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Theodor W. Adorno: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra»

di Donato Salzarulo

shutterstock 1674416872 1024x6831.-Un dono giusto al momento giusto

Per il mio compleanno Elisa, la nipote dott.ssa in filosofia, mi ha regalato un libretto di Theodor W. Adorno. Titolo: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra» (Marsilio, 2020, pp.90).

Il dono è capitato a fagiolo, proprio nei giorni in cui l’amico Ennio, da tenace polemista, mi ha coinvolto nel dibattito seguito al deplorevole episodio della signora, vicesindaco colognese, col volto coperto da una mascherina nera e la scritta mussoliniana “Boia chi molla!”.

Nessuno, tra coloro che hanno stigmatizzato il gesto, singolo o forza politica, ha pensato ad un’imminente marcia su Roma; innegabile, però, che la pagliacciata fascista si colloca in un contesto sociale e culturale in cui il radicalismo di destra marcia quotidianamente nelle coscienze degli italiani. Infatti, stando ai sondaggi di Pagnoncelli, a fine maggio 2020, Fratelli d’Italia si vede attribuire il 16,2% dei voti e la Lega il 24,3%. Totale: 40,5%. Mica male.

Allora mi sono immerso volentieri tra le pagine del libretto a caccia di spunti per comprendere, pur con tutte le differenze del caso, la nostra situazione.

 

2.-Il testo è la registrazione di una conferenza

Il testo è la registrazione di una conferenza che l’illustre esponente della Scuola di Francoforte tenne il 6 aprile 1967 all’Unione degli studenti socialisti dell’Austria. Pensieri, quindi, che risalgono a più di mezzo secolo fa, in un contesto politico e sociale molto diverso da quello odierno, alla vigilia del Sessantotto. Adorno ha visto nascere nel 1964 il Partito nazionaldemocratico di Germania ed ha assistito a dei successi iniziali in alcuni parlamenti regionali e alle elezioni federali del 1965.

Volker Weiss, lo storico e pubblicista che firma la postfazione, evidenzia l’atteggiamento ambivalente del filosofo nei confronti di registrazioni e trascrizioni. La verità della parola orale, a differenza di quella scritta, è la sua intrinseca transitorietà. Trattarla diversamente è renderla «uno strumento per far prestare giuramento al relatore.» (pag. 64). Come dicevano i latini, “verba volant, scripta manent”.

Il parere di Weiss è che, al di là della fugacità della forma orale, il contenuto del discorso non è per nulla effimero: «La validità dell’analisi continua a colpire ed è possibile leggerla come un commento agli sviluppi della situazione attuale.» (pag. 63). Il libretto, infatti, è stato venduto in 70 mila copie ed è da mesi in cima alle classifiche dei bestseller in Germania.

 

3.-Le premesse sociali del fascismo

All’inizio della sua esposizione, Adorno richiama la tesi già illustrata in un’altra sua conferenza del 1959 intitolata «Che cosa significa elaborazione del passato»; è la tesi relativa alle premesse sociali del fascismo, premesse che continuano a sussistere e che il filosofo individua soprattutto nella «tendenza del capitale alla concentrazione, dominante oggi come allora.» (pag. 14).

Questa tendenza rende sempre possibile «il declassamento di strati sociali che dal punto di vista della loro coscienza di classe soggettiva risultano del tutto borghesi, i quali intendono mantenere i loro privilegi e il loro status sociale e, ove possibile, rafforzarli». (pag. 14)

I movimenti fascisti non sono congiunturali perché il loro rapporto con «l’economia è un rapporto strutturale.» (pag.219)

Inutile dire che in mezzo secolo questa tendenza del capitale a concentrarsi non ha fatto che rafforzarsi. Secondo le Nazioni Unite, oggi le imprese multinazionali sono 82.000 per un totale di 810.000 filiali. Impiegano complessivamente 80 milioni di persone, pari al 4% della forza lavoro mondiale, e il valore netto della loro produzione ammonta al 25% del prodotto lordo mondiale. Esse controllano, inoltre, due terzi di tutto il commercio mondiale di beni e servizi.

Nella lista delle prime 100 economie del mondo, 38 sono imprese multinazionali. Tanto per fare degli esempi: la Wal-Mart compare al 24° posto con un fatturato superiore al prodotto interno lordo di Taiwan; la Exxon si colloca al 31° posto prima della Thailandia; la Chevron occupa il 49° posto prima della Repubblica ceca.

La tendenza alla concentrazione si è sviluppata anche tra di loro, così alcune di queste imprese controllano da sole interi settori produttivi.

Esse influenzano attivamente i vari Stati e centri decisionali e dal 1995, con l’istituzione del WTO, ossia l’Organizzazione Mondiale del Commercio, hanno sostenuto con forza il processo di globalizzazione dell’economia. Siccome, quasi il 90% delle 100 maggiori imprese multinazionali provengono da USA, Giappone e Unione Europea, la globalizzazione ha avuto un’impronta prevalentemente nord-americana e occidentale. L’intento, abbastanza riuscito, anche se negli ultimi anni contrastato da tendenze protezioniste, nazionaliste e sovraniste, era quello di trasformare il mondo in un “villaggio” con un mercato unico, un unico spazio produttivo e un’unica piazza finanziaria.

Venendo al nostro Paese, secondo l’Istat nel 2017 le imprese a controllo estero sono 14.994, le quali occupano quasi 1,4 milioni di addetti e fatturano oltre 572 miliardi di euro. Il peso percentuale maggiore, in termini di fatturato, riguarda le multinazionali che si occupano di informazione e comunicazione (oltre un terzo del settore). La loro crescita si registra soprattutto nei servizi, in particolare nei settori commercio e noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese. Le controllate italiane all’estero sono 23.727.

Un così vasto processo di concentrazione, divisione e delocalizzazione del lavoro tra le varie parti del mondo, come drammaticamente abbiamo scoperto in questi giorni di pandemia con le mascherine non più prodotte in Italia, ha avuto come conseguenza il declassamento di tante attività: si pensi al ruolo di Amazon, azienda di commercio on line che, da iniziale libreria, oggi vende di tutto e si pensi al rischio di declassamento che corrono tanti piccoli negozi. Così come tutti ricordiamo le battaglie dei tassisti contro Uber…L’Ikea quante falegnamerie ha fatto chiudere? E la produzione in serie di abiti, quante sartorie?…

Un fatto è certo: i declassamenti potenziali sono il risultato degli apparati stessi del sistema capitalistico e delle sue modalità di sviluppo. Ma non sempre chi li subisce ragiona così.

Scrive Adorno:

«Questi gruppi hanno sempre la tendenza a odiare il socialismo o ciò che loro chiamano il socialismo, ossia danno la colpa del proprio declassamento potenziale non agli apparati che lo producono, ma a coloro che si sono contrapposti in chiave critica al sistema nel quale avevano potuto godere di quello status.» (pag.14)

Dal 1967 ad oggi anche la situazione del socialismo è completamente modificata, ma questa osservazione mi colpisce perché penso alle difficoltà che oggi incontrano nel fronteggiare la crisi sociale i vari partiti del socialismo europeo. Ancor di più quelle formazioni politiche che ereditano in qualche modo il pensiero marxiano. È come se la destra radicale che, comunque, non mette in discussione il paradigma liberista (si pensi alla Lega), riuscisse a giocare la sua partita sia al governo che all’opposizione.

In questa sorta di abbozzo delle condizioni storiche e sociali del fascismo Adorno evoca anche lo «spettro della disoccupazione tecnologica». Esso «continua ad aggirarsi tanto che, nell’epoca dell’automazione […] anche gli esseri umani che si trovano all’interno del processo produttivo in realtà si sentono già – per dirla in modo estremo – potenzialmente superflui o potenziali disoccupati» (pag. 15-16). Un processo questo quanto mai in atto attraverso la robotizzazione, l’Intelligenza Artificiale e la cosiddetta rivoluzione digitale.

Se si volesse andare oltre quest’abbozzo e si volesse infine capire un po’ meglio le radici economico-sociali del populismo e del radicalismo di destra italiano (Lega, Fratelli d’Italia e neofascisti vari), occorrerebbe prestare attenzione alla crescita continua delle diseguaglianze economiche e territoriali che caratterizzano da tempo il nostro Paese e che con l’epidemia sono destinate ad accentuarsi. (Per un primo approccio, cfr. capitolo primo, pag. 9-57 di Pier Giorgio Ardeni, «Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia», Laterza, 2020).

 

4.-Il nazionalismo «patico»

All’epoca di questa conferenza, fra USA ed URSS era in atto la “guerra fredda” e il mondo era diviso in due grandi blocchi di potere. Frutto dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957, è già funzionante la Comunità economica europea e le singole nazioni aderenti, integrate nei grandi blocchi, sono già caratterizzate da una libertà di movimento abbastanza limitata. Ciò nonostante, il nazionalismo continua a sopravvivere in questi gruppi radicali. È un “nuovo nazionalismo” che assume un “carattere agonistico” proprio mentre i singoli Stati e le singole nazioni giocano un ruolo oggettivamente subordinato. «Accade spesso – scrive Adorno – che alcune convinzioni o ideologie assumano un aspetto demoniaco e autenticamente distruttivo proprio quando non risultano più sostanziali in base alla situazione oggettiva. I processi alle streghe non sono avvenuti nei tempi in cui era in auge il tomismo, ma durante la Controriforma, e qualcosa di analogo potrebbe accadere con il nazionalismo “patico”, se così si può chiamare. Già ai tempi di Hitler c’è stato un momento simile, nel quale esso ci è stato rifilato senza che ci si credesse davvero.» (pag.17)

È un nazionalismo fondato sulla paura degli sviluppi sociali con sostenitori distribuiti, sostiene il filosofo, trasversalmente nell’intera popolazione: gruppi piccolo-borghesi, commercianti, contadini, residenti più nella provincia che nella città (come ad esempio i viticoltori del Palatinato in Germania), ecc.

In questi gruppi ci sono naturalmente anche i quadri del vecchio partito nazista e chi, magari, alla fine della Seconda guerra mondiale, nel momento del crollo, aveva quindici anni e che vorrebbe vedere la “Germania risorgere”. Questo perché «nel 1945 non c’è stato un panico reale, un vero e proprio dissolvimento dell’identificazione del regime e con la disciplina, come invece è accaduto in Italia, ma si è rimasti coerenti fino all’ultimo. In Germania l’identificazione con il sistema non è mai scomparsa in modo davvero radicale.» (pag. 20)

Gli spunti di attualizzazione che qui Adorno fornisce sono notevoli: a) innanzitutto il concetto di nazionalismo “patico”; ossia un nazionalismo emotivo, che si origina dalla paura e che non ha base oggettiva; il che non lo rende meno pericoloso: le cosiddette streghe venivano effettivamente bruciate; b) poi la distribuzione trasversale di una tale ideologia nella popolazione (si pensi al continuo appello al popolo dei sovranisti) e infine c) il confronto fra le due diverse modalità di crollo del regime nazista tedesco e di quello fascista italiano. In Italia ci fu, come è noto, la nostra resa agli Anglo-americani con l’Armistizio di Cassibile e il proclama di Badoglio dell’8 settembre del 1943. Secondo interpreti come Ernesto Galli della Loggia, vi fu “la morte della Patria”. Di quella fascista, sicuramente.

 

5.- I movimenti fascisti: piaghe della democrazia liberale

Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’URSS, il capitalismo occidentale dominante s’è fatto Impero; i suoi ceti dirigenti hanno cantato vittoria e sventolato in ogni angolo del mondo la bandiera della democrazia liberale. Una democrazia che gli USA e i suoi alleati hanno cercato di esportare, in nome della lotta al terrorismo internazionale e a suon di bombe, in varie zone del pianeta, trasformando, ad esempio, il Medio Oriente in “Caoslandia” (il copyright è di “Limes”). La democrazia liberale ha mostrato il proprio volto belligerante non soltanto in politica estera. A partire da Reagan e Thatcher, ha condotto al proprio interno una tenace e sistematica lotta di classe contro i lavoratori e le loro organizzazioni con l’obiettivo di smantellarne le conquiste sociali, scomporne la forza, dividerle e indebolirle. Un dato per tutti: rispetto agli anni Ottanta in Italia, come in altri Paesi, la frazione di reddito nazionale attribuito al reddito da lavoro si è ridotto dal 70 al 55 per cento. Ben 15 punti percentuali in meno. Tra l’altro, in questa voce di “reddito da lavoro” sono compresi i super redditi di top manager e simili che sono notevolmente aumentati. Se si escludessero, si capirebbe ancora di più come ampie fasce di lavoratori abbiano visto in questi decenni salari e stipendi ristagnare o addirittura diminuire. Sta diventando, infatti, sempre più numerosa la fascia dei lavoratori “poveri”. Per non parlare dei precari, degli schiavi della gig economy (rider, trasportatori, edili), dei disoccupati, dei giovani costretti ad emigrare, ecc. Minori salari e stipendi non sono stati compensati da un’offerta maggiore di servizi educativi, culturali, sociali, sanitari. Quanto la sanità pubblica sia stata disastrata l’abbiamo toccato con mano durante quest’epidemia…Domanda: perché un cittadino dovrebbe essere attratto da questa democrazia liberale? Perché ha il diritto di voto, la libertà di pensiero, di movimento (se non vi sono emergenze sanitarie in corso), di stampa, ecc.?…

Scrive Adorno:

«Fino a oggi, da nessuna parte la democrazia si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista del contenuto economico-sociale, ma è rimasta sul piano formale. E, in questo senso, i movimenti fascisti potrebbero essere indicati come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio compito.»

Ne prendano atto i nostri solerti intellettuali liberali. I nostri padri costituenti antifascisti avevano compreso benissimo questo insegnamento. Perciò elaborarono quella Legge delle leggi che è la nostra Costituzione. Ma i liberali, si sa, non amano molti articoli di quella preziosa carta fondamentale. Ad esempio, l’art. 41:

«L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.»

Silvio Berlusconi, che posa ormai da “padre della patria” e che, ad ogni occasione, non smette di ribadire il suo credo liberale, la definì, nell’aprile 2003 in un Convegno della Confindustria, “d’ispirazione sovietica” e attaccò proprio questo articolo. A dimostrazione di quanto il suo pensiero in proposito sia radicato, in un discorso tenuto il 9 giugno 2010 all’Assemblea di Confartigianato si tornò a scagliare contro la Costituzione “molto datata” e l’articolo 41. Diciamo che non ha perso occasione.

I liberali non solo non amano molti articoli della nostra Costituzione. Sono anche abbastanza tiepidi nei confronti dei fascisti. Non più tardi di un anno fa proprio il liberale Berlusconi si vantò di averli legittimati: «Lega e fascisti li ho fatti entrare io al governo, li ho legittimati io.»

Disse proprio così, “fascisti”. Evidentemente Berlusconi non è avvezzo agli infiniti distinguo di storici da terza pagina, giornalisti, opinionisti, blogger, attivisti dei social, politici direttamente o indirettamente interessati che non vedono più fascisti in giro e che non temono nessun “ritorno del fascismo”. Perché, secondo costoro, si poteva esserlo solo durante il ventennio. Ora è tutta altra cosa e se si domandasse, a brutto muso, alla leader dei Fratelli d’Italia se è fascista o no, la risposta da attendersi è simile a quella data dalla signora vicesindaco di Cologno: no, lei è “democratica” e preferisce il fascismo al comunismo. Forse anche i liberali, che sostengono di essere contro i due “totalitarismi” del Novecento, gratta-gratta preferiscono i fascisti ai comunisti.

Scrive Adorno:

«Ora, la legge impedisce a questa ideologia di esprimersi completamente. Si può dire che tutte le affermazioni ideologiche del radicalismo di destra sono connotate da un conflitto permanente tra ciò che non è lecito dire e ciò che farebbe ribollire l’uditorio […]. Ma questo conflitto non è soltanto esteriore, l’obbligo di adattarsi alle regole democratiche implica anche una certa trasformazione nei comportamenti, e in tutto ciò c’è qualcosa di stentato – non saprei come altro definirlo – che segna questi movimenti quando si ripresentano. Ciò che è apertamente antidemocratico sparisce. Viceversa, ci si richiama sempre alla vera democrazia e si accusano gli altri di essere antidemocratici. E nell’accettazione delle regole democratiche c’è una certa contraddittorietà.» (pag. 39-40)

Così per veleggiare nelle coscienze dei votanti italiani verso il 16%, Giorgia Meloni, ben consigliata dagli esperti di comunicazione, annacqua il suo fascismo, lo nasconde, rivendica la centralità del Parlamento e si smarca da chi propone di scendere in piazza contro la “dittatura sanitaria” imposta dal Governo. Insomma, è una “democratica”. Ma c’è da crederle?…

Una cosa è certa: se necessario, la democrazia liberale e i suoi ceti dirigenti non hanno alcun problema a legittimare e costituzionalizzare i movimenti fascisti. Saranno piaghe, saranno cicatrici; ma se servono a smantellare una Costituzione “d’ispirazione sovietica”, meglio queste piaghe che una democrazia non formale, compiuta e ispirata alla piena realizzazione dei principi di libertà, fraternità ed eguaglianza. Una democrazia così, ovviamente, il capitalismo del XXI secolo, come quello dei secoli precedenti, non la regala. Meglio i “poteri assoluti” a Salvini.

 

6.- La propaganda: sostanza della politica dei movimenti radicali di destra

Spesso restiamo sconcertati per l’ignoranza, la rozzezza delle idee, la volgarità dei rappresentanti dei movimenti fascisti. Adorno ci mette in guardia:

«Non bisogna sottovalutare questi movimenti per via del loro basso livello spirituale o per l’assenza di una teoria vera e propria. Credo che sarebbe politicamente miope considerarli destinati all’insuccesso per questo motivo. Ciò che caratterizza questi movimenti è, viceversa, una straordinaria perfezione dei mezzi, innanzitutto quelli propagandistici in senso lato, combinati con una certa cecità, addirittura un’astrusità degli scopi che vengono perseguiti. Dovendo sintetizzare all’estremo, credo che proprio questa costellazione di mezzi razionali e scopi irrazionali corrisponda, in un certo senso, a quella tendenza complessiva della civiltà che deriva da questo genere di perfezione della tecnica e del mezzo, mentre di fatto scompaiono gli scopi della società nel suo complesso. Se i mezzi sostituiscono sempre più i fini, sembra possibile dire che in questi movimenti radicali di destra la propaganda costituisce la sostanza della politica.» (pag. 26-27).

L’osservazione sulla capacità di questi movimenti di un utilizzo perfetto dei mezzi di propaganda non è nuova. La leggiamo sui libri di storia. Questa “straordinaria perfezione dei mezzi” continua a dispiegarsi anche oggi, grazie ai vari esperti che organizzano una presenza sistematica dei leader fascisti o fascistizzanti sui vari canali di comunicazione sociale, combinando opportunamente quelli più recenti (twitter, facebook) con quelli più tradizionali (televisione, radio, giornali, incontri, comizi, ecc.). Più interessante appare l’osservazione di Adorno sulla “cecità” o, addirittura, “astrusità degli scopi”. Non avendo, infatti, teorie o ideologie alternative al mondo capitalistico, si qualificano per essere sostanzialmente dei gruppi di potere a caccia di ulteriore potere. Infatti, più avanti e precisando meglio il suo pensiero, il filosofo scrive:

«Questa propaganda serve non tanto alla diffusione di un’ideologia che, come ho detto è troppo debole, ma a sottoporre le masse a una tensione. La propaganda è perciò prevalentemente una tecnica psicologica di massa.» (pag. 43-44)

In queste parole mi sembra di rivedere Salvini, Ministro degli Interni, impegnato nella sua quotidiana azione di propaganda contro gli immigrati. Il suo scopo era difendere i confini della Patria dalle stesse navi della Guardia costiera italiana!… Si trattava chiaramente di una “tecnica psicologica di massa”, di una tensione perpetrata per stimolare nelle coscienze il cosiddetto “effetto bandwagon”, secondo cui conviene salire sul carro dei vincenti. Infatti, Salvini saliva ogni giorno nei sondaggi…

Ma l’elemento ancora più interessante dell’osservazione di Adorno mi sembra il nesso che lui rileva tra questa specifica propaganda fatta di “mezzi razionali e scopi irrazionali” e la “tendenza complessiva della civiltà che deriva da questo genere di perfezione della tecnica e del mezzo, mentre di fatto scompaiono gli scopi della società nel suo complesso.” In breve, la barbarie nazifascista non è una “parentesi” o una “malattia”, come vorrebbero gli interpreti liberali (a partire da Croce) del fascismo; è, invece, l’ombra mostruosa, l’altra faccia che accompagna continuamente la civiltà capitalistica.

 

7. -Propaganda e “personalità autoritaria”

Parlando di propaganda, Adorno accenna agli studi condotti in USA negli anni Quaranta da lui e dai suoi collaboratori sulla “personalità autoritaria”. La tesi è che esistono tratti della personalità che ci rendono particolarmente vulnerabili alle idee antidemocratiche e totalitarie: il servilismo, la rigidità, il conformismo, il convenzionalismo, il pensare stereotipato, la superstizione, l’etnocentrismo, ecc.

La propaganda dei movimenti radicali di destra tende a confermare e ad esaltare quei tratti della personalità legati all’autorità, parlando spesso all’inconscio delle persone. Ma non per renderle coscienti, per utilizzarne la carica. Nella post-fazione Volker Weiss riporta una citazione del sociologo Stefan Breuer che mi sembra illuminante:

«Dal momento che gli individui trasformano il soggetto collettivo della nazione o il Führer nel proprio ideale e li dotano di qualità fantastiche, essi realizzano una parte di un Grande Sé arcaico, che non può prendere corpo nell’esistenza di ciascun singolo individuo; contemporaneamente, grazie a una proiezione delle proprie aggressioni legate all’Ideale-Io, essi si liberano, con la conseguenza inevitabile di popolare il mondo di oggetti pericolosi di cui è necessario vendicarsi, in contrapposizione ai quali il soggetto deve di nuovo opporre resistenza: il risvolto delle gratificazioni che crea il “narcisismo socializzato” è la mania di persecuzione» (pag. 76)

Gli oggetti pericolosi di cui è necessario vendicarsi possono essere, di volta in volta, gli immigrati che ci “tolgono il lavoro”, i rom che “rubano negli appartamenti”, gli islamici che “sono tutti terroristi”, gli ebrei che “controllano la finanza”, gli intellettuali di sinistra “che farebbero bene a portarsi gli immigrati a casa loro”, i buonisti che “hanno rotto il cazzo con la loro umanità” , le femministe “che son tutte lesbiche”, ecc.

C’è poco da scherzare con chi, gruppo di potere, usa la propaganda come tecnica di potere, ricorrendo a tutti i trucchi possibili: dal discorso ridotto a slogan all’appello alla finta concretezza, dalla bugia grossolana al sadismo mascherato, dalla continua ostentazione di simboli (il crocifisso, ad esempio) al “metodo del salame” per cui di una questione complessa prima si taglia un pezzo, poi un altro e poi un altro ancora e alla fine la si nega del tutto (gli esempi sarebbero molti: dal negazionismo dello sterminio degli ebrei, al fascismo che fu meno dittatoriale e feroce del nazismo; ecc.). Questi movimenti hanno un’unica prospettiva: esercitare il potere e utilizzano il potenziale che deriva dalle contraddizioni oggettive delle situazioni economico-sociali non per risolverle, ma per acuirle e indirizzarle verso la loro “presa del governo”. Se diventasse presidente del Consiglio, Salvini non avrebbe remore a chiedere alla sua maggioranza i “poteri assoluti”. Esattamente come ha fatto Orbán.

«Non può sussistere alcun dubbio che i cosiddetti sistemi di massa di stampo fascista abbiano una profonda relazione strutturale con i sistemi della follia. Qui gioca un ruolo rilevante quel tipo antropologico, che nella Personalità autoritaria ho chiamato di “tipo manipolativo” […]. Si tratta di esseri umani freddi, privi di relazioni e che hanno una prospettiva strettamente tecnologica, ma, in un certo senso, proprio perciò folli, il cui prototipo è stato Himmler. Ed è questa singolare commistione tra un sistema della follia e la perfezione tecnologica che sembra emergere e che, di nuovo, gioca un ruolo assolutamente decisivo in questi movimenti» (pag.30)

Ho letto e riletto questo brano. Per Adorno è una certezza. Per noi sia almeno un ammonimento.

 

8.- Conclusione

Riassumendo, gli studenti che il 6 aprile 1967 ascoltarono la conferenza di Adorno, al termine, probabilmente, impararono quanto segue:

  1. I movimenti radicali di destra, vecchi o nuovi che siano, non sono “congiunturali”, ma “strutturali”; nel senso che sono legati a tendenze delle formazioni sociali capitalistiche: concentrazione dei capitali, declassamento potenziale e impoverimento di alcuni ceti o gruppi sociali, disoccupazione tecnologica, ecc. Questo vuol dire che la lotta politica contro questi movimenti dovrà essere continua e sistematica. Senza fine, per così dire.
  2. Essi sventolano la bandiera di un nazionalismo “patico”, fondato sulla paura, non più giustificato dalle situazioni oggettive di scambio e integrazioni delle catene produttive, ma non per questo meno pericoloso. Occorre distinguere “interessi nazionali” dagli interessi delle classi dominate e dei gruppi sociali oppressi e schiavizzati.
  3. I movimenti radicali di destra rappresentano le cicatrici della democrazia liberale. Nascono e si sviluppano sulla sua crisi sociale, sulla sua manifesta incapacità di essere all’altezza delle sue promesse di libertà, uguaglianza e fraternità.
  4. Essi non hanno robuste mappe teoriche e ideologiche. Non per questo vanno sottovalutati. Per questi gruppi la politica è sostanzialmente propaganda, tecnica psicologica di potere per sottoporre le masse a tensione e acuire le inevitabili contraddizioni sociali.
  5. Cecità, astruseria, irrazionalità caratterizzano gli scopi della loro politica; ma questo non può tranquillizzare i loro oppositori. Secondo alcuni, la politica dovrebbe essere discussione pubblica razionale per valutare i pro e i contro delle diverse scelte da deliberare per il “bene comune” della polis. Non sempre è così. I fascisti dimostrano che la politica è anche il “parlare alla pancia”, all’inconscio dei cittadini-spettatori, ai tratti autoritari delle loro personalità. Gli oppositori “razionali” fanno fatica ad esporre le loro ragioni. Ma non c’è altra strada, se non quella dell’urto della ragione.
  6. La propaganda dei movimenti radicali di destra è caratterizzata infine dal sistematico ricorso ad una serie di trucchi che vanno dalla bugia grossolana al negazionismo, all’invenzione di “fatti alternativi”.

Oltre a quello, che forse impararono gli studenti, per quanto mi riguarda avverto l’urgenza di una battaglia sociale e culturale contro gli odierni movimenti radicali di destra. Stare zitti non serve. Neanche sottovalutare. Siccome hanno legami strutturali, occorre appellarsi agli interessi reali. Smascherare gli stratagemmi che loro utilizzano è utile e giusto. Ma il disoccupato, il lavoratore precario, il piccolo artigiano, chi ha una partita Iva, il commerciante che teme l’impoverimento, non verranno convinti da discorsi moralistici o retoriche dichiarazioni di antifascismo. Servono iniziative programmatiche, organizzazioni, partiti capaci di promuovere il conflitto sociale e la lotta per la difesa delle classi dominate e dei gruppi sociali declinanti.

Purtroppo oggi in Italia si fatica ad elaborare e realizzare iniziative simili. Non bisogna, comunque, disperare. Possono aprirsi varchi impensati come dimostrano le battaglie sociali e culturali di questi giorni contro il razzismo e il colonialismo.

Il libretto di Adorno va in questa direzione. Pur consapevole dei mutamenti storici, ci aiuta a comprendere l’invarianza di alcune caratteristiche e di alcuni dispositivi tipici del radicalismo di destra e del fascismo. Non è poco.

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