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eurostop

Pareggio di bilancio, articolo 81, dissesti,
piani di riequilibrio finanziario e debito

Apriamo il dibattito metropolitano

Il contributo dei compagni della Piattaforma Sociale Eurostop per l’Assemblea Metropolitana di Potere al Popolo

mod.tedescoIntroduzione

Il contributo che presentiamo è il classico “work in progress”. Si tratta, quindi, di un contributo aperto non soltanto nelle intenzioni ma anche nel merito.

Infatti si prende spunto anche da proposte che formano oggetto di riflessione di altri settori di Movimento e della sinistra d’alternativa, prodotti in questi mesi in città, con cui giungere ad ulteriori e più avanzati momenti di confronto e sintesi.

Più nello specifico, nel nostro caso, si collega al contributo sul debito che, come attivisti della Piattaforma Sociale EUROSTOP, preparammo lo scorso mese e diffuso, tra l’altro, nell’Assemblea popolare svoltasi il 7 aprile a Piazza San Domenico Maggiore.

Per noi è importante che su queste problematiche ci sia una discussione ed iniziativa continua, ossia non basata essenzialmente su delle fiammate cui seguono periodi di silenzio ed attesa.

Quelle qui affrontate sono tematiche che non possono essere completamente delegate a chi ha ruoli istituzionali perché indipendentemente dalle persone che li svolgono se ne subisce oggettivamente il condizionamento, invece è bene che si abbiano proposte autonome su cui sviluppare mobilitazione, momenti di convergenza ma anche di critica ragionata ed articolata ogniqualvolta sia necessario per non restare in un ambito di sole proposte emergenziali su cui limitarsi a fare da “truppa di complemento” aldilà della nostra volontà soggettiva.

Con questa attitudine socializziamo ai compagni dell’Assemblea Metropolitana di POTERE AL POPOLO questo contributo finalizzato alla definizione di più avanzati momenti di sintesi politico/programmatica e di iniziativa sociale.

* * * *

Premessa

Le vicende finanziarie di alcuni grandi Comuni da Napoli a Torino, passando per Roma, portano alla ribalta nazionale le conseguenze di quello che è stato definito il “federalismo alla rovescia” in cui ogni anno il comparto EE.LL. deve pagare il proprio pesante tributo in termini di tagli alla spesa e “lacci e lacciuoli”1 ai propri bilanci per rincorrere il pareggio di bilancio e le politiche di austerity della Commissione europea e dei vari governi nazionali ad iniziare, nel nostro caso, da quello italiano.

In altri termini, i Comuni in situazione di criticità finanziaria già vivono una situazione di fiscal compact locale per questo mettere in discussione i “risanamenti” finanziari attraverso i piani di riequilibrio e i dissesti finanziari è tutt’uno con la battaglia in atto a livello nazionale contro la riscrittura montiana dell’art. 81 della Costituzione.

Inutile ricordare che forze sostanzialmente liberiste come la Lega proprio per questo tipo di situazione hanno preferito, dietro un’apparente politica antieuropeista, concentrarsi sulla demagogia a buon mercato contro gli immigrati facendo cadere le rivendicazioni federaliste e autonomiste, pertanto oggi più che mai è compito proprio della sinistra d’alternativa e di Movimento riprendere con decisione una battaglia contro il soffocamento finanziario dei Comuni mirante a privatizzare i servizi e svendere i beni patrimoniali, infatti quello comunale è il livello politico-istituzionale più vicino ai cittadini e, quindi, è più facile dimostrare il pretesto fittizio delle politiche di riduzione del debito dopo che i poteri forti hanno messo in piedi il “pilota automatico” in base al quale chiunque vada al Governo, sia nazionale che locale, deve, comunque, fare le medesime politiche antipopolari.

Scopo del presente contributo è quello di cercare di rafforzare un dibattito che vada oltre le proposte “tappabuchi” di stampo emergenziale come quella contenuta nella legge di bilancio 2018, passata alle cronache come “spalmadebiti”, per costruire una piattaforma antiliberista di medio periodo che abbia anche dei risvolti normativi.

In questo difficile tentativo,dopo una sintetica ricostruzione della politica finanziaria liberista verso gli EE.LL con particolare riferimento agli istituti normativi del “risanamento”, procediamo ad un approfondimento quali/quantitativo sulla situazione degli Enti in criticità finanziaria a livello metropolitano nel più ampio contesto campano.

 

a) Breve nota introduttiva su: pareggio di bilancio, dissesto e piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

La politica liberista del pareggio di bilancio per gli EE.LL. affonda le sue radici nella parte finale degli anni ’70 col “decreto Stammati 2” (dal nome dell’allora Ministro del Tesoro di uno dei Governi Andreotti, guarda caso un “tecnico” anche con esperienze nel mondo bancario…).

Quindi è col d-l n. 946 del dicembre ’77, convertito in legge nel febbraio ’78, che viene sancito l’obbligo di deliberare il bilancio in pareggio e si iniziano a mettere “paletti” vari alla spesa.

Siamo sull’onda delle prime politiche di austerity successive alla crisi petrolifera del 1973 che trovano un temporaneo ostacolo nel Movimento del ’77 e siamo nel pieno di quella che è stata definita la ristrutturazione e riconversione industriale dell’apparato produttivo del Paese.

E’, però, ancora forte il peso dei trasferimenti statali e, pertanto, la finanza locale è, sostanzialmente, in quel periodo una finanza derivata.

Con l’istituto del dissesto, nato nel lontano 1989, si ribadisce e rafforza per gli Enti in crisi il principio del pareggio per cui il “risanamento” deve mirare ad un bilancio “stabilmente riequilibrato”, si prevede l’eliminazione dei servizi non essenziali, la rideterminazione in diminuzione della dotazione organica, l’innalzamento delle aliquote delle imposte locali.

All’inizio il presupposto del dissesto è soltanto quello relativo ai Comuni che si trovano in condizioni tali da “non poter garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi primari”, il secondo presupposto, quello dell’insolvenza, si aggiunge successivamente nel 1993.

E’ chiaro che questi due elementi, per quanto possano operare disgiuntamente, sono tra loro strettamente collegati nel senso che l’impossibilità ad assolvere le funzioni ed i servizi indispensabili ricorre anche quando sarebbero disponibili le risorse a ciò necessarie, ma le stesse sono rese indisponibili dalla necessità di onorare i debiti contratti, allo stesso modo l’insolvenza dell’Ente ricorre anche quando le risorse per onorare i debiti ci sarebbero, ma l’impiego di esse a tal fine renderebbe impossibile assolvere alle funzioni e ai servizi indispensabili.

Nella sua durata pluridecennale, l’istituto del dissesto ha avuto cambiamenti, ritocchi, aggiustamenti e oggi trova la sua collocazione nel TUEL qui, date le caratteristiche della presente nota, non vogliamo fare una ricostruzione particolarmente dettagliata di tutte le modifiche normative intervenute ma ci limitiamo a segnalarne quelle che si possono considerare le più importanti:

  • 1993 - viene stabilita l’obbligatorietà e irrevocabilità della dichiarazione di dissesto con la netta separazione tra la gestione ordinaria, facente capo al Sindaco, e la gestione del pregresso affidata all’Organo Straordinario di Liquidazione (OSL); per gli oneri del mutuo diretto al ripiano delle passività pregresse si conferma che sia a carico dello Stato;
  • 1997 - con uno dei decreti scaturenti dalla “Bassanini 1” (L.127/97) - viene introdotta la procedura semplificata per il pagamento dei debiti attraverso accordi transattivi coi creditori;
  • 2001 - riforma costituzionale del titolo V parte II della Costituzione dove, col nuovo testo dell’art. 119, l’indebitamento è permesso soltanto per spese in conto capitale e dove “è esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti” dagli EE.LL.- Questo cambiamento - che trovò concreta applicazione dal 2004 – ha avuto un grande rilievo nel contribuire a far cadere nella spirale del debito gli Enti in dissesto perché i mutui concessi per ripianare le passività pregresse si sarebbero dovuti rimborsare;
  • 2011 - “dissesto guidato” e sanzioni politiche per gli Amministratori degli Enti dissestati. – Nel primo caso, si tratta di un dissesto imposto da Corte dei conti- Prefettura qualora non si portino a compimento le “azioni correttive” relative alle irregolarità contabili rilevate dalla competente Sezione Regionale di controllo. – Le sanzioni politiche consistono, per i Sindaci ritenuti responsabili del dissesto da parte della Corte dei conti, nel non potersi candidare per un periodo di dieci anni alle competizioni elettorali politiche e amministrative, nazionali ed europee.

Le sanzioni politiche insieme a quanto previsto dalla citata riforma costituzionale del 2001 sono due elementi che hanno rappresentato un certo freno alle procedure di dissesto, oltre alla possibilità, dal 2012, di poter scegliere il piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

La citata procedura del riequilibrio finanziario è introdotta nel TUEL attraverso l’inserimento di alcuni articoli avvenuto con un decreto-legge dell’ottobre 2012, ossia in pieno Governo Monti e, quindi, su di esso pesa l’impostazione ultraliberista del Presidente del Consiglio “tecnico”, infatti nel decreto è previsto un rafforzamento dei controlli sugli Enti locali con particolare riferimento anche ai controlli sugli “equilibri finanziari”.

Insomma questa novità normativa dovuta in buona parte alla pur importante mobilitazione svolta in quei mesi dal Comune di Napoli per evitare il dissesto è fatta rientrare all’interno dell’impostazione governativa.

Il piano di riequilibrio, a seconda delle scelte dell’Ente può dare accesso o meno ad un “Fondo di rotazione”, ossia ad un’anticipazione di liquidità che come tale va restituita da parte dell’Ente; al Fondo possono accedere anche i Comuni sciolti per condizionamenti di tipo mafioso.

In realtà, col piano di riequilibrio, aumentano i Comuni guidati, ben oltre l’orizzonte di una consiliatura, da una sorta di pilota automatico di livello locale dove, a prescindere dal colore politico della Giunta o dalla gestione ordinaria o straordinaria (Commissari Prefettizi), occorrerà seguire il piano di rientro che, a suo tempo è stato presentato e approvato dalla competente Sezione Regionale di controllo della Corte dei conti dopo un’istruttoria da parte di organi del Ministero dell’Interno.

 

b) Cenni sulla situazione degli EE.LL. in criticità finanziaria nella Città Metropolitana di Napoli nel più ampio contesto regionale

I Comuni in condizioni di criticità finanziaria nella nostra Regione sono poco più di 702 tra cui ben sette sono passati dal riequilibrio al dissesto finanziario3 fenomeno presente anche a livello nazionale, inoltre ci sono Comuni attualmente col piano di riequilibrio che nel passato sono stati in dissesto (si vedano i casi di Procida e Napoli) e ben 12 Comuni con più di un dissesto di cui uno nell’ex-provincia di Napoli (Lacco Ameno già in dissesto nel 1993).

Da ciò si deduce che i “risanamenti” finanziari in vari casi hanno avuto breve durata e ciò dovrebbe far riflettere sull’efficacia degli stessi, del resto, l’introduzione dal 2002 della “procedura straordinaria” all’interno di una procedura già di per sé straordinaria quale il dissesto è, nei fatti, una presa d’atto che il dissesto alla fine può concludersi senza il reale4 risanamento del’Ente.

A livello percentuale i Comuni campani in criticità finanziaria sono il 12%, ma a livello di popolazione essi rappresentano il 34% circa (in termini assoluti 1.973.694 ab.) in quanto tra i 65 Comuni in riequilibrio o in dissesto vi sono tre capoluoghi di Provincia (Napoli, Benevento e Caserta) e Comuni come Battipaglia, Scafati, Portici, Marano e Castellammare di Stabia che superano i 50 mila abitanti.

Nella ex-Provincia di Napoli i Comuni in riequilibrio o in dissesto sono 11 e rispetto al totale dei Comuni ricadenti nel territorio metropolitano rappresentano la medesima percentuale che si riscontra a livello regionale (12%) non così per la popolazione che è ben al di sopra della media regionale con un 8% in più in quanto con 1.297.474 ab. ne rappresentano il 42% come si evince dalla rappresentazione grafica dell’allegato.

Più specificamente, i Comuni della Città Metropolitana in condizioni di criticità finanziaria ne sono 8in riequilibrio e 3 in dissesto e rispetto alle fasce di popolazione ce n’è uno al di sotto dei 5.000 ab., uno al di sotto dei 10.000, uno al di sotto dei 15.000 ab., 4 Comuni che vanno dai 25.000 ai 50.000 ab., 3 che superano i 50.000 e il Comune capoluogo che da solo ha oltre 960 mila ab.

Naturalmente questa situazione si riflette negativamente sulla qualità della vita degli abitanti dei Comuni interessati dai “risanamenti” ad iniziare da quelli socialmente più disagiati.

Tra i Comuni in riequilibrio o in dissesto ce ne sono tre il cui Consiglio Comunale è stato sciolto per condizionamenti di tipo mafioso e due di essi sono al secondo scioglimento (Marano e Quarto) altri, attualmente in riequilibrio, sono stati sciolti nel passato (Villaricca nel 1994 e Portici nel 2002).

Sappiamo che il fenomeno dei Comuni sciolti per condizionamenti di tipo mafioso non è più da alcuni anni un’esclusiva campana o meridionale5 tuttavia quando l’infiltrazione mafiosa avviene in contesti deboli sotto il profilo socio-economico è particolarmente devastante e, quindi, ancora più insufficiente appare un “risanamento” meramente contabile e ragionieristico.

 

c) Rifiutare l’istituto del dissesto: prime proposte alternative all’interno di una piattaforma di medio periodo

Rifiutare il binomio liberista “risanamento” finanziario-pareggio di bilancio sarà possibile se aumentiamo le capacità di coinvolgimento delle città contro i “partiti del dissesto” perché

“la situazione del Comune dissestato non è omologa a quella dell’imprenditore privato essendo quest’ultimo per sua natura guidato dalla considerazione e dalla cura del proprio interesse personale, laddove il primo, per vocazione istituzionale, si ispira alla cura degli interessi pubblici dei quali è portatore come ente esponenziale della collettività di base e dei quali deve essere fedele interprete”.

E’ proprio in ragione di questi motivi chiariti, anche in questo caso, sin dagli anni novanta dal giudice costituzionale (sentenza n. 242/1994) che noi siamo stati sempre contrari al dissesto mutuato dall’istituto civilistico del fallimento, indipendentemente dal tipo di Giunta che abbiamo di fronte.

Pertanto la proposta condivisa, da parte rilevante delle forze radicalmente antiliberiste, si basa su una riduzione dell’area d’intervento del dissesto ritornando in parte alle origini di quest’istituto quando, come abbiamo visto nel primo paragrafo, l’unico presupposto era quello di non poter fornire i servizi indispensabili, quindi quest’impossibilità deve essere assoluta e non anche di tipo relativo come si può verificare oggi quando c’è l’interdipendenza anche con l’insolvenza.

Quest’ ultima fattispecie, può rientrare, con i dovuti adattamenti alla realtà pubblicistica, nella categoria del “sovraindebitamento” previsto dalla legge n. 3/2012 soltanto per categorie particolarmente deboli.

In particolare, l’attuale definizione normativa del sovrindebitamento fa riferimento al “patrimonio prontamente liquidabile” per far fronte alle obbligazioni assunte e ciò eviterebbe di ricorrere a quel patrimonio disponibile che non è “prontamente liquidabile” come le case popolari o altri beni immobili6.

In questo senso non appassiona la discussione che, ad es., si è fatta all’interno della maggioranza consiliare che appoggia l’Amministrazione de Magistris sull’inserimento nella lista dei beni pubblici da vendere di un determinato immobile invece di un altro perché è tutta interna alla logica dei piani di riequilibrio.

La nuova categoria degli enti in sovraindebitamento si configurerebbe ogniqualvolta il rapporto tra le passività da ripianare e l’ammontare degli impegni di spesa corrente sia superiore al 60% secondo la tabella inserita con la legge di bilancio 2018 nella procedura di riequilibrio finanziario7.

In altri termini, si tratta di portare il presupposto dell’insolvenza all’interno della procedura ordinaria perché, come dimostra l’esperienza di questi anni, una netta distinzione tra gestione pregressa e gestione post-dissesto è una distinzione che mira soltanto a ridurre l’autonomia del Comune.

Quindi sia per i Comuni in riequilibrio finanziario che per quelli in dissesto va istituita la nuova categoria degli Enti in sovraindebitamento mirando a dare un diverso ruolo anche alle Sezioni Giurisdizionali della Corte oggi impegnate nel ruolo sanzionatorio per gli Amministratori che sforano il Patto di stabilità e potrebbero essere impegnate in funzioni simili a quelle che attualmente svolge la magistratura ordinaria rispetto agli “organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento” nel settore privato.

La procedura in questione, come si può facilmente comprendere, ha dei punti di contatto con quella semplificata prevista per gli Enti in dissesto che, come si sa, prevede accordi transattivi con un pagamento di somme che vanno dal 40 al 60% del debito una delle differenze è che non sarebbe più facoltativa, com’è attualmente, ma diventerebbe obbligatoria una volta che ricorrerebbero determinati presupposti di anzianità ed entità del debito.

Insomma si tratterebbe di muoversi in una direzione opposta a quella della tendenza all’allungamento del debito perché si tenderebbe ad accelerare le procedure per liberare al più presto l’Ente dalle catene debitorie8.

Naturalmente questa proposta ha senso se, contestualmente, si affronta il nodo di un diverso ruolo del sistema creditizio dalla Cassa Depositi e Prestiti alla Banca del Mezzogiorno acquistata da INVITALIA, Agenzia di proprietà del Ministero dell’Economia.

Su quest’impostazione occorrerà individuare forme di pressione anche sull’ANCI, che sinora s’è mossa con troppa timidezza anche se qualche spunto positivo sembra emergere dal citato documento consegnato in sede di audizione parlamentare sul DEF 2018 dove, tra l’altro, si afferma che occorre

“coniugare le esigenze di risanamento con quelle di ristrutturazione complessiva del debito comunale, esigenza non più perseguibile con le operazioni di sola rinegoziazione”.

Infatti queste ultime spesso non sono altro che un allungamento delle possibilità di rateizzazione del debito.

Altri quattro elementi di una possibile piattaforma potrebbero essere quelli di normare aspetti usciti in maniera altalenante ed eccessivamente discrezionale dalla giurisprudenza contabile, o di limitare l’approccio prevalentemente politico all’applicazione del principio too big to fail (troppo grande per fallire) verso i Comuni di maggiori dimensioni, la differenziazione delle funzioni tra Corte dei conti e Ministero dell’Interno per i piani di riequilibrio e l’avvio di processi di audit locale sul debito coordinati a livello nazionale.

Ci si riferisce, nel primo caso, alla nozione del “controllo dinamico” elaborata dalla Corte dei conti ossia della

“visione dinamica della situazione contabile dell’Ente e delle effettive e aggiornate prospettive di recupero…perché l’evolversi degli eventi influisce continuamente ed incessantemente sugli equilibri di bilancio” (dalla sentenza SS.RR. Corte dei conti n. 34/2014/EL).

Ad esempio: nel caso di Napoli questo principio non è stato applicato sufficientemente visto che la sentenza delle Sezioni Riunite sul ricorso presentato dal Comune contro la deliberazione della Sezione Regionale di controllo per la Campania è intervenuta nelle more della definizione della partita debitoria col Governo che ha riconosciuto a proprio carico gran parte di debiti delle strutture commissariali del dopo-terremoto e dell’emergenza rifiuti, una pronuncia “interlocutoria” non sarebbe stata per nulla scandalosa proprio alla luce del “controllo dinamico”.

L’esigenza di una formalizzazione del “controllo dinamico” sembra di estrema importanza anche per evitare involontarie ed oggettive discriminazioni tra Comuni dove, per restare alla situazione campana, abbiamo avuto Enti che hanno ottenuto più di una volta il rinvio dell’adunanza delle SS.RR. sul proprio ricorso perché erano in itinere dei cambiamenti normativi su nuove possibilità di rimodulazione dei piani di riequilibrio concretizzando, così, un’applicazione molto ampia della visione dinamica del controllo9.

Rispetto al principio del “too big to fail”, com’è noto, ha trovato e trova un’ampia applicazione rispetto alle banche, pertanto un’applicazione trasparente e normata anche rispetto ai Comuni di maggiori dimensioni eviterebbe di ricorrere a provvedimenti ad hoc frutto di estenuanti trattative politiche e con l’ottica della “legge speciale”, in realtà non si tratterebbe tanto di andare incontro a questo o quel Comune ma al sistema-Paese visto che le conseguenze del dissesto di un grande Comune andrebbero ben oltre lo stesso influendo sull’immagine e la credibilità a livello nazionale.

Per gli audit sul debito locale si può far riferimento anche ad esperienze di altri Comuni come Parma oppure all’approccio avuto dai compagni di “Decide Roma” che lo scorso anno hanno prodotto un interessante report sul debito capitolino, oppure bisognerebbe dare effettività alla disponibilità dell’Amministrazione napoletana per l’avvio di un audit sul debito del Comune spingendo (come in parte si sta già facendo) affinché questa disponibilità non resti soltanto a livello di principio.

Allegato (clicca per leggere)


Note
1 Nota espressione di origine confindustriale riferita, prima del Jobs Act, al mercato del lavoro.
2 Per evitare duplicazioni i sette Comuni che dal riequilibrio sono passati al dissesto sono stati contati una sola volta.
3 Si tratta di Benevento, Calvi Risorta, Capua, Casalduni, Caserta, Cerreto Sannita, Roccabascerana.- I dati sui Comuni in criticità finanziaria sono tratti dalla recente ricerca della Ca’ Foscari su: “Le criticità finanziarie dei Comuni italiani: spunti per un’analisi ricostruttiva” con dati aggiornati al 31-12-2017.
4 Il riferimento è a quanto previsto dagli articoli 268, 268 bis e ter del TUEL.
5 Cfr. nel periodo 2013-18 lo scioglimento dei Consigli Comunali di Sedriano in Lombardia, Lavagna in Liguria o Brescello (il paese di Peppone e don Camillo) in Emilia-Romagna.
6 L’ art. 6, co. 2, lett. a) della legge 27 gennaio 2012 n.3 – contenente “disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento” – individua come sovraindebitamento “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
Nel caso del sovraindebitamento l’eventuale indebitamento prontamente liquidabile, di solito, viene individuato nelle dichiarazioni dei redditi della persona fisica sovraindebitata degli ultimi tre anni, nel caso dei Comuni potrebbe essere individuato nei rendiconti degli ultimi tre anni. La procedura del sovraindebitamento ha preso concreto avvio nel 2015 dopo il decreto del Ministro della Giustizia sull’avvio del registro per l’iscrizione negli organismi di composizione della crisi”
7 Cfr. art. 243-bis co. 5 bis, TUEL.
8 Già nel lontano 2009 la Sezione Autonomie della Corte dei conti nella relazione al Parlamento allegata alla deliberazione n. 14/2009 suggerì che sarebbe stato opportuno rendere obbligatoria la procedura semplificata: “Deve rilevarsi, poi, che la chiave di volta, che ha aiutato a dare soluzione a molte difficoltà, è stata proprio la procedura semplificata ex-art. 258 TUEL. Essa è apprezzata da tutti gli O.S.L. e, ove possibile, attuata. E’ in questo ambito che, probabilmente, il legislatore dovrebbe intervenire rendendola, innanzitutto, obbligatoria per l’Amministrazione ma, poi, accompagnandola con un sistema di utilizzo dei contributi straordinari e di altre risorse dell’Ente che permetta di disporre velocemente delle liquidità necessarie per le transazioni oltre che, naturalmente, eliminando alcune rigidità della procedura stessa. E’ di tutta evidenza che una massiccia applicazione della predetta procedura, genera, oltre alla riduzione della massa passiva, l’altro importante positivo effetto di evitare all’Ente risanato le ulteriori richieste del creditore che vi aderisce” (delibera. citata pag. 374).
9 Il riferimento è al Comune di Casamicciola che con un ricorso del dicembre 2015 contro la deliberazione n. 227/2015 della Sezione Regionale di controllo per la Campania ha ottenuto più di un differimento dell’adunanza delle SS.RR. che s’è svolta soltanto a dicembre 2016 in attesa delle novità normative della legge di bilancio 2017 sulle nuove rimodulazioni dei piani di riequilibrio.

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