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la citta futura

La rivoluzione passiva del governo Conte

di Renato Caputo

Per quanto sia una rivoluzione-restaurazione quella portata avanti dal governo Conte, non bisogna accordarsi a chi la critica da destra, ma rilanciare dal basso il processo rivoluzionario

ad0f13d28bcbfa30f47c946d137f9df3 XLIn prima istanza, servirsi della categoria gramsciana di “rivoluzione passiva”, ovvero di “rivoluzione senza rivoluzione”appare fuori luogo per connotare l’attuale governo in cui pare avere l’egemonia Salvini e la componente oggettivamente reazionaria a lui legata. D’altra parte, se per “rivoluzione passiva” non si intende tanto una rivoluzione dall’alto, ma anche e soprattutto, come fa Gramsci, una “rivoluzione-restaurazione” le cose potrebbero cambiare. Tanto più che Gramsci definisce rivoluzione passiva nella sua epoca non solo e non tanto il “New Deal” rooseveltiano, ma piuttosto il fascismo, nel senso lato del termine che ha una dimensione oltre che pratica per l’Italia, ideologica per l’Europa [1].

Del resto, il concetto di rivoluzione passiva è utilizzato per la prima volta da Gramsci per designare il programma politico e la modalità di direzione egemonica del blocco moderato-liberale del Risorgimento, meglio noto come “Destra storica” (957). Tanto più che la direzione politica esercitata da quest’ultima è il prodotto, è l’espressione dell’“assenza di iniziativa popolare nello svolgimento della storia italiana” (Ibidem). Per cui lo stesso carattere “progressivo” della rivoluzione passiva non è altro che la “reazione delle classi dominanti al sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari con ‘restaurazioni’ che accolgono una qualche parte delle esigenze popolari” (Ibid.). In tal modo diviene pienamente comprensibile il significato di rivoluzione-restaurazione che ha in Gramsci il concetto di rivoluzione passiva, piuttosto che quello di Rivoluzione dall’alto più pertinente a descrivere forme di cesarismo progressivo. Tanto più che, a parere di Gramsci, la rivoluzione passiva è il prodotto della debolezza delle “forze progressive”, che consentono che la classe dirigente politica non sia espressione immediata della classe economica dominante ma sia espressione, piuttosto, del “ceto degli intellettuali” (1360).

A tutto ciò dobbiamo aggiungere – per rendere comprensibile in che senso si può parlare di rivoluzione passiva in riferimento all’attuale governo giallo-verde – che, come ha osservato Marx, i grandi eventi della storia universale tendono a ripetersi due volte, la prima nella forma di tragedia, la seconda di farsa. Se dunque il Risorgimento quale rivoluzione mancata, che ha portato al governo della “Destra storica” può essere considerato una grande tragedia – e un discorso analogo si potrebbe fare per il fallito tentativo di realizzare, sulla scorta della Rivoluzione di ottobre, una rivoluzione in Occidente, che ha portato al fascismo, in cui gli aspetti di farsa, rispetto alla Destra storica, sono già presenti – i movimenti di opposizione ai governi di Berlusconi, Monti e Renzi, dal cui fallimento è sorto il governo Conte, hanno in modo ancora più evidente aspetti farseschi.

Quindi gli aspetti “progressisti”, per quanto marginali, del governo Conte non sono certo il prodotto di una presunta tendenza progressista presente nel M5s e tanto meno nella Lega, ma dipendono – per riprendere il ragionamento di Gramsci – tanto dall’attuale “assenza di iniziativa popolare”, quanto dal precedente “sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari” di contro all’aperta restaurazione liberista portata avanti dai precedenti governi Berlusconi, Monti, (Letta) e Renzi. Si tratta, dunque, di una forma di “reazione delle classi dominanti”, ossia della borghesia dinanzi alle lotte, per quanto sporadiche e disorganiche, portate avanti dalle classi subalterne di contro alle politiche sfacciatamente anti popolari dei governi precedenti. In altri termini, dinanzi alle lotte sporadiche e disorganiche dei subalterni di contro alla controriforma delle pensioni targata Fornero, la controriforma della scuola operata prima da Berlusconi e poi da Renzi, dello Statuto dei lavoratori, ad opera prima del governo Monti e poi del governo Renzi, l’attuale governo procede nel programma di restaurazione liberista dei precedenti – come si vede espressamente dalla reintroduzione dei voucher, dalle elargizioni agli imprenditori e dalla flat tax – ma accoglie “una qualche parte delle esigenze popolari” come l’eliminazione della chiamata diretta dei presidi, la parzialissima riforma del Jobs act e la promessa “riforma” della Fornero.

In tal modo la lotta di classe condotta dalla classe dominante che aveva assunto, dopo il crollo dell’Urss, essenzialmente la forma di guerra di movimento, ha assunto dinanzi alla reazione confusa delle masse popolari, almeno in questa prima fase del governo Conte, la modalità della guerra di posizione o di trincea. Non a caso tale forma più moderna che assume la lotta di classe è propria, secondo Gramsci, della forma più moderna di dominio rappresentata dalla rivoluzione passiva. Così, dinanzi all’offensiva materialistica, che aveva riportato – a partire dal governo Berlusconi, che ha inaugurato la seconda repubblica – a un dominio diretto della classe economicamente dominante, senza più la mediazione di una classe politica dirigente, spazzata via dall’inchiesta Mani pulite, si è passati a una forma più indiretta, mediata da una nuova classe dirigente – per quanto dai connotati evidentemente farseschi – della dittatura della borghesia.

Si ritorna così a quella più moderna concezione dello Stato – che si è affermata nell’Europa continentale quale “reazione superamento nazionale della Rivoluzione francese” (1361) – non più quale “forma concreta di un determinato mondo economico, di un determinato sistema di produzione” (1360), bensì nella forma idealista di “un assoluto razionale” (ivi, 1361). Se da una parte il passaggio da un’offensiva borghese aperta a una più indiretta, molecolare, tipica della guerra di posizione, può essere considerata come un successo della controffensiva, per quanto, come detto, sporadica e disorganica, dei subalterni – come appare in modo più evidente per quanto concerne la scuola – d’altra si tratta di un’evoluzione della forma di dominio della classe dominante. Per questo l’attuale governo è criticato da destra in modo diretto e aperto dal Pd renziano, da Forza Italia e dagli eredi del governo tecnico Monti-Letta – proprio perché tendono ad accusare l’attuale compagine governativa di aver tradito l’offensiva da loro condotta contro le classi subalterne – dall’altra è criticata egualmente da destra dalla classe dominante, ma in modo decisamente più moderato.

I suoi rappresentanti, a partire da Confindustria, da una parte criticano l’aver, per il momento, messa da parte la guerra di movimento, per una guerra di trincea, che potrebbe dare maggior tempo ai subalterni di riorganizzarsi e ricompattarsi dinanzi alla precedente rotta, mentre dall’altra lo sostengono in quanto rappresenta una forma maggiormente sofisticata di dominio, in grado di recuperare la capacità di egemonia, ossia di dominio con il consenso dei subalterni, che l’offensiva aperta dei governi Berlusconi, Monti e Renzi avevano ridotto al lumicino. Di ciò si è avuta una palese controprova con le ultime elezioni politiche e ancora prima nel referendum per modificare in senso presidenzialista la Costituzione in cui – nonostante il pieno appoggio della componente egemonica della classe dominante, la grande borghesia e, di conseguenza, dei mezzi di comunicazione di massa da essa egemonizzati e degli stessi poteri forti – ha prevalso il voto di protesta delle classi subalterne. Quest’ultimo è anch’esso espressione del “sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari” (957).

Del resto, nell’attuale governo appaiono evidenti le riprese della forma fascista della rivoluzione-restaurazione, in primo luogo con la ripresa del razzismo che, come nella sua forma classica dell’antisemitismo, è una forma aggiornata del “socialismo degli imbecilli”, secondo la nota definizione di A. Bebel uno dei padri del movimento operaio. Non a caso, oggi come allora, tornano le teorie del complotto per cui vi sarebbe una congiura che unirebbe le organizzazioni umanitarie non governative al grande capitale finanziario, impersonata non a caso dall’ebreo Soros, che mirerebbe a rubare il lavoro e i benefici del sedicente Stato sociale al proletariato autoctono, oltre a mettere in questione la superiorità della “razzaoccidentale con la formazione di società meticce.

La definizione di “socialismo degli imbecilli” può tornare di attualità in quanto dietro a queste forme parventi, volte a impressionare appunto gli imbecilli, ossia i subalterni privi di coscienza di classe, si cela una problematica reale ovvero che l’emigrazione è funzionale a mantenere sempre più ampio l’esercito industriale di riserva consentendo al padronato di pagare al prezzo più basso del suo valore la forza lavoro. Tale forma di socialismo degli imbecilli o social-sciovinismo e/o nazional-socialismo è una forma esteriormente rozza, ma internamente più raffinata di dominio della borghesia in quanto favorisce la diffusione di un’immigrazione clandestina, funzionale a riprodurre una forma moderna di schiavitù, che rischia di ridurre il proletariato da classe potenzialmente rivoluzionaria a plebe moderna. In quanto avendo al di sotto gli immigrati clandestini, che vivono una forma decisamente superiore di oppressione e sfruttamento, come la plebe moderna anche il proletariato rischia di perdere la consapevolezza di non aver – sviluppando dal basso la lotta di classealtro da perdere che le proprie catene.

L’attuale rivoluzione passiva, come le precedenti, è inoltre funzionale allo sfaldamento delle forze di centro-sinistra e sinistra che rischiano così di finire, come i mazziniani, per essere in modo molecolare progressivamente riassorbite nella fila del blocco moderato al governo. Non a caso Gramsci connette la forma di dominio della rivoluzione passiva con il fenomeno del trasformismo. Abbiamo così da una parte i membri del Pd che inseguono il social-sciovinismo dell’attuale governo – con la parte più moderata che insegue la Lega nel razzismo come forma attualizzata del “socialismo degli imbecilli” e la parte più “progressista” che insegue il M5s sulla strada della rivoluziona passiva – mentre dall’altra abbiamo settori della sinistra radicale che molecolarmente sono riassorbiti dal blocco moderato oggi al governo o divenendo codista verso la sedicente anima progressista del M5s o inseguendo le forze al governo sul terreno ancora più pericoloso del social-sciovinismo. Così, come ai tempi della rivoluzione passiva del ventennio, esponenti della sinistra del Psi come Mussolini o i sindacalisti rivoluzionari fondarono il fascismo, oggi in nome del sovranismo una parte dell’estrema sinistra rischia di attualizzare il socialismo nazionale, ovvero il nazional-socialismo.

Al contrario la sinistra dovrebbe tornare a svolgere la sua funzione originaria e concettuale, ovvero dare una direzione consapevole allo spontaneo e disorganico sovversivismo delle masse popolari. A tale scopo sarebbe necessario attualizzare la lezione del più significativo comunista e marxista italiano, Gramsci, che ha elaborato il concetto di rivoluzione passiva per rilanciare di contro a essa, come unico reale antidoto, una rivoluzione attiva, in grado di coniugare l’attuale forma di lotta di classe imposta dall’ avversario – la guerra di posizione – a una riattualizzazione, in prospettiva, della guerra di movimento.


Note
[1] Cfr. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, p. 1229. D’ora in poi si rinvia a tale opera indicando il numero di pagina fra parentesi direttamente nel testo. Nell’interpretazione del concetto di rivoluzione passiva ci siamo giovati della lezione del prof. P. Voza, esemplarmente riassunta nell’omonima voce del Dizionario gramsciano, curato da G. Liguori e P. Voza e pubblicato a Roma da Carocci nel 2009.

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