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pensieriprov

Non se ne salva uno

di Sandro Arcais

Madrid. Liberista, eurista, europeista, austeritario, alfiere delle politiche deflattive basate sulla precarizzazione del lavoro. Autoritario sino all’ottusità e alfiere di una politica centralizzatrice. Come tutti i governi, in Europa. Del resto, che altra opzione rimane a un governo che ritiene naturale (anzi, progressivo (nel lungo termine, naturalmente, quando saremo tutti morti)) governare un paese con il 17% di disoccupazione, e dove il 40% di quelli che il lavoro ce l’ha sono precari (qui), se non quella di concentrare il potere nelle mani del governo centrale?

Da qui l’accettazione dell’opzione repressiva violenta. È perfettamente nella logica di questa impostazione. Solo che usare la violenza contro i migranti che tentano di entrare illegalmente in Spagna è un conto, usarla contro propri cittadini che, tra l’altro, ti vedono come uno stato straniero è un conto totalmente diverso. Ma probabilmente aspettarsi che la classe dirigente conservatrice e semifranchista di Madrid operi queste troppo sottili (per loro) differenze è eccessivo.

Barcellona. Anche loro liberisti, euristi, europeisti, austeritari, e quindi anche loro, per forza di cose, tendenzialmente autoritari. Del resto, la legge stessa che istituiva il referendum denuncia questa sicura deriva, quasi un peccato originale: gli indipendentisti, sicuri di non essere la maggioranza in Catalogna, hanno sancito la non necessità del quorum, cosicché ora si trovano nella condizione di pretendere che un 37-8% circa della popolazione decida per tutti su una questione così vitale ed essenziale. E perciò ora chiedono a gran voce la mediazione di Bruxelles.

E poi, multiculturali, no-borders, “moderni”, globalisti, gente che trova molto liberante che la portavoce del sindaco pisci pubblicamente per strada. In Catalogna pare essere avvenuto l’inglobamento del nazionalismo identitario regionale nella più generale politica identitaria tesa a frazionare, dividere, isolare persone e raggruppamenti sociali, tutti tesi a difendere e sostenere i propri diritti esclusivi. Per arrivare a un mondo in cui tutti i diritti valgono, basta che hai i soldi per consumare.

Infine, avventuristi. E qui sorge una domanda: è possibile che la dirigenza catalana si sia gettata in questa forzatura senza aver sondato gli ambienti che contano in Europa, senza avere un via libera o almeno un non no? Io non lo so. Io vivo in una provincia dell’impero euro-atlantico in fibrillazione. Qualcuno più addentro di me nelle stanze del potere potrebbe dare una risposta con un qualche fondamento.

Bruxelles. Voglio, non voglio. Appoggio, non appoggio. Prima si, ora no. A meno che non pensiamo che tutto dipenda dal diverso tasso alcolico in circolazione nelle vene del parlante, dobbiamo ipotizzare che a Bruxelles qualche tentazione almeno di provare a verificare la possibilità di portare avanti la sua agenda di indebolimento e successiva cancellazione degli stati europei, o almeno, nello specifico, degli stati nazionali dell’Europa meridionale (dei cosiddetti PIGS), ci sia stata.

Comunque sia, rimane l’evidenza del totale fallimento di Bruxelles nella gestione di tutta quanta la faccenda. E forse, sì, siamo nelle mani di perfetti imbecilli e incapaci. Del resto c’era da aspettarselo: quando tu metti su un sistema di selezione artificiale della classe dirigente basato sulla obbedienza, sul servilismo, sull’acquiescenza ai voleri del più forte (che sia stato o gruppo di pressione lobbistico), quando questa classe dirigente non deve nulla al popolo che governa e tutto ai padroni che lì li hanno messi a governare, e infine quando questa classe dirigente è infarcita di una cultura che ha alla sua base il valore della competizione e concorrenza e del diritto dei più forti di dividersi le spoglie dello sconfitto, perché sorprendersi che escano fuori frutti così deformi e marci?

Le folle di appassionati identitari che hanno riempito le piazze. Mi astengo. Non voglio infierire sugli incapaci di intendere e di volere.

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