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conflitti e strategie 2

Marx su "Il Foglio”

Su Il Foglio di ieri Giuliano Ferrara scrive: “Marx aveva i suoi profetismi, lirismi, onirismi [meglio chiamarle ipotesi predittive, n.d.r.] ma era anche un po’ scienziato [lo era pienamente, ma l’ammissione di Ferrara è già un passo in avanti per un giornalista]. Fatta l’anatomia della società civile borghese dell’ottocento (1), con la Rivoluzione industriale in corso, i proletari, le catene e tutto, stabilì che nel capitalismo si manifestava il conflitto tra Capitale e Lavoro, ma non per vaghe ragioni morali. Il capitalismo è un rapporto sociale, diceva, e i padroni dei mezzi di produzione acquistano la forza lavoro che è una merce speciale, umana, le mani callose e tutto [in realtà, a Marx delle mani callose interessava poco, in termini scientifici, perché lui non dipingeva in luce rosea le figure, in carne ed ossa, di capitalisti e proletari ma intendeva spiegare ruoli e funzioni sociali di queste personificazioni; la forza lavoro salariata è, invece, merce speciale perché è l’unica che consente l’attivazione di un processo di valorizzazione capitalistico n.d.r.]. Questa compravendita o sfruttamento è il luogo primario del conflitto, della lotta di classe, il livello del salario e quello del profitto ne sono gli indicatori, lo stato e le sovrastrutture politiche stanno in mezzo (i governi sono comitati d’affari della borghesia, e le masse della Comune danno la scalata al cielo). E’ una semplificazione corsivistica ma non troppo”.

Ferrara continua poi sostenendo che la geniale narrazione di Marx è stata smentita dai fatti in quanto i conflitti, pur sussistendo anche nella nostra epoca, non sono più paragonabili alla cosiddetta lotta di classe dell’ottocento e del novecento che è, appunto, svanita lasciando spazio ad un altro mondo possibile. Il che è vero perché, effettivamente, la lotta di classe, è venuta meno nei suoi intenti radicali di sovvertimento generalizzato dell’ordine costituito nel momento esatto in cui si è compreso che il suo soggetto principale, la classe operaia rivoluzionaria, non poteva essere l’elemento intermodale di un passaggio dal capitalismo al comunismo. Ovvero, la classe proletaria non era rivoluzionaria. Lo aveva capito anche Lenin che, riscontrato lo spirito tradunionistico dei lavoratori, si orienta alla formazione di avanguardie (guidate da elementi dei ceti superiori, e non di certo proletari) a cui deve essere affidato il compito di guidare le masse subalterne, investite da un compito storico inevitabile, alla conquista della società, conquista predeterminata dalla sussitenza di fattori oggettivi di dissoluzione del vecchio mondo (che però non decadeva per niente ma si trasformava negli assetti e rapporti di forza). Tuttavia, anche Lenin non aveva (pre)visto che la dinamica oggettiva di presunta dissoluzione del modo di produzione economico-sociale capitalistico non si stava affatto incamminando verso quel baratro vaticinato da Marx.

Ferrara, dunque, dice alcune cose giuste (Marx è scienziato, il Capitale è rapporto sociale, la lotta di classe modifica la quota spettante ai salari e quella destinata ai profitti, a seconda delle forza rivendicativa contestuale delle categorie, senza minare le basi sistemiche),  condite però con imprecisioni che ora chiariremo. Ad ogni modo, il “corsivista” sembra maneggiare l’argomento molto meglio dei chiacchieroni filosofici di moda ai nostri giorni che trasformano il Capitale in cosa o, addirittura, in una superfetazione finanziaria, mistificando i suoi aspetti essenziali.

Ferrara ritiene che la scoperta fondamentale di Marx sia il conflitto tra Capitale e Lavoro, da cui discendono quei fenomeni di cui egli parla nel suo breve intervento. Non è così. Questa è un’ipotesi ristrettamente economicistica che non rende ragione della grandezza scientifica di Marx. Marx parte da un punto diverso. La proprietà o non proprietà dei mezzi di produzione. Semmai è qui che si ritrova la chiave per interpretare l’irrimediabile divaricazione conflittuale tra classi sociali, non nella “compravendita … luogo primario del conflitto” (anzi, semmai secondario o di natura più epidermica) come impropriamente affermato da Ferrara. Scrive a tal proposito La Grassa: “…decisivo per individuare le differenti forme storiche dei rapporti sociali (di produzione) è il potere di disporre (la proprietà) dei mezzi di produzione. In ogni epoca storica di questi rapporti, importante è stabilire chi ha (e dunque chi non ha) tale proprietà, intesa appunto non in senso meramente giuridico, ma come potere di disporre e di destinare a questa o quella produzione, ecc. Le classi sociali, in Marx, sono appunto definite in base a questa proprietà o non proprietà; assolutamente non secondo le diverse funzioni espletate e i ruoli ricoperti da questo o quel raggruppamento sociale… Dunque, per Marx, quella che sarebbe stata l’ultima società divisa in classi, quella detta appunto capitalistica, vedeva in campo due diversi soggetti – proprietari e non proprietari (dei mezzi produttivi) – entrambi legati da un bisogno comune e liberi nel soddisfare tale bisogno: dar vita alla produzione per il mantenimento (e sviluppo) della società. I proprietari non avevano a disposizione servi per rendere attivi i mezzi di loro proprietà; dovevano procurarsi la forza lavoro sul mercato. I produttori (lavoratori) non avevano altro mezzo per procacciarsi da vivere se non la vendita nel mercato dell’attività utile alla messa in funzione dei mezzi produttivi. Lasciando perdere la concreta storia della formazione (di lunga durata) della società capitalistica, e dunque le condizioni di miseria in cui si sono venuti a trovare per tanto tempo i non proprietari (soltanto in possesso della propria forza lavoro) – attenendosi cioè ad un punto di vista prettamente teorico (di scienza della società) – le due classi (proprietà e non proprietà del mezzi produttivi, lo ricordo ancora) sono legate l’una all’altra, hanno bisogno l’una dell’altra. Il primo passo dell’analisi (scientifica) della società capitalistica porta esattamente a questa conclusione; non certo a quella secondo cui sussisterebbe una sorta di schiavitù (salariale), che si può sostenere solo in forma propagandistica, di schieramento a favore di una parte. Marx si esprime così qualche volta; allora, però, solo in qualità di “agitatore” politico. Atteggiamento lecito, basta però distinguerlo da quello dello scienziato”.

Quindi, se ne deduce, che non è la compravendita il “luogo primario del conflitto”, sebbene in tale luogo possa essere molto più visibile la “disputa sociale” (e perciò anche meglio neutralizzabile), ma lo stesso processo storico, con l’evoluzione dei rapporti di forza descritta da La Grassa. Per questo, Althusser diceva che Marx aveva dischiuso il Continente Storia alla scienza.


Note
(1) “La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di capire al tempo stesso la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui sopravvivono in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è svolto in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia.”

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