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orizzonte48

Caffè, la costituzione del lavoro, l'efficienza del mercato e la fabbrica di formaggio di Keynes

di Quarantotto

John Maynard Keynes La difficoltà non sta nel credere1. Come sappiamo, per via della interpretazione "autentica" di Caffè e Ruini (il cui contributo al modello economico accolto in Costituzione è fondamentale) la Costituzione italiana, del 1948, è coscientemente keynesiana: questa scelta non è senza conseguenze, poiché il modello economico, e dunque l'assetto socio-politico, conformato in Costituzione ha valore normativo supremo, cioè intangibile (il che, in termini, normativi significa "non suscettibile di revisione neppure costituzionale"), e quindi ineludibilmente vincolante per il plesso Governo-Parlamento.

Per questo ci pare interessante richiamare il pensiero di Caffè (maestro dai troppi allievi che "prendono le distanze", con pensieri, parole opere ed...omissioni), in questi tempi oscuri, in cui le elites "cosmopolite" (finanziarie e grande-industriali) che dominano il mercato (internazionalizzato), e che sotto la sua facciata nominalistica, "governano" (qui, p.8.1.), cioè decidono per tutta la comunità nazionale, sostituendosi alla sovranità popolare, con il fine inevitabile e strutturale di proteggere e massimizzare le rendite oligopolistiche di cui sono beneficiarie.

E qui soccorre una prima citazione di Keynes, relativa alla stabilità dei prezzi, cioè al perseguimento di un'inflazione stabile e appostata su un target oggettivamente basso, con la giustificazione che ciò sia indispensabile per quel controverso valore che è la "stabilità monetaria":

"Entrambe [inflazione e deflazione] sono "ingiuste" e deludono ragionevoli attese; ma, mentre l'inflazione, alleviando l'onere del debito nazionale e stimolando le imprese, mette un contrappeso sull'altro piatto della bilancia, la deflazione non offre alcuna contropartita. (1975, p. 147).

...la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza ai rentiers, e a tutti i detentori di effetti monetari, da parte del resto della comunità; così come l'inflazione comporta un trasferimento di segno opposto. In particolare la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza da tutti i debitori (vale a dire: commercianti, industriali e agricoltori) ai creditori; dagli elementi attivi a quelli inattivi. (1975, p. 144).

Se dunque, il livello dei prezzi esterni è al di fuori del nostro controllo, dovremo accettare che o il livello dei prezzi interni o il tasso di cambio subiscano l'influsso esterno. E se il livello dei prezzi esterno è instabile, non potremo mantenere contemporaneamente stabili sia il livello dei prezzi interni sia il tasso di cambio. (1975, p. 148)".

 

2. Di questi tempi oscuri, appunto, Caffè aveva immediatamente riconosciuto gli albori, fino a denunciarne, alla vigilia della sua misteriosa e prematura scomparsa, gli esatti meccanismi politici di "instaurazione".

Riportiamo al riguardo un brano citato da Arturo e ne sottolineiamo i vari passaggi, via via, con una serie di citazioni tratte dall'opera di Keynes (in particolare da "Esortazioni e profezie" e dalla "Teoria Generale") che illustrano come, lungi dal rappresentare una novità, l'aspirazione al "governo del mercato", sia, nel corso degli ultimi due secoli (abbondanti), estremamente ripetitiva e addirittura monotona: nei nostri giorni, non basta quindi il pluridecennale espediente, di marketing politico, della denominazione come "costruzione €uropea" (che raccoglie "la sfida della globalizzazione"), a emendare la trita obsolescenza e di questa tendenza, tutt'altro che irenico-kantiana, delle oligarchie a soffocare la democrazia.

2.1. Il discorso di Arturo muove dalle critiche di Caffè alla svolta del PCI berlingueriano, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 (così densi di traumi politici ma anche di un'inusitata accelerazione del "lo vuole l'Europa"), e ci fornisce un dettagliato quadro politico-economico dei suoi obiettivi. In sintesi, si può dire che "l'abbandono al suo destino" del modello, e della legalità, costituzionali, avviene proprio in quegli anni (che, non a caso, coincidono con l'inizio dell'incessante tentativo di ratificare la pretesa abrogazione della c.d. Costituzione economica, mediante l'idea di alchimie costituzionali definite come Grande Riforma):

"...quelle critiche di inizio anni Ottanta meritano di essere tirate fuori tutte, non solo il "famoso" Processo a Berlinguer.

Qui Caffè sta commentando un documento, elaborato dal Pci, “Materiali e proposte per una programma economico-sociale e di governo dell’economia”

E’ per motivi del genere che ho provato un estremo disagio, una sensazione di vero tradimento intellettuale, là dove si parla di «programmazione che agisca in un quadro... in cui operano le leggi di mercato»; o di imprese che «devono misurare la loro efficienza sul mercato»; o di rifuggire (sempre per assicurare una « politica di programmazione nell’ambito di un’economia di mercato ») da «vincoli troppo rigidi», «dal rischio di impiantare un sistema soffocante di norme e di procedure».

 

3. Dunque già si coglie come l'operare efficiente delle leggi del mercato debba implicare la limitazione del perimetro dello Stato, che determinerebbe vincoli rigidi e un sistema soffocante: ma soffocante di cosa? 

Vediamo cosa ne dice Keynes, cioè, in definitiva, il modello economico-costituzionale, dell'intervento socio-economico dello Stato, cosa da cui si intuisce quale sia il prezzo, in termini di crescita e occupazione, dell'ideologia che predica di rinunciarvi; aggiungerò, accanto alle principali proposizioni keynesiane, le norme costituzionali corrispondenti (quasi alla lettera):   

"L'agenda [le cose da fare] più importanti dello Stato non riguardano le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell'individuo, le decisioni che, se non assume lo Stato, nessuno prende. Importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po' meglio o un po' peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente. (1975, p. 237).

"Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento si dimostrerà l'unico mezzo per consentire di avvicinarci alla occupazione piena (artt. 1, 4 e 42-43 Cost.) sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con la privata iniziativa (art.41 Cost.). [...] I controlli centrali necessari ad assicurare l'occupazione piena (art.41 in connessione con l'art.4 Cost.) richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo. (1968)."

Mentre quindi, l'allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l'una all'altro la propensione a consumare e l'incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell'individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l'unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell'iniziativa individuale (art.41 Cost., comma 2, in relazione, oggi più che mai, all'art.47 nonché all'art.45, comma 2.).

(Prosegue Caffè): "Non si può fare a meno di trasecolare che si diffondano tali convincimenti in un paese in cui, da parte di persone in posizioni di responsabilità nella politica economica, vi è stato di recente (tanto per fare un esempio tra i numerosissimi che sarebbero possibili) un esplicito riconoscimento della esistenza di forme di intermediazione finanziaria che non si riescono né a censire, né a regolamentare. Perché, in situazioni del genere, sostenere linee di pensiero che, sostanzialmente, forniscono un avallo ai ricorrenti addebiti della economia ingessata, soffocata da intralci e oberata dai controlli; quando, nella realtà, lo smodato arbitrio di ristretti centri di potere e l’arrogante impiego che ne viene fatto privano di ogni significato operativo la cosiddetta « economia di mercato »? Quale indicatore di efficienza può esso fornire e a quali sue « leggi » si può validamente far appello?

Keynes:

" Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata è orientare i nuovi investimenti verso i canali più profittevoli in termini di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non può proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verità orientati a tutt'altri obiettivi."

"l'esistenza di possibilità di guadagni monetari e di ricchezza privata può instradare entro canali relativamente innocui, pericolose tendenze umane, le quali, se non potessero venir soddisfatte in tal modo, cercherebbero uno sbocco in crudeltà, nel perseguimento sfrenato del potere e dell'autorità personale e in altre forme, di auto-potenziamento. È meglio che un uomo eserciti la sua tirannia sul proprio conto in banca che sui suoi concittadini; e mentre si denuncia talvolta che il primo sia soltanto un mezzo per raggiungere il secondo, talaltra almeno ne è un'alternativa. Ma per stimolare queste attività e per soddisfare queste tendenze non è necessario che le poste del gioco siano tanto alte quanto adesso. Poste assai inferiori serviranno ugualmente bene, non appena i giocatori vi si saranno abituati. (1968)"

(Prosegue Caffè): Non intendo commentare ogni singolo punto di un documento vasto, complesso e, nell’insieme, costruttivo. Ho scelto solo un aspetto denso di pregiudizievoli ambiguità e che mi consente di sottolineare che, in un clima intellettuale pluralistico, le forze progressiste hanno il compito, mi sembra, di confutare con intransigenza le idee sostenute dalla rinnovata «saggezza convenzionale»; rinnovata nella influenza soverchiarne, ma ancorata a concezioni che rimangono retrograde, miopi, antistoriche.

 

Keynes:

La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale. (2006, p. 344).

Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. (1971)

(Prosegue Caffè): Tra le cose che dovremmo lasciarci dietro le spalle vi è il pensare che un controllato moderatismo giovi ai fini della acquisizione di un maggiore consenso. Dovremmo aver ormai appreso che il gioco al rialzo, da parte dei fautori della « saggezza convenzionale » non ha mai termine; ed è un gioco che, qualora fosse ancora in grado di suscitare illusioni o acquiescenze, provocherebbe anche una netta dissociazione intellettuale da parte di chi non ritiene che giovi in questo campo alcun tipo di compromesso.”. (F. Caffè, Le preoccupazioni di un critico della efficienza del mercato, Politica ed economia, 1982).

Ed ecco Keynes, laddove il "gioco al rialzo", specie nel 1982, nel pieno della ipostatizzazione del nuovo "Statuto della moneta" e all'indomani del "divorzio", riecheggia la irresistibile tendenza al ritorno, in qualsiasi forma (resa in qualche modo accettabile), al gold standard e alla disciplina del riottoso lavoro mediante flessibilità e disoccupazione. Naturalmente, poi, il "rialzo" interminabile (oggi denominato le "riforme strutturali") riguarda la "moralizzazione virtuosa" della spesa statale e la "modernizzazione" del mercato del lavoro, troppo "ingessato" per corrispondere alle "esigenze delle imprese":

"[...] la disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l'oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ridotta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico. (2006, p. 426)."

Se un determinato produttore, o un determinato paese, taglia i salari, si assicurerà così una quota maggiore del commercio internazionale fino al momento in cui gli altri produttori o gli altri paesi non facciano altrettanto; ma se tutti tagliano i salari, il potere d'acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si sono ridotti i costi: e anche qui nessuno ne trae vantaggio. (1975, p. 107).

Il risultato sarebbe necessariamente un aumento sostanziale del numero dei disoccupati che riscuotono un sussidio ed un calo degli introiti fiscali in conseguenza dei minori redditi e dei minori profitti. Per la precisione, le conseguenze immediate di una riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l'opposto di quelli che si avrebbero se si finanziassero nuovi lavori pubblici aumentando l'indebitamento. (1975, p. 121)

Ecco, mi pare che la vera “via verso la schiavitù” del dopoguerra non l’abbia scoperta Hayek, ma Caffè.

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