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illatocattivo

Sulla differenza tra sommossa e insurrezione

di Bruno Astarian e Robert Ferro

Estratti da Le ménage à trois de la lutte des classes. Classe moyenne salariée, prolétariat et capital, Éd. de l’Asymétrie, Toulouse 2019, pp. 293-299

Bruno Astarian e Robert Ferro Sulla differenza tra sommossa e insurrezione html 762320ec4608e5efA margine del movimento partito da Minneapolis in seguito all'uccisione di George Floyd, ed estesosi ad un gran numero di città statunitensi e non, pubblichiamo alcuni estratti di Le Ménage à trois de la lutte des classes, uscito in Francia nel dicembre 2019, e in fase di traduzione in italiano. Non è che un piccolo contributo alla messa a fuoco del proteiforme movimento ancora in corso. Avremo modo di riparlarne in maniera più circostanziata prossimamente. Nel frattempo, per chi volesse procurarsi il volume di cui sopra, segnaliamo che è possibile ordinarlo sul sito della casa editrice: https://editionsasymetrie.org/ouvrage/le-menage-a-trois-de-la-lutte-des-classes/.

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Negli ambienti attivisti, e anche in quelli comunizzatori, la sommossa è stata spesso caricata di un significato immediatamente sovversivo o rivoluzionario. Ora, nel corso degli ultimi decenni, la sommossa si è banalizzata, senza mai trasformarsi in un’insurrezione propriamente detta (ritorneremo su questa terminologia). Inoltre, nel corso delle nostre ricerche, ci è parso chiaro che anche la classe media salariata (CMS) possa dare vita a delle sommosse (Venezuela 2014, Algeria da diversi anni ormai, etc.). Conviene dunque, a nostro avviso, rimuovere questa ambiguità attraverso una definizione più stretta della sommossa, distinguendola dall’insurrezione. Ecco un primo approccio, che si tratterà poi di precisare:

  • il termine sommossa [émeute, NdT] verrà riservato a delle sollevazioni più limitate, in particolare perché non coinvolgono il processo di lavoro generale, e non comportano quindi alcuna possibilità di superamento. La sommossa attacca, distrugge, saccheggia la proprietà solo nella sfera della realizzazione, e si interessa unicamente alle merci della sezione II della produzione sociale (mezzi di sussistenza).

  • Chiamiamo insurrezione una sollevazione del proletariato di grande ampiezza, avente caratteristiche che determinano la possibilità del superamento comunista della contraddizione tra le classi (sollevazione del proletariato produttivo, armamento del proletariato etc.). Esamineremo in maniera più dettagliata queste caratteristiche nel prossimo capitolo1.

Attraverso questa distinzione, inscriviamo la sommossa nel corso quotidiano della lotta di classe, come una forma tra le altre di affermazione di classe (del proletariato, della CMS o di entrambe allo stesso tempo). Noi stessi, in passato, non siamo sfuggiti alla confusione tra le due categorie. In un testo come Activité de crise et communisation2, il movimento della contraddizione fondamentale tra proletariato e capitale veniva così scomposto in tre fasi qualitativamente differenti: 1) il corso quotidiano della lotta di classe, comprendente tutta una gradazione che va dalle piccole lotte d’impresa sulle questioni più ordinarie fino ai grandi movimenti sociali come quelli che abbiamo analizzato nei capitoli precedenti; 2) le fasi insurrezionali (attività di crisi), caratterizzate dall’apparire di un rapporto sociale specifico, interno al proletariato e materialmente fondato sulla presa di possesso di elementi del capitale, non per lavorare ma per lottare contro quest’ultimo; 3) la rivoluzione comunista possibile (comunizzazione), in cui lo stadio insurrezionale sarebbe a sua volta superato dalla ripresa della produzione su basi non capitalistiche, pur essendo la lotta contro il capitale ancora in corso su scala mondiale. Questo schema deve essere precisato […], fra le altre cose perché al suo interno la sommossa possedeva uno statuto ambiguo, situandosi talora nel corso quotidiano della lotta di classe, a talora nell’attività di crisi. […]

In termini generali, la sommossa può essere definita come una rivolta violenta che si svolge al di fuori del processo di lavoro sociale generale, collocando immediatamente i suoi attori sul terreno dell’illegalità. Contrariamente allo sciopero, essa implica necessariamente uno scontro con lo Stato, ma contrariamente alla manifestazione violenta non si limita al tafferuglio con la polizia o delle violenze simboliche, alle scritte murali o a qualche vetrina infranta. La sommossa è saccheggiatrice e/o distruttrice. Essa può rapidamente trasformarsi in un’ondata della durata di diversi giorni (o notti), e comportare molteplici focolai distribuiti sul territorio nazionale. Tuttavia è sempre breve e a carattere locale. Perché, qualunque sia l’estensione dell’ondata di sommosse, i rivoltosi [émeutiers, NdT] sono sempre isolati, nel duplice senso che i focolai di lotta non comunicano (o comunicano molto poco) tra loro, e che la frazione sociale coinvolta resta separata dall’immensa maggioranza della sua classe di appartenenza, su scala nazionale e internazionale.

Rimanendo fuori dalle fabbriche e dagli uffici, circoscritta nel tempo e nello spazio, la sommossa è necessariamente destinata ad essere riassorbita nella riproduzione capitalistica. È vero, essa non rispetta la proprietà, ma non attacca la proprietà dei mezzi di produzione, che siano quelli che si trovano provvisoriamente nella sfera della circolazione, o quelli «in azione» nella sfera della produzione. Attraverso il saccheggio, i rivoltosi attaccano essenzialmente le merci provenienti dalla sezione II della produzione (produzione di mezzi di sussistenza) e gli edifici pubblici. Caratteristico della sommossa è dunque che essa non attacca il capitale se non in modo molto parziale, poiché non tocca la sfera della produzione di plusvalore e, nella stessa sfera della realizzazione, essa lascia fuori dal suo campo d’azione il cuore della proprietà capitalistica: i mezzi di produzione.

Altro limite caratteristico, la sommossa non arma il proletariato. I rivoltosi possono attaccare banche, saccheggiare supermercati, distruggere edifici ufficiali, fabbricare bottiglie-molotov o lanciarazzi, e alcuni di essi possono persino riuscire a procurarsi delle armi da fuoco. Ma l’armamento del proletariato designa un processo differente, che si svolge su tutt’altra scala e con altre modalità, che dovremo precisare nell’ultimo capitolo.

Se la peculiarità della sommossa è quella di non esplodere e di non penetrare nel processo di lavoro generale, e dunque a maggior ragione di non investire la sfera della produzione del plusvalore, allora in effetti i rivoltosi non possiedono i mezzi per andare oltre questa forma estrema di affermazione di sé. Estrema nel senso che, non comportando delle istanze rappresentative, la sommossa mobilita una grande intensità soggettiva negli individui che vi prendono parte, ciò che può far credere all’inizio di un’insurrezione. Ora, ciò che conta qui, non è quello che i rivoltosi pensano o dicono, ma ciò che sono indotti a fare dalla situazione concreta del loro movimento. La base materiale della riproduzione dei rivoltosi resta, direttamente o indirettamente, la conservazione del lavoro e delle forme sociali che vi sono connesse. Può trattarsi della partecipazione alla sommossa dopo il lavoro (Grecia 2008), o del mantenimento dei circuiti del welfare pubblico o familiare per coloro che non lavorano. L’isolamento tipico della sommossa è riconoscibile qui nel perpetuarsi della riproduzione capitalistica sia per i non-rivoltosi che per gli stessi rivoltosi. Questi ultimi non vivono dei loro saccheggi, non abitano negli edifici attaccati, non si fanno carico collettivamente della propria riproduzione immediata (nessuna cucina collettiva, nessun dormitorio etc.). Inoltre, almeno una parte dei beni saccheggiati lo sono nella prospettiva deliberata di farne un piccolo commercio dopo il ritorno all’ordine.

Si può dire che dopo la fase di ristrutturazione degli anni 1970-’80, le sommosse sono diventate, nella sfera della riproduzione extra-lavorativa, il pendant della lotta per la difesa dell’occupazione e del salario sul posto di lavoro. Negli ultimi quarant’anni, vi sono state sommosse senza soluzione di continuità, nei paesi periferici come nelle zone centrali. Esse hanno mostrato violentemente l’approfondirsi della contraddizione fondamentale tra proletariato e capitale (anche quando vi partecipava la CMS). Che abbiano o meno espresso delle rivendicazioni, queste sommosse hanno costretto il capitale a degli aggiustamenti, quand'anche modesti, così come ad accrescere il controllo sociale e la repressione (che a loro volta hanno un costo). Le sommosse riempiono il vuoto lasciato dalla decomposizione delle organizzazioni operaie nelle zone centrali e dal fallimento dei programmi di sviluppo autocentrato nei paesi periferici. Esse assolvono, seppure in maniera differente, alla stessa funzione di aggiustamento del rapporto tra le classi. Il movimento operaio tradizionale e i suoi satelliti nazional-popolari periferici (FLN, nasserismo, Cuba etc.) esercitavano questa funzione in maniera apertamente politica, la sommossa la esercita in maniera anti-politica, cioè facendo appello allo Stato senza altra mediazione che non sia la propria violenza.

Quando le «masse» dei paesi periferici mettono le città a ferro e fuoco in seguito all’aumento del prezzo del pane, vogliono che quest’ultimo torni al suo livello precedente. E spesso ottengono ragione. La sommossa è qui esplicitamente rivendicativa, in quanto riguarda il prezzo di uno o più prodotti di base. Ciò non ne fa però una lotta puramente economica, poiché questi prezzi sono generalmente controllati o sovvenzionati dallo Stato e la lotta si indirizza contro quest’ultimo, al quale i rivoltosi chiedono una differente politica di bilancio. Sempre nei paesi periferici, capita anche che la sommossa venga utilizzata dagli abitanti di un quartiere o di una città per ottenere migliori infrastrutture (acqua, elettricità, strade etc.). Nei paesi centrali, la questione è più complessa soltanto in apparenza, in virtù di un’assenza di rivendicazioni più netta e frequente. Le sommosse esplodono generalmente in seguito a un incidente con la polizia, spesso un omicidio. Gli esempi sono innumerevoli: Los Angeles 1992, Francia 2005, Gran Bretagna 2011 etc. Ciononostante, le sommosse non si limitano mai alla sola denuncia delle violenze poliziesche (per quanto il problema sia reale) o alla vendetta contro i poliziotti. Che sia attraverso la distruzione o il saccheggio, si dà sempre un allargamento degli obiettivi. Con questo, i rivoltosi puntano il dito contro «quello che non va», cioè contro ciò che rende la loro esistenza quotidiana invivibile: lo stato dei trasporti pubblici o il blocco dell’ascensore sociale, le politiche urbane, il razzismo, e naturalmente l’indigenza materiale. All’interno della corrente comunizzatrice, si è spesso insistito sul paradosso che consiste, ad esempio, nel danneggiare quel poco di servizi pubblici che esistono nelle zone in cui la loro inadeguatezza è lampante, nell’attaccare scuole o trasporti pubblici necessari alla riproduzione dei proletari etc. Si è voluto vedere in questo paradosso una sorta di annuncio, una prefigurazione dell’auto-negazione rivoluzionaria del proletariato. Ora, nella misura in cui si smette di considerare i «quartieri» in modo monolitico […], ci si può chiedere se coloro che distruggono sono per forza di cose gli stessi che utilizzano le strutture e i servizi distrutti. Anche ammesso che sia così, non si tratta piuttosto – in questo caso – della richiesta, rivolta ai pubblici poteri, di una scuola che svolga la funzione di ascensore sociale, di trasporti che conducano in condizioni decenti a un lavoro accettabile, di una polizia meno brutale e razzista?

In conclusione: a dispetto della sua elevata intensità soggettiva, la sommossa resta una modalità del corso quotidiano della lotta di classe. Questa è la ragione per cui sommosse e manifestazioni pacifiche vanno spesso insieme (Ferguson 2014, Beaumont-sur-Oise e Persan 2016). La sommossa non implica la possibilità interna di un superamento post-capitalistico. È per questo motivo, d’altronde, che anche la classe media può esservi coinvolta. Quando la violenza delle sommosse è chiamata in causa come prova della radicalità del proletariato, si dissimula il fatto che anche la CMS può prendervi parte. Se la CMS può diventare «rivoltosa», è perché la sommossa non attacca il cuore produttivo del capitale. D’altra parte, la CMS è perfettamente capace di esprimere una violenza estrema. Se la sommossa sancisce il fallimento della logica rivendicativa inerente allo sciopero e alla manifestazione, essa ci dice anche che i rivoltosi non rinunciano ad affermarsi e a reclamare un posto all’interno del rapporto sociale capitalistico. La sommossa è dunque una forma di affermazione comune alle due classi, non è un’insurrezione in piccolo. Tra la sommossa e l’insurrezione vi è una rottura qualitativa. […]


Note
1 Si tratta del cap. IX, § 4.1 (NdT).
2 Bruno Astarian, Activité de crise et communisation, giugno 2010. Disponibile qui: http://www.hicsalta-communisation.com/textes/activite-de-crise-et-communisation-5.

 

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