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Per vincere la partita in Libia l’Italia deve allearsi con Putin

di Lorenzo Vita

Nella crisi in Libia, l’Italia ha un rivale, la Francia, e un alleato, gli Stati Uniti. Ma c’è un altro attore, fondamentale e fino ad ora in disparte, che può essere decisivo nella soluzione del conflitto: la Russia.

 

Un’altra base per il Mediterraneo

Nonostante l’attenzione del mondo sulle operazioni russe sia naturalmente concentrato sulla Siria, la Libia rappresenta un punto fondamentale nell’agenda mediterranea del Cremlino. Per Mosca, il Mediterraneo rappresenta il naturale sbocco verso l’Atlantico. Controllare o comunque garantire la presenza nel Mediterraneo si traduce quindi nella capacità di uscire dal guscio del Mar Nero e ottenere posizioni nel mare intermedio fra i porti russi e l’oceano.

Il Mediterraneo serve. E dunque serve la Libia, visto che il conflitto che sta sconvolgendo da anni il Paese nordafricano riguarda principalmente le coste, dove sono presenti porti, arsenali, possibili basi militari e, inevitabilmente, i terminali dei giacimenti di gas e petrolio.

 

Il sostegno ad Haftar

All’importanza strategica del Mediterraneo, si aggiunge poi l’importanza politica di entrare a pieno titolo nella sfida per la leadership libica. Ed è soprattutto per questo che Vladimir Putin ha sostenuto, dopo una fase di prudenza, il generale Khalifa Haftar.

Haftar non è mai stato del tutto un uomo di Mosca. I suoi contatti con gli Stati Uniti ai tempi dell’esilio imposto da Mu’ammar Gheddafi sono evidenti. E sono altrettanto evidenti i legami con la Francia, visto che da subito sia François Hollande che Emmanuel Macron hanno appoggiato il generale e la presenza delle forze della Cirenaica nel futuro assetto politico della Libia.

Ma negli anni, il leader delle forze di Tobruk è diventato sempre più importante nello scacchiere politico russo. I suoi viaggi a Mosca, fra cui l’incontro con il ministro degli Esteri Sergei Lavrov sono un segnale chiaro. E si è parlato anche di un intervento di contractors russi nell’area di Derna, dove le milizie del generale erano impegnate nella battaglia contro le forze islamiste che avevano occupato la città non lontana dal confine con l’Egitto.

Una notizia che non è mai stata confermata né da Mosca né da Tobruk: ma smentite categoriche non ci sono mai state. Oleg Krinitsyn, il proprietario dell’azienda russa Rsb-group, ha detto a Reuters che aveva mandato i suoi uomini nella Libia orientale nel 2016. La missione è finita nel 2017 e, sempre secondo Krinitsyn, il loro compito era quello di rimuovere le mine da una struttura industriale vicino Bengasi. Ma non si sa quale sia stato il coinvolgimento del governo russo e se il governo riconosciuto di Tripoli ne fosse al corrente.

L’episodio è comunque un segnale della presenza russa in Libia, e soprattutto nella parte orientale del Paese, quella controllata dalle forze del generale che adesso sfida la già fragilissima leadership di Fayez al Sarraj. Una presenza che ha, come detto, effetti politici non indifferenti. Aver appoggiato Haftar nonostante il riconoscimento internazionale del governo di Tripoli, fornisce adesso a Mosca una leva contrattuale importantissima. Perché è ormai chiaro a tutti che la Libia non avrà una pacificazione reale senza un accordo con il generale della Cirenaica.

Dunque, in futuro, l’accordo di pace potrebbe fare in modo che la Libia non sia orientata totalmente a Occidente, ma che abbia anche un occhio di riguardo verso Est, dove Mosca può garantire le truppe di Tobruk e garantire, a sua volta, i suoi contratti sul gas e sul petrolio.

 

Il riconoscimento di Tripoli

Proprio per questo motivo, non va sottovalutato il fatto che Mosca, pur sostenendo sostanzialmente Haftar, non ha mai negato riconoscimento al governo di Tripoli. E questo lo ha fatto non solo per attestarsi come potenza garante dell’accordo di pace fra le due parti della Libia, ma anche perché è nell’ovest che ci sono importanti interessi energetici.

Non va dimenticato, ad esempio, che il 4 maggio, Mohammed Siala, ministro degli Affari Esteri di Tripoli ha incontrato a Mosca il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov e il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Nikolai Patrushev. Più tardi, a fine maggio, Siala ha fatto una seconda visita in Russia, al Forum economico internazionale di San Pietroburgo. In questo secondo viaggio in Russia, il ministro libico ha incontrato nuovamente Mikhail Bogdanov e il capo del gruppo di contatto russo per la risoluzione intra-libica, Lev Dengov. Un uomo fondamentale per capire come si muove la Russia in Libia.

 

Gli interessi economici

Per far ripartite la Libia è necessario far ripartire la sua economia. E il gas e il petrolio rappresentano chiavi fondamentali per capire come si orienterà il futuro del Paese. La Russia vuole di nuovo entrare nel mercato libico dopo che la guerra civile del 2011 l’ha quasi del tutto esclusa. E in questi anni, il graduale rientro di Mosca è avvenuto proprio attraverso le sue aziende di idrocarburi, a cominciare da Rosneft che ha concluso un accordo nel 2017 con la libica Noc, National Oil Company. Un accordo estremamente importante non tanto per l’essenza in sé dei risvolti economici, quanto per quelli politici.

Come ricordava La Stampa, “la Compagnia energetica libica è forse l’unica istituzione del Paese a svolgere in questi mesi un ruolo unificatore nell’instabilità generale e a lavorare con ogni attore sul campo. Il suo presidente Sanalla, dopo mesi di negoziati con milizie, tribù e clan locali, è riuscito a far ripartire l’attività nei giacimenti dell’Ovest – Sharara, il più vasto del Paese, ed el-Fil (Elefante) -, e a collaborare con Haftar – che controlla le installazioni dell’Est – anche se questo in un primo momento aveva tentato di vendere indipendentemente il greggio all’estero”.

Ecco dunque perché l’accordo di Rosneft è importante. Ed è importante soprattutto perché Rosneft ha tra i suoi principali partner internazionali l’Eni, con cui condivide interessi fondamentali nell’immenso giacimento di Zohr in Egitto.

 

L’Italia e la Russia in Libia

Partendo da queste premesse, è evidente che l’Italia, per fare in modo che la sua strategia sulla Libia trovi consenso, deve avere la Russia dalla propria parte. E in questo senso, l’alleanza fra i due giganti degli idrocarburi, Eni e Rosneft, può essere utile. Il “cane a sei zampe” è in Libia da sempre ed è l’unica grande azienda a non aver mai abbandonato il Paese. Per anni è stata una sorta di monopolista dell’estrazione libica. Oggi non lo è più come prima, ma è sempre protagonista. E al Russia non può andare contro un partner fondamentale per il gas nel Mediterraneo.

L’intreccio egiziano, in questo senso, è molto importante. Haftar è sostenuto da Egitto e Russia. Ma Egitto e Russia non possono fare a meno di Eni: e quindi dell’Italia. Questo ci rende quindi un interlocutore obbligato per i maggiori sponsor del leader della Cirenaica e fa sì che il maresciallo di Tobruk smorzi le sue mire anti-italiane in Libia.

Ma l’Italia ha sempre sostenuto ufficialmente e sostanzialmente il governo di Sarraj. E questo anche contro la volontà del governo russo, che invece preferiva un approccio più soft di Roma in Libia, senza un chiaro e palese sostegno a Tripoli. Ma c’è anche da dire, che il sostegno a Tripoli in questo momento è figlio sia dei nostri interessi enormi nella parte occidentale della Libia, sia della nostra appartenenza al blocco occidentale.

Detto questo, l’Italia e la Russia non sono avversarie in Libia. Non hanno posizioni identiche, ma interessi comuni. E questo può aiutarci. Le aperture del governo di Giuseppe Conte a Putin sono sicuramente importanti per aiutarci in Libia. E gli interessi economici sono a loro fondamentale. Ma l’Italia può giocare una partita autonoma e avere l’appoggio russo quando ha ricevuto dagli Stati Uniti la cabina di regia sulla Libia? La speranza è che il governo muova i fili diplomatici per portare il Cremlino dalla nostra parte. Un asse fra Mosca e Parigi, per noi sarebbe un colpo durissimo.

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