il maggio e l’agosto 1930 nel § 16 del Quaderno 4 [b] e viene esplicitamente definito all’altezza del febbraio 1932 nel § 61 del Quaderno 8 [c].
184 Vacca (2017, 170).
185 QM, 732 (Q4, c. 80r).
186 QM, 731 (Q4, c. 80r).
187 QM, 732 (Q4, c. 80r)
188 QM, 731 (Q4, c. 80r)
189 Q, 732 (Q4, c. 80r).
190 Q, 1449 (Q11, c. 48v).
191 Labriola (1968b, 144).
192 Ivi, p. 145.
194 QM, 686 (Q4, c. 56v).
195 bidem.
196 Il saggio era comparso nel novembre 1896 in lingua francese nella rivista marxista “Le Devenir social”. Nel 1900 sarà ripubblicato in Materialismo storico ed economia marxistica, raccolta di articoli, scritti tra il 1895 e il 1899 e concernenti alcuni problemi del marxismo dell’epoca. Gramsci possedeva in carcere il seguente volume Croce (1921), recapitatogli nel carcere di Turi tra il 19 luglio 1928 e il 16 marzo 1929; cfr. Giasi (2017, 151).
197 QM, 686-687 (Q4, cc. 56v-57r).
198 Q, 856 (Q7, c. 54r).
199 Ibidem.
200 Q, 421 (Q11, c. 34v).
201 Ibidem.
202 Gramsci (2019d, 805).
203 Vacca (2017, 170).
204 Q, 855 (Q7, c. 53v).
205 Q, 1062 (Q8, c. 63r).
206 Ibidem.
207 Croce (1996a, 191). Nel Fondo Gramsci non è conservata un’edizione di Logica come scienza del concetto puro, che Gramsci doveva aver letto nell’edizione del 1909, 1917 o 1920. Nell’edizione del 1920 il passo non presenta varianti; nelle edizioni del 1909 e del 1917 non presenta varianti significative, ma solo l’aggiunta di poche virgole (ivi, 562). Per lo studio delle varianti del testo crociano il riferimento è all’apparato critico di Croce (1996a, 439-739), dove è contenuto lo spoglio completo delle varianti di tutte le edizioni di Logica come scienza del concetto puro.

Tavola delle abbreviazioni
La citazione dei Quaderni 1, 2, 3, e 4 è tratta dall’Edizione Nazionale; dopo la sigla e il numero di pagina sono indicati fra parentesi il quaderno e il numero di pagina manoscritta.
QM = Gramsci A. (2017), Quaderni del carcere, 2. Quaderni Miscellanei (1929-1935), a cura di Cospito G., Francioni G., Frosini F., Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana.
Per la citazione di restanti quaderni, non essendo ancora disponibile l’Edizione Nazionale, si adotta l’edizione critica; dopo la sigla e il numero di pagina sono indicati fra parentesi il quaderno e il numero di pagina manoscritta.
Q = Gramsci A. (1975), Quaderni del carcere, a cura di Gerratana V., To- rino: Einaudi.
Per la citazione delle lettere dal carcere si fa riferimento alla nuova edizione critica.
LC = Gramsci A. (2020), Lettere dal carcere, a cura di Giasi F., Torino: Einaudi.

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