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sollevazione2

2 Ottobre in Catalogna

di Leonardo Mazzei

Otto note sintetiche sul referendum per l'indipendenza

policia nacional carga escuelaCi sarà tempo per riflettere più a fondo sui possibili sviluppi della crisi catalana. Intanto però il referendum è alle nostre spalle e alcune cose già le possiamo dire.

 

1. L'autoritarismo centralista del governo di Madrid ha finito per rafforzare l'indipendentismo filo-eurista di quello di Barcellona.

Non era un esito difficile da prevedere. Aver mandato la polizia a disturbare il referendum, senza peraltro riuscire ad impedirlo, è stato un segno di grande debolezza, un atto repressivo figlio di una concezione parafranchista. Fondamentalmente un atto stupido, sia in considerazione del fatto che i sondaggi davano gli indipendentisti in minoranza, sia perché la contestazione della legalità del voto avrebbe potuto essere comunque sostenuta politicamente senza bisogno di ricorrere alla magistratura ed alla polizia. Ma la stupidità ha da sempre un certo ruolo nella storia. Vedremo alla fine quale sarà stato il suo peso stavolta. Intanto, però, la gestione della vicenda da parte di Rajoy ha regalato agli indipendentisti catalani un indubbio successo propagandistico.

 

2. Un successo che non c'è stato nelle urne. Il sì all'indipendenza fermo ai valori del 2015.

Certo, quello di ieri è stato un referendum del tutto anomalo, ma le autorità catalane hanno comunque diffuso dei dati ufficiali che - a loro avviso - legittimerebbero un'imminente "dichiarazione d'indipendenza". Proviamo allora a prendere questi dati per buoni. Essi ci dicono due cose: primo, i votanti sono stati solo il 42,5% degli aventi diritto (2 milioni e 260mila su oltre 5 milioni e 300mila); secondo - visto che i sostenitori del No non hanno partecipato al voto - i Sì hanno raggiunto oltre il 92% dei voti espressi, ma si sono fermati a 2 milioni e 20mila, cioè solo 24mila voti in più di quel che ottennero le forze indipendentiste (Junt per Sì e Cup) alle elezioni del parlamento catalano nel 2015. In quella occasione queste due formazioni ottennero la maggioranza dei seggi ma non quella dei voti, visto che si fermarono esattamente ad una percentuale del 48%. Le urne di ieri parlano dunque chiaro: in Catalogna non c'è stato nessun plebiscito per l'indipendenza, anzi l'indipendentismo è probabilmente ancora in minoranza. Al massimo è attorno ad un 50%, un po' poco per correre verso la separazione dalla Spagna.

 

3. Indipendenza o solo la sua dichiarazione?

Vedremo nelle prossime ore, o al massimo nei prossimi giorni, se alle parole seguiranno i fatti. Vedremo cioè se una dichiarazione d'indipendenza vedrà davvero la luce. E soprattutto vedremo le sue conseguenze. Cosa succederà a Madrid? Andrà avanti la linea intransigente di Rajoy, o si aprirà una crisi nello stesso governo spagnolo? Difficile a dirsi, ma in un caso come nell'altro è possibile che si avvii in qualche modo una trattativa. Di certo ne ha bisogno il governo catalano, perché l'indipendenza (con referendum o senza) si conquista di norma per due vie, o attraverso un percorso concordato tra le parti (come sarebbe successo in Scozia nel 2014 se il Sì avesse vinto) o con una lotta di liberazione includente lo scontro armato. Gli indipendentisti catalani hanno chiusa attualmente la prima via e sono del tutto impreparati alla seconda.

 

4. Appello al popolo o all'oligarchia eurista?

Questo è davvero un punto dirimente ai fini del giudizio politico. Come sbloccare la situazione davanti all'irremovibilità di Madrid, con una chiamata alla mobilitazione popolare o con un appello all'oligarchia eurista? Carles Puigdemont, presidente della Generalitat de Catalunya, guarda ovviamente all'Europa. Ma come, dice, abbiamo attuato appieno la politica d'austerità e dei tagli sociali, siamo liberisti e per l'euro, abbiamo fatto un giuramento di servile fedeltà all'UE (1) e voi non ci venite incontro? In tanti, nell'élite eurista, gli risponderebbero volentieri di sì, ma - piccolo problema - al momento non possono proprio farlo, mica possono mettersi contro alla Spagna. Piccole contraddizioni in casa unionista...

 

5. «Senza sovranità economica l'indipendenza è pura finzione».

Questo ci ha ricordato (vedi nota 1) Diosdado Toledano al recente convegno di Chianciano, nella sessione dedicata alla questione catalana. Che senso ha l'indipendenza dalla Spagna se non si conquista quella dall'Unione Europea? E' questa la domanda posta anche da un recente articolo di Mimmo Porcaro ed Ugo Boghetta che condividiamo. In realtà un senso ce l'ha, quello di ricercare (magari illusoriamente) un posto a tavola tra le regioni più ricche d'Europa, fregandosene di tutto il resto. Insomma, una prospettiva piuttosto meschina quella delle forze borghesi e liberiste che guidano l'indipendentismo catalano.

 

6. Il pericolo dell'«Europa delle regioni», che riguarda anche l'Italia.

Difficile, di fronte alla vicenda catalana, non vedere il risorgere di una potente tentazione delle classi dominanti. Quella di farla finita una volta per tutte con gli Stati nazionali, per procedere verso un super-Stato europeo fatto di una moltitudine di regioni prive di vera sovranità. Chi non è troppo giovane si ricorderà quanto fosse in voga questa teoria nei primi anni novanta del secolo scorso. E si ricorderà anche chi e perché (la Lega Nord) se ne faceva paladina in Italia. L'idea era fondamentalmente quella di dare attuazione all'egoismo sociale delle regioni più ricche del Paese, andando al contempo in pasto al

dominio tedesco sull'Europa. E' un'idea che si riproporrà nei due referendum del prossimo 22 ottobre in Veneto e Lombardia. Ma c'è qualcosa di più, come confessò il candido Romano Prodi nel 2014. L'intervistatore gli chiede: «Lei crede che sia possibile un’Europa delle Regioni in un momento in cui la crisi economica, almeno in Italia, sembra gonfiare le vene di un nuovo centralismo statale?». Ecco la sua illuminante risposta: «Oggi c’è un’Europa degli Stati. Attenzione però: la contrapposizione vera non è tra Europa degli Stati e Europa delle Regioni, ma tra un’Europa guidata da un’autorità sovranazionale molto forte, cioè un’Europa federale, e un’Europa delle nazioni. Non vedo le Regioni in contrapposizione a un’Europa federale, due regioni non fanno uno Stato nuovo». Traduzione: gli Stati nazionali sono il problema, l'Europa disgregata delle regioni è invece la strada maestra per portare a termine la costruzione del mostro eurista. Chi vuole davvero opporsi a quel mostro antisociale ha di che riflettere.

 

7. La Catalogna, la crisi della globalizzazione, il risorgere delle nazioni.

C'è però un altro aspetto di cui ci parla la vicenda catalana. Ed è la multiforme rinascita della nazione come risposta ad una globalizzazione distruttiva e comunque in crisi. Non sempre questa rinascita può avere le forme a noi più simpatiche, ma il fenomeno rimane. Ed esso ci segnala appunto quanto sia potente la crisi del disegno delle èlite globaliste. Nella devastazione sociale prodotta dal liberismo pienamente dispiegato; di più, nel cuore di un'Unione Europea pensata e realizzata proprio a tal fine, la rinascita del nazionalismo - sia pure in forme così diverse tra loro - è fondamentalmente una risposta della società ad un dominio delle oligarchie che può essere sconfitto solo con la costruzione di comunità resistenti. Il fatto che nello specifico caso catalano questa spinta sia stata raccolta principalmente da forze liberiste, interessate pure a nascondere gli effetti della loro stessa politica, non cambia la sostanza di un fenomeno profondo quanto potente. Farci i conti, facendolo evolvere verso un'idea ed una prospettiva di patriottismo costituzionale, è esattamente il compito che abbiamo in Italia. Pensare invece di esorcizzarlo - magari a corrente alternata, come fanno alcuni nella sinistra italiana - è il modo sicuro per esserne travolti.

 

8. Infine l'Unione Europea, con un altro elemento di crisi in più.

Si è detto al punto 4 che tanti nella UE aprirebbero volentieri le porte a Puigdemont e compagnia. E si è detto anche (vedi il punto 6) quanto l'Europa delle regioni piacerebbe a lorsignori. Questo dal punto di vista della dottrina. Ma dottrina e politica non sempre possono coincidere. Ed a Bruxelles hanno proprio una bella gatta da pelare. Paradosso dei paradossi: non hanno contro né Madrid né Barcellona, ma mentre queste paiono destinate ad uno scontro ancor più duro tra di loro, entrambe alimentano un problema pressoché irrisolvibile nell'ottica dell'Unione Europea. Ogni apertura a Barcellona sarebbe la guerra con Madrid, ed a Bruxelles non se lo possono permettere. D'altra parte, trincerarsi solo dietro al formale rispetto della costituzione spagnola, impedirebbe l'assunzione di un qualsivoglia ruolo negoziale. Come ne verranno fuori non si sa. In apparenza sia Madrid che Barcellona sembrano portare acqua alla retorica del «più Europa». Ma, attenzione, anche le indigestioni possono far male, al punto che talvolta se ne può anche morire. Ed a forza di dire tutti «più Europa», è assai probabile che si finisca per mostrane invece l'impotenza, l'incapacità di gestire questa ennesima crisi. Mettendo così in luce, in altre parole, l'insostenibilità stessa di un'Unione che prima crolla meglio è.


NOTE
(1) Diosdado Toledano - Dalla relazione tenuta a Chianciano il 1° settembre scorso:
«L'indipendentismo catalano prosegue il suo cammino verso l'incoerenza alla frustrazione. Nella recente proposta di legge di "Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica" [16], presentata insieme da PDeCAT, ERC e CUP, l'articolo 13 del "regime giuridico della continuità" si stabilisce che "le leggi organiche dello Statuto di autonomia e della Costituzione spagnola vigenti al momento dell'entrata in vigore della presente legge, assumono rango di legge ordinaria se non sono state incorporate nella presente legge e purché non la contravvengano".
Ci si chiede allora perché non si rifiuta esplicitamente la legge organica di stabilità o l'articolo 135 della Costituzione spagnola. La risposta implicita a questo viene dall'articolo 14 che ha come titolo "Continuità del diritto dell'Unione europea". L'articolo stabilisce:
1) Le norme dell'Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell'entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell'amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
2) Le norme dell'Unione europea che entrino in vigore posteriormente all'entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell'ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
Siamo davanti a una confessione di servilismo nei confronti della Ue e delle sue istituzioni, di rinuncia alla sovranità economica. Gli indipendentisti di Catalogna sono bravi ragazzi e la Signora Merkel non tema: continueranno ad applicare le politiche di tagli sociali necessarie per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico e garantire la restituzione del debito».

Comments

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Eros Barone
Friday, 06 October 2017 21:36
Finalmente un articolo che, al netto della propensione sovranista, suggerisce utili elementi di riflessione sulla questione della Catalogna. Serviranno a calmare il delirio movimentistico di coloro che, a sinistra, sostengono acriticamente un movimento borghese basato sul privilegio economico e sul fondamentalismo etnico, quale è, in buona sostanza, il secessionismo catalano?
Nel frattempo, la classe operaia catalana, gran parte della quale proviene dalla Spagna, parla spagnolo e non appoggia la secessione (non la borghesia catalana che egemonizza quel movimento, non la borghesia castigliana che si appresta a reprimerlo 'manu militari'), sta subendo, ad opera
dei secessionisti di quella regione, una delle più nefaste operazioni di divisione che siano mai state poste in atto. In Italia vi è, rispetto al processo innescato in Catalogna, solo una differenza di grado ma non di qualità, poiché lo scopo finale del referendum del 22 ottobre è, dal punto di vista politico-propagandistico, lo stesso. Si tratta, cioè, di un progetto
cripto-secessionista, i cui effetti divisivi colpiscono, in prima istanza, la classe operaia italiana nel momento stesso in cui non sembrano risultare sgraditi, in nome dei localismi manifatturieri, a buona parte delle sue frazioni lombarda e veneta.
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