L’eterna strage di Bologna
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Il 2 Agosto del 1980 il destino del nostro paese fu irrimediabilmente segnato quando una bomba contenuta in una valigetta, abbandonata nella sala d’attesa della Stazione di Bologna, esplose uccidendo 85 persone e ferendone quasi 200. La strage di Bologna è l’evento luttuoso più grave in termini di perdite umane della nostra storia repubblicana. E’ l’apice del disegno criminale della complessa “strategia della tensione”. E’ il punto più alto della crudeltà umana consumata ai fini politici di complessi e occulti giochi di potere. Le strage di Bologna è una moltitudine di corpi che saltano in aria dilaniati sull’altare di un sacrificio che serve alla destabilizzazione dell’ordine democratico. Ma è anche una città che si ricompone nella sua dignità e si mobilita usando autobus, taxi e ogni mezzo a disposizione per soccorrere i feriti e trasportarli in ospedale, in un vero e proprio scenario bellico. La strage di Bologna è lo spartiacque fra un’epoca di sangue e di lotta politica e l’inizio del consumo e della supremazia della merce. Pochi giorni fa, nel silenzio di media e social, intenti come sempre a consumare quel che resta del nostro cervello, il boato di quello scoppio si è fatto sentire a più di 40 anni di distanza in un’aula di tribunale. E’ stata emessa lo scorso 8 Luglio, infatti, la sentenza d’appello che conferma l’ergastolo come esecutore materiale a Paolo Bellini e mantiene l’impianto accusatorio parallelo per i mandanti e i finanziatori, confermando la tesi sostenuta da molti storici sulla famigerata “strategia della tensione”. A meno di sorprese in Cassazione, ora si conoscono i nomi dei 5 esecutori materiali (di cui 3 già condannati in via definitiva in altri processi), ma soprattutto si conoscono i nomi di chi ideò, organizzò e finanziò l’atto più vile, meschino e infame del quale io abbia mai conosciuto l’esistenza.
“Nell’aria bruciata d’Agosto si è alzata una nuvola che ha invaso il piazzale sul quale mi sono affacciato tante volte. Bastava la voce dell’altoparlante con quegli inconfondibili accenti, per farmi sentire che ero arrivato a casa…un attimo, le 10.25, e molti destini si sono compiuti…il cronista della TV è costretto a raccontare qualcosa che si vede e a spiegare ragioni, motivi che non si sanno” Così Enzo Biagi sul Corriere della Sera, edizione speciale del 2 Agosto 1980, parole prese in prestito anche dai giudici della Corte d’Assise di Bologna per introdurre le motivazioni della sentenza di primo grado.
L’incredibile storia del video Poltzer
Nel Febbraio 2019 l’avvocato Speranzoni, legale dei familiari delle vittime, nell’ambito dell’indagine preliminare condotta dalla Procura Generale di Bologna, si imbatte in un documento eccezionale: un filmato girato in Super 8 che risale proprio al 2 Agosto ’80, proprio alla Stazione di Bologna, proprio al primo binario (la bomba scoppiò dalla sala d’attesa investendo parte del primo binario). Ecco il LINK di una copia riprodotta dall’originale e postata su youtube. Si tratta di un video girato con la tecnologia rudimentale dell’epoca da un turista tedesco, Harold Poltzer, che di ritorno dalle sue vacanze in Romagna, come molti altri, è costretto a utilizzare la Stazione di Bologna come scalo per rientrare a casa. Il Polzer riprende, da bordo del treno, i momenti che lo avvicinano alla stazione mentre il treno rallenta prima di fermarsi. Poltzer passa davanti al famoso orologio del binario 1 che segna le 10.10, siamo a circa 15 minuti dallo scoppio. Bisogna ricordare e precisare che in epoca pre-digitale, al di là della tecnologia rudimentale, i video di natura familiare vengono girati diversamente: si ha a disposizione un lungo nastro e il “regista” alterna momenti di ripresa a momenti di pausa, immortalando ciò che ritiene più interessante. Ne deriva che il prodotto finale, anziché essere costituito da più video singoli anche brevissimi, ognuno di essi corrispondenti a un file come oggi, è semplicemente un unico video con moltissime interruzioni e riprese. Il video Polzer quindi, dopo aver ripreso il binario 1 in corsa, si interrompe per poi ricominciare a scoppio già avvenuto. Tutti i telegiornali dell’epoca, tutti i documentari e reportage che conosciamo hanno sempre ripreso le immagini dei soccorsi, il cumulo di macerie, infermieri e militari in fibrillazione, passanti cittadini che aiutano alla meglio come possono rimuovendo massi per estrarre i corpi e cose del genere. Il Polzer invece riprende il cumulo di macerie probabilmente un secondo dopo lo scoppio, è il filmato della strage più immediato e più vicino. Il video immortala quei secondi in cui nessuno ha ancora capito cosa è successo, quei secondi di silenzio che precedono le urla e la mobilitazione, quei secondi in cui il tempo si fermò alle 10.25. Anche per questo motivo, i magistrati di Bologna si rendono conto di trovarsi davanti a un documento eccezionale. A ogni modo, dopo aver constatato l’indiscussa autenticità del video, gli avvocati di Bologna decidono di prenderlo in esame ai fini della loro indagine. Già esaminato nell’85 dall’Ufficio Istruzione di Bologna, erano stati estratti e archiviati 25 frame, senza per questo utilizzare il video in alcun modo. Quando gli inquirenti riprendono in mano i frame nel 2019 si accorgono che ne mancano 7, dal numero 19 al numero 25, qualcuno li aveva prelevati. Gli avvocati bolognesi non possono fare altro che andare a rivedere i frame dal filmato. Si accorgono dunque che proprio in quei frame, ripresi sempre dal treno a ridosso del binario, si intravedono due persone le quali si accorgono di essere riprese e vanno via con aria quantomeno sospetta. Tramite una perizia di tipo antropometrico una di queste persone viene identificata in Paolo Bellini, l’imputato di cui si parlava prima, già indagato ai tempi della strage e scagionato in virtù di un alibi rivelatosi poi falso. La persona nel frame sparito risulta infatti compatibile con alcune foto segnaletiche del Bellini risalenti alla stessa epoca. Non solo, in aula il presunto Bellini del filmato viene riconosciuto anche dalla moglie, che in una intercettazione ambientale si era confidata con il figlio rivelandogli che l’immagine del video, intanto rimbalzata su social e giornali, era proprio quella del padre. La sola presenza di Bellini a Bologna in stazione il 2 Agosto 80, ovviamente non basta per provare la sua implicazione con la strage, non è quella la prova regina infatti che ha portato i giudici a sentenziare l’ergastolo già 2 volte. Su Bellini pesa anche la sua affiliazione alla destra eversiva (già ritenuta responsabile della strage in passate sentenze), il crollo appunto dell’alibi precostituito a suo tempo che lo localizzava alla stessa ora della strage sul passo del Tonale in compagnia della nipote, allora undicenne, l’intercettazione telefonica in casa di Carlo Maria Maggi ex capo di Ordine Nuovo e le rivelazioni di Bartoli sul coinvolgimento di Bellini con la strage, con addirittura la cifra del compenso in denaro che avrebbe percepito. Per contro, gli avvocati di Bellini hanno ribattuto colpo su colpo sia sulla legittimità giuridica delle accuse, sia sul merito. La conferma della sentenza in Cassazione non è affatto scontata.
Il documento Bologna
Il grande merito di questa sentenza e di tutto l’iter giudiziario però, a mio avviso, è quello di aver fornito una plausibile verità sul perché di quella strage. Oltre alla contorta questione dell’esecuzione materiale vi è tutto un filone processuale parallelo che riguarda i mandanti e i finanziatori identificati in Licio Gelli (capo della loggia massonica P2), Federico Umberto D’amato (ex capo dell’Ufficio Affari Riservati), Mario Tedeschi (ex direttore della rivista “Il borghese”) e Umberto Ortolani (avvocato e banchiere della P2) i quali a vario titolo avrebbero prima ideato, poi pianificato e infine finanziato l’evento strage facendo uso della così detta “strategia della tensione” per destabilizzare il nostro ordine democratico e dar vita poi al così detto Piano di Rinascita Democratica, il fine ultimo dell’esistenza della loggia P2. Il documento principale a sostegno di questa tesi è il documento Bologna, sequestrato al capo della P2 Licio Gelli dopo il suo arresto a Ginevra nel 1981. Un semplice foglietto con l’intestazione Bologna sul dorso, un numero di conto corrente e una serie di cifre, ripiegato in tre e contenente una contabilità divisa in nove colonne: data, motivo, importo, conto, note. Tale documento, a detta dei giudici di Bologna, conterrebbe la prova del complesso giro di denaro utilizzato per l’esecuzione della strage. Nel corso dell’udienza dell’8 Maggio scorso, infatti, il Procuratore Generale Nicola Proto ne ha ricostruito tutto il flusso. Viene spontaneo, però, chiedersi: se si ha a disposizione questo documento sin dall’81, come mai viene codificato e associato alla strage di Bologna solo ora. Qui si apre uno scenario ancora più inquietante: a dire il vero il documento, dopo il sequestro, verrà acquisito nell’ambito del processo sul crack del Banco Ambrosiano Veneto e nel 1987 riappare in questo scenario: a seguito di una rogatoria internazionale, già fuggito dal carcere e riarrestato, Gelli fu convocato dai giudici di Bologna che lo sospettavano di depistaggio nell’ambito della così detta operazione “terrore sui treni”, il primo depistaggio appunto sulla strage, per il quale fu in seguito condannato; in quell’occasione il documento Bologna fu effettivamente esibito a Gelli, senza però il dorso del documento – ove vi era la scritta Bologna e il numero di cc- questo perché un funzionario della Guardia di Finanza nel trasmetterlo non fornì al magistrato entrambe le facciate, facendo in modo che il documento non potesse mai essere associato alla strage, come risulta da alcune intercettazioni.
Il documento “artigli”
“Se la vicenda viene esasperata e lo costringono (Gelli) necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha li tirerà fuori tutti” così si chiude un appunto riservatissimo (ribattezzato in questo processo “documento artigli”) del Ministero dell’Interno datato 15 Ottobre 1987. Si tratta del verbale dell’incontro fra Fabio Dean, avvocato di Gelli, e Umberto Pierantoni, alto funzionario della Polizia di Prevenzione. In quel periodo, come già detto, Gelli era sotto processo per depistaggio e temeva evidentemente di essere coinvolto nella strage più di quanto i giudici stessero sospettando. Grazie a questa diretta minaccia molto probabilmente la posizione del Gelli sulla strage fu notevolmente ridimensionata, secondo i giudici appunto è proprio in seguito alle intimidazioni dell’avvocato Dean che dal documento della contabile sparì magicamente il riferimento a Bologna. Quali siano questi artigli, cosa di preciso minacciasse di fare Gelli in caso di un suo ulteriore coinvolgimento, però, non è dato sapere. E’ chiaro in ogni caso che anche un ricatto sottinteso e non esplicito presupponga che l’interlocutore sappia di cosa si stesse parlando, il destinatario di quel messaggio è l’allora Ministro dell’Interno Amintore Fanfani (di cui ho già parlato nell’articolo Il caso del caso Moro Parte 3: La trattativa). Il documento “artigli” è quindi l’emblema del ricatto che il nostro stato ha subito in seguito a quella strage.
Che fine ha fatto la pista palestinese?
Chiunque a qualsiasi titolo abbia mai letto o visto qualcosa che riguarda direttamente o indirettamente la strage di Bologna non ha potuto fare a meno di imbattersi nella così detta “pista palestinese”, sicuramente la più accreditata fra le teorie sulla strage, alternative alle ipotesi cavalcate da tutti i processi e sentenze, che unanimemente indicano la matrice della destra eversiva. Ebbene, già nel processo immediatamente precedente a questo, dove si giudicava il quarto possibile attentatore, Gilberto Cavallini, la tesi palestinese era stata cavalcata dalla difesa e ampiamente affrontata dalla Procura Generale. Andiamo con ordine e facciamo un passo indietro per capire l’origine di questa tesi. L’antefatto è l’arresto di un cittadino giordano residente a Bologna, membro del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione per la Palestina), Abu Anzeh Saleh. Fermato dalle autorità italiane a Ortona con un pesante carico d’armi nel Giugno del ’79, insieme a due estremisti di sinistra del gruppo di Via Dei Volsci, Saleh fu giudicato in direttissima e condannato in primo grado a 7 anni per detenzione. Tale arresto, a detta dei sostenitori della pista, avrebbe comportato un’immediata rottura del già noto Lodo Moro. Il Lodo Moro sarebbe un accordo segretissimo sponsorizzato dall’On. Moro nei primi anni ’70 secondo il quale il nostro stato avrebbe concesso ai combattenti dell’FPLP (frangia dell’OLP di Arafat) di trasportare armi in territorio italiano per il solo fine di transito verso altra destinazione, in cambio dell’assicurazione di protezione da eventuali attentati. La rottura di tale accordo con l’arresto di Saleh, che appunto transitava con armi sul territorio italiano, avrebbe portato alla strage di Bologna come ritorsione da parte dei palestinesi. I sostenitori di questa pista hanno sempre dichiarato che esistano documenti segreti del Sismi che conterrebbero una prova lampante, forse addirittura una indiretta rivendicazione da parte dell’OLP. Ancora il 2 Agosto 2015, durante l’anniversario della strage, il deputato leghista Gianluca Pini tuonava così:
In una nota del Sismi del 26 Aprile ’80, richiamata poi con altra nota il 13 Maggio dello stesso anno, l’OLP ribadisce la necessità di intervenire sulla posizione di Saleh pena azioni ritorsive entro il 15 Maggio. In una lettera dell’11 Luglio ’80, inoltre, il Ministero dell’Interno avvertiva il Sisde di un pericolo palestinese in relazione alla vicenda Saleh, soprattutto in seguito all’abbattimento del DC 9 a Ustica. Tali documenti hanno appunto fornito la convinzione che fra i documenti segreti ci fosse anche la pistola fumante.
Ebbene, nel 2023 su richiesta del Procuratore Generale di Bologna Nicola Proto, nell’ambito del processo Cavallini, i documenti che dimostrerebbero la responsabilità palestinese sono stati finalmente desecretati dall’AISE…vediamo cosa si è scoperto:
Nel Novembre del 79, poco dopo l’arresto, in una lettera della dirigenza dell’FPLP indirizzata direttamente al tribunale di Chieti si specifica che “quelle armi erano in transito, non erano destinate all’Italia per cui non sarebbe ipotizzabile il reato di importazione”. In realtà l’accusa di importazione per Saleh decadrà, rimarrà in primo grado solo quella di detenzione, ad Aprile dell’80 poi i palestinesi sempre con lettera al tribunale di Chieti, chiedono la data approssimativa del processo di appello, rimarcando inoltre la necessità di rivedere la posizione di Saleh. Da questo momento in poi la comunicazione viene gestita esclusivamente dal colonnello Giannone, capocentro a Beirut del Sismi, il quale è in contatto costante con alti esponenti dell’OLP in Libano, il quale il 18 Aprile avverte il Governo della delicatezza della cosa ribadendo l’urgenza di rimandare il processo d’appello, previsto per i primi di Luglio. A detta dei giudici di Bologna ciò che si evince dai documenti è che la priorità numero 1 per i Palestinesi è il rinvio del processo, non il rilascio del prigioniero. La loro paura è infatti che le concomitanti dichiarazioni del brigatista Peci, primo pentito delle Br che comincia a parlare proprio ad Aprile, possano condizionare i giudici e portarli a usare la mano pesante, Peci infatti sta rivelando la collaborazione da tempo in piedi fra le brigate rosse e l’OLP, tramite l’FPLP. C’è anche da dire che in quei giorni si sta organizzando a Venezia un summit estremamente importante per il futuro dei Palestinesi, organizzato da Cossiga e poi confluito in una risoluzione del Consiglio Europeo, la famosa “Dichiarazione di Venezia” che si firmerà a Giugno di quell’anno e che stava per sancire un riconoscimento politico per l’OLP, motivo in più per spingere per rimandare il processo il più in la possibile. A Maggio la Presidenza del Consiglio scrive al Sismi chiedendo di “valutare se ci siano margini per venire incontro alla richiesta palestinese e di provvedere all’indennizzo dei sistemi d’arma”, tradotto: vediamo se rimandare il processo, intanto rimborsiamo le armi. Dopo altri solleciti di Giannone, il processo viene finalmente rinviato il 2 Luglio, giorno stesso in cui doveva tenersi la prima udienza, il 2 Agosto succede quello che succede e il 23 Settembre, in perfetta continuità con i precedenti documenti, Giannone da atto del rinvio del processo e del rimborso delle armi. Il processo verrà rinviato fino a Novembre 81 e Saleh verrà scarcerato per decorrenza termini. Viene lecito chiedersi a cosa mai potesse giovare, nel più cinico del ragionamento possibile, una bomba ritorsiva il 2 Agosto di quella portata, quando l’OLP stava ottenendo quello che voleva e la comunicazione stava fluendo verso la soluzione del problema. Come si sarebbe potuta riprendere una conversazione a Settembre da dove si era lasciata a Luglio ignorando che ad Agosto c’era stata una bomba che aveva distrutto una stazione e causato 85 morti, l’attentato più grave dal dopoguerra. Ma, soprattutto, è difficilissimo credere che nonostante una tragedia del genere si siano rimborsati ai Palestinesi i 60.000 dollari dei lanciarazzi pur ritenendoli responsabili di quell’attentato, per una controversia proprio causata da quei lanciarazzi, un ragionamento privo di logica. Ecco quindi che i famosi documenti che dovevano provare la pista palestinese finiscono per smontare proprio la pista palestinese.
Un altro articolo?
Delle stragi o degli eventi tragici degli anni di piombo (si è già ampiamente parlato su questo blog del Caso Moro) spesso ci si chiede come è possibile non conoscere la verità dopo oltre 40 anni. Tanti e tali sono stati i depistaggi e le tesi alternative su questa strage (oltre alla già citata pista palestinese, la tesi di Rosario Priore, la tesi del terrorista Carlos…) che a seguire attentamente le vicende sembra incredibile che si sia potuti arrivare, non dico alla verità, ma a una tale mole di informazioni veritiere e coerenti che messe insieme fanno senz’altro un bel pezzo di verità. Nel corso di una commemorazione, il già citato avvocato Speranzoni ha affermato di essersi voluto occupare della strage di Bologna, non solo per senso civico ma anche perché ritiene che l’importanza storica di questo evento risiede anche nel fatto che ha marcato l’inizio dell’era dei consumi sfrenati. La lettura, per quanto affascinante, necessiterebbe di un profondo approfondimento, tuttavia, non ho trovato bibliografia inerente esplicitamente al nesso. Cosa porta da una bomba di quelle dimensioni che colpisce indiscriminatamente vacanzieri e pendolari ad un profondo cambiamento sociale e politico. Gli ideatori del progetto, le menti criminali dietro questa strage, raggiunsero poi in fondo in fondo il fine ultimo che si erano preposti? Chissà se riuscirò mai a unire tutti questi punti e scrivere un altro articolo a riguardo.
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