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noinonabbiamopatria

Ucraina: domande sull’Internazionalismo e la «comunità»

di Noi non abbiamo patria

baltimore columbus statueIn seguito ai due articoli di questo blog, La verità in tempo di guerra e La mobilitazione che non c’è e l’aspettativa internazionalista, alcuni fatti sporadici stanno accadendo nello stallo di un conflitto militare in atto (stallo che incuba maggiori incertezze che motivi di tranquillità) all’interno di una fiume nazionalista che rischia di tracimare gli argini: gruppi di anarchici occupano nel cuore della City Londinese una proprietà di un ricco miliardario russo con l’obiettivo dimostrativo di come applicare sanzioni ed espropri dal basso che il governo Britannico farebbe solo a parole; il sostegno e la simpatia generalizzata nei confronti per questo gesto “clamoroso”; un gruppo di lavoratori dello scalo aeroportuale di Pisa che incrociano le braccia perché non intendono caricare le armi che l’Italia sta inviando al governo Ucraino, ma sono disponibili al carico e scarico solo dei beni di prima necessità; il clamore occidentale circa gli arresti in Russia di chiunque manifesti pubblicamente il suo dissenso alla guerra in Ucraina; il tentativo da parte degli Stati Uniti di orientare il conflitto verso una trattativa cui Zelensky dovrebbe cedere secondo i suggerimenti di Israele (perché dal perdurare del conflitto tutti i contendenti, primi fra tutti gli Stati Uniti, alla lunga hanno da perdere parecchio). Negli articoli precedenti questo blog ha insistito che la guerra in Ucraina scoppia per motivi ingovernabili della crisi della accumulazione mondiale, sicuramente assecondati dalle maggiori potenze occidentali, che sfuggono di mano dal controllo di chi appunto ci si è messo in scia.

In questo articolo si vuole tornare a ragionare di internazionalismo, senza mai dimenticare il contesto dato determinato, la fase storica attuale del rapporto di capitale e dal presupposto fondamentale che il proletariato è assente come classe autonoma, indipendente e così via, soprattutto in occidente senza parole e passivizzato.

Il ragionamento prende spunto da un commento ricevuto da un collettivo di compagni anarchici [i quali condividono la resa pubblica del carteggio intercorso e che riporto in formato anonimo i loro commenti]. E’ chiaro che la domanda che i compagni pongono è sincera ed hanno il pregio di porla senza alcun problema, mentre tanti gruppi della sinistra più estrema evitano di prendere di petto, sfuggendo la questione nascondendosi dietro a questioni teoriche di principio circa la posizione di Lenin sul diritto di autodecisione delle nazioni, oppure dietro la questione che il governo Ucraino è in mano a forze politiche e sociali neonaziste finanziate dal Pentagono.

 

La domanda che scorre spontanea

Dal collettivo anarchico

Caro Alessio, ho letto con molta attenzione il tuo pezzo. Quando parli di “prime schegge di reale follia dell’internazionalismo anarchico” a cosa ti riferisci? Alle posizioni di alcuni anarchici ucraini (che crimethinc ha pubblicato senza alcuna critica)? Anche noi abbiamo ritenuto doveroso farle conoscere, ma come preoccupante deriva. Cosa pensi delle nostre (rapide) considerazioni al riguardo? Non mi sembra che diciamo cose molto diverse. Una volta che abbiamo analizzato le forze impersonali del capitale di cui la guerra è una dinamica strutturale, non credo sia sbagliato – in termini etici e soprattutto in prospettiva – chiedersi: quale sarebbe la posizione-comportamento da assumere se fossimo in Ucraina? Un caro saluto, Xxxx

Da Alessio (Noi non abbiamo patria)

Ciao Compagni,

mi sono preso la premura, tramite il will, di approcciare la cosa in modo franco ma diretto verso CWC (Crimethinc – Collective Ex-Workers Collective), ma si sono messi a testa bassa…

https://noinonabbiamopatria.blog/2022/03/08/ukraine-and-avant-guard-legacy-mistakes/

Poi diciamola tutta non si tratta solo di aree anarchiche, ma anche operaiste (operai contro qui da noi) o troskyste (per esempio Trosky era contro il fare la pace a Brest nel 1918), qui da noi il PCL (Partito Comunista dei Lavoratori).

Oggi ho partecipato, in solo ascolto, alla assemblea promossa dal SI COBAS contro la guerra, di fatto una riedizione avanguardista mezza operaista del già conosciuto Patto d’Azione.

Il problema sta tutto qui. Fatte le analisi sulle cause della guerra (che non si vuol capire la fase del capitale, dunque cosa la ha determinata e la verità protetta dal muro di bugie), non si vuole prendere atto dell’evidenza:

– il declino dell’occidente, degli USA e il canto del cigno dell’Europa;

– che i cannoni sparano non a contendersi spazi in Siria, ma sono puntati, “per difesa”, contro l’occidente di fatto, sia dal punto di vista militare che (e come conseguenza) sul piano economico, finanziario e di produttività.

Siamo in guerra, lo dice Draghi e applica lo stato di emergenza e la cosa è perfettamente razionale.

Paradossalmente non abbiamo nulla da dire circa cosa faremmo se fossimo in Ucraina. Porsi il problema è il risultato di una pressione impersonale esercitata in uno stato di fatto: l’Italia è in uno scenario di guerra ed il nemico è la Russia.

Se ci fosse una mobilitazione diffusa contro la guerra noi saremmo come nel 1917/1918: pace separata a tutti i costi col nemico!

L’Ucraina? È infilata in un tritacarne perché ha ritenuto di autodeterminarsi ad occidente, ne è uscita indebitata (già da prima di Euromaidan) e in una prospettiva balcanica. Cinque milioni di persone già prima di questa crisi hanno dovuto cercare all’estero di cosa campare ed il loro destino balcanico qui e lì potrebbe solo essere meno peggiore proprio se una mobilitazione contro la guerra andasse nella direzione di voler tradire l’alleanza che oggi l’imperialismo italiano realizza nella guerra. Di fatto sarebbe anche lì l’unica cosa decente da fare.

La solidarietà all’Ucraina sotto le bombe è una solidarietà coatta, cui è richiesto (come a Salvini) indossare la t-shirt anti Putin che è una uniforme di guerra dell’Italia. La nostra solidarietà può solo essere verso chi scappa e denunciare la legge marziale che c’è lì, denunciare il tritacarne in cui l’occidente li ha cacciati. Saremo all’inizio impopolari, dei “traditori” del popolo Ucraino visti come amici di Putin. Ma non puoi rivolgerti loro dicendo siamo “contro Putin e contro la NATO”, perché la NATO è l’alleanza militare che loro vedono inconseguente, perché indossare la maglietta anti Putin è di fatto in contraddizione con la “pace separata col nemico”.

Ossia la strada è l’esperienza pratica della rivoluzione russa che nel 1918, grazie e solo per la mobilitazione delle masse poverissime contadine, dei mugiki che volevano la terra, e quelle operaie, non pensò di doverla continuare perché le truppe russe erano a quel punto sotto il comando del governo dei Soviet e di fatto “tradì” la guerra.

Trosky sosteneva viceversa di continuarla per difendere la patria rivoluzionaria. I menscevichi e socialisti di tutto il mondo al carro della guerra la videro come un tradimento nei confronti degli operai francesi, italiani, belgi, inglesi e americani. La “trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria” è una fuffa, si passa attraverso il tradimento della guerra. E circa la specificità Ucraina, c’è la legge marziale, un compagno se non vuol essere impallinato dal “fuoco amico” deve fare il gioco al tiro al piccione contro il soldato russo.

 

Alle radici dell’internazionalismo e della comunità sociale nel mercato

Ulteriore risposta ai compagni del collettivo anarchico.

Cari compagni.

E’ possibile scommettere che sia i troskysti (che sono confluiti nelle formazioni comuniste che si sono separate dal partito comunista della federazione russa di Zuganov), che gli anarchici in Russia molto probabilmente parteciperanno in maniera “codista” alle iniziative che Navalny sta cercando di organizzare in questi giorni. Perchè succede, per errori tattici? Dobbiamo tornare indietro nel tempo.

Nel 1918 sia Trosky che i socialisti rivoluzionari, fin lì alleati con i bolscevichi, contestarono vivacemente l’accordo di Brest Litvosk. Trosky si allineò alla rivoluzione, i socialisti rivoluzionari ruppero la loro alleanza con i bolscevichi.

Quindi troskysti di oggi ed anarachici di oggi lo faranno perchè ereditano dal passato lo stesso atteggiamento? No non è così e dovremmo ancora tornare più indietro nel tempo. Ma prima mi serve aggiungere una cosa.

Prima di tutto dovremmo capire che cos’è l’iniziativa di Navalny, cose esprime. Prima ancora che verificarla sul piano politico dovremmo analizzarla sul piano materiale della struttura economica. Sarà si una mobilitazione vera contro la guerra di Putin. Essa rappresenta una minoranza del paese. Quale minoranza? Certo ci sono settori sociali popolari e di lavoratori soprattutto nella Russia asiatica che animano una opposizione sociale a Putin anche nelle strade. Ma c’è anche un ceto medio produttivo che ha tratto vantaggi dall’integrazione sempre più interdipendente col mercato mondiale. Non ci hanno guadagnato solo i grandi capitalisti (che qui li si vuole chiamare oligarchi per nascondere la realtà di una struttura economica e sociale che ha sviluppato in senso liberale i rapporti di classe interni). Anche lì, attraverso il dissolvimento dell’URSS (immagina una immensa ristrutturazione capitalistica che ha necessariamente sacrificato i rami secchi e si è ridotta necessariamente alla sola Russia), il saldo enorme del debito dell’URSS verso gli istituti finanziari privati occidentali (il Club di Parigi) attraverso la sua produzione di materie prime ed il formarsi di un personale economico borghese in carne ed ossa chiamato oligarca, anche un ceto medio produttivo si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni. Fu una festa di popolo quando aprì il primo Mc Donald in Russia, e l’altro giorno c’è stata una fila enorme di persone ai Mc Donald prima che la attività chiudesse temporaneamente in tutta la Russia. Questo insieme determinato nel mercato ed attraverso esso può essere una parte di esso contrario alla guerra? si certamente, come lo può essere per come si sta realizzando anche il popolo di Trump. I primi in solidarietà con le ragioni degli Ucraini, i secondi tutto sommato con le ragioni del Donbass e perfino di Putin.

Facciamo un ulteriore passo indietro nel tempo davvero lungo. Il mio blog si chiama – se vuoi per sbaglio – Noi non abbiamo patria. Perchè per sbaglio? Perchè lascia intendere qualcosa di differente dalla sua intenzione, non ha nulla a che vedere con il passo del Manifesto del Partito Comunista, ho scelto un nome che genera fraintendimento, ma oramai la frittata è fatta:

Gli operai non hanno patria [idealismo politico]. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch’esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia [aspettativa ideologica, perchè in un altro senso è contraddetto dal corso storico in cui il proletariato e la borghesia concorrono a realizzare una comunità nel mercato, nel capitalismo e dunque nella comune nazione ovviamente in una collocazione all’interno della produzione del valore differente e conflittuale].

Parliamoci chiaro, gli operai hanno nazione, si determinano proprio attraverso lo svilupparsi del mercato ed all’interno di esso. La loro conflittualità è all’interno del modo di produzione capitalistico e riproducono la propria organizzazione all’interno di esso. Io mi riferivo ad un nuovo mostro proletario, dove effettivamente il mercato sottrae loro una nazione, ossia un diritto di cittadinanza sul piano formale. Non li espelle dal mercato ma toglie loro una cittadinanza, questo però non fa di loro automaticamente un soggetto rivoluzionario. E bisogna ammettere che essi sono sfruttati doppiamente proprio per questo e si battano per quel diritto di cittadinanza che il capitalismo nega alla maggior parte di essi. Lottano per esserne riconosciuti a pieno diritto come parte del popolo che produce. Noi li sosteniamo perchè il contro altare è il razzismo operaio che si determina nel mercato attraverso la comunità nazione e nella quale difende il proprio privilegio. Non di meno la loro lotta è una leva (capisci, mi riferisco agli immigrati, componente non solo in occidente, ma in tutto il mondo all’interno della divisione sociale del lavoro e nella produzione del valore. L’immigrazione in Occidente è la minima parte di un movimento generale che rimane in Africa o nei subcontinenti attigui. Pare che circa il 20% dei rifugiati Ucraini arrivati a Berlino sono altri immigrati che erano già lì in Ucraina da prima). Ma di fatto non mi riferivo in alcun modo a quel passo del Manifesto. E’ un tratto comune tra marxismo e l’anarchismo storico quello di ritenere che il proletariato non abbia nazione. Eppure non può non determinarsi che sul piano del rapporto interno al modo di produzione capitalistico e dunque del mercato. Ed il mercato realizza la nazione capitalistica.

Il secondo passaggio se volete è più corretto quando parla di classe nazionale, ma è soggettivista e gradualista [1]. Vediamo alcune cose (fatti) storiche specificatamente sulla guerra e sull’internazionalismo. E’ luogo comune del soggettivismo (di ogni derivazione teorica) attribuire l’internazionalismo al fatto che il proletariato e la classe operaia realizzi una sua associazione programmatica transnazionale: ossia si eleva a classe nazionale, costituisce una nazione – seppure non nel senso della borghesia, ed attraverso questo passaggio compia il salto internazionalista secondo le forme storiche che si sono determinate: il cosiddetto partito formale secondo marxista (non completamente marxiana) definizione.

L’internazionalismo proletario quindi lo si fa coincidere con le varie rappresentazioni formali delle internazionali comuniste (la prima in comune con gli anarchici), socialiste e di nuovo comuniste (la Terza, la Quarta, la Quinta, e via dicendo). Si trattava di internazionalismo oppure di una alleanza transnazionale funzionale alla conflittualità interna al capitalismo ed in ogni nazione dove il movimento operaio si era elevato a classe nazione nella fase della espansione generale della accumulazione e del mercato mondiale?

Il nuovo mostro proletario che si determinerà, e non saremo noi a determinarlo, ci offrirà chiarezza su questo interrogativo.

Ma dovremmo avere il coraggio di prendere il toro per le corna, se vogliamo davvero interrogarci su cosa faremmo noi in Ucraina o in Russia, che cosa possiamo fare per aiutare i lavoratori che si trovano sotto le bombe? Innanzitutto capiamo che essi si stiano difendendo, anche se privi di un partito operaio, come classe che si fa nazione perchè è parte di un processo storico che è il mercato ed il modo di produzione capitalistico che lo determina e lo ha determinato nell’Ucraina “post sovietica”.

 

Ma allora l’internazionalismo proletario non esiste?

Al tempo, cerchiamo di separare la sostanza dalla forma, perchè possiamo notare che sempre prima dell’apparizione del cosiddetto partito formale certi eventi inaspettati sono occorsi improvvisamente prima. Se vuoi sono avvenimenti che hanno portato Marx ad essere uno che provò a dire che il Manifesto del Partito Comunista fosse un testo superato (e se vuoi ideologico), ad essere un sostenitore dello scioglimento della prima internazionale comunista, a sostenere che la analisi di classe da lui ed Engels nel periodo che và dal 1844-1848 fosse completamente sbagliata (perchè se arrivi a dire che hai sostenuto delle cazzate sulla classe operaia irlandese e del suo rapporto con quella inglese nell’ambito della lotta di classe, non è un semplice dettaglio da poco. Basti pensare all’eurocentrismo).

 

Quali furono i momentum di internazionalismo proletario nella sua sostanza pratica se ci sono stati?

Marx annota che dopo il 1848 due fatti rivoluzionari, ancora più rivoluzionari del febbraio 1848, accadono nel mondo. Uno è decisamente economico e cambierà per sempre la storia successiva (la scoperta di immensi giacimenti auriferi in California e poi anche in Australia). L’altro è la lotta e la rivolta degli schiavi nelle ex colonie, le lotte dei sepoy in India e quelle della Cina. Muta anche l’approccio dell’analisi di Marx sul cosiddetto ruolo sommamente rivoluzionario della borghesia e del mercato troppo intriso di positivismo e progressismo (cosa che diede la pezza d’appoggio teorica al socialismo eurocentrico, nazionalista, sciovinista e suprematista bianco).

Ebbene in quel contesto, nemmeno pochi anni prima della fondazione della prima internazionale a Londra ed in Inghilterra ha vita il primo movimento no war, contro la guerra, della storia capitalistica e forse dell’intera umanità. Cosa che è completamente non tenuta nella dovuta considerazione da tutta la teoria rivoluzionaria che ereditiamo. La Gran Bretagna, che da un lato attraverso il Canada si trovava a fronteggiare un concorrente capitalista industriale nelle ex colonie, dall’altro la propria industria manifatturiera aveva bisogno del cotone degli schiavi affinchè le proprie merci più produttive e a basso costo potessero rompere le varie muraglie dei Gran Mogol e dei Mandarini Cinesi, stava per organizzare un intervento diretto nella guerra civile americana, inviare la flotta e le truppe a sostegno degli stati del sud. La mobilitazione fu tale, per l’epoca, che quella entrata in guerra non avvenne. Il primo movimento di lotta sociale contro la guerra che addirittura la fermò. Francamente quella mobilitazione dei lavoratori fu contraria alla necessità immediata della classe operaia inglese di determinarsi come nazione (seppure in un senso diverso dalla borghesia), perchè il suo miglior salario, la sua capacità di associazione sindacale e politica fu proprio possibile in virtù della rapina e dello sfruttamento degli schiavi. In quel momentum i lavoratori agirono in senso contrario alla affermazione di Marx, mettendo in mostra che il processo storico pone una contraddizione, che la sua previsione idealista ed ideologica viene messa alla prova della storia. Ossia? Ossia che non è attraverso la sua lotta di classe accumulata nel corso precedente che poi giunge all’internazionalismo, non è il punto terminale di un processo in cui essa si eleva a classe nazionale. Arrivati a questo punto non si va da nessuna parte a meno che crollano i pilastri su cui essa è stata eretta.

[Marx scrive a proposito:

E’ incredibile e ogni giorno più grande la miseria dei lavoratori delle regioni industriali del Nord, a causa della chiusura degli stabilimenti e della riduzione delle ore di lavoro, motivate dal blocco navale degli stati schiavisti. Le altre parti componenti la classe lavoratrice non incontrano le stesse difficoltà, ma sono gravemente danneggiate dalle ripercussioni della crisi dell’industria cotoniera sugli altri settori della produzione, dalla riduzione delle esportazioni dei loro prodotti nel Nord America per effetto della tariffa Morrill e dall’annullamento di tali esportazioni negli stati del Sud per effetto del blocco navale. Attualmente l’intervento inglese in America è divenuto, pertanto, una questione di sopravvivenza per i lavoratori.

…Di conseguenza la classe lavoratrice è perfettamente consapevole del fatto che il governo sta aspettando solo che gli venga richiesto dal basso – la pressione dall’esterno – di intervenire per mettere fine al blocco americano e alla miseria inglese. In tali circostanze è ammirevole la tenacia con la quale i lavoratori se ne stanno zitti, o parlano soltanto per far sentire la loro voce contro l’intervento e in favore degli Stati Uniti.]

L’internazionalismo proletario non si rappresenta attraverso una affermazione ideologica e programmatica, bensì in una azione che è in contro tendenza con il processo che fino a quel momento aveva caratterizzato il movimento operaio. Agisce in una mozione unanime di essere contro l’intervento inglese nella guerra civile americana ed a sostegno degli Stati Confederati del Sud, in sostanza contro l’interesse immediato determinato dal mercato e dall’accumulazione capitalistica.

Subito dopo le masse operaie inglesi rifluirono sul percorso della classe nazionale e, dunque, che ha un interesse immediato, una patria, una nazione da difendere. Quando il Nord vinse contro il Sud, la capacità espansiva dell’industria americana e di sviluppo poderoso delle forze produttive rimisero la catena al collo schiavile ai neri ex schiavi e la stessa rivoluzione dei rapporti di proprietà nelle terre del sud (che portarono i coloni poverissimi ex irlandesi e di altre nazioni europei a disertare il fronte sudista, unirsi talvolta con la ribellione dei neri dietro le linee del fronte) non avvenne: i famosi 40 acri di terra che l’unione degli Stati del Nord avrebbe concesso ai neri liberati come anche ai coloni poverissimi e non possidenti di schiavi; le terre del sud già erano impoverite dalla coltura intensiva del cotone ed i neri erano sempre più allevati come animali da poi vendere sul mercato e da impiegare in altri settori della produzione (quindi un allevamento intensivo per la vendita dello schiavo ai padroni del nord che ritenevano far lavorare un uomo con la catena alle caviglie incompatibile con la produttività della forza lavoro) della produzione e della economia del nord; i contadini poveri bianchi ricevettero le terre peggiori e meno fertili; la maggior parte fu attratta nella corsa verso l’ovest o nelle guerre ispanico americane.

La prima internazionale si diede dopo ed addirittura nel periodo del riflusso di quel moto determinato oltre atlantico e con le sue dirette implicazioni in Inghilterra. Ci sono prefazioni alle successive edizioni del Manifesto del Partito Comunista dove la coppia Marx-Engels esalta che dalla prima stesura il proletariato di altre nazioni, in particolare degli Stati Uniti, entrò a far parte della Internazionale (sezioni di altri paesi che vuol dire componenti di altre classe operaia in nazione). Scrive queste cose mentre non possono omettere che per certi aspetti il manifesto fosse datato. Il tutto avviene mentre si fa strada in Marx ed Engels di non aver capito una mazza sull’analisi di classe in Inghilterra e circa la classe operaia ed il proletariato irlandese. Sono gli anni in cui (1867) Marx scrive una lettera aperta al movimento operaio americano durissima e contro il percepire del razzismo dell’operaio bianco. Sono gli anni in cui Marx sulla questione irlandese scrive che la classe operaia inglese, nonostante le sue organizzazioni di massa sindacali e politiche, si muove alla coda della borghesia e dell’imperialismo britannico. Ora come può esistere un internazionalismo che si esprime all’interno della Prima Internazionale Comunista quando la classe operaia inglese, quella americana, quando le lezioni del 1848 e delle lotte di classe in francia vanno in senso opposto?

La prima internazionale è la realizzazione del partito formale di un momentum del movimento reale che abolisce lo stato di cose presente nella sua fase di riflusso. Ossia nella determinazione della classe operaia e del proletariato inevitabilmente – perchè il modo di produzione capitalistico, l’accumulazione, la produzione del valore ed il mercato mondiale si espandono poderosamente – all’interno come classe nazione e comunità capitalistica, seppure conflittuale al suo interno.

Il Marxismo come teoria storica sbanda appresso a questa cosa, e vi sbanda anche l’anarchismo ogni volta che vede l’azione dell’operaio con le mani callose che si dà all’interno di una comunità scambiandola per altra cosa (leggete quest’articolo dell’operaismo ortodosso di qui, “Il Cero e la Molotovhttps://www.operaicontro.it/2022/03/06/il-cero-e-la-molotov/), ma è appunto quell’essere determinato come classe nazionale e nazione che è il mercato ad imprimere. Se leggete le testimonianze degli anarchici Ucraini si dice “si vabbè il governo Zelensky è di destra, nazionalista e liberale, ma la gente nella difesa dell’Ucraina dalla aggressione della Russia collabora dal basso in maniera auto organizzata“.

Ed ancora altre aree politiche di estrema sinistra incluse marxiste, operaiste o troskyste di fronte alla constatazione che il governo Zelensky abbia imposto la legge marziale, essi rispondono: “si il governo sta applicando la legge marziale, ma le masse popolare, povere e lavoratrici partecipano dal basso alla difesa contro l’invasione militare, realizzano la propria autodeterminazione all’interno del conflitto”.

Se facciamo un feticcio soggettivista finiamo alla coda del mercato e della concentrazione capitalistica che le sta attraendo in Ucraina alle sue necessità, così come nel resto dell’Occidente ed in Russia. Non è l’atto spontaneo di gettarsi in un fiume in piena che fa la differenza, bensì il corso del fiume e in quale mare inevitabilmente sfocia.

Ma allora è possibile l’internazionalismo proletario? Si, ma capiamone ancora il senso della questione che non vive nei programmi e nelle proclamazioni. Il marxismo comunista – tutto – ha troppo parlato del partito storico e del partito formale, dove secondo teoria il partito storico vive sempre talvolta sotto forma di piccoli nuclei comunisti. In sostanza il partito storico vive sempre senza soluzione di continuità nella storia capitalistica, è solo il partito formale che si determina a tratti e che avrebbe le soluzioni di continuità. In realtà è proprio il partito storico a non vivere sempre senza soluzione di continuità. Abbiamo dei momentum in cui c’è una inedita espressione – per come è possibile darsi nel contesto storico generale di fase – di quello che possiamo chiamare il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Non è necessariamente la rivoluzione di classe internazionale, non necessariamente apre la porta alla rivoluzione anticapitalista nel contesto immediato, non trova la sua espressione in un programma, semmai in un gesto ed in una azione precisa nel tempo, che si dà all’interno di una finestra temporale finché le forze impersonali del moto del capitale glielo consentono prima di riassorbirlo. Furono le mobilitazioni contro l’entrata in guerra della Gran Bretagna a sostenere gli stati Confederati del Sud, fu l’Ottobre del 1917 che realizzò quella riforma dei rapporti di produzione nelle campagne che la rivoluzione americana non fu in grado di realizzare, mentre quella francese lo fece sotto forma di truffa e rapina nei confronti dei contadini più poveri liberati dalla servitù della gleba. E fu appunto la volontà di realizzare a tutti i costi la pace di Brest Litvosk rifiutandosi di difendere come comunità e nazione la patria rivoluzionaria di fronte al nemico ed all’interno della guerra.

E se vogliamo il gesto si è realizzato ancora di recente, forse esagero, nell’iconoclastia nei confronti della storia del colonialismo in mezzo mondo nemmeno due anni fa e in cui un parte minoritaria di un proletariato giovanile bianco si è sottratto dal suo essere comunità bianca che nel frattempo sopravvive eccome nel popolo di Trump. Poi però come appare, rifluisce, finché non si è spinti di fronte al baratro, ad un baratro che terrorizza per cui la forza materiale di 500 secoli di capitalismo spinge a correre dietro al suo riparo, sotto il mercato e sotto quel tipo di comunità che nel corso storico ha dimostrato essere la più avanzata: la comunità capitalistica.

Sappiamo però che la comunità capitalistica è una feroce rappresentazione della spietata concorrenza sul mercato mondiale, è violenza e saccheggio senza fine. Ma nella guerra il capitalismo realizza il momento più alto della comunità nella sua comunità capitalistica, proprio per questo la guerra (senza accezioni e senza dover aggiungere capitalista o imperialista) è reazionaria. Nondimeno realizza una “comunità” all’interno della quale il proletariato ne è attratto perchè è potuto esistere e determinarsi in questo processo storico.

Che cosa fu la resistenza partigiana se non una comunità di questo tipo, però sotto la spinta della forza militare, dunque economica e finanziaria degli Stati Uniti d’America? Non fu una comunità il cui risultato determinato della classe operaia (che si eleva a nazione) che vuole però realizzarla in una collocazione sul mercato mondiale differente come parte di questo e come comunità capitalistica?

Ecco perchè chi guarda alla comunità storica come soggetto che è capitalistica in Ucraina e si intruppa dietro a Zelensky, in Russia si accoderà a Navalny [e nella maggior parte dietro le necessità capitalistiche secondo la comunità di cui Putin se ne fa interprete – vedi commemorazione nazionale del ritorno della Crimea come parte della Federazione Russa del 18 Marzo] e se volete altri nella comunità del popolo del Freedom Convoy del Canada o del People Convoy degli Stati Uniti d’America. Il lavoratore e l’operaio da individuo produttore si eleva come classe capitale, rimane attratto dalla spontaneità dei singoli produttori (dunque individui sul mercato) che si realizzano in comunità capitalistica. Si guarda al soggetto ed alla possibilità soggettiva di orientare quelle masse che si stanno in certi frangenti determinando in un rapporto diverso di comunità ma sempre come parte del mercato e con forme anche più aggressive e reazionarie. Ha poco a che vedere se vi siano forze politiche di destra a dirigerle, forze politiche fasciste o neonaziste. Non è quella la discriminante che la caratterizza come una comunità in balia di un corso capitalistico reazionario di fronte alla sue crisi. La discriminante è nel processo nei confronti della relazione di quella stessa comunità col mercato mondiale, che non nega la comunità nazionale, piuttosto la esalta.

Anche qui dovremmo capire la fandonia dell’Impero di Toni Negri e di Hardt, cui alle moltitudini veniva sottratta attraverso la globalizzazione appunto proprio quel tipo di comunità. Sono stati i teorici del sovranismo che poi è arrivato e lo hanno saputo cogliere bene e molta sinistra di classe da quel moto ne viene attratta.

Quale sarà il prossimo atto di questo momentum che ci svelerà ancora in che cosa si enuclea l’internazionalismo proletario? Per vederlo dovremo assistere a certi passaggi della crisi che stanno accadendo velocemente, ad una velocità supersonica i cui fatti non riusciamo ad avere il tempo di rifletterli con la dovuta necessità. Di sicuro non è attraverso, per quanto attiene alle nazioni europee, al principio di autodeterminazione delle nazioni. Non dipende da noi e dalla nostra volontà. Sarà un gesto di massa, una azione precisa e determinata nel tempo, che si darà per necessità e che ci farà intravedere qualche cosa. Ci sorprenderà se non saremo dispersi dalla ricerca di improbabili comunità attraverso i suoi programmi formali che ci trascinano nel mercato piuttosto che contro di esso.

Se guardiamo alla rappresentazione formale di un soggetto ed attraverso la lente di un programma formalizzato prenderemo sempre un palo in fronte, perchè il proletariato in quanto soggetto non esiste (come del resto tutte le classi sociali sono oggetto e non soggetto), ma esiste un processo che per necessità dovrà costringerlo a compiere delle azioni, porsi quelle domande cui è possibile una risposta ed ad un certo punto nel baratro del modo di produzione capitalistico potrà uscire fuori dal regno deterministico a quello della ragione. Intanto raccogliamo i gesti genuini cha vanno verso una ebollizione ed il corso reale dello sbriciolamento della società fondata sulla produzione del valore e per lo scambio delle merci tramite il valore sociale estorto.

Il programma di fatto è un abbaglio molto spesso o quasi sempre. Dovremmo meditare davvero a fondo su questa frase di Marx che ho riportato nell’articolo sull’aspettativa internazionalista.

Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione… [Karl Marx, 1859].

Non si può giudicare il proletariato attraverso il suo programma, bensì attraverso la sua collocazione all’interno del modo di produzione capitalistico e nella divisione sociale del lavoro in un rapporto generale col mondo capitalistico che precipita e la sua azione specifica. E’ il mondo che precipita ad essere il soggetto rivoluzionario e anche inediti proletari cominciano ad avvertirlo. Ieri alla assemblea del 13 marzo contro la guerra promossa dal SI COBAS ed altri gruppi comunisti marxisti, un facchino immigrato, probabilmente del Maghreb, ha detto con una semplicità una cosa cui noi non abbiamo il coraggio di sostenere: “quello che vedo è che l’Europa è in difficoltà e farà pagare agli operai questa difficoltà. poi vedo che è una difficoltà crescente e che l’occidente è isolato. L’occidente tutto, inclusa la Russia non arriva nemmeno ad un miliardo di persone ed il resto del mondo non vuole questa guerra, i popoli della maggioranza del mondo non la vogliono” e da che parte stare è davvero semplice.

 

La replica ed il dunque

I compagni mi rispondono, ma è chiaro che questa questione non è posta solo dagli anarchici, è l’intera sinistra di classe in Occidente che in maniera variegata la pone nascondendola dietro vari artifici ideologici. Questi compagni hanno il pregio di essere schietti, cosa che altri gruppi di tendenza marxista non hanno il coraggio di affrontare nella dovuta maniera.

La tua lunga disamina, in gran parte condivisibile, resta piuttosto astratta rispetto al quesito concreto: cosa fare quando sei stretto tra le bombe russe e la “solidarietà” occidentale? Non è la manipolazione mediatica delle mie emozioni che mi porta a formulare quell’interrogativo. Noi lì abbiamo dei compagni, e certo non gli possiamo suggerire di rileggere questo o quel “classico” rivoluzionario. O te ne vai, o ti organizzi – ed entrambe le scelte avranno un peso sul tuo futuro. Un abbraccio.

 

Cari compagni,

credo di aver dato risposta all’interrogativo che continuate a porre, senza rendervi conto che è la domanda stessa ad essere mal posta.

1)

E’ mal posta ed è contraddittoria primo per il fatto che ce la si ponga qui, in quella parte del mondo che, se concordiamo veramente nell’analisi, l’aggressione all’Ucraina la sta portando avanti almeno da più di un decennio e che – guardatevi la tabella in fondo alle note sull’articolo “La verità in tempo di guerra…” – ha aumentato in progressione geometrica gli aiuti militari allo stato Ucraino. Stato Ucraino che da poche decine di migliaia di effettivi, oltre ad essere dotato di sistemi di difesa e offesa moderni, oggi conta più di 200 mila effettivi (senza considerare il battaglione Azov che ha numeri diecimila volte superiori alla somma di tutti i comunisti ed anarchici in giro per l’Ucraina) su una popolazione di 44 milioni di abitanti (inclusi quelli emigrati). L’offensiva è stata poi esercitata attraverso l’indebitamento e la finanza rendendo l’Ucraina uno dei paesi più poveri dell’Europa, da dove più di 5 milioni di persone hanno dovuto emigrare come forza lavoro a bassissimo costo, quasi la metà in Russia ed il resto nell’Europa ed in Occidente.

Quindi se l’Occidente – per tutte le ragioni cui dite di essere d’accordo – se non è il responsabile primo di quanto accade, perlomeno ne condivide pienamente le responsabilità oggettive, infatti oggi insiste e batte su questo stesso terreno di aggressione: da un lato aiutando in armi il popolo Ucraino destinandolo al massacro in una guerra per interposta persona, ossia per gli interessi occidentali (che ci si sforza di spiegare), dall’altro nemmeno in maniera coerente perché limitato da una debolezza oggettiva e perché tutto sommato una Ucraina che si dissangua contro la Russia sarà poi più facile papparsela.

Ora la domanda ve la pongo io a tutti i compagni e compagne e vi assicuro ce ne sono a iosa, incluso quelli che il tema non lo vogliono affrontare attraverso mille e più acrobazie perdendosi nei principi di autodeterminazione delle nazioni o nella declinazione di comodo “contro la NATO e contro Putin“, voi avete il pregio di porla apertamente e senza fronzoli:

che senso ha denunciare la guerra cui l’Italia ne è responsabile e contrastare la sua ulteriore aggressione imperialista lì, quindi per un fermo no alla guerra da parte dell’imperialismo italiano e poi indicare al popolo Ucraino che debba continuarla fino all’ultimo sangue contro la Russia? L’Italia potrebbe starsene a guardare come il cinese fa sul fiume giallo in attesa che il cadavere del suo nemico passi ed intascare lo spezzatino ucraino che ne consegue. O no?

Una posizione coerente qui contro la guerra richiede la necessaria denuncia dell’Occidente che ha spinto – via finanzia, via mercato, via indebitamento, via forza di aiuto militare – il popolo Ucraino in un tritacarne.

E se questo è vero e va denunciato, se avessimo la forza, ossia se ci fosse una mobilitazione reale contro la guerra e qualcuno che ci ascolta lo dovremmo dire anche alle masse lavoratrici di Ucraina: state combattendo una guerra non vostra e per altri interessi! Questo dovremmo dire nei riguardi delle masse lavoratrici e povere dell’Ucraina. Lo dovremmo dire anche alle immigrate Ucraine di qui già presenti e a quelli che saranno centellinati e spartiti tra i paesi UE ancora al confine.

Saremmo visti come “traditori”? Pazienza, lo dobbiamo sapere che così è perché la guerra, carissimi compagni non apre improvvisamente prospettive rivoluzionarie, ma è una reazione generale che traina al carro del capitale le masse lavoratrici. Non giriamoci troppo intorno.

In un articolo che potete leggere su sinistrainrete.info giustamente è affermato a proposito di internazionalismo:

Noi non stiamo con l'”eroismo” del popolo ucraino al servizio delle potenze occidentali! Per farlo uscire dalla crisi e continuare nella barbarie.

Guerra e Internazionalismo Proletario – Michele Castaldo

Ossia la domanda che ponete, sotto intende di sostenere quanto accade lì, che significa appunto questo: sostenere la resistenza, che è una guerra per interposta persona, un massacro maggiore in Ucraina con il risultato di una maggiore colonizzazione via modello balcanico dell’Ucraina stessa. Oppure di assegnarli quel ruolo puntato verso le masse lavoratrici dell’intero Est Europa e della Russia e verso le materie prime che viceversa Israele assume in Medio Oriente. E’ questo che si vuole, e a questo che vogliamo ridurre la posizione di opposizione alla guerra qui da parte dell’Italia? Ossia “ce ne tiriamo fuori” ma sosteniamo il sacrificio del popolo Ucraino in guerra lì? A questo punto le immigrate Ucraine avrebbero dieci volte ragione di sputarci in faccia e magari spararci anche addosso.

2)

Se riferita al “se fossimo “, la domanda è ancor più mal posta. Lo è perché lascia intendere un contesto della situazione che è – lasciatemi dire – bugiarda. Ossia la domanda presuppone che in Ucraina il popolo e le masse lavoratrici non sappiano cosa debbono fare di fronte all’invasione della Russia. Purtroppo cari compagni lo sanno benissimo cosa debbono fare e lo stanno facendo. Che cosa stanno facendo?

Non hanno avuto la forza di contrastare un politica generale e delle forze generali che stavano trascinando l’Ucraina tutta – come comunità capitalistica – nel tritacarne dell’imperialismo, sono rimaste in balia di un crescente nazionalismo senza la capacità di opporsi decentemente all’impoverimento del paese. Hanno sperato che l’Occidente li avrebbe sostenuti e poi premiati. Non è una novità. L’Iraq di Saddam Hussein, fece la stessa cosa e dietro di lui il popolo Iracheno: fu indotto e nemmeno poco esplicitamente ad iniziare una lunga guerra – per altri interessi occidentali e degli Stati Uniti – contro l’Iran che aveva fatto una rivoluzione vera (non Euromaidan) cacciando lo Scià che poi però ripiegata su stessa reprimendo l’insorgenza dei lavoratori dell’Iran e del Kurdistan Iraniano. Quindi non è la prima volta che un paese povero e tutto sommato in balia delle forze concentrate dall’imperialismo si lascia autodeterminare. Il risultato è che mentre l’Ucraina ha continuato ad armarsi in questi anni sostenuta attivamente dagli Stati Uniti, mentre in questi anni ha attivamente – sempre sostenuta dagli Stati Uniti – insistito sulla linea di guerra del Donbass (dove anche lì – a meno che non vogliamo credere ai sedicenti partiti socialisti operai del Donbass – la dinamica è quella della reazione balcanica di un paese che ha conosciuto di fatto una relativa indipendenza ed autonomia, nella sua storia secolare – solo quei pochi anni in cui era parte dell’ex URSS e ringrazio gli dei pagani che quella aspettativa sia crollata come parte della crisi generale) la guerra è arrivata ma l’Occidente non dimostra la coerenza della premessa.

Le masse lavoratrici ed il popolo si riconoscono in quella comunità legata al mercato che ha cercato una sua “autodeterminazione” attraverso una prospettiva illusoria e suicida. Coerentemente la sta perseguendo e la maggior parte gioca fino in fondo la partita scavalcando in coerenza gli Stati Uniti d’America e l’Occidente. Ma la “colpa” – ma di colpa non si tratta perché l’universo è deterministico e non vi è libero arbitrio, se esistesse sarebbe tutta da addebitare ai lavoratori occidentali, europei ed italiani (con i quali noi misere mosche la condividiamo in solido).

Cari compagni la domanda che cosa “faremmo noi se fossimo in Ucraina“, quindi o presuppone che in Ucraina la gente, il popolo, la maggioranza dei lavoratori non sappia cosa fare e si aspetta che qualche residuale forza comunista o anarchica glielo suggerisca, oppure è il contrario è la “comunità capitalistica” – di cui noi vediamo solo la “comunità” – ad indicarci cosa fare e sono proprio loro ad imporci una scelta.

Lo dice Zelensky, applica la legge marziale e coerentemente realizza il diktat che bisogna armarsi. Le dinamiche di classe non sono nuove al fatto che una volta sollecitate le masse nel fiume in piena del capitalismo, che si dibatte nella sua crisi, poi esse stesse possano scavalcare in conseguenza la testa reazionaria in maniera ancor più reazionaria. Vi dicono nulla i fatti del Capitol Hill quando Trump batte in ritirata alla Casa Bianca e viceversa le sue truppe compiono fino in fondo il percorso reazionario indicato dal suo capo che diserta il campo?

Il terreno tracciato è quello cui Zelensky rappresenta la coerenza che l’imperialismo Occidentale – per le debolezze oggettive della crisi – non riesce a mettere in pratica. Zelensky parla a nome del popolo e delle classi lavoratrici. Essi non chiedono il da farsi, già lo fanno e girano la domanda ai dubbiosi i quali si fanno latori della stessa a noi, che non è una domanda ma una esclamazione di fatto delle forze economiche dell’Occidente: arruolatevi!

Cari compagni e compagne, non tutto è intruppato ed inzuppato nel fiume potente della barbarie capitalistica. Le stesse masse che vi sono coinvolte saranno costrette a bruciare sulla propria pelle l’esperienza drammatica cui in maniera determinata sono costretti a percorrere fino in fondo. Ma abbiamo 3 milioni di persone in fuga dall’Ucraina ostacolate sia dai carri armati russi ma anche dal fuoco amico (o vogliamo davvero credere che il giornalista americano o le famiglie che sono rimaste impallinate nei pressi del ponte di Irpin siano stati i Russi in grado di colpire nascosti dietro un check point dell’esercito e delle milizie civili ucraine?).

Inoltre, è evidente che non tutte le giovani mamme ed i giovani bambini fremono dalla voglia di preparare bombe molotov fatte in casa. Fatemi dire che l’entusiasmo di certi anarchici americani o operaisti nostrani circa le immagini “che bello mamme e bambini che preparano le molotovè il riflesso della barbarie. Quale è l’orizzonte di liberazione se si mettono in mano a giovani donne e giovani ragazze e ragazzi le armi dell’esercito? In Palestina, sono i ragazzini a farlo, ma nessuno in quelle terre occupate e colonizzate manda manuali dello stato su come poi andare a farsi impallinare dal nemico. Se lo fanno bande islamiche i compagni giustamente denunciano questa pratica di merda. Ora perché i compagni, che stanno in Ucraina ed hanno deciso di armarsi insieme al popolo, non insistono nel fondo delle loro pretese che si organizzi una solidarietà internazionale per la fuga di chi non vuole – per paura – combattere?

Quanti giorni sono che la stampa democratica occidentale si rammarica che le cosiddette tregue per l’evacuazione dei civili non funziona? O i compagni sono pochi e non riescono a provvedere loro la realizzazione di un corridoio sicuro per la fuga, oppure stanno facendo altro che ritengono prioritario e più valoroso, oppure anche essi non ne condividono la scelta di una parte minoritaria della popolazione e di quei lavoratori che intendono scappare.

Ora non tutte le mamme e non tutti i bambini raccolgono il messaggio dell’arruolamento, non intendono rimanere nemmeno come forza ausiliaria di supporto dietro le linee, e scappano. La fuga di per sé non implica alcun orientamento anti-capitalista ed antimperialista e di sicuro non è gradita la fuga alla comunità capitalistica ucraina in armi, continuano ad odiare i Russi, covando però un rancore nei confronti degli Occidentali.

E’ qui che potremmo nello specifico dell’intervento fare qualcosa in direzione dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Ucraina, lì e qui, sempre se ci fosse una mobilitazione reale che supportasse l’aspettativa della pace col nemico a tutti i costi in Occidente.

Ora che dovremmo fare se fossimo lì?

Lo stesso che dovremmo fare qui, denunciare le ragioni e le cause vere della guerra, ammettere lo sbaglio di non essersi opposti prima al governo Ucraino ed alla sua crescente politica di armamento, perché il marcio era già in marcia da prima di Euromaidan e dopo si è solo rafforzato, quindi denunciare la sua forsennata politica di armamento dell’Ucraina e di arruolamento nella NATO, che dunque a frittata fatta bisognerebbe il più presto possibile battersi con una mobilitazione generalizzata – se ce ne fosse la possibilità – per una immediata pace a qualsiasi condizione a cominciare dalla opposizione alla legge marziale, a cominciare dal disarmo dei check point durante le ore concordate per la fuga dei civili.

Compagni, questo sarebbe tradimento alla comunità armata dell’Ucraina ma sarebbe aderenza e coerenza nello stare fino in fondo con le masse lavoratrici Ucraine ed anche con quelle Russe e contro la barbarie. Dovremmo mettere in conto, se fossimo lì, che questa politica è ancor più rischiosa di prendere il fucile, perché immediatamente si sarebbe sotto le pallottole del fuoco amico.

Purtroppo uno spazio reale nell’immediato per una azione aperta contro la guerra imperialista ed una azione “autonoma ed indipendente” non c’è. Non volerlo ammettere, rende ridicola la pretesa di quelle aree di compagni socialisteggianti, marxisti, operaisti ed anarchici di volere praticare una autonomia di classe partecipando attivamente alla guerra.

Evidentemente i compagni in Ucraina e nel Donbass che ci pongono la domanda, in realtà avevano già dato una risposta e cercano solo una “giustificazione opportunista” alla loro decisione di essere trascinati dalla comunità (del popolo e dei lavoratori) capitalistica che non appartiene a quegli interessi immediati e futuri del proletariato [che loro ritengono di rappresentare in questo modo] , e quelli Ucraini si fanno portavoce diretti di Zelensky e della sua coerenza che agli stati capitalistici ed imperialisti al momento manca. Quindi o sono davvero inconsapevoli o per inconsapevolezza hanno deciso di giocare una partita reazionaria.


Note:
[1] Il passaggio completo dal Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels riguardo alla affermazione ideologica che la classe operaia non ha nazione è il seguente:
Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch’esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.
Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d’esistenza.
Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l’azione unita, per lo meno dei paesi civili.
Lo sfruttamento di una nazione da parte di un’altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.
Con l’antagonismo delle classi all’interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni.
Marx Engels – Il Manifesto del Partito Comunista (II Proletari e Comunisti)
Fortunatamente, con Marx riparatosi dopo il 1848 in Inghilterra, i due superarono questa impostazione ideologica, tutto sommato idealista circa lo sviluppo del mercato e della lotta di classe, cosa che viceversa ha inchiodato le rappresentazioni formali del movimento operaio a fornire la giustificazione ideologica di essere alla coda del capitalismo, del colonialismo, del razzismo suprematista bianco dei popoli civili e delle guerre imperialiste e di rapina.

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