Il tassello mancante
La collaborazione tra sionismo e nazismo
di Pietro Terzan
Esistono innumerevoli studi sul nazismo, sulla ricerca imperialista del suo spazio vitale e sulle teorie razziste che hanno portato come estrema conseguenza alla soluzione finale del “problema” ebraico. Molti di questi studi tendono a semplificare la realtà storica, utilizzando categorie della psicopatologia per spiegare le atrocità del nazifascismo, mettendo così in luce arbitrarie convergenze e affinità elettive con chi la croce uncinata l’ha sconfitta e spezzata, con chi era il vero nemico del nazionalsocialismo sin dai tempi del Mein Kampf. La storia viene dunque utilizzata e plasmata dall’attuale potere politico capitalista e neoliberista, viene revisionata, oscurando il profondo legame del nazismo con le insanguinate radici colonialiste europee, con l’imperialismo inglese, con le pratiche genocide e schiaviste della white supremacy nordamericana sui neri e i nativi americani. Non solo: le democrazie occidentali, con una serie di colpi di spugna e riscritture fantascientifiche, diventano le uniche paladine della libertà e della giustizia; contro ogni dittatura, hanno vinto la Seconda guerra mondiale e liberato da sole i campi di concentramento.1
In questa narrazione dominante, che di postmoderno ha veramente poco, a un vaglio critico preciso e a un’analisi dettagliata delle fonti, spuntano un po’ ovunque una serie di cortocircuiti, dubbi e ragionamenti che non tornano. In questo ennesimo periodo di barbarie guerrafondaia torna nuovamente attuale l’interrogativo comune: com’è possibile che gli eredi della Shoah, le vittime del più grande crimine contro l’umanità, compiano un vero e proprio genocidio manifesto? Come è possibile un rovesciamento così plateale dei ruoli? Nonostante tutto quello che ci hanno insegnato a scuola sulla memoria, nonostante il flusso di informazioni a disposizione, di bombardamento a tappeto di spiegazioni “dell’unica democrazia del Medio Oriente”, il primo impatto per chi affronta seriamente la tragedia del popolo palestinese non può essere che di spaesamento e incertezza.
La brutalità a cui solidali ma impotenti siamo costretti ad assistere da più di 75 anni può invece essere spiegata. Siamo di fronte a un tentativo quasi secolare di colonialismo d’insediamento. Un tassello fondamentale, un pezzo del puzzle scientificamente censurato, può far comprendere maggiormente al mondo e a chi vuole vedere e non vuole rimanere indifferente girandosi dall’altra parte, il perché della questione palestinese. Il punto fondamentale, difficilmente reperibile anche agli specialisti, data l’egemonia culturale e il monopolio dei mezzi di informazione, sono le relazioni storiche intercorse tra il movimento sionista e la Germania nazista. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il negazionismo e l’antisemitismo… Purtroppo non c’è stata antitesi, come generalmente si pensa, ma plurime connessioni. Il testo imprescindibile per riscavare in questa scivolosa miniera è lo scritto del 1978 dello studioso anglo-arabo Faris Yahia, tradotto in italiano solamente nel 2008 dalla Città del Sole: Relazioni pericolose: il movimento sionista e la Germania nazista. Il fine di questa opera era quello di “aprire una breccia nel mito - ideologico per definizione – che presenta il sionismo come un movimento e un’ideologia antitetici all’antisemitismo.” Infatti è su questo mito, percepito come un dato di fatto naturale, che si basa la legittimazione morale dello Stato d’Israele di essere l’erede e il rappresentante degli ebrei sterminati dal nazismo, appropriandosi così in maniera univoca della memoria dello sterminio. I nazisti dunque hanno eliminato i futuri cittadini israeliani e Israele ha accolto i sopravvissuti. Ma è andata veramente in questo modo?
“Se è vero che Israele ha accolto alcune centinaia di migliaia di ebrei sopravvissuti (circa 1/5 della popolazione dello Stato nei primi anni dopo la sua nascita) le cifre mostrano che solo l’8,5% dei 2.562.000 ebrei che tra il 1935 e il 1943 scamparono alle grinfie di Hitler e dei suoi carnefici si rifugiò in Palestina, mentre la stragrande maggioranza trovò riparo in Unione Sovietica (il 75,3%), e in misura assai minore negli Stati Uniti (il 6,6%) e in Gran Bretagna (l’1,9%).”2
Perché arrogarsi il diritto di parlare in nome di milioni di morti? È assodato che la stragrande maggioranza di queste persone non fossero sioniste e che, nonostante il periodo di terribili persecuzioni, non siano fuggite in Palestina. Immediatamente dopo la fine delle ostilità, le autorità sioniste e poi lo Stato d’Israele iniziarono a richiedere con insistenza il riconoscimento di essere gli unici rappresentati, gli unici custodi, dell’eredità giuridica e politica delle vittime dell’Olocausto. Non solo per una questione economica, ma soprattutto per essere d’ora in poi moralmente inattaccabili. Il pregio della ricerca di Yahia consiste nel demolire le fondamenta del mito secondo cui il sionismo fu un nemico ostinato del nazismo. Patti, compromessi e accordi con i nazisti furono fatti dai più vari schieramenti politici, ma forse nessun rapporto di collaborazione fu così lungo e continuativo come quello tra sionismo e nazismo. Soprattutto perché fu un collaborazionismo, non esplicito e orgoglioso, ma così subdolo e strisciante che fu facilmente capovolto in antitesi e lotta fino alla morte. Non è evidentemente un caso che sul web questo saggio sia irreperibile e che nella mia provincia lo abbia trovato, grazie al consiglio di un amico, in un’unica biblioteca. Il primo pregio di questa ricerca sta nell’apposito uso di fonti esclusivamente ebraiche, data la delicatezza del problema e visto che ogni critica dalla Nakba in poi è stata respinta e gettata al mittente con lo scudo dell’antisemitismo. Non ci stancheremo mai di ribadirlo: sionismo ed ebraismo sono diversi, non potrà mai esserci equivalenza tra i due termini.
Che cosa è dunque il sionismo?3 Alla base troviamo certamente l’idea che gli ebrei siano un popolo eletto e che abbiano un destino manifesto, che debbano ritrovare il proprio stato-nazione, separato etnicamente e culturalmente dagli altri, facendo convogliare nel territorio prescelto, nella terra santa, tutti gli ebrei sparsi nei quattro angoli del mondo. Il popolo ebraico non è dunque accomunato dalla religione, ma dall’essere una nazione. Nazionalismo comunque differente da quello del Bund4 ebraico, perché inserito pienamente nell’espansione coloniale europea, nel proprio obiettivo supremo di colonizzare la Palestina. I fondatori del sionismo come movimento politico, in particolare Theodor Herzl, autore del libro cardine Lo Stato ebraico5, promotore del primo Congresso sionista (Basilea 1897) e leader dell’Organizzazione sionista mondiale, conoscevano come tutti noi la terribile storia dell’antisemitismo europeo, fatta di soprusi e persecuzioni. La cosiddetta rinascita nazionale ebraica, culminata alla fine del XIX secolo, dovette fare i conti con la terribile ondata di antisemitismo esplosa nella Russia zarista a suon di pogrom. Territorio che all’epoca ospitava circa il 95% della popolazione ebraica mondiale. Molti scapparono in Europa o in America, altri tentarono di combattere unendosi ai movimenti rivoluzionari anti-zaristi. Un’assoluta minoranza, il sionismo, voleva utilizzare l’odio antiebraico come fattore propulsivo per il proprio sviluppo. Incredibilmente, al contrario di quanto si pensa, Herzl e i suoi seguaci condividevano l’obiettivo dell’antisemitismo, cioè l’espulsione degli ebrei dall’Europa. Chiaramente da un altro punto di vista: “I governi dei paesi dove dilaga l’antisemitismo, sono vivamente interessati a concederci la sovranità”.6 “L’antisemitismo è cresciuto e continua a crescere, e io con esso.”7
Hannah Arendt a tal proposito sottolineava l’ingenuità di Herzl, che considerava amici e alleati del sionismo gli antisemiti.
“L’antisemitismo era una forza irresistibile e gli ebrei avrebbero dovuto utilizzarla o ne sarebbero stati divorati. Secondo le sue stesse parole [di Herzl], l’antisemitismo era la “forza motrice” responsabile, fin dalla distruzione del Tempio, di tutte le sofferenze degli ebrei, e avrebbe continuato a causare sofferenze finché gli ebrei non avessero imparato a utilizzarla a loro vantaggio.”8
Avete presente i pogrom e la politica antisemita della Russia zarista agli inizi del Novecento, i massacri e le discriminazioni? Bene, Herzl non riuscì a realizzare il suo sogno di incontrare direttamente lo zar, così come invece aveva fatto con il Kaiser Guglielmo II, ma strinse con franchezza le mani di due dei suoi ministri più razzisti e antisemiti: il ministro degli interni von Plehve9 e quello delle Finanze Witte10. Trasferire gli ebrei dall’Europa e dalla Russia era già un vantaggio per tutti, ma in cambio dell’appoggio al sionismo, Herzl promise anche di togliere di mezzo gli elementi rivoluzionari e socialisti ebrei. Il progetto stava prendendo forma, le fondamenta si stavano ponendo. Pacche sulle spalle con chi aveva inventato di sana pianta il mortale strumento dei protocolli dei savi di Sion. Coloro che fuggivano dai pogrom zaristi però, sceglievano di gran lunga il Regno Unito, piuttosto della Palestina, vanificando così il lavoro sionista. L’estrema destra britannica, i circoli razzisti e antisemiti volevano negare il diritto d’asilo ai profughi ebrei russi. Quale migliore occasione per Herzl? La sua presa di posizione politica fu identica a quelle di Arnold White e del segretario alle Colonie Joseph Chamberlain, capi del movimento razzista che voleva bandire gli ebrei dalle terre di Sua Maestà.11 Comprensibilmente la celebre Dichiarazione Balfour non fu causale: la promessa di un focolare nazionale ebraico in Palestina giungeva da un Lord fanatico sostenitore del sionismo che dichiarò beatamente in parlamento: “Non andrebbe a vantaggio della civiltà del nostro paese la presenza di un immenso corpo sociale i cui membri, per loro stessa iniziativa, restano un popolo a parte, e non solo professano una religione diversa da quella della maggior parte dei loro concittadini, ma contraggono matrimonio solo all’interno della loro comunità.”12
Caduti quattro imperi dopo la carneficina dei popoli della Grande Guerra, la Palestina dall’amministrazione ottomana passò sotto la sfera d’influenza dei vincitori. Il movimento sionista, non essendo veggente, durante il conflitto si barcamenò, sviluppando legami con entrambi i contendenti. I pregiudizi antisemiti per trovare una soluzione alla questione ebraica e gli obiettivi imperialistici, gestione dei territori e delle risorse, più controllo del Canale di Suez, diedero un forte impulso alla Dichiarazione Balfour, come d’altronde si accorse immediatamente l’unico ebreo del gabinetto britannico, Sir Edwin Montagu: “Sono assolutamente dell’idea che non esiste una nazione ebraica. […] Quando si dice agli ebrei che la loro patria è la Palestina, tutti i paesi saranno immediatamente tentati di sbarazzarsi dei loro cittadini ebrei, e vi ritroverete in Palestina una popolazione che ne scaccia i suoi attuali abitanti, prendendosi le parti migliori del paese.”13
Nel 1933, con la salita di Hitler al potere in Germania, il più feroce antisemitismo divenne legge, il terrore fu legalizzato e la segregazione iniziò a divenire la norma. La repressione sistematica di ogni degna opposizione al regime diede il via a una fuga massiccia dai territori del Reich.
“Come reagì il sionismo ai crudeli provvedimenti nazisti? Di fatto, anche il movimento sionista riteneva che gli ebrei non dovessero far parte delle società gentili. Ciò spiega perché l’ascesa del nazismo ebbe come risultato un notevole rafforzamento del sionismo tra gli ebrei tedeschi. E spiega anche come un convinto nazista come Adolf Eichmann14 potesse essere in buoni rapporti con i sionisti, sino al punto di arrivare a definirsi un filosionista, pur restando devoto all’ideologia nazista.”15
Trasformare l’assimilazione in dissimilazione, una via d’uscita che intimava di portare con orgoglio la stella gialla, che fece aumentare notevolmente non solo la tiratura dei giornali sionisti ma anche le raccolte fondi delle organizzazioni sioniste, proprio con il contemporaneo successo del nazismo. Sei anni prima dell’obbligo di portare quella maledetta stella gialla, il capo redattore del giornale sionista Die Jüdische Rundschau caricava questo simbolo con l’onore di essere ebrei, attaccando coloro che non volevano accettare il nuovo corso e continuavano a credere in una società più inclusiva e democratica.16 Il nazionalsocialismo tedesco aveva eliminato dalla scena e dal dialogo con il potere i rivali del sionismo. L’idea di far emigrare in Palestina i capitalisti ebrei e la popolazione ebraica più giovane non era più un sogno. I primi mattoni per la collaborazione tra sionismo e nazismo furono posti. I sionisti erano gli unici ebrei che potevano confrontarsi apertamente con l’autorità costituita. I segni d’intesa erano apparsi già in precedenza, nella scalata al trono, i seguaci del Führer strizzarono più volte l’occhio alla possibilità di cacciare tutti gli ebrei in Palestina. Gli obiettivi, partiti da presupposti diversi, coincidevano e Hitler, con il consueto pragmatismo che lo contraddistinse, rivide pure la sua teoria esposta nel Mein Kampf. Nelle prigioni della Repubblica di Weimar non credeva all’ipotesi che i sionisti riuscissero veramente a costituire uno stato, mentre ora con il timone in mano, date anche le prese di posizione sioniste, intravedeva una congiuntura, una possibilità.
Nell’agosto del 1933 la Germania nazista firmò un accordo con l’Agenzia ebraica per la Palestina controllata dai sionisti, la prima Ha’avarah.
“Un capitalista ebreo che voleva stabilirsi in Palestina era autorizzato a concludere un contratto con un esportatore tedesco per la spedizione delle merci in quel Paese. Il tedesco veniva pagato sul conto bloccato dell’ebreo emigrante che, al suo arrivo, riceveva dall’Agenzia ebraica la contropartita in denaro palestinese […]. Il giroconto soddisfaceva l’Agenzia ebraica, l’esportatore tedesco e lo stesso emigrante. I prodotti tedeschi inondarono il mercato palestinese.”17
Nella riunione del 21 agosto 1933 a Praga del XVIII Congresso sionista ci furono parecchie critiche per questo patto, ma non si bloccò un bel nulla, anzi non fu neppure appoggiato il boicottaggio antinazista, controrisposta al boicottaggio del Reich contro tutti gli esercizi commerciali e lavorativi ebraici a partire dal 1° aprile 1933. Il sionismo si discostò completamente e ufficialmente dal boicottaggio internazionale. Come scrisse la Arendt: “Il risultato fu che negli anni ’30, mentre gli ebrei d’America si davano un gran daffare per organizzare il boicottaggio al commercio tedesco, la Palestina, unico paese al mondo, era letteralmente inondata da ogni sorta di prodotti “made in Germany”.”18
Per la prima volta il sionismo sacrificò gli interessi delle masse ebraiche sull’altare delle proprie ambizioni politiche, la prima pietra di un terribile modus operandi che continua ancora oggi. I nazisti prendevano così due piccioni con una fava: da un lato contrastavano efficacemente il boicottaggio antinazista, dall’altro incoraggiavano la partenza giudaica dal proprio territorio. Il secondo obiettivo prese il sopravvento e i sionisti furono gli unici ad aiutare il piano nazista. Il Ministero dell’Interno faceva a gara con quello dell’Economia per sviluppare la Ha’avarah e appoggiare l’Organizzazione sionista. Negli stessi anni che l’emigrazione in Palestina dalla Germania cresceva insieme agli introiti, furono emanate le atroci Leggi di Norimberga! O avevi sangue germanico o eri un suddito dell’impero! Le razze non si potevano mischiare né in matrimonio né carnalmente. Nel 1937 il volume degli affari della Ha’avarah raggiunse il suo apice, nonostante le Leggi di Norimberga, “lo strumento legislativo più micidiale di tutta la storia europea”19, i privilegi sionisti aumentarono a dismisura, in una parallela opposta e contraria al destino della larga maggioranza della popolazione d’origine ebraica. Himmler e Heydrich permisero ad alcuni sionisti di indossare le uniformi della polizia politica bavarese e perfino Alfred Rosenberg20 riconosceva pubblicamente i meriti del sionismo. Anche in Polonia e Romania, dove soffiava forte il vento razzista, i sionisti si comportarono egualmente, cercando collaborazione, invece di lottare per la libertà e la giustizia degli ebrei repressi e terrorizzati. Lo schema era il medesimo: bisognava far scappare, anche con i metodi più disumani, la maggior parte degli ebrei verso la Palestina.
“Il meccanismo della Ha’avarah continuò a funzionare sino allo scoppio della Seconda Guerra mondiale. Nel periodo in cui fu a pieno regime, il suo giro d’affari ammontò ad un totale di 140 milioni di franchi. […] Nel frattempo, i nuovi provvedimenti adottati dalla Germania nazista per costringere gli ebrei ad emigrare, insieme all’annessione dell’Austria, richiesero dei nuovi e più dettagliati accordi per rimpiazzare la Ha’avarah.”21
Mentre il fascismo avanzava a livello mondiale calpestando i propri nemici come in Spagna, l’Anschluss e l’accordo di Monaco del 1938 rappresentarono un salto di qualità del nazismo, pronto a prendersi la Cecoslovacchia e a costruire sulle ossa dei popoli e delle razze inferiori il nuovo impero teutonico. Mentre le cosiddette democrazie lasciavano carta bianca, guardando l’evolversi della situazione dalla finestra, sognando avidamente una nuova crociata antibolscevica degli eredi dei Cento neri; i piani nazisti per espellere gli ebrei accelerarono. Alla fine del 1938 avvenne la celebre notte dei cristalli, che va intimamente collegata all’intensa volontà di umiliare, reprimere e discriminare gli ebrei per indurli a fuggire. Gli accordi nazi-sionisti non bastavano, il ritmo delle emigrazioni era ancora troppo lento. Il permesso ai sionisti di istituire speciali scuole di formazione per preparare gli emigrati (pionieri) alla vita in Palestina non era sufficiente. I convogli illegali, che ormai partivano da molti luoghi europei, non andavano assolutamente ostacolati, ma anzi incentivati, anche se questo voleva dire nella pratica andare contro la volontà del mandatario britannico. La Gestapo sapeva ogni cosa, ma non metteva il becco sulla preparazione dei convogli illegali gestita dai sionisti Pinhas Ginsberg e Max Zimels. La collaborazione era fattuale anche sulla preparazione dei campi per i giovani pionieri che non avevano mezzi per raggiungere la terra promessa.22 Subito dopo l’annessione dell’Austria la medesima modalità fu attività nel nuovo territorio del III Reich.
“Questi due emissari [Pinhas Ginsberg e Moshe Bar-Gilad, l’inviato sionista a Vienna] erano rappresentanti ufficiali dell’“Unione degli Insediamenti Collettivi”, l’organismo che, all’interno del movimento sionista, lavorava per la fondazione e il rafforzamento dei kibbutzim. Questi insediamenti, come ora comincia a esser noto anche al grande pubblico, sono di carattere paramilitare. Gli accordi che questi emissari stipularono con i loro contatti nella Gestapo e nelle SS, e attraverso i quali la Germania nazista fornì un contributo vitale al rafforzamento della manodopera, alla formazione e conseguentemente all’efficacia militare del sionismo, non erano degli accordi informali. Si trattava al contrario di accordi ufficiali, anche se segreti, stipulati dal governo nazista; un’alleanza di convenienza politica ordinata da Hitler in persona in una sua direttiva politica.”23
Questo traffico di essere umani conteneva pure un aspetto di lucro, i nazisti non furono i soli a speculare sulla pelle di ogni singolo ebreo caduto nella rete. Non c’erano intenti benefici o salvifici da parte dei sionisti. La missione non era quella di aiutare gli ebrei, strappandogli dalle grinfie della croce uncinata, l’obiettivo, la stella polare sionista, era quello di trovare legno giovane da ardere per accendere e mantenere vivo il focolare nazionale ebraico in Palestina. Pionieri disposti a tutto, anche a combattere per lo stato degli ebrei. Il fine era più importante dei mezzi. La mano nazista fu stretta in nome dei comuni interessi. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna erano visti dagli ebrei tedeschi come mete e porti più sicuri dove approdare. La Kristallnacht va precisamente inserita in questo contesto. Questa mossa truce e calcolata, fece aumentare a dismisura la paura e la disperazione, ogni luogo ora appariva migliore, le domande d’emigrazione in Palestina aumentarono in maniera esponenziale. La collaborazione viaggiava ormai a gonfie vele, le disposizioni contenute negli accordi iniziarono ad essere attuate addirittura con “spirito di cooperazione, spintosi fino al cameratismo vero e proprio”.24 Le donazioni al movimento sionista, data la costante preoccupazione dei più, crebbero notevolmente. Questo stato di cose appena descritto continuò imperterrito e regolare anche nei primi due anni del secondo conflitto bellico mondiale. Soltanto la smania di distruggere il comunismo, attaccando l’URSS nell’estate del 1941, cambiò le carte in tavola. La priorità assoluta nazista divenne il fronte orientale, non c’erano tempo e necessità di continuare gli accordi d’emigrazione. Hitler e le massime autorità dell’impero optarono per virare sui campi di sterminio, la schiavizzazione di massa e la soluzione finale!
“Questa nuova situazione mise i sionisti di fronte ad una scelta difficile. Si poteva dichiarare guerra al nazismo, rinunciare del tutto agli accordi del 1938 e innalzare in tutta Europa la bandiera della rivolta ebraica contro il nazismo. Ciò naturalmente avrebbe comportato la rinuncia una volta per tutte a qualsiasi possibilità di assicurarsi in futuro, nel caso in cui un mutamento della situazione logistica lo avesse permesso, la benché minima emigrazione “legale” dall’Europa in cooperazione con i nazisti. Per i sionisti scegliere la resistenza avrebbe significato anche lanciarsi nella lotta contro l’antisemitismo e l’oppressione in Europa a fianco dei gentili e degli ebrei progressisti o assimilazionisti. Questo avrebbe implicato non solo una seria compromissione delle loro più profonde convinzioni, ma anche, cosa forse ancor più seria, il riconoscimento della sconfitta della loro filosofia.”25
L’alternativa era quella di indietreggiare, prendere atto del cambiamento e stipulare nuovi accordi più limitati. Non dimentichiamoci del successo del Blitzkrieg in Europa e delle previsioni ottimistiche di una sua replica in Unione Sovietica. Mantenere aperti dei canali di comunicazione con il Reich ariano pesò maggiormente sulla bilancia rispetto alla morte di moltissimi ebrei. L’ideologia sionista doveva essere salvaguardata. Il movimento sionista seguì a ruota e in coda la strada lastricata d’ossa del nazifascismo. Inutile illudersi a posteriori che i contemporanei non sapevano dove portasse quella via iniziata con il “Giorno del Boicottaggio” contro gli ebrei del 1° aprile 1933. Non ci possono essere giustificazioni valide, soprattutto dopo l’inizio esplicito del genocidio nella seconda parte del 1941.
“La storia non ricorda alcun proclama del movimento sionista che invitasse alla rivolta contro i nazisti in Europa. Vale la pena chiedersi come mai. Come ha scritto un autore ebreo che ha sollevato la questione: Perché non ci fu un’autodifesa ebraica organizzata e pronta ad agire? […] C’erano migliaia di soldati ebrei nell’esercito della Repubblica di Polonia. Perché nessuno ha dato loro istruzioni di mettere al sicuro le armi nelle loro case […] in modo che al momento della loro costituzione le organizzazioni ebraiche di combattimento avessero almeno delle armi per affrontare i nazisti?”.26
Dopo il bombardamento educativo prolungato, dopo la fabbrica ideologica dell’olocausto27, il senso comune non riesce a capacitarsi del perché le vittime si siano trasformate in carnefici. Ma chi sono le vittime dell’olocausto? Più o meno la metà dei sei milioni di ebrei morti erano polacchi e nei territori del fronte orientale furono, nonostante l’impreparazione politico-militare, numerosi gli episodi di resistenza, di appoggio ai partigiani o all’Armata rossa, di eroiche rivolte nei ghetti e nei campi di sterminio. I sionisti non alzarono un solo dito per supportare la resistenza antifascista, nonostante la loro capillare rete d’organizzazione. Dopo la fine degli accordi di collaborazione, tanti movimenti sionisti dell’est non riuscirono più a comunicare con il centro o con i leader sionisti fuori dai territori occupati dai nazisti. Prendiamo in esame le straordinarie rivolte dei ghetti per la sopravvivenza. L’inizio sistematico della soluzione finale, lo spargersi delle voci sulla barbarie più oscura, aprirono gli occhi, con tempi e modalità diverse, alla maggior parte degli abitanti dei ghetti. Non ci si può difendere di fronte alla storia, giustificandosi di non sapere le reali intenzioni di una croce uncinata già abbondantemente sporca di sangue. Vilnius fu il primo caso in cui si tentò di costituire un movimento di resistenza ebraica organizzato. “Non facciamoci condurre al macello come pecore! È vero che siamo deboli e che non abbiamo nessuno che ci aiuti. Ma la sola degna risposta che possiamo dare al nemico è resistere.”28 Il sabotaggio non bastava, si provò a pianificare un’insurrezione generale, ma il sionista Jacob Gens iniziò a collaborare con i nazisti, che addirittura lo nominarono capo della polizia ebraica di Vilnius.
“È un caso particolare, perché nessun altro leader dei ghetti fu tanto zelante nel mettersi al servizio dei nazisti quanto Gens; nessun altro leader dei ghetti usava la polizia per fare uccidere gli ebrei. E nessun altro leader dei ghetti ebbe un ruolo tanto importante nel sabotare la partecipazione degli ebrei al movimento partigiano. […] Gens fondava il nazionalismo lituano con la corrente fascista del sionismo, quella dei seguaci di Žabotinskij29.”30
Purtroppo non fu il solo sionista collaborazionista nei ghetti. La linea che li accomunava fu quella di credere di salvare dei tipi particolari di ebrei, scelti accuratamente, sostenendo così la macchina infernale nazista. Non solo lavorando nelle fabbriche belliche, ma consegnando alla forca gli altri ebrei sacrificabili e impedendo la fuga a quelli che si volevano unire alla resistenza. Nel 1942, per i suoi servigi, Jacob Gens, fu premiato con il controllo di tutti i ghetti delle regioni vicine a Vilnius.
“Nell’ottobre 1942 i nazisti dissero a Gens che volevano uccidere 1500 ebrei nel ghetto di Oshmyanyè [Ošmjany in Bielorussia]. In seguito essi “furono d’accordo nel ridurre il numero delle vittime a 400, purché esse fossero selezionate e uccise dai poliziotti di Gens”. Gens accondiscese alla richiesta e mandò il suo capo della polizia, Salek Desler (anch’egli un revisionista) con 30 uomini. Essi scelsero più di 410 anziani e malati e provvidero essi stessi ad ucciderli. Gens difese la sua azione sostenendo che “è nostro dovere salvare i giovani e i forti e non lasciarci sopraffare dai sentimenti”.”31
Non è tutto: i sionisti a Vilnius tradirono il capo comunista della resistenza Wittenberg, ingannando la popolazione con un tranello e consegnandolo alla Gestapo. La resistenza fu definitivamente piegata e alla sua testa fu posizionato un sionista. Si operarono per progetti diabolici come il piano Kovno32, dove veniva pubblicizzata la speranza di un convoglio verso Kovno per migliori condizioni di vita, ma in realtà era un treno della morte. La metodologia di Gens di salvare gli “amici” e sacrificare tutti gli altri non fu un caso isolato; così si comportavano i sionisti in moltissimi ghetti, riuscendo ad infiltrarsi anche nelle maglie della resistenza (tra i tanti Kovner, Barasz, Rumkowski, Merin, Nusing, Weizmann, Schwalb…). Le rivolte nei ghetti testimoniano che si sarebbe potuto fare molto di più senza il subdolo ostacolo dei collaborazionisti.
“Un ruolo chiave nel programma di sterminio fu svolto da gli Judenräte, o Consigli Ebraici, che i nazisti nominavano per amministrare ogni ghetto. Lo Judenrat era uno strumento che serviva a mantenere la calma. Placava gli animi di giovani e adulti dando loro un falso senso di sicurezza, in modo che non fossero sfiorati dall’idea di dedicarsi all’attività di salvataggio. Purtroppo, molti membri degli Judenrat erano sionisti. Pensavano di fare qualcosa di buono, quando collaboravano con i tedeschi. Nel preparare le liste degli ebrei che venivano mandati a morte, pensavano di stare salvando altri ebrei. I capi degli Judenrat soffrivano di un complesso di superiorità e pensavano di stare facendo qualcosa di storico per la redenzione della nazione, e l’intera popolazione li temeva.”33
Questi consigli degli anziani, egemonizzati dai sionisti, ebbri di potere e avidi di denaro, si comportarono da servitori leali. Il sionista Monik Merin divenne l’assoluto responsabile di tutti gli Judenräte, scegliendone la composizione. Il destino degli ebrei fu nelle mani di questi uomini senza scrupoli, i nazisti li usarono per il lavoro sporco. Decidevano delle quote, ma la selezione individuale era demandata agli anziani, i rapimenti e gli arresti alla polizia ebraica. Non facevano tutto le SS o la Gestapo come si vede nei film, ma con questo diabolico stratagemma lo stermino poteva continuare impunito, con la collaborazione che schiacciava l’eroica resistenza, la quale nonostante tutto si ingegnava prodigiosamente a contrattaccare. La degenerazione morale produceva una guerra tra vittime, ma una parte delle vittime si stava già trasformando in carnefice. Nonostante tutto, per quanto tu la possa tagliare, uccidere e bruciare, la gramigna della giusta resistenza rigermoglia anche nelle situazioni più tragiche.
“Combattendo strada per strada e casa per casa, trovando rifugio in bunker sotterranei, rovine e persino nelle fogne, i resistenti del ghetto di Varsavia tennero in scacco i nazisti per mesi in quello che fu descritto come il più vasto e il più lungo episodio di resistenza nell’Europa occupata, a parte la Jugoslavia. L’insurrezione causò centinaia di perdite fra i nazisti, anche se la Wermacht utilizzò l’artiglieria e fu fatta intervenire la Luftwaffe per bombardare il ghetto dall’alto.”34
Anche in questo caso lo scontro già di per sé impari, incredibilmente simile a quello attuale tra resistenza palestinese e Israele, non fu un tête-à-tête, ma l’operato della quinta colonna sionista. Gli inganni e i tradimenti dei collaborazionisti furono all’ordine del giorno, semplificando la repressione al III Reich. I capi del sionismo nell’Europa occupata dalla croce uncinata collaboravano con i nazisti a livello individuale o eseguivano gli ordini della strategia sionista? La reazione all’invasione orientale della micidiale macchina da guerra nazifascista, alla costruzione del Lebensraum e alla soluzione finale sempre più evidente, si differenziò nei vari contesti, si divaricò tra chi si unì alla resistenza e chi si piegò, collaborando attivamente e sperando ingenuamente con cinismo micidiale, di salvarsi insieme a pochi accoliti prescelti.
“Tuttavia, ai livelli più alti del movimento sionista, e in particolare nell’Agenzia Ebraica, i cui leader attesero al sicuro la fine della guerra prima di diventare il futuro governo israeliano, tale varietà di opinioni non esisteva. Nessun fervido appello alla rivolta contro i nazisti venne da questi leader, né la storia ricorda alcuno sforzo da parte loro per fare arrivare delle armi ai combattenti dei ghetti, che ne avevano disperatamente bisogno. Il movimento sionista s’impegnò in una limitata attività militare nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ma essa era finalizzata anzitutto a portare avanti l’obiettivo sionista di ottenere uno Stato, piuttosto che a combattere il nazismo in quanto tale oppure ad aiutare gli ebrei oppressi a resistere.”35
La nota Brigata ebraica36, costituita tra le fila dell’esercito britannico, in primis cercava di trasmettere l’idea di nazione ebraica e di acquisire conoscenze a livello militare per il futuro esercito israeliano. Prima del 1944 la Brigata non mosse un dito, nonostante la necessità alleata di combattere il nazifascismo, l’alto comando di Sua Maestà non fornì ciò che i sionisti richiesero. Perché se erano così volenterosi di colpire il nemico, di riscattare l’orgoglio nazionale, non chiesero allora l’assistenza di cui c’era bisogno agli USA, che disponevano di ben più grandi risorse? Sveliamo il decisivo contributo della Brigata ebraica per la distruzione del Reich: 31 paracadutisti per favorire la fuga, o meglio la migrazione, dei superstiti ebrei in terra santa!37 Addirittura in seguito cercarono di manipolare il tutto accusando il governo di Londra di non aver preso in considerazione gli appelli sionisti. C’è solo un piccolo problema: i sionisti rifiutarono più volte la collaborazione britannica, che risultava completamente aperta, perché si impuntavano sul fatto che l’unica destinazione per il salvataggio degli ebrei perseguitati fosse la Palestina!38 In questo modo fu ostacolato il salvataggio di centinaia di migliaia di ebrei. Inoltre, perché non furono attaccati o non furono fatte pressioni sugli Alleati per bombardare le linee ferroviarie che conducevano ai forni crematori? Perché non attaccare i lager? Cercare di fare infiltrare armi nei campi di sterminio? Sabotare in ogni modo possibile la soluzione finale? I leader sionisti nel dopoguerra non riuscirono mai a dare delle risposte convincenti, ma si limitarono al silenzio o a produrre documenti tardivi che non dimostrarono un bel niente. Non si poteva non sapere cosa stesse realmente accadendo già dal 1941, quando le testimonianze iniziarono a fuoriuscire e giungere anche alle orecchie dei sionisti. Le risorse per fare c’erano eccome, l’organizzazione e i contatti in giro per il mondo pure.
“Non va dimenticato che il 1942 fu l’anno del Programma Biltmore, che segnò il consolidarsi della risoluta influenza dei sionisti sul governo degli Stati Uniti. Sicuramente il sionismo non era tanto debole da non poter aiutare gli ebrei europei oppressi, specie se teniamo presente che non appena la Seconda Guerra Mondiale ebbe termine “si infiltrarono in Europa un centinaio di agenti della Haganah, l’esercito ebraico clandestino di Palestina”39 per portare gli ebrei sopravvissuti in Palestina allo scopo di rimpinguare la forza lavoro ebraica in quel paese. A quel punto, però, circa 6 milioni di vittime erano già state massacrate. L’intelligence sionista, il Mossad40, “aveva organizzato una rete della Haganah in tutta l’Europa, da Costanza sul Mar Nero a Port-de-Bouc sulla punta estrema della costa mediterranea della Francia, e nessun ebreo poteva fare qualcosa di significativo su tutte queste migliaia di miglia di costa senza che loro se ne accorgessero”. Dove erano tutte queste risorse mentre gli ebrei d’Europa venivano massacrati a milioni?”.41
Il primo presidente dello Stato di Israele, Chaim Weizmann, aveva già le idee chiare prima della guerra e le dichiarò durante la convenzione sionista di Londra nell’agosto del 1937. La sopravvivenza degli ebrei era strettamente legata alla loro emigrazione, non era possibile salvarli tutti, ma solo i giovani più forti. L’ossessione per lo Stato in Palestina guidava ciecamente ogni presa di posizione e l’obiettivo finale era predominante su tutto, compreso il salvataggio degli ebrei europei schiacciati dal giogo nazista. I patti collaborazionisti del sionismo con i nazisti non emersero pubblicamente fino al 1953, l’anno del caso Kastner,42 cioè l’accordo del 1944 tra Rudolf Kastner, esponente di spicco del Comitato di Salvataggio dell’Agenzia Ebraica a Budapest, e il colonnello nazista Adolf Eichmann, responsabile della soluzione finale in Ungheria. Nelle mani di questi uomini c’era il destino di più di 800.000 ebrei ungheresi. Kastner non era da solo, ma era appunto il responsabile del movimento sionista, ufficialmente riconosciuto dalle gerarchie del Reich come negoziatore. Dopo la denuncia di collaborazionismo dello scrittore israeliano Grünwald ai danni di Kastner, partì uno spinoso processo e la verità cominciò a venire a galla.
“Secondo il giudice del caso Kastner, Benjamin Halevy,
Gli ebrei dei ghetti non avrebbero creduto ai nazisti o ai governanti ungheresi. Ma avevano fiducia nei loro leader ebrei. Eichmann e altri si servirono di questo ben noto fatto come parte del loro piano per ingannare gli ebrei. Essi poterono deportare gli ebrei e sterminarli con l’aiuto dei leader ebrei. […] Gli ebrei che cercarono di mettere in guardia i loro amici sulla verità furono perseguitati dai leader ebrei incaricati dell’opera di salvataggio. La fiducia degli ebrei in queste informazioni fuorvianti e il loro non sapere che loro stessi, le loro mogli e i loro figli stavano per essere deportati nelle camere a gas di Auschwitz fecero sì che le vittime rimanessero tranquille nei loro ghetti. […] La protezione che i nazisti accordarono a Kastner e i patti che conclusero con lui per lasciargli salvare 600 notabili ebrei furono parte integrante del piano di sterminio. […] L’opportunità di salvare delle persone importanti fu per lui assai allettante. Egli considerò la salvezza dei notabili ebrei come un grande successo personale e come un successo per il sionismo. […] La collaborazione tra il Comitato di Salvataggio dell’Agenzia Ebraica e gli sterminatori di ebrei si consolidò a Budapest e a Vienna. Le funzioni svolte da Kastner erano parte integrante di quelle delle SS. Oltre al Dipartimento per lo Sterminio e al Dipartimento per il Saccheggio, le SS istituirono un Comitato di Salvataggio diretto da Kastner.”43
Esiste qualcosa di più razzista e classista di selezionare vite, decidere la vita o la morte, scegliere 600 notabili sionisti, salvarli sacrificando centinaia di migliaia di persone? Darwinismo sociale allo stato brado! Il secondo processo a Kastner, succulento strumento politico nella lotta tra fazioni all’interno del giovane stato d’Israele, non fu eseguito, dato che Kastner fu prontamente assassinato, garantendone il silenzio e l’impossibilità di essere portato in giudizio.44 Lo stesso Kastner, che intervenne al Tribunale di Norimberga per salvare dal patibolo il colonnello delle SS Kurt Becher, comprovato cacciatore e sterminatore di ebrei in Polonia e in Russia, nominato da Himmler commissario speciale del Reich per tutti i campi di concentramento nazisti.45 Più volte ci fu la possibilità di salvare cittadini ungheresi ebrei in cambio di soldi e mezzi, richiesti dagli stessi nazisti in evidenti difficoltà dopo Stalingrado. I sionisti però misero mano al portafoglio solo per salvare le proprie élite, selezionando al posto di un qualsiasi dio i “meritevoli”, un’estrema minoranza privilegiata, una sorta di razza pura e superiore, e gli esclusi, la restante maggioranza della popolazione, ossa su cui costruire lo stato del popolo eletto, sangue innocente su cui costruire la narrazione ufficiale dell’Olocausto, per giustificare ogni crimine commesso, ogni nefandezza e atrocità sulle razze inferiori, i senza dio o gli infedeli selvaggi.
Per scoprire la verità era necessario indagare, ma le autorità israeliane si sono ben guardate dal farlo. Anzi, occultamento e censura sono stati i dispositivi per risolvere il problema. Dopo l’assassinio di Kastner e la misteriosa morte del giornalista Moshe Keren, rimaneva solo Eichmann a poter sollevare il velo di omertà e menzogne.
“Le prove che mostravano la colpevolezza di Eichmann erano schiaccianti, ed è fuor di dubbio che egli meritasse di essere processato e condannato. Le domande che vengono legittimamente poste non riguardano questa, ma altre questioni, e specificamente: perché gli israeliani insistettero che proprio Eichmann venisse giudicato da un tribunale israeliano e non, per esempio, da un tribunale internazionale come quello di Norimberga, che aveva processato altri criminali nazisti? Perché gli israeliani si dettero tanto da fare per prendere proprio questo criminale di guerra, mentre altri come lui, non meno colpevoli, avrebbero potuto essere catturati molto più facilmente ma non furono mai consegnati alla giustizia? Perché gli israeliani lo rapirono in Argentina, quando avrebbero potuto quasi sicuramente ottenerne l’estradizione? Si tratta di domande legittime.”46
Ben Gurion, che definì il nazismo al potere come forza fertile per gli obbiettivi del sionismo47, e la corte israeliana che giudicò Eichmann, non ritennero opportuno condividere delle reali spiegazioni, ma la propaganda ufficiale, già ben oleata e in funzione, ribadì che Israele, come unico erede morale legittimo, era l’unico giudice imparziale accreditato per processare la personificazione storica dell’antisemitismo. Tutto ciò non risponde minimamente alle tante domande. La strada, nonostante tornanti scoscesi, biforcazioni e posti di blocco, conduce inevitabilmente al fatto che dopo il caso Kastner, non dovevano assolutamente fuoriuscire nuove scottanti rivelazioni, dopo l’imbarazzante scoperta dei dettagli del patto finale tra sionisti e nazisti in Ungheria, con la collaborazione tra Kastner, Becher e tre colonnelli delle SS, Krumey, Wislicency ed Eichmann.48
Assodato, per un motivo o per l’altro, il solidale silenzio dei protagonisti, solo Eichmann rischiava di aprire il vaso di Pandora. Infatti al processo, preparato con cura dal governo d’Israele, Eichmann si difese, dichiarando di aver sostenuto la causa sionista. Nessuno lo prese realmente sul serio. Andava sotterrato definitivamente il caso Kastner. Furono selezionati al millimetro i testimoni, non convocando quelli più scomodi. Fu addirittura cambiato il giudice del processo con un atto senza precedenti alla Knesset. “In quanto figura centrale in alcuni dei più importanti accordi di collaborazione tra i sionisti e i nazisti, Eichmann, sebbene non fosse il più alto in grado tra i criminali nazisti ancora in vita, era probabilmente quello che conosceva più nei dettagli le relazioni del movimento sionista con la Germania nazista. Tutto quel che sapeva morì con lui.”49
Nella lotta politica per il potere interna allo Stato d’Israele, la destra sionista tentò di utilizzare il caso Kastner per attaccare la “sinistra”, in particolare il Mapai. In seguito alla vittoria elettorale di Likud nel 1977, con il criminale Begin come primo ministro, emerse un documento segreto esplosivo riguardo al rapporto tra l’Irgun e il nazismo.50 Questa era la proposta della frazione Stern nel 1941 sul futuro Nuovo Ordine in Europa:
“L’evacuazione delle masse ebraiche dall’Europa è una precondizione per la soluzione della questione ebraica; ma questo può essere fatto in maniera completa tramite l’insediamento di queste masse nella patria del popolo ebraico, la Palestina, e tramite l’instaurazione di uno Stato ebraico nelle sue frontiere storiche. […] L’Organizzazione Militare Nazionale [Irgun Tzvai Le’umi51], che conosce bene la benevolenza del governo del Reich tedesco e delle sue autorità verso le attività sioniste in Germania e verso i piani di emigrazione, ritiene che:
- Possano esistere interessi comuni tra l’instaurazione di un nuovo ordine in Europa in base alla concezione tedesca, e le autentiche aspirazioni nazionali del popolo ebraico così come esse sono incarnate dall’Organizzazione Militare Nazionale.
- Sarebbe possibile una cooperazione tra la nuova Germania e una rinnovata nazione ebraica.
- L’instaurazione dello storico Stato ebraico su base nazionale e totalitaria, legato da un trattato con il Reich tedesco, sarebbe nell’interesse del mantenimento e del rafforzamento della futura posizione di potere tedesca in Medio Oriente. Procedendo da queste considerazioni, l’Organizzazione Militare Nazionale in Palestina si offre di prendere attivamente parte alla guerra a fianco della Germania, a patto che le suddette aspirazioni nazionali del movimento di liberazione ebraico vengano riconosciute dal governo del Reich tedesco.”52
L’offerta garantiva sostegno non solo in campo militare e di intelligence ma anche politico. In cambio di addestramento, si chiedeva e ipotizzava l’apertura di un fronte in Palestina, ma c’è di più:
“L’indiretta partecipazione del movimento di liberazione israeliano all’instaurazione del Nuovo Ordine in Europa, già nella sua fase preparatoria, sarebbe connessa a una soluzione radicale del problema ebraico europeo in conformità con le suddette aspirazioni nazionali del popolo ebraico. Questo rafforzerebbe non poco la base morale del Nuovo Ordine agli occhi del mondo intero. La cooperazione del movimento di liberazione israeliano sarebbe in linea anche con uno dei recenti discorsi del cancelliere del Reich tedesco, nel quale Herr Hitler sottolineava la sua disponibilità a partecipare a qualsiasi alleanza al fine di isolare la Gran Bretagna e sconfiggerla.”53
L’irgun si spezzò momentaneamente su questa determinata questione. Da una parte sorse la Banda Stern, che iniziò immediatamente un’organizzata azione di guerriglia contro i britannici in Palestina. Dall’altra la fazione capeggiata dal 1943 da Begin, che prese tempo, mentre alcuni membri si schierarono con Churchill, si rinnovò e si addestrò meticolosamente. Una volta pronta, “L’Irgun lanciò in Palestina la sua campagna militare e terroristica contro i britannici nel gennaio 1944, quando ancora infuriava la Seconda Guerra Mondiale. Pertanto la differenza fra le due correnti dell’Irgun, la Banda Stern e l’Irgun propriamente detto, fu essenzialmente una questione di tempi piuttosto che di principi.”54
Prima della scissione tra l’Irgun e il Partito Sionista Revisionista, entrambi valutavano come possibili alleati i governi fascisti e antisemiti e come nemico assoluto e comune il governo di Sua Maestà. Infatti furono notevoli gli accordi con ad esempio la Polonia nazionalista e razzista, mentre i piani d’insurrezione e le azioni terroristiche colpivano direttamente chi combatteva contro il nazifascismo o chi aiutava a salvare gli ebrei dalla morte, non destinandoli però nella Terra promessa, unico lido ammissibile.
In cosa consiste dunque questo tassello mancante nel senso comune, fondamentale per la comprensione non solo dell’essenza profonda del sionismo, ma anche dell’ininterrotta oppressione del popolo palestinese? Le fonti utilizzate da Faris Yahia, tutte di provenienza ebraica, delineano il seguente quadro: il sionismo voleva risolvere il problema dell’antisemitismo con un’unica soluzione, l’immigrazione in Palestina degli ebrei e la creazione dello Stato etnocentrico d’Israele. La lotta per l’emancipazione e per i diritti non andava assolutamente appoggiata, anzi andava contrastata. Paradossalmente questa strategia si allineava proprio agli obbiettivi degli antisemiti, che volevano cacciare gli ebrei dalle proprie nazioni. Con il nazifascismo non doveva essere ingaggiato nessuno scontro, piuttosto collaborazione. Anche durante la soluzione finale il sionismo come movimento organizzato non aderì alla resistenza, né si oppose allo sterminio sistematico.
“Alla base di questa politica c’erano le seguenti considerazioni, esposte in una lettera di Ben Gurion all’esecutivo sionista il 17 dicembre 1938:
Il problema ebraico oggi non è più quello che era prima. La sorte degli ebrei in Germania non è la fine ma l’inizio. Altri stati antisemiti faranno propria la lezione di Hitler. Milioni di ebrei sono di fronte alla prospettiva dell’annientamento, e il problema dei rifugiati ha assunto una proporzione e un’urgenza mondiali. La Gran Bretagna sta cercando di separare la questione dei rifugiati da quella della Palestina. In questo è assistita dagli ebrei antisionisti. Le dimensioni del problema dei rifugiati richiedono un’immediata soluzione territoriale; se non sarà la Palestina ad accoglierli, saranno altre terre. Il sionismo è in pericolo. Tutte le altre soluzioni territoriali, certamente fallimentari, richiederanno enormi somme di denaro. Se gli ebrei dovranno scegliere tra i rifugiati, il salvare gli ebrei dai campi di concentramento, e dare assistenza a un museo nazionale in Palestina, sarà la misericordia a farla da padrone e tutta l’energia del popolo sarà incanalata nel salvare gli ebrei di diversi paesi. Il sionismo sarà cancellato non solo dall’agenda dell’opinione pubblica mondiale, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, ma anche da quella dell’opinione pubblica ebraica. Se permettiamo di separare il problema dei rifugiati da quello della Palestina, mettiamo a rischio l’esistenza stessa del sionismo. Il salvare gli ebrei dalle grinfie di Hitler è considerato qui una minaccia potenziale per il sionismo, a meno che essi non vengano condotti in Palestina. Quando il sionismo si è trovato a dover scegliere tra il popolo ebraico e lo Stato ebraico, ha optato senza esitazioni per il secondo. […] Il sionismo accetta l’antisemitismo come il naturale e normale atteggiamento del mondo non ebraico verso gli ebrei. Non lo considera un fenomeno distorto, perverso, [il sionismo] è una risposta all’antisemitismo ma non una contestazione, una denuncia o una lotta contro di esso.”55
Blut und Boden (“sangue e suolo”). La teoria delle razze è pienamente accettata dal sionismo, con una prospettiva e una conclusione differente. La razza superiore, con il destino manifesto, con l’onore, non è quella ariana, tanto meno è la white supremacy anglosassone. La razza superiore è quella ebraica, il popolo eletto fin dai remoti tempi dell’Antico Testamento. Per questo potevano morire gli anziani e i deboli, al posto dei giovani e forti pionieri, per questo si potevano sacrificare milioni di ebrei, selezionando e salvando solo i migliori e i più degni. Per portare a termine la missione divina, si poteva benissimo stringere la mano insanguinata nazista. Con che coraggio si utilizza l’antisemitismo come scudo contro ogni critica al sionismo, al colonialismo d’insediamento, alla segregazione razziale, alla pulizia etnica e al prolungato genocidio del popolo palestinese da parte dello stato d’Israele? Un capovolgimento totale della realtà e della storia, un capolavoro di propaganda e di falsa narrazione culturale e politica.
Il privilegio degli ebrei illustri di essere salvati dalle atrocità, a discapito di quelli normali e inferiori, fu conquistato sicuramente grazie alla cinica collaborazione, ma anche dall’accettazione dell’ideologia razzista56 del nazifascismo, erede di una lunga tradizione coloniale occidentale di soprusi ed esclusione. I sionisti furono i primi ebrei a parlare alla pari lo stesso linguaggio della razza dei signori, dei nazisti. Furono i sionisti a spingere per chiudere le frontiere delle nazioni che si offrirono di salvare i rifugiati ebrei, bloccandone la fuga, ma soprattutto decretandone la morte nei campi di sterminio.57
“Sia prima che dopo la guerra i sionisti erano sufficientemente potenti da far naufragare gli sforzi per trovare un rifugio per gli oppressi che non fosse la Palestina. Il segretario agli Interni degli USA venne indotto negli anni Trenta a opporsi all’insediamento dei rifugiati ebrei come coloni in Alaska, e in seguito vennero esercitate pressioni sul governo australiano affinché abbandonasse il Progetto Kimberley per l’insediamento dei profughi ebrei nell’Australia Occidentale, che era stato sostenuto dalla Freeland League e aveva ricevuto una parziale approvazione. La Freeland League si chiese in seguito sulla sua rivista: “Chi può dire quante migliaia di vite ebraiche avrebbero potuto essere salvate dalle grinfie di Hitler se queste pressioni antiebraiche, operate da altri ebrei, non ci fossero state? Chi può dire quante migliaia di persone avrebbero potuto cominciare una nuova vita in Kimberley, invece di perire ad Auschwitz?”58 Se nel 1932 gli ebrei tedeschi che raggiunsero la Palestina furono 9000, dopo l’ascesa di Hitler, grazie agli accordi con il nazismo che abbiamo sopra descritto, furono 30.000 nel 1933, 40.000 nel 1934, 61.000 nel 1935 e così via. Nel 1931 gli ebrei in Palestina erano 174.616, nel 1939 445.457.59
Dopo la guerra, i sionisti riuscirono progressivamente a presentarsi al mondo con gli unici degni eredi degli ebrei morti nell’olocausto, utilizzando lo sterminio a cui avevano collaborato per farsi pagare ingenti riparazioni dai tedeschi. Inoltre ormai avevano la giustificazione morale per compiere ogni possibile nefandezza e atrocità. Una difesa costruita insieme alle nuove alleanze politiche, tanto da divenire il baluardo dei valori occidentali in Medio Oriente. L’unica democrazia del Medio Oriente, che utilizza la memoria per ricalcare una propria soluzione finale ai danni dei propri nemici, popoli ritenuti inferiori, selvaggi, incivili e infedeli, degni di essere giustamente sterminati. Chi critica la narrazione dominante è giocoforza un antisemita. Mentre chi sconfisse la croce uncinata e liberò i campi di sterminio dal più grande orrore nella storia dell’umanità, viene cancellato dalla storia, etichettato come demonio, terrorista, dittatore, insomma come male assoluto.
Ricordiamo invece come la stragrande maggioranza degli ebrei assassinati nella soluzione finale, non erano sionisti, anzi ne erano avversari. La metà erano ebrei polacchi che non avevano nulla a che fare con il sionismo.60 Il collaborazionismo fu la strategia, segreta, ma allo stesso tempo ufficiale del sionismo, che andrebbe dunque assimilato a fenomeni come Vichy, Repubblica di Salò, Ustascia, Quislings, Bandera, le Croci frecciate e tutte le truppe straniere raccolte dalle Waffen-SS.:
“Ovunque c’erano ebrei, c’erano stati capi ebraici riconosciuti, e questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti, in un modo o nell’altro, per una ragione o per l’altra. La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni. Tutta la storia del ruolo del sionismo nel periodo hitleriano è ancora ignota ai più, non solo al mondo in generale, ma anche alle stesse comunità ebraiche. La pervasività della sua rimozione, e l’ampia diffusione del mito che i sionisti siano i difensori degli ebrei, è una misura di quanto il movimento sionista sia stato abile nell’arte della propaganda.”61
Come scrisse lo storico del pensiero sionista Goldberg, il fatto che gli ebrei fossero un’unica nazione da sempre, è un mito fondativo nazionalista, giacché gli ebrei “erano, e sono, diversi popoli ebraici”.62 Questo mito non solo è colmo di sangue innocente, ma, come abbiamo visto ha un debito ideologico immenso nei confronti dell’antisemitismo.
“Trova la sua massima incarnazione nella Legge del Ritorno del 1950 (cui sono stati aggiunti emendamenti nel 1954 e nel 1970), autentica pietra miliare dello Stato di Israele perché stabilisce il diritto di ogni ebreo a stanziarsi sul suo territorio e ad acquisirne la cittadinanza attraverso una semplice domanda, facendo di Israele non semplicemente lo Stato degli ebrei residenti in Palestina, bensì lo Stato di tutti gli ebrei del mondo. Detta legge, che definisce come ebrea “una persona che è nata da madre ebrea oppure si è convertita all’ebraismo e non è affiliata ad un’altra religione ”, estende il diritto a “ritornare” anche ai coniugi di un/a ebreo/a e a quanti hanno almeno un ebreo fra i quattro nonni, “fatta eccezione per una persona che è stata ebrea e si è volontariamente convertita ad un’altra religione”. È in questa definizione degli aventi diritto alla cittadinanza che la Legge del Ritorno manifesta le tracce della genealogia ideologica del sionismo, giacché i legislatori, non riuscendo a trovare una definizione di “ebreo” che potesse andare al di là di quella religiosa, hanno fatto ricorso a quella fornita dagli antisemiti: rientrano infatti tra i beneficiari della Legge tutti quelli che sarebbero stati considerati “ebrei” o “meticci” dalle famigerate Leggi naziste di Norimberga del 1935. In sostanza, la Legge del Ritorno è un calco a negativo delle Leggi di Norimberga.”63
Tutto ciò senza considerare la terribile oppressione che questa Legge ha esercitato e continua a esercitare nei confronti del popolo palestinese.
La linea che collega, in un legame stretto e continuo, la seguente dichiarazione del fondatore del sionismo Herzl - “Supponendo, per esempio, di dover liberare un paese dalle bestie selvatiche, non dovremmo affrontare il compito alla maniera degli europei del quinto secolo. Non dovremmo prendere lancia e spada e andare singolarmente all’inseguimento degli orsi; organizzeremmo un gruppo di cacciatori numeroso e attivo, faremmo riunire gli animali e lanceremmo in mezzo a loro una bomba”64 - con quelle dei suoi epigoni che parlano tranquillamente di utilizzare la bomba atomica su Gaza, che giustificano ogni sopruso commesso, i bombardamenti indiscriminati, le torture, l’apartheid, le umiliazioni distruttrici di dignità, i quasi 40.000 morti diretti, in maggioranza donne e bambini, i tantissimi morti indiretti, causati dalle epidemie, dalla carenza di servizi, dalla carestia e dalle ferite non curabili, la tabula rasa di case, campi profughi, scuole, ospedali, storia, moschee e chiese millenarie, con Benjamin Netanyahu che ha intimato alla propria nazione di ricordare cosa ha fatto Amalek, sottintendendo una vendetta biblica senza pietà per niente e nessuno. Questa linea è forte e va assolutamente spezzata.
In questo terribile momento storico dunque assume ancora più valenza dire e ribadire che il sionismo, a differenza di quanto proclama la successiva appropriazione indebita nazionalistica, non ha contribuito alla resistenza contro il nazifascismo, anzi ha collaborato con esso. Non è solo questione di chiarezza storica, ma soprattutto di comprensione della realtà e di critica ad uno stato, quello israeliano, e ad un’ideologia, il sionismo, che lungi dall’essere l’antagonista par excellence del nazismo, unico vero guardiano della memoria dell’olocausto, possiede affinità inquietanti con esso sia a livello teorico che pratico. Il tassello mancante, la collaborazione tra sionismo e nazismo è l’anello della catena, meticolosamente oscurato, l’anello debole da colpire per distruggere la narrazione assassina e dominante sulla questione palestinese. Bisogna continuare a scavare.
“Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
finché non vi sia più spazio
altro che per voi”.
“Guai a coloro che chiamano
Bene il male e male il bene,
che prendono le tenebre per luce
e l’amaro per dolce”. 65
Comments
https://intellettualecollettivo.it/il-tassello-mancante-la-collaborazione-tra-sionismo-e-nazismo/
invettive e gli insulti feroci all'autore di questo splendido e illuminante articolo
Ten Questions to the Zionists About their role during the Holocaust
https://nkusa.org/ten-questions-to-the-zionists/