Print Friendly, PDF & Email

domenicolosurdo

Unire le classi subalterne, ricostruire una democrazia progressiva, restituire potere al popolo

Un appello

Unire le classi subalterne, ricostruire una democrazia progressiva, restituire potere al popolo.
Un appello per il mondo della cultura, dell’arte, della formazione e dell’Università, della comunicazione

25550597 200220450526834 7231641268920190498 nL’«Occidente liberale» è la realizzazione o la negazione della democrazia? E l’Italia è ancora un paese democratico? E lo è nella stessa misura in cui lo è stato nei decenni alle nostre spalle e cioè in quel senso avanzato e progressivo che avevano in mente i partigiani nel liberare il paese dall’occupante nazifascista e i Padri costituenti nel sottolineare nella nostra Carta fondamentale la centralità del lavoro e della partecipazione popolare ma anche della pace, dell’antimperialismo e dell’anticolonialismo, ovvero del principio di eguaglianza sul piano interno e su quello internazionale?

E’ vero: non c’è forse paese nel quale si vada così spesso a votare.

Tuttavia, la crescita esponenziale dell’astensionismo - sistematicamente sollecitato dall’ideologia dominante e dalle principali forze politiche sulla scorta del modello anglosassone e giunto ormai a livelli tali da rendere illegittimo ogni risultato elettorale -, si configura come il sintomo della de-emancipazione di fatto di milioni di persone e cioè come una revoca sostanziale di un suffragio universale divenuto, nella pratica, inutile.

Chi votiamo, oltretutto, quando andiamo alle urne? Abbiamo veramente quella libertà di scelta che l’ampiezza apparente dell’offerta lascia presagire?

 

Distrutti i partiti politici di massa, la scelta elettorale non è più una scelta tra posizioni realmente alternative, tra programmi e idee che siano espressione di interessi diversi o contrapposti, ma una competizione tra semplici varianti del governo neoliberale delle cose. Una sorta di perpetuo Talent Show tra cordate o comitati che, all’ombra di questo o quell’altro leader di un bonapartismo postmoderno e spettacolarizzato, ci riconducono alla prassi della vecchia Italia liberale e pre-democratica. Quando cioè i diritti politici coincidevano con il monopolio della ricchezza e i governi erano il comitato d’affari delle classi dominanti.

Inoltre: che ne è dei diritti economici e sociali conseguiti nel dopoguerra, senza i quali la democrazia rimane solo un privilegio di chi può permettersela? La loro universalità è stata in larga parte smantellata con un metodo e una meticolosità per molti versi simili dai governi di centrodestra come da quelli di centrosinistra, da Berlusconi e Salvini come da Prodi e D’Alema, da Monti come da Renzi. Ed è ridotta oggi a un servizio minimo essenziale che si propone di garantire la sola sopravvivenza.La formazione pubblica, dalle scuole primarie all’Università, è stata sottomessa a un format privatistico che configura un sistema duale e classista. Si è imposto un modello pedagogico che dietro la retorica dell’”eccellenza” mortifica ogni merito e bisogno reale, perché - tranne che per pochi privilegiati e cioè per le élites destinate a occupare i segmenti più alti del mercato del lavoro e assorbite dai residui settori industriali avanzati ancora presenti nel paese, - deve in realtà allevare forza-lavoro a basso costo per un apparato produttivo che è in gran parte arretrato e parassitario e non ha bisogno di cultura e innovazione, ricerca e sviluppo, ma è orientato a competere al ribasso.

Il diritto alla salute esiste ormai soltanto sulla carta e le differenze sociali, determinando le capacità di accesso alle cure private, sono tornate a essere differenze che si riverberano sulla stessa aspettativa di vita dei singoli e delle classi.

Nei sistemi pensionistici ogni forma solidarietà sociale è stata smantellata e - soprattutto per quanto riguarda le generazioni più giovani, esposte a un mercato del lavoro selvaggio di tipo ottocentesco nel quale la contrattazione collettiva è stata neutralizzata e la precarietà è divenuta la norma che garantisce uno sfruttamento crescente - ciascuno si ritroverà presto solo e privo di protezioni, con i propri limiti e i propri fallimenti.

Poiché però il sistema di Welfare del dopoguerra è stato una grande operazione di redistribuzione di ricchezza e potere che muoveva dal presupposto dell’intervento dello Stato moderno nelle contraddizioni della società civile, il deserto cresciuto attorno a noi rappresenta anzitutto il segno di una grande riscossa antistatalistica delle classi proprietarie, la cui lotta di classe non è mai stata così efficace. In pochi decenni - dalla sconfitta degli operai Fiat nel 1980 al referendum sulla scala mobile e poi dagli accordi sulla concertazione e sul costo del lavoro sino al pacchetto Treu e al Jobs Act - queste classi si sono riprese con gli interessi già sul piano normativo tutto ciò che i ceti popolari erano riusciti a conquistare in centocinquanta anni di conflitto dal basso. Approfittando infine della crisi economica per ridurre al minimo la percezione stessa dei diritti sociali e per derubricare il sentimento di giustizia a innocuo moralismo impolitico.

Proprio questo è il punto fondamentale, però: a chi serve la democrazia intesa in senso pienamente moderno, quella democrazia che risulta oggi perduta in Italia come nell’«Occidente liberale», serve ai deboli o ai forti? Ai poveri o ai ricchi? A chi è già riconosciuto o agli esclusi?

Come ci ha spiegato una volta per tutte Antonio Gramsci, sono le classi subalterne ad averne più bisogno. E la storia della democrazia è in questo senso anzitutto la storia della lotta di queste classi, della loro organizzazione e della loro complicata unità, al fine di modificare rapporti di forza millenari e conquistare la dignità umana e il riconoscimento nella collettività politica.

La crisi della democrazia e la sua minimizzazione – la sua separazione da ogni elemento di socialismo -, al rovescio, è allora in primo luogo la crisi della capacità popolare di organizzarsi in classe consapevole, di confliggere e difendersi. L’incapacità degli esclusi di ricominciare a lottare contro ogni discriminazione, per portare maggiore equilibrio nelle differenze sociali e infine toglierle, per mettere in sicurezza ciò che è stato conquistato – il salario, il tempo di vita, la bellezza della partecipazione politica… - e per andare anzi ancora più avanti nella costruzione consapevole dell’unità del  genere umano.

Ma il neoliberismo odierno - ovvero il programma liberale puro e privo di ostacoli con il suo corollario post-democratico - è un destino obbligato per questa semi-colonia che è l’Italia, nella quale la retorica verbale “sovranista” dei movimenti populistici e delle destre più rozze si scontra con la realtà degli arsenali e delle armate NATO e USA presenti nel territorio?

La crescita degli squilibri sociali, della quale lo scollamento inarrestabile tra salari e profitti è plastica rappresentazione, è certamente il risultato di una sottrazione degli spazi decisionali, in seguito a una delocalizzazione dei poteri verso organismi sovranazionali e verso entità tecnocratiche irresponsabili, è vero. Ma è ancor prima il risultato di una catastrofica sconfitta sociale e politica che, pur avendo un nesso non revocabile con le vicende della Guerra Fredda e con immani trasformazioni dello scenario globale e dei rapporti di forza tra le regioni del mondo, deriva anzitutto dal venir meno della solidarietà tra le classi subalterne e dalla frantumazione della loro coscienza di sé e della loro organizzazione autonoma.

Se la democrazia è nata quando ciò che era debole e diviso si è unito, facendosi forte nel partito e nel sindacato sino a farsi riconoscere e rispettare come classe dirigente nazionale, la crisi della democrazia esplode invece quando ciò che era stato unito viene nuovamente diviso e ridiventa debole. Sino al punto che la lotta non avviene più oggi tra ciò che è in basso e ciò che è in alto, come pure viene assai spesso ritenuto dai teorici del “populismo”, ma si manifesta sempre più come una guerra tra poveri. Una guerra nella quale i più deboli non sono più in grado di comprendere le ragioni della propria sofferenza e – cosa ancor più evidente in relazione al fenomeno epocale delle migrazioni dei popoli, oggi spesso grottescamente assimilato a un fantomatico complotto sostituzionista ai danni della “razza bianca” - si scannano tra loro, esponendosi all’influenza delle destre più pericolose di vecchio come di nuovo tipo.

E’ un esito, questo, al quale purtroppo il mondo della cultura, dell’arte, della formazione, dell’università e della comunicazione – al quale in particolar modo ci rivolgiamo - non può dirsi estraneo, avendo per lungo tempo accompagnato lo slittamento a destra del quadro politico complessivo attraverso l’elaborazione di forme di coscienza ultraindividualistiche e di valori competitivi e con la contestazione relativistica dell’idea stessa di progresso, uguaglianza e giustizia sociale.

Non c’è alternativa, allora, e non ci sono scorciatoie “governiste” per chi voglia riscoprire la democrazia moderna e rilanciare – in una  fase tutt’altro che “rivoluzionaria” o anche solo espansiva - quel progetto incompiuto che la Costituzione ci ha trasmesso in eredità: non l’incubo padronale di una fantomatica democrazia immediata della rete, né il vano sforzo di condizionare o riconquistare il PD; ma un lungo lavoro di organizzazione e auto-organizzazione, di confronto e mediazione, che ricostruisca un fronte popolare tenendo insieme e facendo interagire partiti politici, forze sociali, movimenti di lotta, e che lo faccia ben al di là dell’orizzonte elettorale contingente. Un lavoro che - con umiltà e modestia - semini coerenza e intransigenza oggi per raccogliere fiducia domani.

Rinunciare, perciò, ai compromessi al ribasso e alla semplice riduzione del danno nell’ambito di un percorso di minimizzazione della democrazia e provare invece a invertire decisamente la rotta. Pur con mille insufficienze e contraddizioni - e ricominciando dopo aver appreso da quegli errori che hanno regalato militanti all’astensionismo, al Movimento 5 Stelle e alle destre -, ripensare la crisi della sinistra (che è ad un tempo la crisi della politica e della coscienza moderna) e riconquistare autonomia, per radicarci di nuovo negli interessi dei subalterni. Accumulare le forze per tornare a incidere al più presto nella realtà - anche attraverso i necessari strumenti di organizzazione, dibattito e comunicazione - e per tenere aperto l’orizzonte di una trasformazione dello stato di cose presenti. 

  • Unire ciò che è stato diviso, ricucendo il tessuto lacerato della società.
  • Ridare organizzazione e rappresentanza alle classi subalterne e  sostenere i popoli e i paesi oppressi o minacciati dall’oppressione.
  • Riequilibrare i rapporti di forza nel conflitto politico e sociale.
  • Ridistribuire ricchezza e uguaglianza nel paese e nel mondo intero.
  • Combattere dappertutto contro il capitalismo, il colonialismo e l’imperialismo.
  • Restituire finalmente pace e potere al popolo.

Primi firmatari

Domenico Losurdo (Università di Urbino); Angelo d'Orsi (Università di Torino); Stefano G. Azzarà (Università di Urbino); Alexander Höbel (Università di Napoli “Federico II”); Davide Busetto (studente Università di Padova); Guido Carpi (Università “Orientale” di Napoli); Riccardo Cavallo (Università di Firenze) Antonello Cresti (saggista e musicologo); Raffaele D'Agata (Università di Sassari); Pierre Dalla Vigna (direttore Edizioni Mimesis); Marco Di Maggio ( Sapienza, Università di Roma); Carla Maria Fabiani (docente storia e filosofia nei licei, Lecce); Roberto Fineschi (Siena School for Liberal Arts); Francesca Fornario (giornalista e autrice satirica, Il Fatto Quotidiano); Gianni Fresu (Universidade Federal de Uberlandia, Brazil); Guido Liguori (Università della Calabria); Giuliano Marrucci (giornalista, Rai-Report); Raul Mordenti (Università di Roma Tor Vergata); Alessandro Pascale (insegnante precario Storia e Filosofia, Milano); Marco Veronese Passarella (Leeds University); Donatello Santarone (Università di Roma III);...

Sottoscrivere a http://appellopoterealpopolo.blogspot.it/2018/01/unire-le-classi-subalterne-ricostruire.html   inserendo un commento.

Comments

Search Reset
0
Caddeo Sandro
Thursday, 28 January 2021 11:12
Avevo già letto questo articolo, alcuni anni fa. Ma nel momento in cui i questo periodo mi sono iscritto al Partito Comunista Italiano e ho ripreso a leggere gli antichi testi, quelli sacri che i comunisti e i socialisti, da un periodo storico sempre più lontano, che oggi, troppi cittadini non conoscono nemmeno, e nonostante oggi, 28 gennaio 2021, pochi giorni fa ricordiamo i 100 anni dalla nascita del Partito Comunista d'Italia, che poi era diventato Partito Comunista Italiano. E ricordare tutti i grandi personaggi storici, che da prima di Marx, e soprattutto dallo stesso Marx, dal Lenin, e per quanto riguarda l'Italia, noi come punto di riferimento abbiamo Gramsci, che non solo era Italiano, ma come io sono Sardo, anche lui lo era. Nessuno di noi può pensare di avere ragione su tutto. Anche io nella mia vita ho fatto molti errori, nonostante mio padre era comunista, e ha sempre votato il partito. Io stesso che avevo studiato da ragazzo fino all'Università i Chimica Industriale, avevo potuto studiare nelle scuole pubbliche proprio quando la mia generazione precedente avevo fatto le grandi battaglie in modo che tutti i diritti scritti nella nostra Carta Costituzionale venissero finalmente trasformati in riforme, dalla legge sul lavoro, nella quale veniva inserita la parte che riguarda tra le questioni più importanti il famoso articolo 18, che metteva come principio soprattutto l'impossibilità che un lavoratore potesse essere licenziato con il semplice gesto della testa senza nemmeno dare nessuna spiegazione del motivo, e grazie a quella legge che comunque non è mai stata sufficiente, i lavoratori hanno avuto due questioni fondamentali, il sindacato dei Consigli, da una parte e i diritti fondamentali di fare i contratti nazionali e anche quelli aziendali. Ma quando noi facevamo la contrattazione aziendale, anche attraverso la contrattazione nazionale, nei luoghi di lavoro, non tutti facevano il loro mestiere di sindacalisti come delegati di fabbrica. Non tutti avevano la possibilità di avere un contratto. Molti fanno riferimenti alle Grandi aziende, ma le piccole aziende che spesso lavoravano come appalti all'interno delle grandi aziende, molte di esse non avevano nemmeno il contratto nazionale di lavoro. Comunque in quel periodo dagli anni 70 in poi, abbiamo fatto un grande salto di qualità. Io stesso ricordo come si lavorava prima della legge 300, che era stata approvata anche grazie alle battaglie dei Metalmeccanici che avevano nel 1967 ottenuto con le loro manifestazioni proprio all'interno del loro contratto proprio quel pezzo che poi è stato riportato all'interno della legge 300. E questo riguarda il lavoro e i suoi diritti. Ma oltre le questioni che riguardano il lavoro, ricordo anche quella che è stata un’altra grande riforma, che è stata quella della scuola pubblica, che ha permesso non solo a me, ma a tanti altri ragazzi-e di studiare gratuitamente fino ad arrivare all'Università e fare anche quello che facevano i figli dei ricchi, cioè laurearsi. E poi l'altra grande riforma ha permesso di cambiare profondamente la sanità passando dalla legge fascista a quella della grande riforma delle Asl. Ma, anche se quando negli anni 80, personalmente insieme ai miei compagni del Consiglio di fabbrica abbiamo fatto un'assemblea per dare la nostra solidarietà ai compagni della Fiat, abbiamo deciso di inviare 28 persone ai cancelli di quella fabbrica, i quali sono rimasti per 15 giorni a presidiare i cancelli della Fiat, e subito dopo tutti si devono ricordare che cosa è accaduto. Io personalmente non avevo pensato che quella questione accaduta alla Fiat fosse più importante della situazione che non avevamo subito percepito, ma che in brevissimo tempo accadde in tutto il paese. Solo dopo, passati gli anni ho dovuto rivedere quel periodo. Tanto che tutti quei diritti che avevamo conquistato, grazie alla generazione precedente alla mia, li abbiamo persi. Chi dice che sono molti diritti persi, io invece dico che sono stati quasi tutti persi. E l'Epidemia di questo periodo lo ha fatto riemergere completamente. Parlare di politica come se fosse una storia del passato o del presente, non basta per riprendere quel cammino che abbiamo completamente abbandonato. Dobbiamo riprendere invece la voglia di ricordare il passato che dobbiamo consegnare alle future generazioni, perchè senza la memoria, come possiamo capire quello che accade nel presente, e nello stesso tempo come sia possibile che in questo modo non comprendiamo che conoscendo il presente possiamo finalmente creare un progetto per il futuro che non è nostro, ma è delle future generazioni. Allora se vogliamo guardare davvero a che cosa dobbiamo fare. Credo che sia quello di riappropriarci della nostra memoria e nello stesso tempo unirsi tutti insieme noi anziani e le giovani e future generazioni per cambiare profondamente la nostra società che se guardiamo realmente ai dati che abbiamo tutti a disposizione, possiamo essere certi che la società i cui viviamo, e che si chiama Capitalismo, sta morendo già dagli anni 70, e una società che cerca di sopravvivere i un modo o nell'altro muore come moriamo tutti noi.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Ernesto Rossi
Wednesday, 31 January 2018 09:30
Francesco Zucconi, uno dei pochi sani di mente su 60.000.000 di italiani. Ovviamente meno influente di uno scoreggio, comunque bravo Francesco, fa piacere incontrare un normale come Lei, ogni tanto. Le stringo la mano.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Eros Barone
Tuesday, 30 January 2018 22:08
Ma che cosa significa il sintagma "separazione [della democrazia] da ogni elemento di socialismo"? Viene ancora riproposto il modello togliattiano della "società intermedia" e accreditata l'esistenza di una "democrazia progressiva"? O si favoleggia, richiamandosi al Berlinguer degli anni Settanta del secolo scorso, circa la possibilità di introdurre "elementi di socialismo" nel mortifero pantano della odierna "crisi della democrazia" (riconosciuta peraltro e contraddittoriamente dagli stessi estensori del documento in parola) e "nella gabbia d'acciaio" della trasformazione in senso reazionario delle istituzioni borghesi? "Restituire potere al popolo", si afferma in questo documento, e veramente sembra di muoversi come altrettanti astronauti in un paesaggio lunare, quasi che il problema che si pone oggi alle classi lavoratrici fosse quello di farsi "restituire il potere" (quando e da chi usurpato?) e non di conquistarlo, strappandolo dalle mani della borghesia e del personale politico al suo servizio e usandolo, previa adeguata bonifica di quelle stalle di Augìa, per costruire una società socialista. L'astrazione giuridica della Costituzione viene scambiata con la realtà concreta e la "rivoluzione promessa" (cfr. l'art. 3 della Costituzione) viene sostituita alla "rivoluzione mancata" (cfr. il periodo 1944-1947). "Ripensare la crisi della sinistra (che è ad un tempo la crisi della politica e della coscienza moderna)": ecco un "vasto programma", degno di essere assunto come sfida epocale da coloro che hanno steso e sottoscritto il documento in questione.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Francesco Zucconi
Monday, 29 January 2018 23:05
1) La ricostruzione dell'Italia
quale fattore determinante nella geopolitica del Mediterraneo;
2)la costruzione di un'arsenale
atomico bellico italiano e l' incremento
del potenziale bellico offensivo dell'Italia
sono fattori preliminari per cambiare lo status
di colonia e di nazione militarmente sconfitta,
invasa e subalterna che dal luglio del 1943
regola i rapporti con gli invasori
anglosassoni e, in subordine, con
il rinato imperialismo teutonico
e il suo lacchè francese.
Senza questi passaggi, vedo impossibile,
per il popolo italiano, avere la benché minima
autonomia,capacità e possibilità di
autodeterminarsi...
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit