Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Generazione Z e social

di Vittorio Stano

I parte

APERTURA NEWS DEF… Tempora mutantur et nos mutamur in illis

I social media hanno poco meno di 20anni di vita, eppure hanno già rivoluzionato e ribaltato i paradigmi della comunicazione a livello planetario.

L’evoluzione è stata rapida e i cambiamenti radicali, al punto che oggi vivere senza queste piattaforme sembra impensabile.

Internet è diventato il luogo in cui ogni singolo individuo può condividere le proprie idee e conoscenze, postare le proprie foto e depositare le esperienze di vita più o meno rilevanti dentro un database, sapendo che altre persone faranno altrettanto. Il vecchio e caro diario, dove si annotavano i pensieri al fin di ricordare e far chiarezza su ciò che capitava, è stato sostituito dai social network che, attraverso le numerose e sempre nuove funzionalità, sono in grado di creare un vero e proprio diario dell’utente.

È evidente una sostanziale differenza riguardo alla privacy. Il contenuto del diario cartaceo era custodito gelosamente con chiave & lucchetto, per tenere alla larga i curiosi; sui social network, invece, la vita del singolo è sotto gli occhi di tutti.

Neppure l’allora giovanissimo Mark Zuckeberg era a conoscenza della portata rivoluzionaria della sua creazione. L’avvento di Facebook nel 2004 ha cambiato il mondo.

I social network stanno avendo un impatto forte nelle nostre vite attraverso la rete di servizi che consente agli utenti di scambiare messaggi, informazioni e contenuti attraverso i vari canali. Nella società attuale l’utente digitale non è uno spettatore inattivo, ma diventa potenziale produttore di contenuti. Visivamente i social media possono essere immaginati come dei nodi.

Da quel nodo la persona si presenta e si relaziona con gli altri membri della comunità, creando legami indipendentemente dalla distanza geografica o dai tempi di interazione. Ogni piattaforma ha delle caratteristiche e funzioni specifiche che la rendono unica e la distinguono dalle altre, ma, in generale, hanno tutte in comune la qualità di essere gratuite. Questo consente ai fruitori di essere in contatto con la community in maniera semplice, veloce e libera, senza restrizioni. Il valore della libertà viene celebrato nella rete dal momento che ognuno può esprimersi e interagire senza un controllo particolare. I fruitori sono incuranti del fatto che la moneta di scambio siamo noi, o meglio le nostre abitudini e l’infinita mole di dati e relazioni. Così i social network diventano dei portali dove volontariamente inseriamo i nostri dati, sono una vetrina di noi stessi dove la distinzione tra sfera pubblica e privata si annulla. Ma nonostante questo in tutto il mondo i social media continuano a crescere.

Attualmente gli abitanti del pianeta con almeno un profilo social attivo sono oltre 4 miliardi e mezzo (58,4% della popolazione mondiale). A seguito della pandemia il numero è cresciuto più velocemente di quanto non fosse prima, con un tasso globale di quasi 13,5 nuovi utenti al secondo. Anche il tempo trascorso sulle piattaforme è aumentato. A partire dal lockdown del 2020 il tempo medio trascorso sulle piattaforme social è cresciuto attestandosi nel 2021 a 2 ore e 27 minuti al giorno. La pandemia ha premuto l’acceleratore sulla trasformazione del mondo virtuale e il numero di piattaforme che ad oggi può vantare di almeno 1 miliardo di utenti attivo è salito a 6, tre delle quali fanno parte dell’universo Meta. A livello globale le preferite sono Facebook (quasi 3 miliardi di utenti al mese), YouTube (2,5 miliardi), WhatsApp (2 miliardi), Instagram (1,5 miliardi), WeChat (1,1 miliardi), TikTok (nata nel 2016, oggi ha 1 miliardo di utenti). Facebook è la piattaforma più usata e corrisponde al 35% della popolazione del globo (44,9% di sesso femminile e 55,1% di sesso maschile.

Ma cosa spinge le persone a usare i social media? A livello globale sono:

  1. Rimanere in contatto con famiglia e amici;
  2. Riempire il tempo libero;
  3. Leggere nuove storie.

Il popolo italiano va alla ricerca di storie e questo è utile per le aziende e i professionisti che cercano di creare nuove strategie da usare per coinvolgere un pubblico più ampio. Al secondo posto c’è l’importanza del <<restare in contatto>> con amici e familiari. La piattaforma preferita è WhatsApp. Al terzo posto c’è <<riempire il tempo libero>>. Le altre piattaforme utilizzate dagli italiani sono: YouTube, Facebook e TikTok. Alcuni contenuti e funzionalità sono più graditi degli altri. A seconda della generazione di appartenenza è possibile suddividere un profilo specifico di utenti per ogni tipologia di social. La Generazione Z, detta anche Millenials (nati dal 1997 al 2012), è quella che ha attualmente il più alto utilizzo di social media. Ne usufruisce anche per scopi lavorativi. Facebook è il principale social dei Millenial e la maggioranza degli utenti ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, anche se è frequentata da utenti fra i 35 e 65 anni e più.

La generazione dei Baby Boomer (nati dal 1946 al 1964), infatti, pur non spendendo tanto tempo online rispetto alle altre generazioni, sta recuperando il gap tecnologico, acquisendo sempre più familiarità con Facebook per ragioni interpersonali. Se una volta la piattaforma era un hub per ragazzi, secondo studi pi’ recenti i più giovani della generazione Y (nati dal 1981 al 1996) lo ritengono un sociale network antico e sono emigrati su Instagram. Infine TikTok è molto popolare tra i giovanissimi, ovvero la generazione Z.

Gli adolescenti e gli appartenenti alla fascia d’età tra i 18 ei 24 anni trascorrono molto tempo su questa piattaforma e sono soprattutto di sesso femminile 58%, 39% maschi, 2% di persone che non si identificano nei due generi.

Perché TikTok ha tutto questo successo tra i ragazzi e le ragazze della generazione Z? Perché è più creativa. La sua parola d’ordine è creatività. Come noto ogni giovane è in viaggio verso la scoperta di sé e del mondo, quindi è tendenzialmente ben predisposto a riorganizzare in maniera originale le idee e gli elementi a disposizione. TikTok si adatta a un pubblico giovane e dinamico che vuole dare sfogo alla fantasia, dove tutti possono essere creatori ed esibirsi in maniera facile e veloce. … Un aspetto diffuso e famoso su TikTok è rappresentato dai “challenge”, cioè vere e proprie sfide dove le persone si filmano mentre fanno qualcosa di difficile, per poi incoraggiare gli altri membri della community a ripetere le stesse azioni. In generale sono sfide divertenti, talvolta hanno anche un fine benefico. Non sono mancati episodi di challenge pericolose. Tra queste si ricorda la Blackout Challenge, una sfida che è diventata virale tra gli adolescenti, dove si girava un video mentre si tratteneva il respiro il più a lungo possibile, fino a perdere i sensi. A inizio 2022è successo un fatto gravissimo: un bambino di 10 anni ha perso la vita proprio a causa di questo “gioco” crudele. Le challenge di questo tipo rappresentano una zona oscura, inquietante e fanno leva su una massiccia dose di incoscienza, tipica della giovane età del pubblico di TikTok. Per questo è necessario monitorare la navigazione e dotare i più piccoli dei giusti strumenti per un uso responsabile. TikTok si basa su un software di intelligenza artificiale. A seconda della tipologia di contenuti guardati, l’app “impara” cosa ci piace e <<si adatta velocemente ai tuoi gusti>>, man mano che viene utilizzata. Cosa rende questa realtà così popolare? Il divertimento è un punto centrale e anche la capacità di connettere le persone attraverso contenuti virali che vengono trasmessi velocemente. Diventano virali i contenuti che trasmettono emozioni positive o emezioni negative?

Le persone provano curiosità a partire da un senso di privazione. Il segreto non è offrire soluzioni, quanto fare domande, dare degli stimoli che accendano una miccia nel cuore degli utenti. Non esiste una precisa ricetta che fa diffondere un contenuto a macchia d’olio. Gli elementi che devono intersecarsi tra loro sono molti. C’è in questo una buona dose di imprevedibilità. Questo lo sa bene la generazione Z che è abituata a utilizzare i social per scoprire ciò che la circonda.

* * * *

II parte

Fra legami liquidi e nuove comunità

…gli adolescenti dovrebbero godersi la loro età al di fuori di uno schermo e la vita fuori dal telefonino.

…l’essere umano ha bisogno di relazioni che implichino tutti i sensi, che non siano mediate da uno schermo, relazioni che sprigionano calore ed emozioni, perché si sperimenta l’altro in quanto essere umano con i suoi alti e bassi, e non eternamente felice e sorridente come si vede sui social. I ragazzi e le ragazze si trovano a “scrollare” post e video altrui senza provare alcuna emozione, se non indifferenza e noia.

…mettere i sentimenti in parole è un passo fondamentale per poterli elaborare

Il progetto di ricerca Schermi Futuri, realizzato in collaborazione con Ipsos e con la collaborazione scientifica dello psichiatra e scrittore Paolo Crepet, si inserisce all’interno di una visione più ampia dell’uso responsabile delle nuove tecnologie, impegno portato avanti da Unieuro, con il progetto #cuori connessi, a partire dal 2016.

Il libro analizza il tema Generazione Z e social, fra legami liquidi e nuove comunità. L’indagine ha coinvolto 1200 ragazzi tra i 14 e i 19 anni attivi sui principali social (Tik Tok, Instagram, Twich, Facebook, You Tube, Twitter). I temi erano i comportamenti e l’autopercezione di sé. Sono state identificate 8 comunità. Tra le più corpose ci sono quelle degli <<esuberanti spensierati>> (18%) per cui i social sono una naturale continuazione della reale vita sociale; quella dei <<bramosi di ammirazione>> (20%) che vivono prevalentemente al Sud e nelle grandi città come Roma e per i quali l’obiettivo è apparire e quella degli <<audaci per emergere>> (15%). Poi ci sono i <<pacati riflessivi>>, i <<poetico passionali>>, i <<genuini concreti>>, gli <<introversi taciturni>> e infine i <<tenebrosi isolati>> (5%).

Le persone sono molteplici, sono 1-nessuno e 100mila in sé stessi diceva il grande Pirandello. I giovani vanno valutati nella loro multidiversità. Non pensiamoli sempre come degli isolati sociali, che consapevolmente fanno “phubbing” (1) la nuova sindrome che porta a snobbare/trascurare le persone presenti perché concentrati continuamente sul proprio smartphone. È vero, c’è un raggruppamento che pensa solo a questo, ma non sono tutti così.

I bramosi d’ammirazione sono degli insicuri assoluti. Si percepiscono come persone di successo e affascinanti, vogliono essere di tendenza e cercano la fascinazione, puntando sul corpo e modo di essere. Sono social dipendenti, amano avere tanti follower, sono a caccia di like e di commenti alle loro attività. Ogni istante è una messa in scena. Si sentono sempre in vetrina e agiscono, pensano e operano per restarci. Sono dei “Super-Narciso” che si specchiano nei riflessi dei social e dei media. Il look è essenza e in esso si rispecchia tutta l’interiorità dell’attore. Per loro ogni giorno è una messa in scena, è la danza del camaleonte. Le parole che li caratterizzano sono: ammirazione, eccitazione e invidia.

Gli introversi taciturni (14%) si percepiscono come persone solitarie a cui piace stare con sé stessi. Vogliono apparire come riservati, un po’ misteriosi. Si mostrano come persone un po’ schive, che non amano parlare molto, ma che osservano e scrutano gli altri oltre che sé stessi. Apparentemente timidi, scavano costantemente dentro di sé per ascoltarsi, per cogliere i loro dialoghi interiori. Lo sguardo verso il mondo è disincantato, non amano la folla, i rumori, le troppe parole. Riservatezza e mistero sono due lati di una messa in scena di sé, per mostrare la propria differenza e la propria capacità di controllo. Di autocontrollo. Narcisisti tristi, vivono il presente come espressione del proprio io interiore, cercando gratificazioni per il proprio senso intimo, senza sperare in forme di piacere o di riconoscimento sociale. Il loro atteggiamento è di estraneità a ogni possibile forma di coinvolgimento, di associazione intensa con gli altri. I social forniscono loro un senso di protezione, di distanza dal resto del mondo e degli altri, che garantisce una certa sicurezza, che dona un senso di salvaguardia di sé. Il rapporto con i social è ossimorico, ne avvertono il peso, la fatica dell’esporsi. Le parole che li caratterizzano: ansia, nostalgia, inadeguatezza, disgusto. Tra di loro vi è la quota maggiore di adolescenti che hanno iniziato ad utilizzare i social prima dei 14 anni (76%). Utilizzano i social più della media. Più degli altri tendono a tenere nascosta ai genitori la loro iscrizione ai social. Utilizzano più della media TikTok (più di 6 ore al giorno), YouTube (più di 6 ore al giorno) e meno Facebook (meno di 1 ora al giorno). Per gli introversi taciturni, i social network sono un modo per passare il tempo guardando video e sono poco interessati al mondo social, in generale: non ritengono importante fare mostra di sé facendo vedere che si fanno le stesse cose dei propri amici o essere popolari avendo tanti follower, tanti like o visualizzazioni ai propri post. Attraverso l’uso dei social, gli introversi taciturni mantengono la propria riservatezza, il proprio lato solitario e profondo, ma cercano anche di apparire pensierosi, calmi ed emotivi. Più che per gli altri, le ore passate sui social generano in loro nostalgia, tristezza, rabbia, confusione e delusione e, dopo diverse ore passate sui social network, si sentono soli e tristi. Se ci fosse un blackout per un giorno di tutti i social network, si sentirebbero liberati da un peso più della media. Sui social network nonostante sperimentino più sentimenti negativi rispetto ai coetanei, credono di essere persone migliori, più sicuri, al riparo dai pregiudizi e sereni. Raramente si sono sentiti derisi o offesi online dai coetanei, mentre nel mondo reale sono più soli e tristi. Rispetto alla media, sono di più gli introversi taciturni che non percepiscono differenze tra mondo reale e mondo virtuale. Raramente, o mai, si sono sentiti derisi o offesi dai coetanei sui social network, o è capitato loro di instaurare una relazione sui social con una persona che è sparita nel nulla.

I tenebrosi isolati. Sono i ragazzi e le ragazze che si sentono cupi, estranei alla società e si rappresentano come tali, mettendo in mostra la propria lontananza e il mondo grigio e fosco in cui avvertono di vivere. I tenebrosi isolati mettono in scena un rituale autogestito che punta alla somiglianza esteriore con quella interiore, una raffigurazione dell’essenza triste del proprio essere. Si creano rituali e proibizioni autogestite che determinano i comportamenti. La realtà è complessa e loro non reggono il passo e non riescono a sentirsi inseriti. La società dei consumi e dell’immagine con i suoi valori del piacere e dell’edonismo, fa sentire queste persone come straniere. Il mostrarsi cupi è un modo per liberarsi delle regole sociali, creando per sé stessi un modo di essere, con i propri rituali e una propria morale. La caratteristica di tenebrosi diviene così un contenitore, con significati ad uso privato, che consentono di tenere insieme il senso di dissoluzione della realtà e di frantumazione del proprio io di fronte agli imperativi della società dei consumi. Angeli e demoni allo stesso tempo.

I social per loro sono un modo per uscire dal silenzio, mostrarsi senza mostrarsi, esserci senza esserci. Le parole che li caratterizzano: rabbia, delusione, confusione. Rispetto alla media sono i più grandi tra i 17 e i 19 anni, prevalentemente ragazze (54%). Tra i tenebrosi isolati (insieme agli introversi taciturni) si concentrano gli adolescenti che non si riconoscono in nessun genere o non hanno ancora deciso a quale genere appartenere. Rispetto ad altre community sono i più cupi e si descrivono come persone riservate, riflessive, solitarie, calme e profonde. Hanno una vita sociale e ricreativa poco attiva rispetto ai coetanei: sono quelli che trascorrono meno tempo con gli amici, con la famiglia, praticando sport, ascoltando musica, guardando film in TV o su piattaforme streaming, leggendo. Tra i tenebrosi isolati c’è la quota maggiore di adolescenti che hanno iniziato a usare i social tra i 6 e i 10 anni. Sono gli utilizzatori più intensi di social la mattina e la notte. Traggono più soddisfazione, rispetto ai coetanei, dal raccontare le proprie emozioni. I social li fanno sentire parte di un gruppo. Non si perdono cosa fanno i propri amici, fanno vedere a loro che fanno le stesse cose, postano subito quello che stanno facendo, vogliono ricevere tanti, tanti like e visualizzazioni. Cercano di mantenere la propria immagine cupa, riservata, calma e solitaria ma anche apparire pensierosi, emotivi e idealisti. I tenebrosi isolati sono quelli che provano le emozioni più variegate stando sui social, emozioni soprattutto negative che si ripercuotono anche su come i sentono dopo aver passato molte ore sui social: irrequieti, insicuri, gelosi, tristi, soli. La loro insicurezza si traduce anche in una maggiore tendenza, rispetto ai coetanei, a fare paragoni tra il loro aspetto fisico e quello degli altri online. I tenebrosi isolati sono maggiormente dipendenti dai social: se non possono controllare le notifiche degli amici, si arrabbiano, si sentono ansiosi, disprezzano chi glielo impedisce, sono disgustati, ma si sentono anche più liberi. Se un giorno i social non funzionassero, sarebbero più spaesati, nervosi, soli, ma anche liberi da un peso.

Vita reale e vita virtuale. I tenebrosi isolati percepiscono i social come un contesto che li aiuta ad esprimere le proprie emozioni e che li rendono una persona migliore, si sentono più liberi, più sicuri, hanno più amici, sono più sereni e sinceri. Nella vita reale sono più soli, tristi, annoiati anche se, essendo meno sinceri, si sentono meno esposti ai pregiudizi. Molti adolescenti di questa community ritengono che non vi sia differenza tra vita virtuale e vita reale, con riferimento alla propria rete amicale e alla ricchezza della vita sociale. Tra gli adolescenti sono i più soggetti a offese e derisioni e che più frequentemente vengono illusi da relazioni online con persone che poi spariscono nel nulla.

 

VIGILANZA, ATTENZIONE, SUGGERIMENTI

Il tema della salute mentale nella Generazione Z è un argomento da non sottovalutare. I giovani tendono a sentirsi sempre più inadeguati e sotto pressione. La pandemia è stata un enorme detonatore del disagio psicologico giovanile. Una nota psicologa canadese ha analizzato i dati di oltre 80mila adolescenti durante la pandemia e osservato che oggi il 20% ha sintomi d’ansia. Ci ha reso noto, inoltre, che negli anni precedenti era in media il 10% circa. Di certo la Generazione Z ha dovuto affrontare le diverse crisi nella fase chiave della propria vita, risultando nel complesso più stressata rispetto alle generazioni precedenti. Cambiamento climatico, disoccupazione, sfiducia verso il sistema politico e pandemico hanno contribuito alla diffusione di problematiche relative al benessere psicologico degli individui. Anche la tecnologia gioca un ruolo importante. Crescere in un mondo iperconnesso ha amplificato i sentimenti di isolamento e solitudine e anche la sensazione o la vergogna di non essere all’altezza di uno standard. Sempre più influencer e personaggi del mondo dello spettacolo descrivono le interrelazioni tra i disturbi mentali e l’uso frequente delle piatteforme. Alcuni decidono di allontanarsene proprio perché comprendono i rischi e i danni che il web presenta. Staccare la spina dal mondo virtuale per qualche tempo può essere, infatti, un modo per preservare il proprio benessere individuale. Gli adolescenti dovrebbero godersi la loro età al di fuori di uno schermo e la vita fuori dal telefonino. La ricerca Schermi Futuri ha colto una nuova maturità e consapevolezza da parte dei giovani che non considerano i social media un bene o un male a priori, ma un mezzo la cui funzione è neutra e adattabile agli utilizzi concreti di ciascun individuo.

L’indagine ha mostrato diversi aspetti di vulnerabilità riassumibili in 4 aree di vigilanza/attenzione:

  1. Immagine corporea
  2. Dipendenza dai social: emozioni negative e FOMO (2)
  3. Noia e solitudine: differenza tra vita reale e vita sui social
  4. Cambiamento della comunicazione e nelle relazioni: ghosting (3) e cyberbullismo (4)

Molti appartenenti alla Generazione Z hanno un’immagine distorta del proprio corpo a causa del confronto con standard non realistici. Nell’età dell’adolescenza l’immagine corporea ha un ruolo importante. La soddisfazione o l’insoddisfazione per il proprio fisico è strettamente collegata all’identità e all’autostima. Una persona che ha un’immagine corporea negativa ha anche un’autostima inferiore rispetto a chi è soddisfatto del proprio corpo. Le vetrine social, attraverso i like ricevuti e le visualizzazioni vanno a condizionare l’umore, l’autostima e la percezione del proprio corpo. I problemi di immagine corporea possono generare anche sentimenti d’inadeguatezza e possono sfociare in disturbi alimentari, depressione e ansia sociale. I genitori e gli insegnanti hanno la responsabilità di tenere conto come i giovani d’oggi siano sottoposti sin dalla più tenera età alla pressione di modelli sociali che creano una sorta di ossessione per l’aspetto esteriore. Il compito è di prevenire e, soprattutto, cogliere quei segnali e quelle preoccupazioni che spesso passano inosservati, offrendo ai ragazzi strumenti di sostegno utili. Allo stesso tempo si nota una maggiore consapevolezza della Generazione Z che si esprime nella ricerca dell’autenticità, piuttosto che della bellezza fittizia. TikTok è divenuto una cassa di risonanza per video e messaggi di accettazione con l’hashtag <<body positivity>>. La <<dipendenza>> da social media somiglia alle dipendenze da sostanze chimiche. Sono presenti sintomi come la tolleranza, ovvero la necessità di trascorrere un tempo sempre maggiore sulle piattaforme per ottenere lo stesso livello di soddisfacimento, il craving (5), cioè il desiderio incontenibile di controllare le notifiche che sono l’oggetto della gratificazione dell’utente e, infine, l’astinenza causata dall’impossibilità di usare i social media. Uno degli effetti del sovraconsumo digitale è l’insoddisfazione che deriva dalla percezione di non aver speso il nostro tempo nel modo in cui avremmo voluto e di aver trascurato altre attività più importanti. Uno dei nuovi volti della dipendenza da social è la FOMO (Fear Of Missing Out). La paura di essere esclusi o di non partecipare a un’esperienza piacevole che coinvolge amici o conoscenti. La sensazione principale è quella che gli altri conducano una vita migliore della propria e gli elementi caratterizzanti sono: l’ansia relativa al perdersi esperienze piacevoli e il controllo complessivo dei social media. Il timore di essere esclusi è fisiologico in età adolescenziale, ma quando l’individuo perde il senso della realtà e si basa sull’interpretazione dei contenuti sui social media, la sensazione di non aver fatto la scelta migliore può portare a vissuti d’angoscia e d’inadeguatezza che minano la propria condizione. I dati sono preoccupanti. Il bisogno di essere sempre connessi può innescare il paradosso: la solitudine. L’uso prolungato di questi strumenti porta all’isolamento. La solitudine è associata al ritiro sociale, molto comune tra gli adolescenti. Questo è un dramma che colpisce soprattutto la fascia d’età 15-17 anni. Ci sono giovani che non si sentono a proprio agio con gli amici e si isolano, c’è chi non si presenta a scuola quando c’è un’interrogazione e chi fa fatica a uscire dalla sua cameretta. Questo accade perché i contesti sociali reali nei quali gli adolescenti imparano ad autoregolare le proprie emozioni sono diminuiti provocando un abbassamento della soglia di sopportazione e frustrazione. Quando si estraniano dalla realtà e si tuffano sui dispositivi, si stanno a tutti gli effetti ritirando in un mondo che non è quello che li circonda. La tecnologia digitale ci mette in pausa. Siamo sempre più incapaci di restare soli, cerchiamo di riempire i momenti vuoti con la connessione, contribuendo a costruire il nostro isolamento.

L’essere umano ha bisogno di relazioni che implichino tutti i sensi, che non siano mediate da uno schermo, relazioni che sprigionano calore ed emozioni, perché si sperimenta l’altro in quanto essere umano con i suoi alti e bassi, e non eternamente felice e sorridente come si vede sui social. I ragazzi e le ragazze si trovano a “scrollare” post e video altrui senza provare alcuna emozione, se non indifferenza e noia.

Il tempo trascorso online dalla Generazione Z ha raggiunto il picco all’inizio del 2020, a causa delle numerose chiusure in tutto il mondo, ma da allora è in calo. Questo dato non deve indurre a ritenere che il quadro sia soddisfacente. Con la GZ (6) i modelli comunicativi e relazionali sono cambiati. Il ghosting e il cyberbullismo sono molto frequenti. A quasi 4 adolescenti su 10 è capitato che il partner di una relazione sparisse nel nulla e 1 adolescente su 2 è stato vittima di offese o prese in giro da parte di coetanei sui social. Questo dato, estremamente alto porta a un comportamento opposto: la rabbia. L’incremento di queste condotte è stato causato da dalle nuove modalità di comunicazione che si sono sviluppate in rete. Il ghosting è un comportamento omissivo e vile che porta nella vittima all’acuirsi della disistima. Lo stesso vale per le violenze. L’anonimato digitale aumenta il cyberbullismo perché permette ai bulli di sentirsi più liberi di agire, in quanto protetti da uno schermo. Gli adulti dovrebbero vigilare con attenzione per evitare l’espansione “virale” delle informazioni. Tutte le figure che hanno un ruolo, genitori e insegnanti, hanno il compito di intervenire con azioni energiche di prevenzione su questo tema.

 

POSSIBILI SUPPORTI PSICO-EDUCATIVI ALLA GZ

La ricerca “Schermi Futuri” è un tassello di grande valore per genitori, educatori e, in generale, gli adulti che tessono relazioni con i giovani d’oggi. La mancata volontà d’intervenire crea incomprensioni, errori di comunicazione e scoraggiamento reciproco. Da sempre la dialettica individuo-famiglia-scuola ha consentito di sorreggersi reciprocamente, ma negli ultimi decenni sia la famiglia sia la scuola si sono dimostrate sempre meno capaci di supporto all’adolescenza. Tra individuo e famiglia-scuola, le tecnologie digitali hanno trovato un terreno fertile di sviluppo e di diffusione. Isolamento e dipendenza per l’uso dei social media sono tra i sentimenti più protagonisti e rappresentativi nella GZ in questa fase. La domanda che si pone l’indagine è: cosa possono fare le agenzie di supporto per contrastare questi fenomeni? Innanzitutto devono prendere coscienza di quanto sta accadendo, conoscere meglio la realtà che riguarda il rapporto tra GZ e digitalizzazione.

La scuola, in quanto istituzione dedicata all’istruzione-educazione ha il dovere di rimanere aggiornata e di utilizzare il web come risorsa per trasmettere le competenze digitali agli studenti, ad es.: l’uso dei motori di ricerca. È utile distinguere tra l’uso di questi e quello dei social media: i primi non causano dipendenza e possono aiutare la qualità della didattica. Inoltre è necessario che svolga il suo ruolo anche nell’educazione ad un uso responsabile e rispettoso della tecnologia. Quando sentiamo un fatto di cronaca correlato ai social media, non serve a nulla “la caccia al responsabile”, rintracciare il colpevole, ma bisogna focalizzarsi sulla formazione dei giovani alla vita virtuale, con i suoi pregi, ma anche con i suoi lati oscuri e pericolosi. Gli studenti dovrebbero approfondire le tematiche durante i momenti di Educazione digitale. In questi frangenti dovrebbero apprendere come evitare di stare troppo tempo online. Fare prevenzione significa programmare incontri con esperti, istituire percorsi di sensibilizzazione a scuola da parte di personale qualificato per risvegliare l’interesse educativo della scuola su queste tematiche. E ancora: i dati dimostrano un incremento dei livelli di distrazione degli alunni a causa dell’utilizzo eccessivo e improprio dei dispositivi digitali. In classe si sta per imparare, quindi i cellulari devono rimanere spenti. In altri paesi europei, ad es. la Germania (…e già da 20anni circa!) i cellulari devono essere spenti. Se mostrato in classe, il docente è tenuto a sequestrarlo e a consegnarlo in segreteria. Il cellulare va restituito al genitore (o chi ne fa le veci) dopo un colloquio con il dirigente scolastico. In caso di recidiva scatta una multa di 20€. Un obiettivo facile da raggiungere. Ma per raggiungere risultati significativi è d’obbligo far entrare in gioco la famiglia. I genitori per primi hanno bisogno di conoscere le piattaforme per poter insegnare ai propri figli come usare in modo consapevole e critico le piattaforme. È la carenza d’informazioni riguardanti il digitale da parte degli adulti e nella consapevolezza delle influenze che questa può avere nelle vite degli adolescenti. Il divario è spesso ampio e i ragazzi vengono lasciati navigare per quanto tempo vogliono senza regole precise. La challenge (7) “cicatrice francese” è solo una delle recenti sfide lanciate da TikTok che conferma la difficoltà educativa dei genitori. Il comportamento è pari all’autolesionismo e il pericolo maggiore è quello di sottovalutare i segnali e i sintomi di fragilità lanciati dai ragazzi e il potenziale di anomia (8) che ne deriva.

I GENITORI DI OGGI sono troppo presi da loro stessi, passano molto tempo fuori casa (per lavoro, ecc….) e poi, travolti dai sensi di colpa per non essere presenti con i figli, evitano di dire di no e sono molto accondiscendenti nelle richieste. Questi adolescenti diventano così dei “principini” cui tutto è concesso. Dare delle regole costa fatica e, purtroppo , molti genitori barattano una buona educazione con la comodità, non consapevoli degli effetti deleteri della deresponsabilizzazione dei figli. I 40 -45enni di oggi sono nati in una fase in cui di tecnologia digitale c’era quasi nulla. Per la prima volta, oggi, i genitori fanno le stesse cose che fanno i figli: usano le chat, si mettono in posa sui social. Questa <<fratellizzazione genitoriale>> non è mai successa nella storia dell’Umanità. Arrivano a geolocalizzare i figli: patologia pura. Padri e madri non devono mai stare sullo stesso piano dei figli: i genitori sono “capitani”, loro ragazzi! I genitori devono dare il buon esempio e, per farlo, hanno bisogno di essere consapevoli di come i giovani si approccino al digitale. Loro devono spiegare ai figli come funziona la rete e imporre delle regole chiare e precise sui tempi di utilizzo. Oggi ci sono le chat dell’intelligenza artificiale, che stanno cambiando, in peggio, una generazione… e domani con i visori, quale impatto avrà sui giovani se non si stabiliscono oggi chiare regole sull’utilizzo? Per svolgere al meglio la funzione genitoriale, gli adulti devono mettere nel loro bagaglio gli strumenti informativi necessari. Alcune buone pratiche da seguire sono: non permettere l’uso dei cellulari durante l’orario dei pasti o prima di andare a letto, concordare il tempo giornaliero da dedicare alla navigazione, informarli e discutere insieme sulle minacce della rete. I genitori devono invogliare i figli a praticare attivamente uno sport. Nell’attività fisica si comunica, si impara una disciplina, si apprendono valori come il sacrificio e la costanza. Inoltre lo sport è un potente metodo per contrastare depressione, ansia e stress. Chi dipende dai social ha perso l’abitudine a percepire il proprio corpo e questo causa un ritiro sociale e lo scarso allenamento a tollerare gli scambi dal vivo. È da molti anni che psicologi e psichiatri avvisano sulla correlazione tra la rinuncia a praticare un’attività fisica e la << dipendenza>> dai social. I ricercatori di Schermi Futuri con questo progetto hanno trovato correlazioni tra l’uso delle piattaforme online e la sofferenza che affligge una parte dei giovani della GZ. I social media fanno parte integrante della realtà e, se vogliamo comprendere a fondo il disagio di questa generazione, è essenziale esplorare come il loro utilizzo influenzi lo sviluppo personale ed emotivo dei giovani. Ma i social media non sono il male assoluto. Demonizzarli è stupido oltre a non essere la soluzione. Usati in modo corretto possono avere un notevole potenziale legato alla connessione immediata e all’accesso alle informazioni. Queste opportunità comportano dei rischi; è importante, quindi, riflettere su quali pratiche si possano adottare per educare i giovani ad un utilizzo responsabile di questi strumenti.

Il governo, le aziende, le scuole e le famiglie sono chiamati a sviluppare delle indicazioni e buone pratiche per contrastare i fenomeni qui analizzati. Rendere la dimensione online un luogo più civile e sicuro è un’urgenza che necessita di una legislazione aggiornata a livello italiano ed europeo. Poter perseguire i reati sul web legati a cyberbullismo e cybersecurity è una priorità.

Alcune buone pratiche includono:

  1. Campagne di sensibilizzazione sui benefici e sui rischi dei social media e su come usarli in modo sicuro e responsabile.
  2. Regolamentazione dei social media. I governi europei e nazionali devono regolamentare i social media che richiedono alle piattaforme di fornire strumenti di controllo parentale per impedire ai minori di accedere a contenuti inappropriati o dannosi. Introdurre leggi che obblighino le piattaforme a fornire agli utenti informazioni chiare sulla privacy e di utilizzo dei dati. Incrementare le esperienze “digital free” nelle scuole con studi che dimostrino gli effetti dell’allargamento del tempo di sospensione degli strumenti digitali durante l’orario di lezione, in termini di capacità cognitive, in particolare, memoria, attenzione, concentrazione, capacità empatiche.
  3. Comunicazione aziendale. Le aziende e i brand hanno una grande responsabilità sociale e devono essere attente a come comunicano. Le aziende che agiscono nel business digitale devono intrecciarsi con enti di formazione, scuole e famiglie così possono acquisire maggior autorevolezza sociale. L’autenticità unitamente al mantenere un approccio umano, risulta essenziale.

 

FORMAZIONE RELATIVA ALLA SALUTE MENTALE

Le scuole devono fornire programmi di formazione sulla salute mentale e sui pericoli dell’uso eccessivo dei social media. Questo può includere la divulgazione di informazioni, nonché la promozione di risorse e servizi di supporto per coloro che hanno bisogno d’aiuto. La scuola è un’agenzia formativa ma anche luogo di ricerca permanente sull’evoluzione in atto nell’interazione individuo-tecnologie digitali. Questo è l’obiettivo primario con le prime applicazioni dell’Intelligenza Artificiale e delle chat ad esse collegate.

Infine, Schermi Futuri propone un decalogo come una sorta di “termometro emotivo” con il quale l’area bianca di attenzione corrisponde al punto n.1 e l’area rossa, più critica arriva al n.10.

  1. Consapevolezza nell’uso dei social media: gli adulti hanno il compito di indicare alle nuove generazioni il modo più funzionale e sicuro di utilizzare i social media. La rete è un luogo dove esistono regole precise e non tutto è concesso. È fondamentale spiegare che bisogna tenere distinte le funzionalità legate alla ricerca attraverso i motori (Google, YouTube, ecc…) da quello dei social media. È essenziale che ogni famiglia adotti un accordo sugli orari di utilizzo delle tecnologie digitali.
  2. Privacy e condivisione di dati: offrire ai giovani gli strumenti per capire cosa succede alle informazioni quando vengono pubblicate online e come tutelarsi. È necessario assicurarsi che vengano rispettati i limiti d’età delle piattaforme.
  3. Controllo dei contenuti e delle sfide (challenge) che girano in rete. Accertarsi che le nuove generazioni abbiano chiaro quali siano i rischi collegati a certe “challenge” online, che possono indurli a compiere azioni pericolose per sé stessi. Gli adulti devono essere consapevoli che esiste anche un uso “violento” dei social fatto di fenomeni come cyberbullismo, sexting (9), body shaming (10), sextortion (11). Solo così possono aiutare le vittime ad uscirne, a parlarne e far sì che gli aggressori ricevano le giuste condanne.
  4. Contrastare solitudine e noia. Bisogna impostare un dialogo aperto che non demonizzi le tecnologie e far comprendere le straordinarie potenzialità e opportunità alla portata di tutti.
  5. Controllo dei tempi di utilizzo dei social media: abusare delle piattaforme digitali genera forme di <<dipendenza>> e di distacco rispetto al mondo circostante. Gli adulti possono seguire alcuni accorgimenti per limitare l’utilizzo quotidiano dello smartphone:
  1. Assicurarsi che sia lontano o in modalità “non disturbare” durante i momenti di studio per consentire la concentrazione;
  2. Non permettere l’uso del cellulare a tavola;
  3. Impostare un timer con una soglia massima di tempo da dedicare ai social;
  4. Monitorare gli stati d’animo dei ragazzi. Emozioni negative come irritabilità e ansia o disturbi del sonno sono indicatori di <<dipendenza>>.
  1. Offrire sostegno emotivo in caso di <<ghosting>>, la sparizione dell’altro all’interno di una relazione. Gli adulti devono stimolare i ragazzi a parlare dell’accaduto. Le vittime spesso si sentono colpevoli, abbandonate e provano vergogna. Mettere i sentimenti in parole è un passo fondamentale per poterli elaborare.
  2. Autostima e immagine corporea: le nuove generazioni modificano la propria percezione in base alle immagini che incrociano in rete e questo ha un potente effetto sull’autostima. Un approccio integrato tra scuola, genitori e professionisti dello sport può riuscire a contrastare le dinamiche che portano i giovani a rientrare in certi canoni estetici per essere accettati.
  3. Allarme “hikikomori” (12): gli adulti devono essere attenti ai campanelli d’allarme quali il rifiuto della scuola e la difficoltà del ragazzo a instaurare relazioni nel mondo reale. Quando i ragazzi tendono a non voler uscire dalla propria camera e rifiutare ogni occasione sociale, significa che si è superata una linea di guardia di rischio psicologico e occorre intervenire.
  4. Contrastare il fenomeno del cyberbullismo: le conseguenze di messaggi aggressivi e umilianti, creano un dolore profondo. Bisogna spiegare ai ragazzi come agire in questi casi. Bisogna conservare le prove per consegnarle a persone adulte di fiducia o ai servizi di supporto psico-sociale.
  5. Monitorare gli stati d’animo della community dei tenebrosi isolati. Questi adolescenti provano emozioni negative, soprattutto, dopo un uso prolungato dei social media. Occorre sensibilizzare i giovani ai temi della salute mentale e offrire loro supporti pratici. È importante farli uscire da questo isolamento autoindotto attraverso l’attivazione di gruppi, sia in orario scolastico sia in orario pomeridiano.
NOTE
1. phubbing: neologismo inglese, phone+snubbing. Di fatto una sorta di isolamento sociale.
2. FOMO: Fear Of Missing Out =paura di essere esclusi. Indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno altre persone e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contatti sociali gratificanti
3. ghosting: diventare un fantasma. Comportamento di chi decide di interrompere bruscamente e senza spiegazione una relazione sentimentale o di amicizia.
4. cyberbullismo: è la manifestazione in Rete di un fenomeno più ampio e meglio conosciuto come bullismo. È caratterizzato da azioni violente e intimidatorie esercitate da un bullo, o un gruppo di bulli, su una vittima
5. craving: desiderio improvviso e incontrollabile di assumere una sostanza psicoattiva (droga, alcool) o un particolare alimento; brama. Desiderio incontenibile di controllare le notifiche, oggetto della gratificazione dell’utente.
6. GZ: Generazione Z
7. challenge: sfida. Con l’espressione “challenge online” si indicano contenuti diventati virali in Rete nei quali una o più persone si mettono alla prova di una particolare attività, invitando spesso altri utenti a fare lo stesso.
8. anomia: assenza della regola – della legge.
9. sexting: sex+texting, indica l’invio di messaggi, testi, video e/o immagini sessualmente espliciti, tramite telefono cellulare o tramite internet.
10. body shaming: derisione del corpo; atto di deridere e/o discriminare una persona per il suo aspetto fisico.
11. sextortion: estorsione sessuale, forma di ricatto online che utilizza materiale sessualmente esplicito.
12. hikikomori: stare in disparte, staccarsi; dal giapponese hiku=tirare e komoru=ritirarsi, chiudersi. Un hikikomori è una persona che ha scelto di scappare fisicamente dalla vita sociale spesso ricorrendo a livelli estremi di isolamento e confinamento.

Add comment

Submit