Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Analisi, previsione, oggettività: su alcuni usi della dialettica materialistica

di Eros Barone

screenshot dialetticamat.png

La dialettica vera e propria è lo studio della contraddizione nell’essenza stessa degli oggetti.

V. I. Lenin, Quaderni filosofici.

1. Analisi del problema relativo al ruolo dei sindacati e applicazione del metodo dialettico in Lenin

Scopo del presente articolo è quello di esaminare l’applicazione del metodo dialettico nell’analisi di un problema, nella formulazione di una previsione e nella determinazione di ciò che è oggettivo da parte della fisica contemporanea. Si cercherà, in primo luogo, di fornire un’esemplificazione del modo in cui tale metodo è stato applicato da quel maestro del socialismo scientifico e della dialettica materialistica che risponde al nome di Vladimir Il'ič Lenin. Dalla disàmina degli aspetti salienti del modo di argomentare e di ragionare che il rivoluzionario russo aveva maturato attraverso la conoscenza dei classici del materialismo storico-dialettico (Marx, Engels, Plechanov e, per certi versi, lo stesso Kautsky), si ricava infatti una grande lezione di metodo: una lezione che Lenin aveva pienamente assimilato e che seppe applicare contro la falsificazione opportunista del marxismo, come dimostra la sua acutissima lettura della Logica di Hegel e del Capitale di Marx.

Il metodo dialettico e il rapporto tra la logica formale e la logica dialettica sostanziano tutta l’opera di Lenin, dagli scritti sulla formazione del partito rivoluzionario alle discussioni sulla costruzione della dittatura del proletariato dopo la rivoluzione vittoriosa. Nel Che fare?, rintuzzando i ragionamenti formali di un socialdemocratico che nel processo di formazione del partito vedeva solo la realtà contraddittoria e nessun punto fermo su cui far leva, talché la realtà gli appariva un circolo vizioso, Lenin afferma: «Ogni questione “si aggira in un circolo vizioso” perché tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l’arte dell’uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell’afferrare saldissimamente l’anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena». 1

È noto che dall’analisi della situazione del partito, che Lenin svolgeva nel libro da cui è tratta la citazione, scaturiva, quale necessaria conseguenza, che questo anello, cioè il fattore che avrebbe determinato tutti gli altri, era “il giornale politico di tutta la Russia”.

Si tratta perciò di definire questo modo di argomentare e di ragionare attraverso un esempio concreto e particolarmente illuminante. Negli ultimi mesi del 1920 e nei primi del 1921 si accese in Unione Sovietica una vivace discussione sul ruolo dei sindacati nella nuova società e quindi sulla linea del partito comunista nei loro confronti. 2 Due erano le posizioni in conflitto: quella del partito, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto una scuola di comunismo”; quella di Trotsky, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto un apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione”. Bucharin, dal canto suo, tentò di mediare tra la posizione del partito e quella di Trotsky: «Il compagno Zinoviev ha detto che i sindacati sono una scuola di comunismo e Trotsky ha detto che essi sono l’apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione. Non vedo nessun fondamento logico che dimostri che il primo o il secondo punto di vista non sia giusto: entrambe queste definizioni sono giuste, come è giusta la loro combinazione». Bucharin si ingegnò di argomentare la propria posizione (ovviamente eclettica) ricorrendo a un’analogia: «Compagni, le discussioni che qui si svolgono suscitano in molti di voi all’incirca questa impressione: arrivano due persone e si chiedono reciprocamente che cos’è il bicchiere che sta sulla scrivania. L’uno dice: “È un cilindro di vetro e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”. L’altro dice: “Il bicchiere è uno strumento che serve per bere e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”».

Lenin intervenne nella discussione prefiggendosi due obiettivi: sostenere la posizione politicamente corretta, secondo cui “i sindacati oggi sono anzitutto una scuola di comunismo”, ed educare il partito all’analisi dialettico-materialistica della realtà contro la posizione unilaterale (e perciò astratta) di Trotsky e contro l’eclettismo di Bucharin. Ecco come articolò la sua argomentazione. «I sindacati contano circa sei milioni di iscritti – questa fu la premessa -. Circa 900 di questi iscritti gestiscono attualmente la produzione. Ammettiamo pure che in un futuro prossimo tale numero aumenti di cento volte. Avremo allora una percentuale dell’1,5% di membri dei sindacati in grado di “gestire la produzione” e il 98,5% che studia e deve studiare a lungo per essere in grado di farlo. Ciò significa che i sindacati sono destinati a essere, per un lungo periodo, principalmente una scuola di gestione della produzione da parte dei lavoratori, cioè una scuola di comunismo.» 3

In questa prima parte dell’argomentazione Lenin dimostra che, non appena si passa dall’astratto al concreto, non appena si sviluppa, cioè, l’analisi concreta della situazione concreta, la posizione di Trotsky si rivela unilaterale e campata in aria. Lenin quindi prosegue e nota, riprendendo l’esempio di Bucharin, che «Trotsky afferma che “il bicchiere è uno strumento per bere”; sennonché il bicchiere presentatoci è senza fondo». Essere unilaterali vuol dire dunque essere astratti (nel senso negativo dell’astrattezza, non in quello positivo dell’astrazione), vedere un solo aspetto dei problemi o, vedendone più d’uno, considerarne separatamente ciascuno assolutizzandolo. 4 In definitiva, vuol dire essere metafisici (laddove la ‘metafisica’ è rispetto alla dialettica, per dirla con Aristotele e con Kant, un opposto per privazione, come è la cecità rispetto alla vista).

Vediamo ora come Lenin, confutato l’errore di Trotsky, passi a criticare l’argomentazione di Bucharin riprendendone l’esempio. «Un bicchiere è indiscutibilmente sia un cilindro di vetro sia uno strumento che serve per bere. Ma un bicchiere non ha soltanto queste due proprietà, o qualità, o aspetti, ma ha un’infinità di altre proprietà, qualità, aspetti, correlazioni e ‘mediazioni’ con tutto il resto del mondo. Un bicchiere è un oggetto pesante che può servire come strumento da lanciare. Un bicchiere può servire da fermacarte e da prigione per una farfalla catturata; un bicchiere può avere un valore artistico per la sua decorazione disegnata o incisa, indipendentemente dal fatto che sia adatto o no per berci, che sia di vetro, che la sua forma sia cilindrica o non del tutto, e così via. Proseguiamo. Se mi serve subito un bicchiere come strumento per bere, non m’importa affatto di sapere se la sua forma è perfettamente cilindrica e se esso è realmente fatto di vetro; m’importa invece che non vi siano fenditure sul fondo, che non ci si possa tagliare le labbra adoperandolo, ecc. Se invece mi occorre un bicchiere non per bere, ma per un uso al quale sia adatto qualsiasi cilindro di vetro, allora mi va bene anche un bicchiere con un fenditura sul fondo o addirittura senza fondo, ecc.

La logica formale (...) si serve di definizioni formali, attenendosi a ciò che è più consueto o che salta agli occhi più spesso e qui si ferma. Se, in questo caso, si prendono due o più definizioni diverse e si collegano in modo assolutamente casuale (cilindro di vetro e strumento per bere), si ottiene una definizione eclettica che si limita a indicare aspetti differenti dell’oggetto. La logica dialettica esige che si vada oltre. Per conoscere realmente un oggetto bisogna considerare, studiare tutti i suoi aspetti, tutti i suoi legami e le sue ‘mediazioni’. Non ci arriveremo mai interamente, ma l’esigenza di considerare tutti gli aspetti ci metterà in guardia dagli errori e dalla fossilizzazione. Questo in primo luogo. In secondo luogo, la logica dialettica esige che si consideri l’oggetto nel suo sviluppo, nel suo “moto proprio” (...), nel suo cambiamento. Per quanto riguarda il bicchiere, ciò non è subito chiaro, ma anche un bicchiere non resta immutabile, e in particolare si modifica la sua destinazione, il suo uso, il suo legame con il mondo circostante. In terzo luogo, tutta la pratica umana deve entrare nella ‘definizione’ completa dell’oggetto, sia come criterio di verità, sia come determinante pratica del legame dell’oggetto con ciò che occorre all’uomo. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che ‘non esiste verità astratta, la verità è sempre concreta’».

Riguardo al ruolo dei sindacati, Lenin accusava Bucharin di non tentare neppure un’analisi concreta della questione, limitandosi «a prendere un pezzetto da Zinoviev, un pezzetto da Trotsky». Questo è proprio eclettismo. «I sindacati sono, da una parte, una scuola; dall’altra, un apparato; da una terza, un’organizzazione dei lavoratori; da una quarta, un’organizzazione composta quasi esclusivamente da operai dell’industria; da una quinta, un’organizzazione per branche di industria, ecc. ecc. In Bucharin non troviamo neppure l’ombra di una motivazione, di una analisi personale che dimostri perché bisogna considerare i due primi ‘aspetti’ della questione o dell’oggetto, e non il terzo, il quarto, il quinto, ecc. Perciò le tesi del gruppo di Bucharin non sono che vuoto eclettismo. Bucharin pone tutta la questione del rapporto tra ‘scuola’ e ‘apparato’ in modo radicalmente errato, eclettico.» 5

Come si evince dalla ricostruzione della polemica intercorsa tra Lenin, Bucharin e Trotsky, l’eclettico, nel momento in cui insiste sulla necessità di tener conto di questo, di quello e di cento altre cose ancora, è, per così dire, cento volte unilaterale. Non può allora sorprendere che l’eclettismo sia sempre stato il punto di vista degli opportunisti, dei revisionisti e dei “cercatori di terze vie”. 6 Il materialista dialettico afferma, sì, che è necessario esaminare tutti gli aspetti della contraddizione, ma afferma pure che questo è un processo infinito. Nel corso di tale esame bisogna, però, in ogni momento stabilire e precisare, sia pure come verità relativa e in riferimento alla situazione concreta, quale sia l’aspetto principale, quale la causa principale e quale il ruolo principale nella contraddizione.

Del resto, la posizione di Lenin sui sindacati non nega che essi abbiano tanti ruoli e aspetti diversi, ma afferma che nella concreta fase della dittatura del proletariato, cioè della transizione dal capitalismo al comunismo, che si presentava allora in Unione Sovietica, l’aspetto e il ruolo principali dei sindacati sono quelli di scuola di comunismo. L’eclettico, invece, accusa di unilateralità questo procedimento e sostiene la necessità di considerare uno accanto all’altro, in modo indifferenziato ed empirico, tutti i particolari e le circostanze connessi all’oggetto in esame. Sennonché, data l’infinità di legami che ogni oggetto intrattiene con l’ambiente, egli finisce con l’ingolfarsi nell’affermazione dell’“infinita complessità del mondo”, scivolando nell’agnosticismo e finendo con l’abbracciare la tesi fideistica e irrazionalistica dell’inconoscibilità del mondo. Il dialettico afferma, al contrario, l’infinita conoscibilità (e modificabilità) del mondo.

 

2. Stati Uniti d’Europa: una previsione scientifica e dialettica

Un altro esempio del modo di argomentare e di ragionare, che caratterizza il “metodo-concezione” leniniano, è la rigorosa previsione, pienamente confermata dagli sviluppi attuali, secondo cui gli Stati Uniti d’Europa (prospettiva cara, allora come oggi, agli esponenti del socialimperialismo del tipo di Kautsky) sono “o impossibili o reazionari”. La teoria kautskiana rivela infatti il suo “cuore di tenebra”, rappresentato dal socialimperialismo, non appena si esamini la rivendicazione degli Stati Uniti d’Europa. Nell’Imperialismo, fase suprema del capitalismo la rivendicazione viene discussa brevemente quando Lenin nel capitolo VIII riporta la tesi di Hobson riguardo alla prospettiva di un grande sviluppo del parassitismo in Occidente come conseguenza di un’eventuale spartizione della Cina che scaturirebbe da un accordo tra le grandi potenze. «Ecco quale possibilità sarebbe offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali [scrive Hobson], da una Federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo spingerebbe innanzi l’opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il gravissimo pericolo di un parassitismo occidentale… Hobson ha completamente ragione – commenta Lenin -… Qui è posto nel suo vero valore il significato degli “Stati Uniti d’Europa” nella odierna congiuntura imperialista. È da aggiungere soltanto che anche in seno al movimento operaio gli opportunisti, oggi provvisoriamente vittoriosi nella maggior parte dei paesi, “lavorano” sistematicamente, indefessamente nella medesima direzione». 7 La parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa indica dunque una prospettiva di accordo tra le potenze per la spartizione di colonie e sfere d’influenza, per lo sfruttamento in comune del mondo. 8

Qual era dunque la posizione di Kautsky sugli Stati Uniti d’Europa? Nei Quaderni sull’imperialismo 9 troviamo alcune interessanti annotazioni in proposito, relative ad uno scritto di Kautsky intitolato Guerra e pace (1911). Lenin richiama innanzitutto l’attenzione sul fatto che, secondo il Kautsky del 1911, «la borghesia si volge sempre più alla politica d’oltremare, alla “politica mondiale”, cercando di estendere il raggio del suo sfruttamento alle popolazioni arretrate e indifese». Tuttavia, quando Lenin redige i suoi quaderni, la guerra è ormai scoppiata ed è naturale che egli trascriva quei passi di Kautsky che parlano di ciò che sarebbe accaduto dopo lo scoppio del conflitto.

«Alla guerra – Lenin trova scritto al termine di Guerra e pace – segue inevitabilmente la rivoluzione, non come prodotto di un piano socialdemocratico, ma in forza della ferrea logica delle cose. Gli stessi uomini di Stato tengono conto di un tale esito… La rivoluzione… sarà un fenomeno internazionale… e se anche all’inizio… si limitasse ad un singolo Stato, nella attuale situazione non potrebbe rimanere a lungo entro i suoi confini. Essa deve estendersi ad altri Stati, ed è inevitabile che allora questi Stati si stringano in un legame federativo. L’internazionale proletaria dovrà allora inverarsi nella vita dello Stato. Gli Stati Uniti d’Europa e la loro espansione finale negli Stati Uniti del mondo civile – è questa e non la singola nazione, la base statuale della futura società socialista. Le odierne nazioni saranno domani, per lo Stato futuro, ciò che oggi sono i cantoni per la Svizzera». 10

Sennonché dove Kautsky ha scritto che la rivoluzione «deve estendersi ad altri Stati» Lenin aggiunge: «e da qui Karl Kautsky fa derivare gli Stati Uniti d’Europa e la loro trasformazione, in definitiva, in Stati Uniti di tutto il mondo civile». «Karl Kautsky definisce gli Stati Uniti d’Europa come un’unione “con una comune politica commerciale (più un parlamento ecc., un esercito)». 11 La nota di Lenin mette così in rilievo un aspetto specifico di Guerra e pace. In effetti, questo articolo appartiene al periodo centrista di Kautsky e sostiene la necessità di allearsi con il movimento borghese e piccolo-borghese che si oppone alla guerra e alla corsa agli armamenti; ma l’interesse di Lenin è rivolto a valutare il significato della parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa da un punto di vista rivoluzionario. Ciò va posto in relazione con la discussione esistente in proposito nelle file socialdemocratiche.

Ma qual era dunque la “sostanza della questione”? In realtà il problema riguardava Lenin molto da vicino: la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa aveva infatti sostenitori all’interno della socialdemocrazia russa (tra cui Bucharin e Trotsky); essa era contenuta anche nel manifesto contro la guerra pubblicato dal comitato centrale del partito bolscevico. Alla conferenza di Berna (12-27 marzo 1915) si accese una polemica tra Lenin e Bucharin, che coinvolgeva anche questo problema. 12 E a tale problema è dedicato il breve ma importante articolo di Lenin Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa. 13 Il testo si riferisce innanzitutto al manifesto del comitato centrale che avanzava «l’immediata parla d’ordine politica» degli Stati Uniti repubblicani d’Europa in conseguenza dell’«abbattimento rivoluzionario della monarchia tedesca, austriaca e russa». 14 «Entro i limiti del giudizio politico», osserva Lenin, la parola d’ordine è corretta: «le trasformazioni politiche a tendenza effettivamente democratica, e ancor più le rivoluzioni politiche, non possono in nessun caso… né offuscare né indebolire la parola d’ordine della rivoluzione socialista. Al contrario, esse avvicinano sempre più questa rivoluzione». 15 E il giudizio economico? «Dal punto di vista delle condizioni economiche dell’imperialismo, ossia dell’esportazione del capitale e della divisione del mondo da parte delle potenze coloniali “progredite” e “civili”, gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbero o impossibili o reazionari». 16

Dunque, sostenere la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa significa in pratica sostenere l’impossibile, oppure volere un accordo per la spoliazione di un miliardo di persone. «In regime capitalistico, gli Stati Uniti d’Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie». 17 Con questa drastica affermazione Lenin coglie il centro del problema: «è precisamente questa utopia, l’utopia dell'unione pacifica delle nazioni con eguali diritti sotto l’imperialismo, che inganna il popolo ed è difesa dai kautskiani». «Il social-liberale Hobson… fin dal 1902 ha affrontato nel modo del tutto giusto anche la questione degli “Stati Uniti d’Europa” (ne prenda nota il kautskiano Trotsky!) e di tutto quello che i kautskiani ipocriti dei diversi paesi cercano di velare, cioè: che gli opportunisti (i socialsciovinisti) collaborano con la borghesia imperialistica proprio nello sforzo che tende a creare un’Europa imperialistica sulle spalle dell’Asia e dell’Africa». 18

«Ma – continua Lenin proponendo qui, per la prima volta, la sua tesi sullo sviluppo ineguale e sulla spartizione del mondo – in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza… Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’anarchia della produzione. Predicare una “giusta” divisione del reddito su una tale base è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non “secondo la forza”. E la forza cambia nel corso dello sviluppo economico. Dopo il 1871 la Germania si è rafforzata tre o quattro volte più rapidamente dell’Inghilterra e della Francia, e il Giappone dieci volte più rapidamente della Russia. Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalistico non c’è altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione con le basi della proprietà privata ma è il risultato diretto e inevitabile dello sviluppo di queste basi. In regime capitalistico non sono possibili altri mezzi per ristabilire di tanto in tanto l’equilibrio spezzato, all’infuori della crisi nell’industria, e della guerra nella politica.» 19 Questo è dunque, per Lenin, l’unico vero significato che possono avere gli Stati Uniti d’Europa «sulla base economica attuale, ossia in regime capitalistico», 20 ed è per questo che egli raccomanda l’abbandono di questa parola d’ordine. Il fatto che poi i fautori socialsciovinisti degli Stati Uniti d’Europa si preoccupino di sottolineare che questa «“idea… non deve necessariamente essere diretta contro gli Stati Uniti” (dunque - commenta Lenin – idea di una pacifica concorrenza!)», 21 conferma l’aspetto idealistico, proudhoniano ravvisato da Lenin nel pensiero di Kautsky.

In realtà, sembra voler dire Lenin, se si sostiene che gli Stati Uniti d’Europa sono necessari per impedire che i paesi europei siano travolti dalla concorrenza internazionale, si afferma inevitabilmente la necessità di rafforzare la posizione europea rispetto alle potenze concorrenti (Stati Uniti e Giappone) nella lotta per la spartizione dei mercati, per l’approvvigionamento delle materie prime, per l’esportazione di capitali ecc., anche se ciò viene sostenuto sulla base del libero scambio. Sennonché, quando Lenin sottolineava il fatto che per Kautsky gli Stati Uniti d’Europa nel socialismo sarebbero stati una unione “con una comune politica commerciale” intendeva mettere in evidenza che comunque si sarebbe trattato di un accordo basato inevitabilmente sugli interessi delle grandi potenze europee, a scapito dei popoli coloniali, delle piccole nazioni e delle altre potenze. Questo spiega l’opposizione di Lenin anche agli Stati Uniti socialisti d’Europa: posizione, questa, la cui chiave va ricercata in un altro importante argomento degli scritti di Lenin di questo periodo: l’autodecisione delle nazioni.

In opposizione all’utopia kautskiana che sostiene «l’unione pacifica delle nazioni con uguali diritti sotto l’imperialismo», «il programma della socialdemocrazia deve mettere in evidenza la differenziazione tra le nazioni dominanti e le nazioni oppresse, differenziazione fondamentale… nell’epoca imperialista». Ma la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa non “mette in evidenza” questa “differenziazione fondamentale”, mentre la trasformazione sociale richiede il ribaltamento della struttura gerarchica della piramide imperialista e non la sua riaffermazione: «un popolo che opprime altri popoli non può essere libero». 22 Questo, naturalmente, non vuol dire opporsi ai processi di avvicinamento e di fusione tra paesi diversi; ma ciò deve nascere dalla disintegrazione del sistema imperialista e dall’affermazione di un sistema di eguaglianza completa tra tutti i paesi. In questo senso, Lenin ritiene che «gli Stati Uniti del mondo (e non d’Europa) rappresentano la forma stabile di unione e di libertà delle nazioni, che… è legata al socialismo, fino a che la completa vittoria del comunismo non porterà alla sparizione di qualsiasi Stato, compresi quelli democratici». 23 D’altra parte, Lenin non manca di precisare con il consueto rigore che «la parola d’ordine degli Stati Uniti del mondo, come parola d’ordine indipendente, non sarebbe forse giusta, innanzitutto perché coincide con il socialismo, in secondo luogo perché potrebbe generare l’opinione errata della impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese, una concezione errata dei rapporti di tale paese con gli altri». 24

E a questo punto Lenin trae in modo limpido e stringente la conclusione teorico-politica che si ricava dalle argomentazioni che precedono: «L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo dapprima in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. Il proletariato vittorioso di questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio paese la produzione socialista, si porrebbe contro il resto del mondo capitalistico, attirando a sé le classi oppresse degli altri paesi, infiammandole a insorgere contro i capitalisti, intervenendo, in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi sfruttatrici e i loro Stati». 25

 

3. Il problema dell’oggetto fisico nella fisica contemporanea

Sennonché l’analisi del “metodo-concezione” dialettico, 26 sia pure limitata ad un autore particolarmente rappresentativo e ad alcuni momenti fondamentali di tale problematica, non può omettere come termine essenziale di confronto, per la sua portata storica sia in senso scientifico che filosofico, la fisica quantistica. La relazione da cui occorre prendere le mosse, in questa ulteriore disamina ed esemplificazione del rapporto tra la logica formale e la logica dialettica, è quindi quella che intercede fra il soggetto e l’oggetto. La domanda, per così dire, protologica che va formulata, da un punto di vista filosofico e metodologico, è allora la seguente: che cos’è l’oggetto?

L’oggetto è ciò che si trova di fronte al soggetto: ha quindi un’esistenza e delle proprietà indipendenti dal soggetto. Questa definizione non gode di un consenso universale ed è ben noto il dibattito sul concetto di oggettività. Di certo, oggi il problema è più complesso di quanto non apparisse quando, nella prima età moderna (per tacere dell’antichità e del medioevo), gli oggetti microscopici erano identificati con le particelle, compatte dure e prive di struttura, della fisica meccanicistica. Combattendo, sulle orme di Berkeley, 27 questa concezione materialistica, Heisenberg arriverà alla conclusione che «gli atomi e le particelle elementari non sono reali» e che «essi formano un mondo di potenzialità o di possibilità piuttosto che un mondo di cose o di avvenimenti». D’altra parte, non potendo trincerarsi in un mondo di pure potenzialità per spiegare i fenomeni analizzati dalla fisica classica, Heisenberg fu costretto ad ammettere, secondo una logica piuttosto incoerente, che almeno gli oggetti macroscopici avessero un’esistenza oggettiva. 28 Considerare però il mondo macroscopico come reale e il microscopico come una semplice potenzialità, o addirittura come un’idealità matematica, significava avvolgersi nella stessa contraddizione contro cui, senza riuscire a superarla, urtò Platone. Così, a partire dall’inizio del ventesimo secolo, riconoscendo che l’oggetto si è rivelato un concetto multiforme, l’analisi microfisica ha abbandonato la concezione meccanicista di oggetto fisico. Al dinamismo proprio degli oggetti è stata allora associata la relazione, anch’essa dinamica, tra oggetto e apparato di misura. La conseguenza è che, sottoposto a certi tipi di misurazione, l’oggetto si trasforma: elementi di realtà preesistenti scompaiono, mentre altri appaiono in séguito alla trasformazione di elementi caratterizzanti lo stato precedente alla misurazione.

L’interpretazione positivista delle relazioni tra potenziale e reale ha dominato la fisica nel corso del XX secolo, ma non è l’unica interpretazione possibile, come dimostra il lungo dibattito scientifico, epistemologico e sperimentale scandito dai Congressi Solvay, 29 al quale hanno partecipato i più eminenti scienziati e filosofi della nostra epoca. La microfisica ha costituito pertanto il punto di partenza di una nuova corrente soggettivistica, legata alla scuola di Copenhagen. 30 Dal punto di vista del realismo materialistico, alla tesi soggettivistica enunciata da questa corrente si deve tuttavia obiettare che l’indubbia specificità degli oggetti microfisici non implica la negazione dell’oggettività. In effetti, il mondo microfisico non è né il mondo delle relazioni matematiche (tesi del neopitagorismo) né il mondo delle forme di Heisenberg (tesi neoplatonica), bensì un mondo oggettivo, ontologicamente autonomo, descritto da formalismi astratti, che riflettono le sue proprietà. 31

Che cos’è allora un oggetto fisico? Il problema non è nuovo, ma è sempre attuale. E allora, se gli oggetti esistono, come si può definire la loro identità? Possono l’oggettività e la permanenza essere compatibili con il cambiamento? Eraclito postula l’unità dell’essere e del non-essere, considerando il divenire come il modo di esistere dell’essere; i pitagorici, al contrario, e soprattutto gli Eleati, hanno postulato l’esistenza dell’essere immobile, identico a se stesso, «ingenerato e imperituro». L’idea stessa di generazione e di distruzione è impensabile per Parmenide, che sostituisce il formale «è o non è» alla dialettica eraclitea che afferma «è e non è». 32 Sennonché, malgrado i suoi meriti storici e teoretici, il Logos di Eraclito è ancora una realtà dialettica vaga, un discorso che non trae origine dal concreto né vi ritorna, mentre solo una dialettica concreta, il cui modello è senza dubbio aristotelico, è in grado di cogliere la natura dinamica degli oggetti fisici. Non a caso, dopo Eraclito e Aristotele, è soprattutto Hegel a considerare il divenire, in quanto autosviluppo dell’Idea, come il modo di esistenza del reale. La scienza si definisce pertanto come lo studio del movimento nel senso più ampio del termine ( = cambiamento). Per il pensiero metafisico – dalla scuola eleatica agli odierni epistemologi formalisti - l’esistenza si identifica invece con la permanenza. Essendo la permanenza considerata condizione necessaria per l’oggettività, questi epistemologi e fisici arrivano a negare l’oggettività delle particelle elementari, in quanto queste ultime in condizioni opportune si trasformano. Tuttavia, la trasformazione è proprio il modo di esistere dell’essere, e di ciò forniscono ampie prove le analisi di Aristotele, di Hegel e di Marx. 33 Del resto, il cambiamento nella fisica non è incompatibile con la conservazione, proprio come dimostrano le leggi di conservazione che si manifestano solo attraverso il cambiamento. 34

La trasformazione è la conseguenza delle interazioni tra gli oggetti fisici; questi interagiscono tra loro, si influenzano reciprocamente e mutano. Tuttavia, trasformazione non significa negazione di ciò che è. La negazione è concreta e possiede un contenuto determinato, che richiede uno studio specifico in linea con la specificità dell’oggetto. Questo studio deve basarsi su ciò che cambia e su ciò che si conserva, ma anche sui modi e sulle cause del cambiamento. D’altra parte, in natura non vi sono solo cambiamenti “spontanei”: l’intervento dello scienziato può modificare l’oggetto per mezzo degli apparati di ricerca. Come stabilire dunque l’oggettività dei dati e quindi della conoscenza?

“Contraria sunt complementaria”: 35 questa è la risposta che è stata data a tale quesito dalla scuola di Copenaghen. Orbene, l’oggetto, come osserva Hegel, non è «in sé»; esso è, in generale, in relazione ad «un’altra cosa»: questo è vero in particolare per le entità microscopiche. Così, un altro quesito si affaccia: è legittimo parlare di esistenza e di proprietà «in sé» per gli enti spesso effimeri che sono le particelle elementari e, nella fattispecie, parlare di proprietà indipendentemente dagli apparati di misurazione? Bohr, analizzando la differenza tra oggetto classico e oggetto quantistico, avanzò l’ipotesi secondo la quale l’oggetto è inseparabile dall’apparato e dall’osservatore. 36 La non-separabilità, che contraddice il principio relativistico della trasmissione delle interazioni a velocità finita, costituì quindi la base per respingere l’oggettività delle particelle quantistiche. Secondo questa concezione è l’apparato a generare la grandezza misurata e, di conseguenza, la particella, che viene identificata dal pensiero positivista con l’insieme delle grandezze in atto. Parlare dunque di particella come «entità in sé» è sconfinare nella metafisica. Dopodiché, Heisenberg, seguendo Bridgman, ha introdotto in fisica il postulato operazionista, secondo cui una grandezza non osservata non esiste. 37 Dalla formulazione metodologica di questo principio discende la conseguenza per cui una proposizione che conferisce al microsistema una proprietà è vera, se e soltanto se è possibile una verifica sperimentale della proposizione. Questa affermazione sembra formalmente corretta, ma la tesi che esprime è stata in séguito eretta a principio epistemologico e persino ontologico, ragione per cui le grandezze che non sono osservate non esistono. Elevato a criterio metodologico, tale principio conduce così a talune conclusioni perlomeno paradossali: una particella quantistica non può avere una posizione e un impulso definiti (se ha una velocità definita, non è in nessun luogo!), in quanto le due grandezze non sono simultaneamente osservabili. Altri fisici si sono spinti ancora più lontano, negando l’esistenza oggettiva delle particelle elementari, che vengono così ridotte all’insieme delle loro relazioni 38 e, con un ribaltamento ontologico, all’insieme delle formule matematiche che esprimono tali relazioni: l’oggetto in tal modo è “prodotto”, come ritenevano Pitagora e Platone, a partire dal concetto.

Un approccio alternativo al paradigma idealistico è invece il principio del realismo secondo cui l’oggetto esiste indipendentemente dal soggetto. 39 Esiste, cioè, una certa “sostanza” espressa in forma di grandezze fisiche (massa, carica, spin, ecc.), portatrice di proprietà oggettive. La “sostanza” si manifesta attraverso i fenomeni, che sono l’esteriorizzazione e il rivestimento di strutture e relazioni nascoste ed essenziali. Ogni oggetto si presenta quindi sotto una data forma, perché si tratta di un contenuto che esiste solo sotto quella forma. Hegel asseriva che il contenuto porta la sua forma in se stesso e che solo grazie ad essa è un contenuto vivo e animato. 40 Sennonché da questo tutto unitario viene isolato uno solo dei due aspetti indissolubili per proclamare la forma unica “realtà” ontologicamente legittima. Oggi non si parla più di “sostanza”, almeno nel campo delle scienze. Si parla però di elementi di realtà (Einstein), di grandezze e di relazioni come parti costituenti di una realtà indipendente dal soggetto. Questa realtà è costituita da parti infinitesime, quasi nulle. Le particelle che sono il “quasi-nulla”, costituiscono il mondo microscopico e il mondo su scala cosmica, ma, qualunque sia la differenza di scala o qualitativa tra il “micro” e il “macro”, nulla può giustificare la dicotomia tra i due domini del reale, nulla può giustificare il soggettivismo che presume di essere fondato sulle particolarità del mondo microfisico.

Ogni oggetto sembra così possedere una certa autonomia e appare spesso omogeneo, senza strutture e contraddizioni. Tuttavia, l’identità è un’illusione, in quanto ogni oggetto è eterogeneo e contraddittorio. Strutture e contraddizioni si manifestano in condizioni opportune e caratterizzano anche le particelle cosiddette elementari, considerate un tempo come i costituenti “ultimi” della materia. Le particelle appaiono oggi delle entità complesse e manifestano alle alte energie un dinamismo multiforme, espressione della loro eterogeneità. Perciò, a questo livello di organizzazione del reale si pone nuovamente il grande problema filosofico delle relazioni tra la parte e il tutto. Da ciò consegue che ogni oggetto possiede un dinamismo interno che si oppone dialetticamente alle condizioni esterne. L’oggetto si configura come una totalità all’interno della quale autodeterminazione e determinazione si oppongono e si completano, talché l’una non può esistere senza il suo opposto.

Ma l’autonomia è relativa e la contraddizione tra le determinazioni interne e le determinazioni esterne scompare nell’azione reciproca; questa però non dà luogo né alla simmetria né all’equivalenza né all’equilibrio. Esiste sempre una asimmetria, uno squilibrio, una tendenza dominante. La differenziazione e il cambiamento si affermano attraverso i processi irreversibili che si realizzano in natura. In tal senso, cambiamento e permanenza sono categorie dialetticamente opposte: benché gli oggetti sembrino avere un’identità sfuggente (sono e nel contempo non sono), si può andare oltre la nozione di un generico cambiamento di tipo eracliteo, salvaguardandone il nucleo dialettico. L’oggetto cambia in certe condizioni concrete e in un senso ben determinato proprio per il gioco interno/esterno, e se si potesse immaginare una funzione che rappresentasse l’oggetto con un numero enorme di variabili, ci sarebbe in ogni istante un certo numero di derivate parziali diverse da zero.

D’altro canto, durante il cambiamento un certo numero di grandezze si conserva, così come si conserva la stessa forma dell’oggetto. Le leggi di conservazione esprimono sia la permanenza quantitativa durante il cambiamento qualitativo sia la permanenza di qualità o la loro scomparsa nella fusione dei contrari sia la loro ricomparsa in condizioni favorevoli. L’oggetto che cambia si autonomizza rispetto all’ambiente, così come alcune sue parti si autonomizzano rispetto ad altre. Ciò che si pone si oppone, di conseguenza, a un’altra cosa: diviene una nuova totalità che possiede un’autonomia relativa e un nuovo nucleo di organizzazione e di differenziazione. Le sue strutture subiscono determinazioni esterne e la sua presenza modifica, in senso inverso, l’ambiente circostante.

È quindi evidente che le leggi di conservazione e quelle di cambiamento non sono in genere opposte, ma si condizionano a vicenda. Come nota Hegel, «la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto». 41 Il cambiamento e la conservazione sono tra loro connessi; in senso inverso, anche la riproduzione di un oggetto è una riproduzione differenziata: la natura non fa mai due volte la stessa cosa. Nonostante l’affermazione contraria, non vi sono serie di fenomeni posti su una circonferenza, ma processi evolutivi che descrivono una spirale, ossia un movimento con un senso determinato dal tempo. In natura non esiste l’“eterno ritorno”, tanto esaltato dalle filosofie mistiche: in altri termini, non vi è ritorno al punto di partenza, poiché ogni ritorno è allo stesso tempo un passo in avanti (o indietro). Lo sviluppo ineguale non è solo una legge economica; è una legge generale che si verifica in natura con un’evidenza spesso spettacolare (nelle specie animali o vegetali, ad esempio). Ogni ripetizione è allo stesso tempo un progresso, sia pure lento o momentaneamente impercettibile, cioè una ripetizione differenziata. Da questo punto di vista, per valutare le differenze epistemologiche intervenute nel corso della storia del pensiero scientifico occorre considerare che nel passato le scienze erano descrittive, nel periodo della loro maturità hanno cercato di spiegare ciò che è, oggi si sforzano di descrivere ciò che si fa nel tempo. Pertanto, le leggi integrali che descrivono degli stati vengono sempre più sostituite da leggi differenziali che descrivono dei processi.

L’oggetto si trasforma dunque attraverso l’azione reciproca, anche se spesso la teoria di tale trasformazione è stata ridotta a una concezione quantitativa del cambiamento ed il progresso è stato concepito come un’accumulazione continua. Secondo il punto di vista opposto, il cambiamento è invece segnato da interruzioni e rotture, e il nuovo risulta essere una pura negazione dell’antico. 42 La trasformazione è invece un ‘mixtum compositum’ di continuità e discontinuità: continuità in quanto ci sono forme e grandezze che si conservano ed il cambiamento avviene nel tempo; discontinuità perché ci sono forme e grandezze che scompaiono e altre che si realizzano come negazioni di elementi reali precedenti. In tal modo, alla fine del processo il nuovo appare come un oggetto reale, prodotto di una trasformazione che non è istantanea ma che possiede uno spessore temporale.

Lo sviluppo delle scienze ha reso possibile la scoperta delle forme concrete delle interazioni fisiche, sicché la fisica attuale conosce finora quattro tipi di interazioni fondamentali. 43 Esse rappresentano dei fattori materiali e sono determinate dalle strutture dei corpi e dalle loro reciproche interazioni; gli oggetti interagiscono per mezzo dei campi fisici e si determinano a vicenda. Si conoscono quindi alcune cause dei fenomeni e si comprende meglio il contenuto fisico del principio di causalità. Il principio “esistono cause per i fenomeni” è infatti un principio genetico che stabilisce che certe cause determinano i fenomeni; si definisce determinismo la determinazione dell’effetto da parte delle cause e la forma di questa determinazione (meccanicistica, dinamica, statistica). Nell’ottica del realismo scientifico, le interazioni sono oggettive, così come la causalità e il determinismo: tali categorie sono, di conseguenza, ontologiche e non soltanto gnoseologiche, poiché riguardano l’oggetto e non solo i nostri schemi teorici relativi all’oggetto.

La causalità possiede dunque uno statuto di categoria ontologica. Dire che A produce B significa dire che esistono processi fisici attraverso i quali si realizza questa relazione genetica. In tal senso, si può giustificare l’esistenza non solo del determinismo meccanicistico e dinamico (elettromagnetico e gravitazionale), ma anche del determinismo statistico-quantistico: ciò significa che, a partire dalle ‘stesse’ condizioni, si generano numerosi effetti diversi, statisticamente distribuiti. Si può inoltre isolare – almeno in via teorica – un nesso causale e studiare quindi questo tipo di causalità “semplice”: la causalità lineare. Ma la realtà è complessa: i nessi causali s’intrecciano, si producono cambiamenti qualitativi, eventi necessari ed eventi aleatori, processi in cui tutte queste categorie operano attraverso un movimento globale: il divenire. E la causalità lineare è solo uno dei momenti del divenire.

La corrente positivistica ha definito la legge una relazione comoda, un’utile convenzione, una formula che stabilisce un certo ordine nei dati sensoriali, una relazione formale tra i dati ecc. Ma, come dice Popper, «ciò che cerchiamo nella scienza, sono delle teorie vere, delle affermazioni vere, delle descrizioni vere di certe proprietà strutturali del mondo in cui viviamo». 44 La legge si può allora definire come una relazione interna e necessaria tra due fenomeni; così concepita, essa possiede uno statuto non soltanto gnoseologico, ma anche ontologico. Non ci rivela soltanto «qualcosa» sull’esperienza (sensoriale o relativa agli apparati scientifici), ma esprime e formalizza delle proprietà, delle relazioni e delle trasformazioni. Nelle prime leggi della fisica la causa era legata in modo “semplice” all’effetto: quale la causa, tale l’effetto. Le leggi dell’elettromagnetismo e della relatività si accordano con questo tipo semplice di determinismo. D’altra parte, la fisica statistica classica in quanto tale non ha contestato la causalità e il determinismo: tener conto di parametri nascosti classici potrebbe – in linea di principio – consentire una descrizione “determinista” del movimento, in cui il caso classico non viene considerato né acausale né indeterminato, ma semmai riducibile al tipo di determinazione meccanicistica. La scuola di Copenhagen, al contrario, afferma che le leggi probabilistiche della meccanica quantistica non sono riducibili a leggi dinamiche, spesso ritenendole non solo indeterministiche ma acausali.

La scuola realista, i cui principali rappresentanti sono Einstein e de Broglie, ha cercato di superare tali irriducibili contrapposizioni. Dal canto suo, il pensiero dialettico si pone uno scopo più ampio: dialettizzare le opposizioni della logica formale, tra cui la contraddizione caso/necessità. Se si considera il caso come la negazione dialettica della necessità, allora esso diventa necessario da un altro punto di vista: quello di una descrizione più fine della realtà. 45 In questo senso, l’interazione, cioè la connessione universale, conduce a diversi tipi di determinazione: le leggi dinamiche esprimono situazioni relativamente semplici, casi in fondo idealizzati, mentre le leggi statistiche esprimono situazioni più complesse, cioè più vicine alla realtà. Di conseguenza, conviene considerare un tipo di legge più generale, che inglobi al limite, come caso particolare (probabilità = 1), la legge dinamica o meccanicistica.

Il problema della connessione e della determinazione reciproca degli oggetti fisici è uno dei più antichi e dei più importanti della storia della filosofia e, nella forma problematica della causalità e del determinismo, è legato allo sviluppo delle scienze moderne. Tuttavia, non è difficile constatare che il problema non è stato sempre affrontato né a livello epistemologico né a livello scientifico con una neutra oggettività. I pregiudizi ideologici e la “filosofia spontanea” di cui ogni scienziato è portatore hanno spesso condotto a interpretazioni unilaterali, anche ingenue. 46 Hegel asserisce giustamente che «la verità è l’accordo del pensiero con l’oggetto; e al fine di produrre questo accordo (poiché esso non sussiste in sé e per sé) bisogna che il pensiero si adatti e si conformi all’oggetto». 47 Se esiste una logica della scienza, non deve essere un letto di Procuste, ma si deve adattare alla “logica” dell’oggetto; deve adattare le sue categorie agli imperativi dei dati oggettivi, invece di forzare i fatti affinché rientrino nelle forme inflessibili che corrispondono all’identità, ma che non possono cogliere la differenza, l’opposizione, la contraddizione e il cambiamento.

Il principio di identità, come sottolineava Engels, è un principio fondamentale; tuttavia, «l’identità astratta… è sufficiente solo nell’uso spicciolo quotidiano, là dove vengono presi in considerazione rapporti limitati o brevi intervalli di tempo». 48 Il principio si rivela invece insufficiente non appena ci si proponga di studiare strutture fini e variabili, come quelle scoperte dalle scienze moderne. In questo caso le categorie della logica formale, per dirla con Hegel, non si conformano all’oggetto e il pensiero deve forgiarne altre, conformi alla natura delle cose. Le contraddizioni irriducibili possono allora presentarsi, come si è visto sia in Aristotele che in Marx, come poli o momenti opposti, coppie dialettiche che si determinano reciprocamente e i cui estremi passano l’uno nell’altro in condizioni determinate. La logica formale è la logica dell’identità: un numero elevato di leggi naturali è conforme a questa logica, che si rivela efficace non soltanto nel mondo quotidiano, ma anche nei settori scientifici in cui si studiano situazioni stazionarie. Ciò nondimeno, la logica dell’identità è uno dei momenti della logica della differenza e della contraddizione, cioè della logica dialettica, che diventa indispensabile nel trattamento dei processi. Il senso comune ha sempre contrapposto la logica formale alla logica dialettica. In realtà, si deve riconoscere che stabilire una consimile opposizione fra queste due espressioni del pensiero è una forzatura se non un artificio, in quanto tali espressioni costituiscono due momenti diversi di una medesima indagine, dove ciascuno ha il suo ruolo in una totalità che comprende entrambi con le rispettive specificità e con il comune obiettivo, ad un tempo rigoroso, determinato e verificabile, della conoscenza della realtà. 49

Vi è un uso del termine “contraddizione” che finisce, per la sua genericità e la sua polisemia (delle quali lo stesso Hegel porta qualche responsabilità), con l’essere una chiave di interpretazione ‘bonne à tout faire’. E’ allora opportuno, se si vuole sviluppare nella giusta direzione la dialettica materialistica: 1) distinguere tra diversità, differenza, opposizione, contraddizione e antagonismo; 2) non dimenticare che la contraddizione appartiene alla categoria concettuale dei ‘pluralia tantum’; 3) dare risalto, oltre che all’importanza storico-filosofica di Hegel e al posto centrale che il suo metodo occupa nella genesi e nel funzionamento della teoria marxista, anche ai suoi limiti, posti in luce, ad esempio, da Engels e da Lenin. In tutte le analisi riguardanti il nesso tra l’ideologia e lo Stato o il nesso tra la filosofia e la politica, Engels adopera infatti determinate categorie teoriche e procede dialetticamente, come dimostra il fatto che, polemizzando con un sociologo borghese, Paul Barth, in una delle Lettere sul materialismo storico, si sente in dovere di sottolineare: «Quel che manca a tutti questi signori è la dialettica. Essi vedono sempre e solamente qui la causa, là l’effetto. Non arrivano a vedere che questa è una vuota astrazione, che nel mondo reale simili contrapposizioni metafisiche polari [per fare un esempio pertinente, il ‘concetto-valigia’ di ‘contraddizione’] esistono soltanto nei momenti di crisi, ma che l’intero grande corso delle cose si svolge nella forma dell’azione e reazione reciproca, anche se di forze molto ineguali, tra cui il movimento economico è di gran lunga il più forte, il più originario, il più decisivo; essi non arrivano a vedere che in questo campo niente è assoluto e tutto è relativo. Per essi Hegel non è esistito…». 50

Fermo restando che qui è in gioco la categoria di causalità, la domanda che sorge è allora questa: che cosa si intende significare quando si afferma, ad esempio, che vi è “azione e reazione” fra la base e la sovrastruttura? E ancora, tenendo conto del richiamo che Engels fa ad Hegel, in che cosa l’interazione può dirsi hegeliana e in che cosa no? Si tratta quindi di mostrare, muovendo da questo esempio, la rielaborazione a cui Engels sottopone la logica hegeliana: una rielaborazione certamente incompiuta, ma che una lettura di Hegel ‘en matérialiste’ può permettere di completare. Così, l’approfondimento del tema della dialettica non può non misurarsi con gli esatti termini storici e teoretici in cui si è configurato, per un verso, il rapporto tra il marxismo e Hegel e, per un altro verso, il rapporto tra il marxismo e le scienze contemporanee. Sia chiaro: di Hegel, e cioè della dialettica, oggi più che mai il movimento di classe ha un estremo bisogno, ma di un Hegel letto ‘en matérialiste’ e di una dialettica altrettanto materialistica poiché, se il marxismo potrà rinascere e continuare a svolgersi, ciò sarà possibile solo calando il nesso tra la “negazione determinata” e il “momento positivamente razionale” nel “concime delle contraddizioni”.


Note
1 V. I. Lenin., Che fare?, in Opere scelte, Roma 1968, pp. 216-217.
2 Id., Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin, in Opere complete, vol. XXXII, Roma 1967, in particolare le pp. 77-87.
3 A questo riguardo, giova osservare che il passaggio chiave dell’analisi con cui Lenin conclude che nella fase allora in atto i sindacati erano principalmente una scuola in cui i lavoratori apprendevano a gestire assieme la produzione, ossia una scuola di comunismo, consiste in ciò, che allora in Russia 900 iscritti ai sindacati su sei milioni (15 ogni 100.000) partecipavano alla gestione della produzione e che, secondo la previsione più favorevole, nel prossimo futuro essi sarebbero diventati 90.000 (15 ogni 1.000). A mano a mano che la formazione dei lavoratori si fosse sviluppata, la gestione collettiva della produzione da parte degli stessi, ossia il comunismo, sarebbe stato un obiettivo quasi raggiunto, poiché, come afferma la prima legge della dialettica, la crescita quantitativa avrebbe determinato un’altra qualità.
4 Chi pensa astratto? È un gustoso scritto satirico-filosofico di Hegel, che Palmiro Togliatti, non ancora divenuto uno dei principali esponenti del revisionismo moderno, tradusse e commentò sulla rivista «Rinascita» nei primi anni Cinquanta. Il fine era quello stesso di Lenin: educare alla dialettica materialistica, avvalendosi delle armi teoretiche forgiate dal maestro di Marx e di Engels. In un periodo di “astrazioni indeterminate e unilaterali”, come quello vissuto tra il 2019 e il 2021, e reiterato nella congiuntura attuale (periodo saturo di parole d’ordine antifrastiche o iperboliche del tipo “decreto dignità”, “prima gli italiani”, “governo del cambiamento”, “è finita la pacchia” e così via delirando, aizzando e segregando), riaffermare il primato della ragione dialettica e di un sobrio materialismo contro le metafisiche populiste e razziste è uno dei compiti politico-culturali e ideologici più urgenti.
5 L’articolo di Lenin da cui sono tratte le citazioni, Ancora sui sindacati... cit., in Rete è reperibile al seguente indirizzo: https://paginerosse.wordpress.com/2012/09/08/v-i-lenin-ancora-sui-sindacati/.
6 Sono “cercatori di terze vie” tutti coloro che, più o meno in buona fede, ricercano un’alternativa tra materialismo e idealismo, tra comunismo e capitalismo, tra proletariato e borghesia, tra rivoluzione e conservazione. Costoro sostengono che vi è del buono in entrambi gli elementi della contraddizione e che è possibile prendere un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Ma tale possibilità è una chimera, poiché i suoi fautori dimenticano che l’unità degli opposti è condizionata, temporanea e relativa, mentre la lotta degli opposti che si escludono reciprocamente è assoluta. Un concetto dialettico differente è invece l’affermazione, coerentemente materialista, che nel passaggio dal vecchio al nuovo la negazione del vecchio non è mai distruzione completa. Il nuovo sorge infatti dal vecchio come negazione del vecchio, negazione che però conserva, ad un livello superiore, ciò che nel vecchio è stato sviluppato di positivo e di progressivo. Il comunismo nega il capitalismo conservandone gli elementi positivi, ad esempio l’alto sviluppo delle forze produttive e la loro socializzazione.
7 V. I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, in Opere cit., vol. XXII, Roma 1966, p. 280.
8 La questione era discussa largamente anche all’interno delle classi dirigenti, ad esempio da parte di Guglielmo II di Hohenzollern.
9 Si tratta del materiale raccolto da Lenin in vista della stesura del celebre saggio sull’imperialismo (cfr. Opere complete, Roma 1971, vol. XXXIX).
10 «Neue Zeit», XXIX, 1910-1911, vol. II, pp. 106-107.
11 V. I. Lenin, Opere cit., vol. XXXIX, Roma 1971, p. 353.
12 S. F. Cohen, Bucharin e la rivoluzione bolscevica, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 34 e sgg.
13 V. I. Lenin, Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, in Op. cit., vol. XXI, Roma 1966, pp. 311-314.
14 Ivi, p. 312.
15 Ivi, p. 311.
16 Ivi, p. 312.
17 Ivi, p. 313.
18 V. I. Lenin, L’imperialismo e la scissione del socialismo, in Op. cit., vol. XXIII, Roma 1965, p. 108.
19 V. I. Lenin, Sulla parola d’ordine cit., p. 313.
20 Ibidem.
21 V. I. Lenin, Op. cit., vol. XXXIX, Roma 1971, p. 352.
22 Id., Risultati della discussione sull’autodecisione, in Op. cit., vol. XXII, p. 340.
23 Id., Sulla parola d’ordine cit., p. 314.
24 Ibidem.
25 Ibidem.
26 L’espressione ‘, coniata da Antonio Labriola, sottolinea l’inseparabilità del contenuto dalla forma, che caratterizza il metodo dialettico marxista.
27 G. Berkeley, A Treatise Concerning the Principles of Human Knowledge, 1710 (trad. it., Trattato sui princìpi della conoscenza umana, Bari 1984).
28 W Heisenberg, Physics and Philosophy, New York 1962.
29 I Congressi Solvay, fondati dall'industriale belga Ernest Solvay, sono una serie di conferenze scientifiche dedicate ad importanti problemi riguardanti la fisica e la chimica, che si tengono a Bruxelles ogni tre anni, a partire dal 1911.
30 Con l’aggettivo “soggettivistica” viene qui indicata, rispetto alla questione dell’oggettività, la posizione gnoseologica secondo la quale non esiste che l’atto di osservazione. Questa posizione è una versione sofisticata del postulato positivista secondo cui esistono soltanto i dati dell’esperienza sensoriale.
31 Si veda su questo fondamentale problema scientifico e filosofico il volume del fisico E. Bitsakis, Physique et Matérialisme, Paris 1983, autore di importanti ricerche condotte dal punto di vista del materialismo dialettico.
32 Cfr. Diels-Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, I, II, Berlin 1961.
33 Sul rapporto tra il principio di non-contraddizione e la logica dialettica del divenire si veda il seguente saggio:
https://sinistrainrete.info/filosofia/29692-eros-barone-le-forme-della-contraddizione.html.
34 In altri termini, come affermava Aristotele circa il rapporto tra atto e potenza, dell’essenza fa parte, entro certi limiti e a determinate condizioni, il cambiamento.
35 Questo motto latino, che enuncia il principio di “non-separabilità” ovvero, come si dice più comunemente, di “complementarità”, è stato elaborato dallo stesso Niels Bohr, principale rappresentante della scuola di Copenhagen. La frase va interpretata non come espressione del concetto dialettico di “unità dei contrari”, ma come “principio di esclusione”, in forza del quale la descrizione di un determinato fenomeno microscopico, ad esempio del fenomeno dell’emissione e dell’assorbimento di fotoni da parte dell’atomo, richiede alternativamente o il ricorso al modello corpuscolare o il ricorso al modello ondulatorio. La contraddittorietà di tale dualismo è evidente, anche se viene esorcizzata, sul piano logico, con un ‘escamotage’ verbale. Del resto, un’interpretazione in senso dialettico, oscillante tra la categoria della “differenza” e della “diversità”, è in qualche modo sostenibile, se si considera che il rapporto di esclusione presuppone necessariamente, sia pure per escluderlo, un rapporto di inclusione (secondo la modalità logica degli opposti correlativi). Sennonché la fisica quantistica attende ancora, a distanza di cento anni, una logica, una gnoseologia e una ontologia adeguate alla sua portata epocale.
36 N. Bohr, «Physical Review» (1935), vol. 48, p. 696. La citazione è tratta da E. Bitsakis, Physique et Matérialisme, cit.
37 La posizione filosofica di P. Bridgman è l’operazionismo, cioè una variante dello strumentalismo che rientra nella numerosa famiglia del soggettivismo pragmatistico. Può essere utile, per chiarire tale problematica, un sussidio didattico scaricabile da questo stesso sito:https://www.sinistrainrete.info/libri/15876-galileo-roberto-e-la-verita.html%20. Si veda anche, per un approfondimento della problematica in chiave marxista, l’articolo segnalato nella nota 48.
38 La riduzione degli enti alle loro “relazioni” e la conseguente esclusione degli “elementi” che costituiscono tali enti connotano una posizione squisitamente idealistica. Duole segnalare che anche un fisico, quale è Carlo Rovelli, noto per la sua preparazione scientifica e per il suo impegno politico e ideale di sincero democratico, sul piano teorico aderisce alle posizioni anti-realistiche del “Modello standard”.
39 Per il rapporto tra materialismo dialettico e realismo scientifico si veda, in questa stessa sede, il seguente articolo:
https://sinistrainrete.info/filosofia/17473-eros-barone-come-si-vede-il-mondo.html.
40 Hegel, Scienza della logica, a cura di A. Moni e C. Cesa, vol. I, p. 29.
41 Ivi, p. 36.
42 È facile constatare che si tratta di due tendenze che caratterizzano nell’epoca attuale non solo l’epistemologia delle scienze naturali, ma la stessa ideologia borghese-capitalistica. In effetti, a seconda degli obiettivi politico-sociali e delle situazioni concrete, la prima di esse, facendo leva sul binomio comtiano “ordine e progresso” e sul criterio dell’incremento quantitativo delle forze di produzione esistenti, ha un carattere prettamente conservatore o pseudo-riformista, mentre la seconda viene fatta valere in chiave ‘nuovista’ per mettere fuori gioco l’antagonismo tra le classi, che si cerca di far passare come perento e obsoleto.
43 Si tratta della interazione gravitazionale, di quella elettromagnetica, di quella nucleare e di quella debole. Tali interazioni decrescono tutte con la distanza: nel caso delle interazioni gravitazionali ed elettromagnetiche le energie potenziali risultano infatti essere decrescenti in modo inversamente proporzionale alla distanza; nel caso dell’interazione nucleare e di quella debole esse decrescono, invece, in modo esponenziale con la distanza. Pertanto, anche nel caso in cui due oggetti microscopici (come due fotoni oppure due elettroni di carica opposta) siano posti ad una distanza macroscopica essi devono generare un’interazione reciproca trascurabile, in accordo con quanto affermato dal postulato della separabilità che si configura, quindi, come «la base più sicura di ogni realismo scientifico moderno». Questa, perlomeno, è la soluzione difesa da Selleri (cfr. F. Selleri, Paradossi e realtà, Bari 1987). Certo, la fisica che avanza può in linea di principio giungere a mostrare la non validità di questo principio e in un certo senso si può obiettare che “la fisica che avanza” lo ha già rifiutato. Sennonché la presunta falsificazione dipende dai contenuti ideologici, storicamente determinati e logicamente arbitrari, del paradigma quantistico e non da indiscutibili evidenze empiriche, in quanto sul terreno sperimentale, benché siano stati compiuti numerosi esperimenti per corroborare o confutare la validità del realismo di Einstein, il loro risultato è tuttavia in parte controverso, giacché non tutti i fisici inclinano a ritenere che il problema sia stato sperimentalmente risolto a favore del paradigma quantistico. Inoltre, è bene precisare che la difesa del realismo di Einstein da parte di Selleri non è solo connessa con gli sviluppi delle dimostrazioni sperimentali del famoso teorema di Bell sulle disuguaglianze, ma si radica anche in una precisa presa di posizione filosofica che va al di là di tutte le pur possibili ed articolate argomentazioni empiriche che militano a favore del realismo scientifico..
44 K. Popper, in M. Bunge (a cura di), Quantum Theory and Reality, Berlin 1967. Bitsakis cita questa importante affermazione di Popper nel suo libro, Physique et Matérialisme, Paris 1983.
45 Riguardo a questa problematica merita attenzione la nota di Engels su Casualità e necessità in Dialettica della natura, Roma 1971, pp. 228-231.
46 Lenin stabilisce in modo rigoroso la differenza tra il materialismo metafisico, il materialismo spontaneo (che caratterizza il ‘modus operandi’ degli scienziati in quanto tali) e il materialismo dialettico. La dialettica ha qui un ruolo fondamentale, poiché permette di distinguere rigorosamente il materialismo di Lenin dal materialismo filosofico tradizionale e anche da quella “filosofia spontanea degli scienziati” che è, secondo Lenin, orientata nella direzione giusta, ma non è in grado, proprio perché sconta un ‘deficit’ dialettico e materialistico, di difendersi dagli attacchi dell’idealismo. Su questa cruciale problematica cfr. il seguente articolo:
https://www.sinistrainrete.info/marxismo/16525-eros-barone-buscar-el-levante-por-el-ponente.html.
47 Hegel, Scienza della logica, cit., vol. I, p. 25.
48 F. Engels, Dialettica della natura, cit., p. 227.
49 Per un approfondimento della questione del significato e del criterio della conoscenza dal punto di vista del marxismo si rinvia, in questa stessa sede, al seguente articolo:
https://www.sinistrainrete.info/filosofia/29598-eros-barone-la-signora-ponza-il-linguaggio-la-conoscenza-della-realta-e-il-criterio-della-verita.html.
50 F. Engels, Lettere sul materialismo storico (1889-1895), Firenze 1982.
Pin It

Comments

Search Reset
0
Michele Castaldo
Thursday, 06 November 2025 19:06
Premettendo che parlare di Lenin vuol dire parlare di un grande rivoluzionario, inteso nel senso che era capace innanzitutto di STUDIARE una questione, e in secondo luogo, centrare nel momento dato, cioè non comunque e sempre, lil da farsi. Dunque era per la Costituente, prima, per scioglierla, poi; era per sostenere i Soviet in un certo momento, per poi sostenere che erano inservibili; era per un partito rigorosamente teorizzato, per poi costituire un blocco di partiti con una parte dei menscevichi e i socialisti rivoluzionari di sinistra all'indomani della rivoluzione. Potrei continuare, ma mi fermo qui per non annoiare il lettore.
Sicché il CUORE del "leninismo" è concentrato tutto : " Tutta l’arte dell’uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell’afferrare saldissimamente l’anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante IN QUEL DATO MOMENTO in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena".
Dunque il tutto viene a essere concentrato in UN DATO MOMENTO, il che vuol dire che si tratta di un MOMENTO, cioè di UN TEMPO storico, e non di un modello quale attrezzo da poter usare in ogni momento della storia.
Se stanno così le cose, anche i sindacati rappresentano un momento della storia del modo di produzione capitalistico, e non una formula da usare in ogni circostanza della storia.
In Russia la questione fu molto controversa, per non parlare di Trocky che la liquidava con una eccessiva superficialità, visto che - pensava lui - in Russia vige la dittatura del proletariato, dunque le questioni economiche vengono subordinate a quelle politiche. Una vera e propria aberrazione, viste poi come sono andate le cose. La Russia aveva l'assoluta necessità di accelerare uno straordinario processo di accumulazione per le condizioni di arretratezza e per i disastri della guerra oltre l'accerchiamento che dovette subire da parte delle armate occidentali (bianche).
A che pro, si imporrebbe una riflessione sui sindacati oggi, vista la crisi generale del modo di produzione il cui epicentro è l'Occidente?
Cosa sono stati i sindacati per tutta la fase della rivoluzione industriale? Uno strumento al servizio dei lavoratori per contrattare e conquistarsi una quota parte sempre maggiore nel processo di accumulazione che cresceva, in modo particolare in Occidente a scapito di paesi sottoposti al dominio coloniale e imperialistico.
Il DATO MOMENTO attuale è lo stesso dell'ultimo secolo e mezzo? Certamente che no, dunque va capita la natura dell'attuale MOMENTO DATO, per sapere se i lavoratori, in modo particolare in Occidente (perché è qui che viviamo e di qui ci dobbiamo far carico) possono sviluppare la stessa natura sindacale del tempo che fu.
Quindi non di una fase rivoluzionaria, come lo fu quella dall'indomani del 1917 in Russia o quella tra le due guerre in Europa e negli Usa.
Se stiamo ai sindacati operai in Europa, sbandamento totale, se poi abbiamo la forza e il coraggio di guardare agli Usa, beh, c'è veramente poco da stare allegri.
Dunque la questione sindacale è ROBA D'ALTRI TEMPI, perché gli operai sono divenuti una massa fluida e non hanno nessuna possibilità di RIVENDICARE UNA QUOTA PARTE MAGGIORE DELLA PRODUZIONE DI VALORE DI CUI SONO PARTECIPI.
Capisco che affermo una tesi "forte", ma il medico pietoso contribuisce a che la piaga divenga verminosa (si dice dalle mie parti).
Pertanto la questione non può essere affrontata da un punto di vista ideologico, e noi che ci rifacciamo al marxismo abbiamo fatto largo uso di ideologia per oltre 170 anni. Vogliamo continuare?
Michele Castaldo
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit