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marx xxi

Sulla condizione dei comunisti in Italia. Un contributo collettivo alla lettera aperta di Fausto Sorini

a cura di: Demostenes Floros, CER-Centro Europa Ricerche, Orestis Floros, medico psichiatra e ricercatore in Neuroscienze, Stoccolma, Luigi-Alberto Sanchi, CNRS Parigi (Centro Nazionale di Ricerca Scientifica), Andrea Zirotti, docente

159827 sd.jpgRingraziamo il compagno Fausto Sorini per la proposta di un forum di discussione tra comunisti e speriamo che essa inneschi una risposta adeguata.

Il periodo critico dei “comunismi” in Italia, comunque lo si voglia individuare, dura ormai da molto tempo e l’assenza dal Parlamento, non certo ricercata e iniziata ben quindici anni fa, è riflesso di una condizione di enorme debolezza, quando non di sostanziale irrilevanza.

Ci pare che le recenti accelerazioni della storia abbiano reso ancor più urgente l’esigenza di una discussione e di un chiarimento di cui crediamo siano non pochi a sentire la mancanza, specialmente di fronte alla risposta che nell’insieme abbiamo dato in questi anni. A sospingere questo processo possono essere compagne e compagni, cui è rivolta la proposta, che come anche noi “ritengono del tutto insoddisfacente la situazione attuale” (Sorini); pensiamo però che una tale esigenza possa oggi essere avvertita, e magari trovare sbocco in percorsi diversi ma comunicanti, da tutti i comunisti in Italia: almeno i molti in cui non prevale la “boria di partito” o di gruppo (incluso quello dei non-partito, cui a malincuore apparteniamo, che può anche essere vissuto con boria). Non sarebbe, questo, un modo appropriato per interloquire con le nuove generazioni, piuttosto diverse dalle precedenti?

I profondi e vasti cambiamenti intercorsi in questi ultimi decenni, con un salto di qualità negli ultimi tempi, pensiamo impongano, a coloro che vorrebbero far vivere in Italia un marxismo non rituale, una riflessione di fondo; allo stesso tempo, pongono già su un nuovo terreno la discussione in cui le passate e presenti inadeguatezze, divisioni, separazioni dovrebbero essere passate al vaglio.

In ambito internazionale, basti accennare alla realtà dei nuovi rapporti di forza tra gli Stati, resi possibili in particolare dagli sforzi e dai poderosi risultati di alcuni di loro, a partire dalla Cina guidata dal PCC e dalla sua relazione strategica con una Russia che ha riconquistato la sovranità sostanziale (e sulla cui natura sistemica, strutturale e sovrastrutturale, via via prevalsa con la direzione di V.V. Putin e la rottura sempre più profonda con la fase eltsiniana, si ascoltano anche a sinistra e tra comunisti giudizi superficiali, infondati, non marxisti; e non se ne colgono talune incipienti affinità col sistema cinese, ad esempio in campo economico, o nel ruolo che gli apparati militari e di sicurezza dello Stato – i cosiddetti silovikì – vi svolgono nella caratterizzazione della natura del potere politico, tutt’altro che asservito agli oligarchi privati). O al riassetto dell’imperialismo, anche dopo la crisi del 2008; alla risposta di fondo aggressiva, ma ad ampio spettro, delle classi dominanti Usa verso l’arretramento loro e dell’intero occidente; alla tragica guerra per procura condotta in Ucraina, che anche l’UE e i suoi membri sostengono con decisione, ma con gravi contraddizioni; ai processi di decolonizzazione e alle lotte di molti popoli per la liberazione dal bisogno; all’ascesa dei BRICS e della nuova visione multipolare.

Un quadro di possibilità e, insieme, di gravi tensioni e pericoli, in cui incombe l’incubo nucleare e in cui problematiche epocali, urgenti e decisive, come ad esempio il cambiamento climatico, le migrazioni e lo sviluppo di nuove tecnologie (non ultima, l’intelligenza artificiale), rischiano fortemente, a dir poco, di essere agitate e affrontate per rispondere non alle esigenze delle persone del pianeta, ma alle logiche del capitale e a quelle di uno scontro di dimensioni devastanti.

Volgendo lo sguardo entro l’Italia le sollecitazioni al confronto e al vaglio della nostra situazione non sono meno potenti. Entro una forte condizionamento dei processi internazionali, stiamo avendo un arretramento delle condizioni delle classi lavoratrici su moltissimi fronti, un conflitto sociale assai basso (diversamente dalla Francia: perché?) e un’egemonia dell’ideologia neoliberista e razzista che, in modo pervasivo e con il prezioso ruolo del riformismo, ha intriso (non senza contraddizioni, beninteso) il senso comune di una popolazione sempre più frammentata. Guai ai vinti, a tutti i subalterni. Le relazioni sociali cambiano qualità, allontanando tra loro le persone. Il sistema di valori morali si trasforma. Interi indirizzi di pensiero progressista sono contrastati fino a spingerli nell’impensabile e il comunismo ha un trattamento particolare: l’equiparazione col nazifascismo. La regressione della democrazia nelle nostre classi di riferimento, e quindi a livello generale, è fortissima. La guerra, e lo stato di emergenza in generale, restringe gli spazi. La pedagogia spinta avanti dalla lotta di classe dai nostri avversari mostra i propri “uomini nuovi”, con le donne in una nuova, problematica condizione.

 

Perché si è verificato un quadro del genere, qui appena evocato? Perché abbiamo perso così rovinosamente? Potevamo noi resistere meglio?

Ci viene alla mente il celebre passo in cui Gramsci, nell’intervenire nel 1923 in una discussione sulla recente sconfitta della classe operaia italiana, spingeva i compagni a conoscere, pensare, capire a fondo. Egli individuava una decisiva debolezza dei partiti proletari nel fatto che essi “non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia”. E proseguiva, individuando “l’inizio… dell’inizio” del lavoro: rinsaldare le nostre basi ideologiche (che sono il criterio della nostra stessa critica), inclusi gli aspetti morali e psicologici. Ci sembrano indicazioni preziose per il “che fare” presente, che si svolge però in un contesto per certi versi molto più arretrato (partiti italiani incomparabilmente più deboli, assenza di un partito mondiale quale l’Internazionale, pesanti arretramenti nelle classi lavoratrici, ecc.).

Nella frammentazione e disorientamento del nostro campo, nell’ansia del dare risposte rapide, anche gli sforzi più meritevoli, e ce ne sono, non possono essere messi a valore e divenire strumenti di trasformazione.

Nel provare a contrastare di questa situazione, pensiamo non sfugga a nessuno che noi siamo parte della dissoluzione e, pur con una resistenza che ha dei costi, ne soffriamo tutti i caratteri generali, oltre che alcuni specifici della nostra militanza. Partecipiamo della dissoluzione collettivamente e individualmente, con tutte le problematiche che ciò comporta. Ci conviveremo finché non cambieremo la situazione materiale: dovremmo considerarlo e, per così dire, prendere bassa la strada verso l’alto.

Si abbia la responsabilità di aprire il problema e dire che ci confrontiamo per chiarire apertamente, ai militanti attuali e potenziali, ai subalterni della nostra società, alle avanguardie dei popoli in lotta, se i motivi della nostra frammentazione sussistano ancora o meno, e in che misura.

Si abbia la responsabilità di chiarire, alle donne e agli uomini che vorremmo uniti nella lotta, se e in quale misura le differenze che permangono tra i comunisti impediscono loro di lottare insieme, magari su obiettivi parziali, anche e soprattutto entro un fronte di forze più largo (al riguardo, considerate le esperienze, il punto ci pare non di principio, ma tattico: quali obiettivi concreti, quale fronte concreto, a partire da un analisi concreta e realistica delle forze in campo, non dalla nostra immaginazione). Su questo in particolare pensiamo che il contributo di Sorini andrebbe meglio precisato, approfondito, reso meno generico.

Certi limiti all’azione politica della nostra parte, a partire da quella di contrasto alla guerra e alla cobelligeranza dell’Italia (referendum, ma non solo), ritengo siano un allarme rosso che non ci possiamo più permettere.

 

Alcuni temi storici e teorici per l’approfondimento

Sul piano più propriamente storico e teorico, ci limitiamo a indicare qui alcuni temi che a nostro avviso potrebbero far parte di un più complessivo lavoro di approfondimento di un Forum dei comunisti italiani, aperto al dibattito internazionale, su cui ci rendiamo disponibili alla collaborazione:

1) La parola “comunismo” viene adoperata, sia da coloro che discendono dalla 3a Internazionale che dai post-68 (cf. “Il manifesto” che si definisce “quotidiano comunista”) e trotzkisti vari, generando un tremendo malinteso di fondo di cui Rifondazione comunista è stata ed è un chiaro esempio. Nessuno di noi ha dubbi sul fatto che oggi il termine “comunista” è declinato in molti modi diversi, ma comunque osteggiato, e spesso indica, anche restando in Italia, posizioni diverse tra loro su questioni essenziali. Non crediamo che questa consapevolezza sia il caso di molte persone, anche militanti.

2) La questione rivoluzionaria in Italia si è decisa nel ‘44/’45. Dopo la guerra di Liberazione contro Salò e nel quadro definito da Jalta, il PCI ha potuto entrare nel corpo dello Stato in più modi (pensioni, sanità pubblica, amministrazioni locali, governo nazionale escluso), sicché non poteva più essere un partito “rivoluzionario” in senso stretto (conquista del potere); di lì molti altri malintesi, venuti a galla con le pagliacciate sessantottine (manipolate dagli Stati Uniti) e degli anni seguenti.

3) Con la tesi dell’eurocomunismo, il PCI si è allontanato dalla solidarietà con il mondo socialista (considerato come infrequentabile, deludente e persino violento) a favore dell’“ombrello della Nato”, ossia della solidarietà con le autoproclamate “democrazie occidentali”, senza prendere in considerazione le mille violenze attuate da tali “democrazie” (dalla Palestina al Sud America e poi Iraq ecc., la lista è ben nota).

4) La fine del blocco socialista e dell’URSS ha scatenato nei Paesi occidentali un’offensiva anticomunista di enorme aggressività, in Italia facilitata dall’autoscioglimento del PCI, per cui non è sorprendente che non ci siano più le condizioni per un partito di massa e di classe come quello che è esistito in passato.

5) L’unica sponda praticamente possibile, per dei comunisti attivi nei Paesi dell’Occidente imperialista, è data dall’esistenza del gruppo di Paesi “BRICS plus”, i quali cambiano il quadro internazionale rimettendo in discussione l’attuale assetto mondiale; tuttavia, ciò non è fatto in nome del “comunismo”, né del “socialismo” (neanche dalla Cina), ma in nome dell’antimperialismo e perciò non sembra avere un’influenza immediata sui lavoratori italiani.

6) Sul piano teorico, occorre far chiarezza sui termini di “marxismo” e di “leninismo” ed evidenziarle le rispettive peculiarità. Non è un caso se a Marx ed Engels viene concesso un diritto di cittadinanza molto più esteso di Lenin nel mondo della cultura (quello non visceralmente ostile, ovviamente). Si può certo anche parlare di “marxismo-leninismo”, con o senza trattino, per evidenziarne i nessi, ma senza dimenticare che oggi l’accento deve essere posto sul leninismo e la lotta va combattuta per riabilitare complessivamente Lenin e il significato storicamente progressivo dell’esperienza sovietica. Che non è stato un “fallimento”, ma una fase iniziale di un processo di apprendimento in una lunga fase storica di costruzione del socialismo su scala mondiale: una fase che abbraccia secoli, non decenni. L’esperienza cinese, ad esempio, ed i suoi avanzamenti anche qualitativi è al tempo stesso parte integrante e superamento dialettico di alcuni dei limiti emersi in quella dell’Urss, come per primi ammettono oggi, sia i comunisti cinesi che russi. E anche la propaganda volgare sull’Ucraina è oggi possibile perché quasi nessuno conosce davvero i fatti della guerra germano-sovietica, momento fondamentale della Seconda Guerra mondiale e unica causa della sconfitta del nazismo in Europa.

Il tema della distinzione (non già separazione) tra marxismo e leninismo va quindi approfondito, così come quella tra i marxismi nati in Occidente da quelli in Oriente (vedi D. Losurdo).

7) Non legate a una tradizione leninista, ma comunque da tenere in considerazione in maniera critica (ad esempio, il tema della psichiatria), sono le analisi sul capitalismo sviluppate dalla scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse) e Althusser in Francia che hanno sicuramente influenzato, anche in maniera revisionista, il pensiero critico occidentale e le masse in lotta negli Anni 60 da posizioni fortemente antisovietiche.

8) Il PCI di Gramsci e Togliatti è stato probabilmente il più forte partito leninista con caratteristiche di massa in Europa occidentale.

Al momento (in Europa occidentale) non ci sono le condizioni per la rinascita di un’esperienza con quelle peculiarità.

Crediamo però che il leninismo – inteso come teoria della prassi – debba essere portato avanti e quindi riabilitato al fine di ritrovare una forma di unità di intenti da inserire nell’attuale lotta antimperialista (che non sia solo antiliberista, ma che punti al superamento del capitalismo). 

Ma il leninismo, oltre che teoria politica, contiene anche altro come scienza, filosofia e pedagogia.

I leninisti si riconoscono, prima ancora che dalla loro capacità di analisi teorica, dal loro modo di comportarsi: solidarietà, coraggio, sacrificio, empatia. Non moralisticamente intese, bensì come caratteristiche dell’agire politico il cui obiettivo finale è la presa del potere.

Oggi che le nostre vite e le nostre condizioni materiali sono così fortemente influenzate dalle nuove tecnologie, come potrebbe tornare utile a un giovane la conoscenza del leninismo? Potrebbe aiutarlo a dare un senso diverso alla sua vita e ad aspirare a una felicità più autentica di quella propagandata da Netflix?

Se crediamo di sì, allora si dovrebbe ripartire dallo studio del leninismo al fine di tentare di produrre una sorta di libretto (rigoroso, semplice, non semplicistico) accessibile ai milioni di subalterni e sfruttati, segnatamente ai giovani, come fu il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, ma attualizzato al capitalismo di oggi.

9) In quale modo le lotte di classe in Italia sono legate a una dinamica internazionale di tipo nuovo, segnata dalla guerra, dall’emergere dei BRICS plus, dalle spinte nei vari continenti per un sistema multipolare? Se non vogliamo darci risposte propagandistiche, qui abbiamo dei forti limiti nel far emergere le nostre posizioni con chiarezza. E quale costruzione politica può riuscire a far emergere questa coscienza e sostenere la lotta? Con quali compagni di strada? Su quali indirizzi?

Ecco: l’esigenza di un Forum dei comunisti aperto al confronto nasce anche dalla necessità di ritrovare insieme una bussola e qualche risposta.

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Giona
Wednesday, 11 October 2023 15:24
Ci sono diverse ragioni che spiegano la inconsistenza e la frammentazione dei comunisti.

1) Volenti o nolenti dobbiamo ammettere che il comunismo ha subito una sconfitta. Tale sconfitta rende difficile proporre il comunismo come ideologia e orizzonte di lotta politica alle nuove generazioni.
2) Nell'Occidente o Nord globale esiste un dominio ideologico totale del capitale che ha reso senso comune che il comunismo sia un sistema repressivo e inefficiente.
3) Malgrado le crisi, il peggioramento dei rapporti di forza tra le classi e delle condizioni di vita della classe operaia la presa del capitalismo sulle masse è ancora molto forte nell'Occidente.
3) Fra i comunisti l'analisi di ciò che è stata l'Urss e della storia del comunismo novecentesco è molto scarsa e certamente non condivisa. Manca una risposta al senso comune di cui sopra.
4) I comunisti - o meglio quelli che si dichiarano tali - sono frammentati a causa della sconfitta e della mancanza di un pensiero unitario. Manca una ideologia condivisa e l'assunzione degli strumenti del materialismo storico.
5) Questo appare evidente in particolarmente nelle posizioni molto differenziate di chi si definisce comunista su a) l'integrazione europea - alcuni sono per l'uscita dalla Ue e/o dall'euro altri sono per un impegno dentro la Ue e dentro l'euro -; b) sulla Cina (da alcuni giudicata come socialismo, da altri addirittura come imperialismo contrapposto a quello degli Usa c) sulla natura politico-economica dell'Italia (l'Italia è uno stato del centro del capitalismo mondiale o ne è una semiperiferia? E' imperialista o è una colonia degli Usa?).
6) Tutti questi punti sebbene validi un po' in tutto l'Occidente con poche eccezioni (Portogallo, Giappone, dove ci sono Pc relativamente forti) sono ancora più validi in Italia dove il dominio borghese sulla politica e sulla cultura è particolarmente forte e mancano movimenti spontanei di massa (come quelli che si sono visti in Francia).

Dati questi punti, appare piuttosto difficile e velleitario parlare di unità dei comunisti hic et nunc. Quel che c'è da fare è un lavoro di lunga lena di analisi e produzione teorica ed editoriale, che va intrapresa attraverso un dibattito a tutto campo e senza preclusioni ideologiche.
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faber
Sunday, 08 October 2023 10:28
La lotta dei subalterni contro i vincenti doveva finire così perché il sistema capitalista è una piramide di Ponzi: finché i subalterni ne fanno parte integrante, il sistema regge, nonostante i suoi limiti invalicabili e strutturali, interni ed esterni. La causa della sconfitta dei subalterni sono loro stessi, sedotti dall'idea che il sistema Ponzi possa funzionare diversamente da così.
È un disastro ideologico alla cui origine, purtroppo c'è Marx stesso (quello essoterico). Ciò non significa che Marx sia da buttare (come Engels). Il Marx dei Grundrisse aveva colto per primo la contraddizione insanabile del sistema schizzato e perciò la fallacia del marxismo. Non dimentichiamo che Marx stesso, in vita, disse di non essere affatto marxista.
Quanto a Lenin, già alla seconda internazionale, aveva individuato il perché la classe operaia tedesca, proprio come quella europea di oggi, non poteva fare la rivoluzione: era troppo intrisa di mentalità capitalista. Non poteva rovesciare il paradigma di cui era parte essenziale. La rivoluzione anticapitalista poteva venire solo da popoli semi contadini, come quello russo o cinese o i popoli dell’America del sud di oggi (neozapatismo). Da contadini non hanno interiorizzato la follia del mondo moderno, di cui il sistema capitalista è parte essenziale.
La frammentazione del popolo sedicente comunista e la sconfitta al referendum si spiega col fatto che i leader che vogliano porsi a capo del cosiddetto dissenso e tutti i “subalterni” sono strafatti di ideologia capitalista (come tutti i sedicenti marxisti). Si scannano fra di loro per valorizzare e capitalizzare la loro ideologia, immanente al capitalismo. Fanno parte della piramide di Ponzi, senza avere alba del fatto che non è affatto un sistema sano o naturale.
1) La parola “comunismo” vuol dire bene comune ma anche miseria comune. Condizione verso la quale siamo destinati a convergere, felici di non possedere nulla. Il comunismo è qui! Considerate le tesi comuniste su stato, famiglia, proprietà etc. e vi ritrovate le tesi di Davos. I compagni che vi arrivano in jet privati, sono solo la minoranza egemone di Gramsci! Tornando a Lenin, la mentalità comunista è tipica della cultura contadina, distrutta nel sangue dagli obiettivi schizofrenici della valorizzazione del capitale. Parlare di comunismo in una società capitalista fin nel midollo d’ogni suo componente, è una contraddizione in termini.
2) 3) 4) 5) La questione rivoluzionaria in Italia non è mai esistita. Le misure sociali concesse dal capitalismo americanista in Italia, e la stessa esistenza del PCI, servivano a fronteggiare il marxismo. Poi il crollo strutturale del capitalismo fordista negli anni ‘70 è l’inizio della “crisi” della lotta di classe e del PCI. Con il crollo del muro il PCI trasformato era perfetto per transitarci al comunismo della miseria, di cui oggi il PD è paladino. La mentalità è la stessa.
6) A Marx fu concesso un diritto di cittadinanza più esteso di Lenin, perché il marxismo con la sua lotta di classe non è altro che “sana competizione” alla Letta, immanente al capitalismo. Quanto al leninismo come inizio di un lungo processo di apprendimento per un socialismo su scala mondiale, passando per la scuola di pensiero di Francoforte (che oggi distingue tra Marx de il Manifesto e il Marx dei Grundrisse), ci si può incontrare. Basta chiudere col marxismo.
9) In che modo le lotte di classe in Italia sono legate a una dinamica internazionale segnata, dall’emergere dei BRICS, dalle spinte per un sistema multipolare? In nessun modo! La lotta di classe marxista è competizione interna alla piramide capitalista, che sostiene e rinforza il capitalismo stesso. Ovviamente si è esaurita fin dagli anni ‘70. Celebriamone il funerale e studiamo il neozapatismo. È il percorso ideologico del subcomandante Marcos, allineato con Lenin, per gli aspetti che ho richiamato prima.
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