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Crisi di astinenza da crescita

di Miguel Martinez

Seguo la straordinaria manifestazione che si è svolta ieri a Torino a favore del TAV.

Alla testa di tutto, c’è la Confindustria:

“Confindustria ribadisce “con forza l’assoluta necessità di completare i lavori della Tav”. E annuncia “che proprio a Torino convocherà un Consiglio generale straordinario allargato alla partecipazione dei Presidenti di tutte le Associazioni Territoriali d’Italia per protestare insieme contro una scelta, il blocco degli investimenti, che mortifica l’economia e l’occupazione del Paese”.”

Leggo su Repubblica la composizione, invece, della piazza:

“Il sit-in è stato promosso dall’associazione “Sì Torino va avanti” e da “Sì lavoro”, legata a Mino Giachino, ex sottosegretario ai Trasporti del governo Berlusconi, che ha lanciato una petizione online arrivata a più di 65mila sottoscrizioni. Hanno aderito il Partito democratico, i moderati, Forza Italia e anche la Lega, nonostante il partito di Matteo Salvini governi insieme al Movimento 5 Stelle che intende bloccare i cantieri e ha annunciato l’analisi costi benefici per l’alta velocità.

In piazza anche i Radicali e Fratelli d’Italia, che raccolgono firme per due referendum.”

Casa Pound, che è ovviamente fortemente schierata dalla parte delle Opere che Fanno Grande l’Italia, all’ultimo momento ha deciso di non scendere direttamente in piazza,

«Pur condividendo le legittime proteste degli amici del No Ztl non intendiamo manifestare formalmente con il Partito Democratico e il circuito di poteri forti che la sinistra rappresenta».

Mettiamo da parte per un momento i pareri sul valore o sul pericolo dell’opera in sé, e partiamo dalla parolina che meno vi avrà colpiti: “gli amici del No Ztl“.

Non è solo in Oltrarno che le cose piccole permettono di cogliere la chiave di quelle grandi: no Ztl, cioè i commercianti che sotto l’egida di Casa Pound si stanno battendo perché il flusso di auto nel centro della città non si fermi nemmeno per un istante.

Auto prodotte con frammenti provenienti da tutto il mondo, che trasformano il petrolio ricavato dai deserti arabi in veleno per i nostri polmoni e in gas serra e tutto il resto. Va da sé che i No Ztl si battono soprattutto su Facebook regalando i propri profili al signor Zuckerberg, quindi tranquilli, non sono antisemiti.

Benzina e sottoprodotti portano un momentaneo sollievo alla crisi, che somiglia piuttosto a una crisi di astinenza. E certamente hanno ragione i piccoli commercianti a sentirsi addosso il fiato della morte addosso.

Però tutta la sciarada di ieri diventa più comprensibile, se partiamo da questo concetto: la crisi da astinenza da crescita. E’ chiaramente il motivo della scelta della Confindustria, ma anche di tutte le piccole realtà a scendere, giù giù fino ai Fratelli d’Italia.

Insomma, stiamo parlando qui di politica vera e non solo di politica spettacolo, per questo si mescolano tra di loro i giocatori delle varie squadre.

Apriamo una parentesi.

Nel 1936, Daniel Guérin scrisse Fascisme et gran capital, pubblicato in italiano come Fascismo e gran capitale dall’amico Roberto Massari.

Guérin, osservando da vicino la nascita del fascismo e del nazismo, aveva osato fare ciò che oggi i furbi evitano accuratamente di fare: dare una definizione falsificabile di fascismo.

Con molti esempi calzanti, Guérin diceva che gli imprenditori dell‘industria pesante, in particolare metalmeccanica, godevano di un enorme potere, strettamente legato agli appalti statali, perché dallo Stato ricavavano sia le infrastrutture che gran parte delle loro commesse.

Dallo Stato l’industria pesante aveva ottenuto la più Grande Opera Inutile e Imposta di tutti i tempi, la prima guerra mondiale.

Dall’altra parte, c’era l’industria leggera (segnatamente quella tessile della Toscana, che lui evidentemente conosceva bene), che non aveva bisogno di Grandi Opere, ma di traffici internazionali; era molto meno dirigista, non era legata allo Stato; e cercava di mediare nello scontro con i lavoratori.

Con la fine della pacchia (cioè della Grande Strage), l’industria pesante si trovava in una crisi paurosa: quando non c’è più da ammazzare, non ti comprano più le bombe.

A lungo termine, la soluzione più semplice sarebbe stata quella geniale adottata dagli Stati Uniti nel 1945: “facciamo altri ottant’anni di guerra, ovunque sia!”

Ma nel 1919, gli operai – che avevano goduto di una piccola pacchia anche loro – pretesero di avere il controllo sul luogo dove passavano la maggior parte delle loro vite da svegli. 

Fu a quel punto che la Confindustria decise di finanziare lo squadrismo fascista.

Ma siccome la crisi si faceva dura, si aggregarono anche l’industria leggera, e tutto il mondo agrario.

Questa analisi del fascismo, a ottant’anni di distanza, presenta diversi problemi.

Intanto Guérin era un latino, e all’epoca solo anglosassoni e germanici intuivano qualcosa del vero problema del mondo, la catastrofe ecologica in preparazione.

Poi, esiste oggi una “industria pesante” e una “industria leggera” in Italia?

Come facciamo a distinguere capitali che girano vorticosamente per il pianeta su computer, e definirli “italiani” o “americani” o magari “nigeriani”?

In un mondo di anziani, esistono reduci ventenni fuori di testa per aver passato tre anni di vita e morte in trincea?

Esistono operai che rivendicano il controllo della fabbrica in cui lavorano?

E se nel 2018 cerchi l’olio di ricino, vai su Amazon e trovi questo:

olio di ricino

Insomma, si fa presto a dire che stanno tornando i fascisti.

Ma fatta la tara a tutto ciò, la Confindustria esiste ancora; la crisi c’è; la crescita bisogna farla lo stesso; i lavoratori vanno flessibilizzati, globalizzati, delocalizzati, automatizzati; e almeno in Toscana, i padroni delle terre che producono il vino e i palazzi che ospitano i turisti sono i pronipoti degli stessi conti e marchesi che qui inventarono il fascismo.

Abbiamo finito di scherzare, quando si deve decidere sul serio, arrivano i produttori e decidono loro come bisogna fare.

E il momento tremendo arriva, quando compare anche il No Ztl, quando tutti i piccoli disperati spaventati dalla crisi si aggregano, e i profitti di pochi diventano la furia di tanti.

Con la differenza che gli squadristi del 1920 si limitavano a bastonare contadini e operai. Questa nuova furia crescista che non picchia nessuno e usa l’olio di ricino solo per abbellirsi le ciglia, è diretta contro la sopravvivenza della vita sull’unico pianeta che abbiamo.

Immaginatevi questa gente che si agita per un’ipotetica linea ferroviaria, il giorno che qualcuno minaccia di privarla della plastica usa e getta.

E mi dicono che Marte è proprio bruttino.

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