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Potere al Popolo. Accettando la sfida…tra limiti e possibilità

di Rete dei Comunisti

La lista Potere al Popolo sta prendendo forma. Dopo le centinaia di assemblee territoriali e le 2 assemblee nazionali di lancio del progetto la “sfida” sembra sia stata accettata da migliaia di compagni, attivisti dei comitati territoriali e di base, studenti e realtà di movimento.

Negli ultimi anni la Rete dei Comunisti non ha mai sponsorizzato le liste della sinistra più o meno riciclata. Non abbiamo appoggiato né siamo stati teneri con le esperienze che volevano riproporre il vecchio copione di una “sinistra radicale” senza un popolo da rappresentare tanto da dover addirittura far ricorso ad esperienze d’oltremare per riuscire a tenere assieme almeno il suo bacino di voti militanti. Intanto il “popolo della sinistra” si è ridotto sempre di più, sia per motivi politici - gli errori e le politiche antipopolari sostenute dai partiti storici della sinistra al governo hanno generato una frattura con il blocco sociale che ha cambiato indirizzo elettorale verso il Movimento 5 Stelle se non addirittura ripiegando verso la destra o rimpolpando l’esercito astensionista - sia per ragioni anagrafiche. Le vittorie sociali storiche della sinistra, i grandi movimenti popolari e sociali ormai sono lontani nel tempo e le nuove generazioni sono disinteressate ad una sinistra incapace di rispondere alla crisi economica e sociale e alla chiusura degli spazi di democrazia.

In questa tornata elettorale, attraverso Eurostop, piattaforma sociale che contribuiamo ad animare e protagonista di importanti mobilitazioni contro la guerra e contro la gabbia dell’Unione europea, abbiamo accettato la sfida di Potere al Popolo. L’abbiamo fatto per diverse ragioni. Sicuramente abbiamo colto le frequenze diverse su cui correva questa proposta, lanciata dai compagni napoletani, che è diventata virale suscitando l’interesse non solo delle organizzazioni della sinistra radicale ma anche di quei comitati e di quegli attivisti sociali e sindacali che in questi anni abbiamo conosciuto e in alcuni casi organizzato nelle lotte. Non che il programma presentato contenga punti avanzati, completamente estranei dai contenuti dei partiti della sinistra storica. Sicuramente tra questi diamo maggior rilievo alla questione della rottura con i trattati imposti dall’Unione Europea, per noi punto centrale e dirimente. Non ci può essere proposta alternativa che non proponga quantomeno la rottura con i vincoli imposti dall’ Unione Europea; non c’è nessuna possibilità di parlare di aumento di diritti e garanzie sociali senza proporre la rottura della gabbia che ha imposto il pareggio di bilancio in costituzione, politiche sociali e del lavoro di natura antipopolare e antisindacale o “riforme” distruttive come la “Buona scuola” e il ”Job’s act”. Altri punti però ci sembrano estremamente interessanti. La questione dell’abolizione delle ultime leggi repressive che portano la firma del ministro degli interni Minniti è stata legata all’abolizione del 41 Bis, rivendicazione storica della sinistra rivoluzionaria e di classe che ha sempre ripudiato l’accettazione di questa misura in nome della lotta alla mafia, battaglia fondamentale da combattere incessantemente ma che non può giustificare una giurisdizione speciale sul carcere degna della prigione di Guantanamo. È stato un tema questo capace di sollevare non poche voci di dissenso in una sinistra ideologicamente piegata al legalitarismo e al giustizialismo e quindi un punto dal quale ripartire per un recupero di una piena autonomia di pensiero da parte di una sinistra troppo schiacciata sulle logiche dell’avversario.

Fino a qui siamo nel campo di quello che soggettivamente è stato fatto e mobilitato per rendere Potere al Popolo una cosa nuova, diversa, più avanzata rispetto a quello che abbiamo visto riproporre a sinistra negli ultimi anni.

Ciò che crediamo fondamentale però è la condizione oggettiva su cui agiamo. Questa proposta è arrivata in un momento in cui le classi dominanti del continente manifestano una profonda crisi di egemonia che ricade anche sul livello istituzionale. Il conflitto di classe in Europa deve fare i conti con una riorganizzazione continentale del capitalismo che regge agli scossoni e che marcia verso la costruzione di un polo imperialista autonomo capace di contendere ai poli concorrenti egemonia economica, politica e anche militare. Questo processo rende sempre più limitate e inefficaci le forze di cui la classe dispone per resistere alle politiche imposte da Bruxelles e che diminuiscono lo spazio di azione sindacale e sociale vanificando importanti mobilitazioni di massa come abbiamo visto in Francia con l’approvazione della Loi Travail e in Catalogna, dove la democrazia è stata sospesa da un colpo di stato di Madrid sostenuto e coperto dalla Ue.

Ma quello su cui possiamo agire, concentrando gli sforzi, è il punto di crisi del nemico. Dall’Oxi in Grecia, passando per il voto sulla Brexit, ai referendum in Italia e in Catalogna fino alle elezioni in Germania, vediamo che le classi dirigenti del continente non riescono più a mantenere il loro consenso e la loro egemonia nemmeno nel centro di forza della Ue. Ogni volta che i popoli sono chiamati ad esprimersi a favore o contro le politiche dell’Unione Europea, i governi statali che ne applicano le direttive vengono costantemente battuti e devono ricorrere ai governi di unità nazionale, tra espressioni di diverse componenti delle borghesie nazionali, per garantire la governabilità. Ciò non significa che nel continente si respiri un’aria di sollevazione popolare, perché spesso il dissenso espresso tramite il voto va a tutto vantaggio di forze reazionarie se non dichiaratamente fasciste, ma ci dice che oggi un movimento e una organizzazione di classe compiuti non possono non tener conto del livello istituzionale. In questo scenario non ci si può non interrogare su come la rappresentanza politica del blocco sociale possa trovare forme adeguate per imporsi nello scenario politico.

I comunisti di fronte a questa situazione sono chiamati a dare delle risposte che tengano conto dei fallimenti e degli errori compiuti negli ultimi decenni. Di fronte alle trasformazioni che la ristrutturazione del capitalismo e lo sviluppo delle forze produttive hanno determinato sulla classe operaia, nocciolo sociale e politico del Partito Comunista Italiano, e alla scomposizione di classe che ha atomizzato le componenti sociali sulle quali ha agito la sinistra più o meno rivoluzionaria per più di 40 anni, non possiamo pensare che i metodi e le strade percorse nel passato siano necessariamente ancora valide. L’equazione “operaio=comunista” non regge più e come se non bastasse è completamente ridimensionato il ruolo degli operai nel contesto economico, sociale e politico italiano. La nuova classe lavoratrice è composta da centinaia di figure produttive e sociali, non permeate negli anni passati da alcun tipo di ideologia e identità politica.

Pensare di poter usare strumenti di tipo identitario o puramente ideologico per rappresentare questi nuovi soggetti del proletariato è un errore e una scorciatoia inefficace. Al massimo può permettere la sopravvivenza di questa o quella organizzazione ma non può rappresentare, oggi, un’ipotesi credibile volta a rappresentare il blocco sociale. Allo stesso modo, non possiamo pensare di annacquare le nostre posizioni e di rinunciare alle discriminanti che ci caratterizzano alla ricerca di qualche voto in più. Le esperienze delle varie “liste arcobaleno” negli ultimi anni stanno li a dimostrarci che senza chiare posizioni sui nodi che l’attuale congiuntura politica ci presenta non può esistere sfondamento nemmeno elettorale e anzi si possono consegnare interi pezzi del nostro blocco sociale nelle mani della destra più reazionaria.

La nostra partecipazione a Potere al popolo non è quindi un punto di arrivo, non crediamo che questa lista e il percorso che ha aperto siano la sintesi di tutto ciò che oggi serve per ridare alla sinistra di classe e ai comunisti una funzione che negli anni hanno perso. Siamo convinti che rappresenti un passo in avanti, uno strumento di allargamento rispetto a quello che abbiamo organizzato e mobilitato in questi anni, un contesto in cui continuare a porre la necessità della rottura della gabbia dell’Unione Europea e di una alleanza politica e sociale che ci costringe a fare i conti con il blocco sociale reale e su come riuscire a organizzarlo e rappresentarlo per aver uno strumento in più con cui ampliare e radicalizzare la lotta contro le barbarie montante.

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