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ilcovile

A proposito di qualche testo: Anselm Jappe, Jaime Semprun, Robert Kurz, Jean-Marc Mandosio

di François Bochet

140944777 0fd106cd 058e 4b43 9c9b 5c20bbc3fe09Per Bordiga, nel socialismo il valore non esiste piú, cosí come la moneta, il salariato, l’impresa, il mercato: laddo-’è il valore, come in URSS, non può esserci socialismo. Anselm Jappe — già autore di un Guy Debord, apparso nel 2001 — ha scritto un libro ambizioso ed interessante, Les aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur (Le avventure della merce. Per una nuova critica del valore), Denoêl, 2003; egli fa una distinzione fra un Marx essoterico partigiano dei Lumi e di una società industriale diretta dal proletariato — un Marx che si interessava ai problemi contingenti, politici, alla lotta di classe e al movimento del proletariato, quello del Manifesto e della Critica del Programma di Gotha — ed un Marx esoterico, quello del Contributo alla Critica dell’Economia politica, dei Grundrisse, dell’Urtext, del VI capitolo inedito del Capitale e dei quattro libri dello stesso Capitale, un Marx che si pone il problema del capitale, della sua definizione, della sua origine, del suo divenire e del suo superamento nel comunismo e nella comunità. Scrive Jappe che il pensiero di Marx è servito a modernizzare il capitale — il che è innegabile — e che i marxisti tradizionali si sono posti solo il problema della redistribuzione del denaro, della merce e del valore, senza metterli in discussione in quanto tali. Per Jappe il movimento rivoluzionario avrebbe perciò accettato valore, salario, merci, denaro, lavoro, feticismo, ecc. — il che è nello stesso tempo falso ed esatto — e lui, Jappe, si propone di «ricostruire la critica marxiana del valore in modo abbastanza (?) preciso». Rimprovera giustamente a Rubel di avere edulcorato il linguaggio hegeliano di Marx, nella sua edizione delle opere di quest’autore, e di avere chiamato opere «economiche» quelle che sono opere «antieconomiche» (molto tempo fa, Paul Mattick aveva fatto la stessa critica al Trattato di economia marxista di Ernest Mandel). Seguendo in ciò il collettivo tedesco riunito intorno alla rivista Krisis ed al suo principale teorico, Robert Kurz, cui è legato, Jappe afferma la scomparsa del proletariato: il che non gli perdonano i teorici del proletariato rivoluzionario.

 

Le curiose sviste di Jappe

Ma, e questo è il punto dolente, egli cita piú oltre come precursori del suo lavoro, G. Lukacs e la sua Storia e coscienza di classe, gli Studi sulla teoria del valore di I. Rubin, cosí come i lavori di T.W. Adorno, H-J. Krahl, L. Colletti, R. Rosdolsky, F. Perlman e del trotskista J.M. Vincent. Lungi da noi l’idea di negare l’importanza di tutti questi teorici — ma associare teorici notevoli al povero Colletti, o anche a Vincent, ci pare curioso. Che confusionismo! Confusionismo interessato per parlare come l’Internazionale Situazionista — ma un’osservazione si impone immediatamente: delle due cose l’una, o Anselm Jappe è un ignorante, ignora Amadeo Bordiga, Jacques Camatte ed i loro lavori (senza contare riviste come Le mouvement communiste, Négation o Théorie Communiste, all’inizio degli anni settanta del secolo scorso; Jappe cita la rivista Socialisme ou Barbarie, la quale non ha mai sviluppato una critica del valore, non piú dell’Internazionale Situazionista, che — al contrario di quel che pretende Jappe — ha criticato, al seguito di Lukacs, solo la merce), cosa che stentiamo a credere, oppure è in mala fede, per non dire peggio, e vuole nascondere ai suoi lettori certe opere per ragioni che possiamo facilmente immaginare. In ogni caso prende in giro tutti. Eliminando quei teorici, evidentemente diventa facile per Jappe far bella figura, mostrando la nullità pretenziosa e rozza di un Pierre Bourdieu, della costellazione di Attac, o di un Antonio Negri. Aggiungiamo che se Bordiga ha sempre messo al primo posto, dopo la seconda guerra mondiale, nella sua definizione di comunismo, la soppressione del valore, del denaro, della merce e dello scambio, non si può dire la stessa cosa della corrente consiliarista derivata, per semplificare, dalla sinistra tedesco-olandese — e qui almeno Debord ed i situazionisti fecero opera salutare reclamando, seppure in modo molto ambiguo, la soppressione della merce; essi non parlarono di valore. Da qui lo scandalo e la sorpresa che, nel 1972, provocò il testo di Jean Barrot (Gilles Dauvé) «Contribution à la critique de l’idéologie ultra-gauche (Léninisme et ultra-gauche)» in Communisme et question russe, ed. La tête de feuille, e l’ostracismo di cui fu vittima il suo autore da parte dell’ambiente consiliarista che non poteva tollerare tale critica, e soprattutto il tentativo di Dauvé di integrare elementi della teoria di Bordiga, ridotto affrettatamente, dalle correnti consiliariste, ad un teorico ultra-leninista. Serge Bricianer, per esempio, uno degli esponenti di questo ambiente consiliarista, curatore di un’antologia assai interessante di scritti di Pannekoek, Pannekoek et les conseils ouvriers, E.D.I., nella sua introduzione alla «Risposta a Lenin» di Gorter, difende, cosí come faceva il GIK olandese, non già «l’abolizione del lavoro salariato e del denaro», ma

la messa in atto di modalità di ripartizione «non piú fissate arbitrariamente, e sulle quali i lavoratori non possono niente», ma che al contrario vengano determinate da essi e con l’aiuto di appropriati strumenti contabili.

Dunque il valore, perbacco che sussiste, sembra di capire che, a sopprimerlo, si creerebbe un regime come quello dei Khmer Rossi in Cambogia.

 

L'importante Sohn-Rethel

Jappe ha il merito di ricordare l’opera di Alfred Sohn-Rethel, il cui libro Lavoro intellettuale e lavoro manuale è apparso a Francoforte nel 1970, per il quale le forme del pensiero astratto sono, in breve, prodotti della forma valore (o, piú esattamente, c’è una corrispondenza binaria fra le due cose), e dunque le categorie del pensiero occidentale non sono né universali né astoriche (cosa che già aveva cominciato ad affermare Lukacs, in Storia e coscienza di classe), solo il valore e lo scambio (che non sono possibili se non attraverso un enorme processo di astrazione, bisogna prima fare astrazione dalle qualità per poter comparare due oggetti a priori totalmente differenti, e dunque quantificare per trovare una misura comune) possono a loro volta consentire l’astrazione; ma allora si pongono svariati problemi che Sohn-Rethel non ha affrontato (senza contare che 1. per lui l’alienazione proviene dallo scambio di merci, mentre la produzione rimane neutra, e che 2. la separazione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale non ha quel posto centrale nella definizione del capitale che Sohn-Rethel le attribuisce): si potrebbe conquistare l’astrazione (senza cui ogni riflessione appare impossibile) senza passare per la deviazione del valore, si potrebbe trovare un modo di vita ed una rappresentazione — una volta abolita la divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale — che impediscano all’astrazione di rendersi autonoma e ritorcersi contro la vita? Come abbiamo detto, Lukacs aveva affrontato questo problema in Storia e coscienza di classe — Lukacs, dopo la sua rottura con lo stalinismo, continuerà ad affermare che il valore è ancora in vigore sotto il socialismo, in particolare in uno dei suoi ultimi scritti, «Il processo di democratizzazione» — e Adorno riprenderà tale intuizione, egli era del resto legato a Sohn-Rethel. È certo che il valore ed il capitale sono forme a priori del pensiero umano nelle quali siamo ingabbiati, in quanto specie e in quanto individualità, piú terribilmente che nella caverna di Platone, forme che ci hanno modellato, schermi che ci impediscono di prendere contatto con la realtà naturale, intermediari obbligati e deformanti, comunità contro-natura terapeutiche e dispotiche.

Per finire, diremo che Jappe — cosí come fa l’antologia di Marx realizzata da Robert Kurz, Lire Marx (Leggere Marx), La balustrade, 2002 — elude la questione dell’accettazione da parte di Marx dei principi fondamentali della «erranza», la quale si esaspera, ma non comincia col capitalismo e la rivoluzione industriale: l’esigenza dello sviluppo infinito delle forze produttive, la volontà di dominare la natura, di separarsene, la scienza, l’abbandonarsi al divenire e la distruzione dei limiti, ecc. Se si vuol fare un bilancio dell’opera di Marx, la quale ha in tutti i casi un’immensa importanza, bisogna affrontarla nella sua totalità, non certo ridurla, ma nemmeno occultare le sue dimensioni mondane (nel senso di «facenti parte di questo mondo»), non inventarsi un Marx fantasmatico che non è mai esistito.

 

Sul gruppo Krisis

el loro Manifesto contro il lavoro, il gruppo Krisis (Robert Kurz, Ernst Lohoff, Norbert Trenkle e altri) intende riprendere la critica là dove, dicono, l’Internazionale Situazionista l’aveva lasciata — ciò che da subito limita assai la loro teorizzazione. Per loro — e noi condividiamo questa constatazione — non c’è piú una classe emancipatrice, la lotta di classe non permette di uscire dal capitalismo, è una lotta all’interno del capitale, di cui il proletariato è una componente tra le altre. Ma gli autori parlano ancora, se non di rivoluzione, per lo meno di emancipazione sociale e lanciano appelli ai proletari, e allora? Essi criticano il lavoro, ma ci appare sconcertante la loro rivendicazione dell’estensione massiccia del tempo libero — rivendicazione aberrante, parola d’ordine pubblicitaria dell’industria degli svaghi — perché non si tratta di rivendicare il lavoro o il non lavoro, ma di prefigurare l’attività umana in un modo affatto differente, come anche lo slogan inquietante «Prendiamo quello di cui abbiamo bisogno!»; e cosa possono poi significare gli appelli a «organizzare il legame sociale per sé stesso» e a «trovare nuove forme di movimento sociale»?!

 

Contributi di Semprun

«Le fantôme de la théorie (Il fantasma della teoria)», apparso sulla rivista di Jean-Marc Mandosio, Nouvelles de nulle part,1 n°4, sett. 2003, Jaime Semprun dà alcuni rilevi critici al libro di Anselm Jappe. Comincia col domandarsi, anche lui, se una teoria rivoluzionaria sia ancora possibile, e critica Lukacs per avere scritto in Storia e coscienza di classe che solo il proletariato poteva accedere alla conoscenza e alla totalità, identificando cosí coscienza di classe e partito leninista; ma che Lukacs abbia fatto quest’identificazione, questo è un fatto secondario, la follia risiede piú fondamentalmente nella sua teologia proletaria e rivoluzionaria (il proletariato come messia soggetto-oggetto della storia). Fondamentalmente, anche Semprun rimprovera a Jappe di non rimettere in causa lo sviluppo industriale, scientifico e tecnologico, di restare fedele all’escatologia marxista fondata sullo sviluppo delle forze produttive e sulla credenza mistica nel sorgere miracoloso di una società altra a partire dalla «lunga agonia della società delle merci», dalla devastazione rivoluzionaria in atto, un sorgere che Jappe non osa piú chiamare veramente rivoluzione. Come il gruppo Krisis (vedi a p. 39 della stessa rivista, le «Note sul Manifesto contro il lavoro del gruppo Krisis» dello stesso Semprun), Jappe parla effettivamente di produzione senza evocare la natura di quello che viene prodotto — perché l’importante non è solo come si produce ma anche ciò che si produce — parla come se ci fosse ancora — anche se ammette la scomparsa del proletariato — un’umanità e un mondo intatti che non sarebbero stati vittime dell’incarnazione del capitale, un’umanità che non sarebbe stata desustanzializzata, che non sarebbe imprigionata in queste categorie a priori che egli stesso ha tuttavia messo in evidenza.

In breve, come dice Semprun in altri termini, Jappe non sembra comprendere il carattere catastrofico della situazione attuale e l’urgenza di un cambiamento di prospettiva totale e radicale. Scrive Semprun:

Quando la nave cola a picco, non è piú tempo di dissertare sapientemente sulla teoria della navigazione: bisogna imparare velocemente a costruire una zattera,

cosí raccomanda di coltivare l’orto e afferma che

un buon manuale di orticoltura […] sarebbe senza dubbio piú utile, per attraversare i cataclismi che stanno arrivando, di scritti teorici nei quali si persiste a speculare imperturbabilmente, come fossimo al sicuro all’asciutto, sul perché e il percome del naufragio della società industriale.

Noi siamo assolutamente convinti circa l’utilità di coltivare il proprio orto — il che va di pari passo con la fuga dalle città, non sempre facile, con il rifiuto della dipendenza e della terapeutica, con l’avvio della riconquista della salute, dell’habitat, ecc. — e dunque di un buon manuale [...], ma non pensiamo che — malgrado la presenza dei cataclismi — lo studio teorico sia inutile, al contrario è piú che mai indispensabile; occorre soprattutto fare il bilancio dell’attività teorica e pratica dei rivoluzionari, e studiare il loro contributo alla costruzione del mondo terrificante nel quale siamo imprigionati e dove con difficoltà tentiamo di trovare aria respirabile.

 

Navigazione e approdi di Vaneigem

Per illustrare questo proposito, citiamo, tra molte altre, una di queste «idee situazioniste divenute folli» (René Riésel, Du progrès dans la domestication (del progresso nella domesticazione), edizioni dell’Encyclopédie des nuisances, 2003, p. 71, ma in effetti folli esse lo erano già, cosa che Riésel e Semprun non possono o non vogliono ammettere):

Marchese e sanculotto, D.A.F. de Sade unisce la perfetta logica edonista del gran signore uomo malvagio e la volontà rivoluzionaria di godere illimitatamente di una soggettività infine svincolata dall’inquadramento gerarchico […] Lo sforzo disperato che egli tenta per abolire il polo positivo e il polo negativo dell’alienazione, lo colloca d’un sol colpo tra i teorici piú importanti dell’uomo totale.» (Raoul Vaneigem, Le traité de sa-voir-vivre à l’usage des jeunes généra-tions, Gallimard, p. 215).

Queste affermazioni non impedirono a Vaneigem,2 che aveva fatto a piú non posso l’apologia dei preti torturatori e boia de Le 120 giornate di Sodoma nel suo Trattato, di condannare con veemenza qualche anno fa… la pedofilia, quando scoppiò in Belgio il caso Dutroux, senza fare la minima autocritica delle precedenti posizioni.

Nel suo libro Dans le chaudron du négatif (Nel calderone del negativo), edizioni dell’En-cyclopédie des Nuisances, Jean-Marc Mandosio tenta di fare un bilancio critico della teoria situazionista (alla quale lui sembra ridurre ogni teoria rivoluzionaria); egli denuncia giustamente, ma secondo noi superficialmente, l’accecamento futurista e tecnologico dell’Internazionale Situazionista (il suo mito dell’automazione e dell’autogestione generalizzata), il suo rifiuto (marxista ortodosso) di rimettere in causa il sistema dei bisogni e il processo d’industrializzazione del mondo, la sua volontà di sopprimere la società delle merci senza toccare la società industriale (là ancora l’ortodossia marxista era rispettata).

Secondo Mandosio, Debord avrebbe abbozzato un inizio di messa in discussione del Progresso nelle «Thèses sur l’Internationale Situationniste et son temps (Tesi sull’Internazionale Situazionista e il suo tempo)», apparse nel 1971 in La véritable scission dans l’Internationale (La vera scissione nell’Internazionale)». Mandosio dà nello stesso libro alcuni ragguagli sull’evoluzione e la conclusione della traiettoria del povero Vaneigem in cerca della gioia e della voglia di vivere, il quale, lui ci informa, ha scritto la prefazione a un libro di Alain Mamou-Mani il cui titolo è in effetti tutto un programma: Au-delà du profit: comment réconcilier Woodstock et Wall Street (Al di là del profitto: come conciliare Woodstock e Wall Street), ed. Albin Michel, prefazione nella quale egli valuta positivamente quello che lui chiama il neocapitalismo, del quale ci sarebbe da rallegrarsi perché tenterebbe di salvare la Terra. In Modestes propositions aux grévistes (Modeste proposte agli scioperanti), ed. Verticales, 2004, Vaneigem riprende tutto ciò: scrive che si assiste all’emergere di un nuovo modo di produzione, canta questo neocapitalismo che «devierà il flusso finanziario a suo profitto» e nel quale il valore d’uso avrebbe la preminenza sul valore di scambio — quest’ultimo esisterebbe dunque sempre, (egli prevede comunque la sua soppressione a piú o meno lunga scadenza) — e scrive pure, altra assurdità, che il diritto umano vince su quello del commercio — mentre se c’è commercio è lui che prevale sull’umano, senza parlare del fatto che il concetto di diritto è è legato alla società, all’individuo e al commercio: se c’è diritto, allora non c’è comunità. Mandosio smonta pure la leggenda della dimensione sovversiva dell’alchimia, trasmessa appunto da Vaneigem. Parla anche di un’influenza del movimento occultista sul pensiero di Debord, che si era tuttavia su questo aspetto nettamente distaccato da uno dei suoi principali maestri, André Breton. La scomparsa di Dio — del Dio del cristianesimo, e dunque della repressione degli istinti — portò con sé lo scatenamento della violenza, il regno del terrore e dell’arbitrio, l’inizio del «tutto è permesso», il movimento del maggio ‘68 che eliminò numerosi tabú, giocò mutatis mutandis lo stesso ruolo della Rivoluzione francese del 1789, da cui il carattere ambiguo della critica della religione e della morale: in effetti, se le ultime barriere scomparissero tutto d’un tratto (autorità, polizia, giustizia, carceri ecc..) è evidente che si assisterebbe ad uno scatenamento di orrori dei quali si può avere un assaggio nella recrudescenza della violenza sui deboli (donne, bambini, handicappati, marginali, diversi ecc.) e d’altra parte della violenza degli stessi deboli (poiché si assiste ad un’emergenza di bambini che uccidono). Sembra che l’umanità non abbia atteso il capitalismo, il valore, lo Stato e nemmeno la sedentarizzazione — tanto per citare, risalendo nel tempo, momenti di traumatismo essenziale — per darsi un sistema repressivo. La repressione sembra già esistere presso le grandi scimmie, anche per le quali la vita deve dunque porre problemi. Da cui la teoria dei reazionari — che non si fonda quindi sul nulla — e dei partigiani di Hobbes che fanno dell’autorità un dato naturale o un dato necessario per imbrigliare le pulsioni violente, aggressive, criminali e dunque pericolose per la comunità. Il n° 5, aprile 2004, delle Nouvelles de Nulle Part contiene uno scambio di lettere tra Anselm Jappe e Semprun che secondo noi non portano niente di fondamentalmente nuovo.

 

L'importante Mitscherlich

Alexander Mitscherlich, psicanalista tedesco, aveva previsto questo crollo dell’autorità e in particolare dell’autorità paterna. Nel suo libro Verso una società senza padre scritto nel 1963, ben mostra che il progresso (il capitale) deve, per trionfare, dissolvere questa autorità — tale dissoluzione va di pari passo con quella della vecchia famiglia nucleare, reliquia di un mondo antecedente al capitale — per liquidare i valori arcaici quali quello del lavoro, della produttività, del risparmio, dello sforzo, e per imporre il nuovo modo di vita del consumismo, del nomadismo. Da cui ugualmente la critica dei reazionari e dei tradizionalisti che denunciano nella nuova società dopo il 1945 la dominazione del principio femminile — principio edonista, libertario, che sopravanza il principio maschile spezzato ed esaurito — e anche il ritorno di un certo matriarcato, con la scalata al potere delle donne.

 

Precisazioni su Debord

Già nel 1996 nel suo foglio Artichauts de Bruxelles, Yves Le Manach, interessandosi a «La presenza dell’occultismo nell’opera di Guy Debord», aveva creduto cogliere un’influenza delle credenze iniziatiche dei templari o anche dello stesso San Bernardo di Chiaravalle sull’autore de La società dello spettacolo. Affascinato a sua volta da Guy Debord, Le Manach pensa che «l’erudizione di Debord era vasta» — noi non lo pensiamo —, ma nota altre-sí che era ossessionato dall’idea del tempo che fugge, della giovinezza che passa senza speranza di ritorno, come emerge dal suo Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell’organizzazione e dell’azione della tendenza situazionista internazionale nel 1957, e ancora di certi passaggi de La società dello spettacolo, da cui anche la sua predilezione per gli scritti di Omar Khayyam, di Lorenzo de’ Medici e di Bossuet: l’uomo è per Debord un uomo esclusivamente temporale e storico. Le Manach è stato fortemente impressionato dalle idee e dalla pratica situazionista, spiega di aver rotto con Debord agli inizi degli anni ‘80 perché que-s’ultimo aveva taciuto quando Lebovici aveva estromesso Jean-Pierre Voyer dalle edizioni Champ Libre. Le Manach non può disfarsi della sua ammirazione per Debord, ma espone tuttavia alcune azioni e manovre poco gloriose per non dire infami del suo eroe, mostra bene come costui era affascinato dal potere ed era un abile manipolatore: «questa manipolazione dell’affettivo e del giuridico, che è il segreto dei tiranni, fu anche il segreto del debordismo». (Artichauts de Bruxelles, n°13, luglio 1997). Cosí egli riferisce che Debord aveva raccomandato in modo significativo di far figurare sulla copertina di uno dei suoi libri la prima carta dei Tarocchi, quella del mago, che suggerirebbe l’idea di «una certa padronanza della manipolazione» (lettera di Debord alle edizioni Le temps qu’il fait). Le Manach ha ragione e noi aggiungeremo che, oltre alla manipolazione, il mago evoca e simboleggia l’imbonimento, il bluff, a cui si riduce in gran parte l’opera teorica dell’Internazionale Situazionista. Nei n° 43, 55 et 57 Le Manach afferma che Debord aveva tentato di nascondere accuratamente certi teorici che lo avevano influenzato.

Le edizioni Gallimard hanno pubblicato alla fine del 2004 un piccolo volume contenente un testo inedito scritto da Debord nel 1971 e che dà titolo al libro La planéte malade (Il pianeta malato); Debord aveva scoperto il fenomeno della distruzione del pianeta, piú esattamente la guerra dichiarata dall’umanità nel suo insieme alla Terra — il che dà ragione all’affermazione di Mandosio citata piú in alto —, parla giustamente di natalità divenuta folle, ma non può rimettere in discussione il fenomeno scientifico; continua a prendersela con la scienza che si dice autonoma, ma non con la scienza tout-court, un po’ alla maniera di Bordiga — ma mai Debord può gridare «Abbasso la scienza!» —; egli qualifica il suo pensiero come pensiero scientifico e chiama i suoi desideri una «razionalità vera», una «democrazia totale»; chiama a sostegno lo sviluppo delle forze produttive, la storia e il proletariato. Sembra credere che c’è sempre una contraddizione tra le forze produttive moderne e i rapporti di produzione, riprende le sue assurde teorie a proposito della burocrazia, dei consigli operai e delle merci.


Fonte: Dis (continuité ) n°23, 2004, nota n°161. Traduzione di Gabriella Rouf. I titoli sono redazionali.

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Lettera C. Tre biografie

Fonte e ©: Benjamin Lalbat, Les bordiguistes sans Bordiga. Contribution à une histoire des héritiers de la Gauche communiste italienne en France. Des racines de Mai 68 à l’explosion du PCI (1967–1982), Université d’Aix-Marseille, master 2, sept. 2014, pp 228–230.

 

CAMATTE Jacques

È durante i suoi studi al Liceo St Charles di Marsiglia nei primi anni 1950, che Camatte si avvicina alla corrente bordighista. Lí incontra Christian Audoubert poi professore di filosofia nella stessa scuola. Aderisce alla FFGC3 nel 1954, segnato dalla certezza di Bordiga nel predire la crisi per il 1975. Nel gruppo di Marsiglia, è formato da Piccino. Camatte pubblica i suoi primi articoli della rivista Travail de groupe pubblicata nel 1957 dal nucleo superstite della FFGC. Diventato insegnante, è trasferito a Tolone dove crea un piccolo gruppo di PCI.4 Viene poi trasferito a Parigi, dove si avvicina a Roger Dangeville e a Jacques Angot. Nel corso degli anni ’60, le tensioni iniziano a salire all’interno del partito e in particolare tra Camatte e Voute. Egli accusa quest’ultima di rifiutare la pubblicazione dei suoi articoli o di appropriarsene per rimaneggiarli cambiandone il senso. Pensando a raddrizzare la linea attivistica del partito, vi rimane fino alla fine del 1966. Se ne va tra gli altri con Philippe Leclerc e Gianni Collu, con il quale crea la rivista Invariance nel 1968. Di nuovo trasferito, discende nel Sud per vivere a Brignoles. Benché abbia ricevuto l’aiuto di vari collaboratori, la rivista fu soprattutto il luogo di elaborazione del suo particolare pensiero che può essere considerato come post-bordighista. Nel 1972 produce anche la presentazione a una raccolta di testi, dal titolo Bordiga et la passion du communisme in vista della pubblicazione per le edizioni 10/18. Ma di fronte alla minaccia di denuncia dal PCI, furono alla fine le edizioni Spartacus che la pubblicarono nel 1974. Ha poi partecipato, in compagnia di Denis Authier e Jacques Colom, alla traduzione e alla compilazione di testi di Bordiga dal titolo Structure économique et sociale de la Russie d’aujourd’hui pubblicati nel 1975. Nel frattempo, ha continuato la pubblicazione di Invariance fino al 2001 per poi decidere di pubblicare solo on-line. Tradotti in diverse lingue, questi testi ebbero una vera e propria eco in diverse correnti di sinistra. Questa risonanza fu vivificata dalla ricca corrispondenza che Camatte intratteneva con molti militanti di tutte le correnti. I concetti sviluppati sulle colonne di Invariance influenzarono sia la corrente detta della comunistizzazione che la rivista Tiqqun (Julien Coupat) o, piú tardi, la corrente primitivista e antitecnologica verde-anarchica di John Zerzan. Jacques Camatte vive ora nel Lot e continua a lavorare allo sviluppo del suo pensiero.

 

CESARANO Giorgio

Nato a Milano l’8 aprile 1928, Cesarano è arruolato in un battaglione fascista nella sua adolescenza prima di avvicinarsi al PCIt,5 alla fine della seconda guerra mondiale. Espulso dal PCIt nel 1946, ha scritto in varie riviste non necessariamente politiche. Nel 1956, pubblicato la sua prima raccolta di poesie: L’Erba Bianca. Lavora poi come traduttore traducendo le Confessioni di Rousseau in italiano per le edizioni Garzanti. In parallelo, continua a pubblicare le sue poesie e saggi e fa la conoscenza di Guy Debord del quale diviene amico, poi quella di Jacques Camatte attraverso Gianni Collu. Scrive anche, con quest’ultimo, Apocalisse e rivoluzione pubblicato da edizioni Dedalo nel 1973 e tradotto in francese nella serie III di Invariance.6 Ha poi scritto nel 1974 il suo Manuale di sopravvivenza che ha avuto un certo successo in Italia soprattutto nel movimento autonomo. Decide di uccidersi con un proiettile al cuore a Milano il 9 maggio 1975.

 

COLLU Gianni

Membro del PCI in Italia nel corso degli anni ’60 comincia a mantenere una corrispondenza con Camatte e gli si avvicina politicamente. Decide di lasciare il partito insieme ai tre militanti parigini [Camatte, Dangeville, Angot] nel 1966. Egli è attivamente coinvolto nella stesura di importanti testi della rivista Invariance. Segnatamente Collu redige e co-redige «Transition» e la «Lettre sur les rackets»,7 testi che pongono una rottura parziale con la corrente bordighista. Ha lavorato anche con Giorgio Cesarano alla pubblicazione di numerosi saggi politici tra i quali Apocalisse e Rivoluzione pubblicato da edizioni Dedalo nel 1973. Collu sembra aver avuto una grande influenza nell’evoluzione teorica di Jacques Camatte e della rivista Invariance. Dopo il suicidio di Cesarano, Camatte e Collu si separano e perdono i contatti. Secondo Jacques Camatte, Collu avrebbe attualmente cambiato radicalmente sponda politica e sarebbe vicino alla coalizione di destra Forza Italia.8


Note

1 Notizie da nessun luogo. Il titolo della rivista riprende quello del romanzo News from Nowhere (1890) di William Morris (N.d.T ).
2 Gianni Collu sottolineava che, nello stesso 1967, mentre La Société du spe=acle di Guy Debord usciva con la semisconosciuta piccola casa editrice Buchet/Chastel, il Traité de savoir-vivre di Raoul Vaneigem veniva pubblicato dalla prestigiosa Gallimard. E aggiungeva: «Evidentemente Vaneigem serviva.» (N.d.T.)
3 FFGC : Frazione Francese della Sinistra Comunista (Internazionale) gruppo di Suzanne Voute e Albert Maso.
4 PCI : Partito Comunista Internazionale.
5  PCIt : Partito Comunista Italiano.
6 In italiano: Giorgio Cesarano & Gianni Collu, Apocalisse e rivoluzione, Bari, Dedalo, 1973. In francese: Giorgio Cesarano & Gianni Collu, Invariance, serie III, n° 2, 4, 7, et 8, 1978.
7 Gianni Collu, «Transition», Invariance serie I n° 8, Savona, ottobre-dicembre 1969 e Gianni Collu & Jacques Camatte, «De l’organisation (publication de la lettre du 4.9.1969)», Invariance série II n° 2, Savona, 1972.
8  Le informazioni di Camatte, corrette nella sostanza, inserivano nel percorso di Collu un aspetto politico che non ci fu. Si poteva dire qualcosa di questo genere: in seguito Gianni Collu (1946-2016), tirando le per lui necessarie conclusione di Apocalisse e rivoluzione (libro mai rinnegato), è tornato nella Chiesa cattolica e ha collaborato, solitamente in maniera anonima, con vari autori, in particolare con Piero Vassallo e Maurizio Blondet, pensatori della destra cattolica. (N.d.R.)

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