Print Friendly, PDF & Email

pierluigifaganfacebook

La perdita irreversibile del primato morale mondiale

di Pierluigi Fagan

Il lungo dominio occidentale sul mondo originatosi già dal tempo della Grandi Navigazioni del ‘500, è andato di recente incontro a un contro-movimento quale si analizza e descrive nelle sempre più numerose e approfondite analisi sul c.d. “mondo multipolare”. Si tratta di un contro-movimento demografico, culturale, economico, finanziario, militare, tecnologico, geopolitico e diplomatico che segnerà i prossimi almeno due decenni e il cui esito è prevedibile e irreversibile in termini di riequilibrio del rapporto tra potenze, culture e convivenza planetaria.

Rimaneva forse una unica isola monopolare, quella del diritto morale. Non a caso, Biden ha usato questa partizione tra legittimi (democrazie) e illegittimi (autocrazie) già un secondo dopo l’inizio del conflitto ucraino, portando a ripetizione l’Assemblea dell’Onu a votare e schierarsi, con risultati -invero- assai parziali. Ma se nei fatti il tentativo di Biden ha raccolto risultati incerti, a livello di discorso la sua orazione rimaneva comunque l’unica espressa positivamente, per quanto accerchiata e relativizzata, staccata da effetti pratici, il dominio dell’isola del diritto morale, veniva riaffermato e resisteva.

Ieri, un signore di colore vestito secondo i codici simbolici della cultura giuridico occidentale di antica tradizione inglese, a nome del governo del Sudafrica con dietro più o meno dichiarati i governi di molti popoli che quel dominio secolare hanno lungamente subito, è sbarcato sull’isola e davanti alla Corte di un tribunale delle Nazioni Unite, ha accusato Israele di intento genocida.

Ora qui potremmo perdere parecchio tempo a scrivere di come la Corte dell’Aia che è diretta emanazione ONU è il principale organo giuridico a differenza della Corte Penale sempre dell’Aia che invece discende da un trattato formato da alcuni ma non da altri e di come la prima giudica gli Stati mentre la seconda giudica gli individui. A cui dovemmo dar seguito specificando quanto poco potere reale abbia e di quanto sia vaga la nozione stessa di “diritto internazionale”. Poi potremmo perdere tempo a trasformarci tutti in avvocati di diritto internazionale e discutere con acribia la tesi accusatoria o difensiva. Tra l’altro la difesa israeliana ci sarà oggi. Altresì potremmo perder tempo a dire delle ragioni geopolitiche o di politica interna della mossa sudafricana, piuttosto che commentare come il fatto di ieri è stato raccontato o più spesso non raccontato dai media europei e italiani.

Ma, come detto, tutto ciò risulterebbe una sostanziale perdita di tempo. Il fatto in sé è chiaro, ieri e per la prima volta, Israele e con lei l’intero occidente europeo e anglosassone in “concorso morale”, è stato accusato di intento genocida (nei confronti dei palestinesi di Gaza, 2,3 milioni di persone), un po’ un assurdo storico visto che il concetto di “genocidio” venne inventato da un avvocato ebreo polacco nel ’44. La sede in cui è stata proferita l’accusa per altro circostanziata sul piano giuridico in maniera abbastanza chiara, dà a questa accusa il senso di una condanna prima ancora ci sia una effettiva quanto pleonastica condanna o meno effettiva. È stata introdotta una bipolarità nel longevo dominio monopolare del diritto morale internazionale. Ripeto, la questione giuridica diventa secondaria, la primaria è il dominio del discorso pubblico e quel dominio è stato ieri infranto.

L’Intento accusatorio ha fatto ovviamente base sui fatti accertati. Sia per azioni dirette ovvero il 23.000 morti per lo più donne e bambini, sia per i 60.000 ingiuriati in maggioranza donne e bambini, sia per il “modo militare” con cui sono stati uccisi, l’azione diretta è chiara. Ma poi c’è quella indiretta ovvero spingere popolazione civile in aree di Gaza promesse protette e poi bombardarle, radere al suolo ospedali, tagliare ogni forma logistica di sussistenza (energia, telecomunicazioni, cibo, acqua potabile), sabotare ogni forma di aiuto internazionale e via così.

Naturalmente se ci sono tali crimini, ci sono i criminali attivi che di solito sono i militari e anche qui non mancano le prove provate. Tuttavia, fino a qui, siamo ai tipici “orrori di guerra”. Già in passato la Corte venne investita del caso jugoslavo con accuse specifiche verso la Serbia, ma non si riuscì a inchiodare la Serbia, il governo serbo sfuggì la responsabilità giuridico-politica, così gli “orrori” rimasero epifenomeno tipico della furia omicida umana di massa.

L’avvocato sudafricano, invece, ha letto un pianto accusatorio che più che indugiare sulla leva emotiva degli orrori da irrazionalità bellica la cui tremenda contabilità ha appena accennato con tono notarile, puntava decisamente verso un intenzionale intento genocida, dichiarato a più riprese, inequivocabilmente e diffusamente, dalle più alte cariche politiche dello Stato di Israele. A cascata, va da sé che se l’imput politico a monte è stato quello, a valle conseguono gli atti criminali più prettamente militari. Dato che lo Stato israeliano o ha deliberatamente incitato o non ha controllato e prevenuto l’atto genocida, è direttamente colpevole.

Né ha alcun rilievo il motivo ovvero porre i fatti del 7 ottobre a “ragion per cui”, non c’è “ragion per cui” per l’intento genocida, l’intento genocida è un fuori scala giuridico-politico che assimilando civili a militanti o militari, cosa inammissibile su ogni piano logico, esonda dal naturale principio di reciprocità. Così per i tentativi israeliani di buttarla in baraonda chiedendo pari processo per Hamas ben sapendo che la Corte si occupa di Stati ed Hamas non è uno stato.

La Corte ha natura giuridica ma dato il contesto ha ovviamente natura politica. Dei 17 membri, 7 sono europei e occidentali (di cui uno americano), più il Presidente che è americano. Tra gli altri 9, alcuni come l’India sarà in imbarazzo o forse anche il Marocco o lo stesso Libano già più volte direttamente minacciato di “trattamento Gaza” da Israele. Tuttavia, ripeto, credo che la questione pratica vada trattata certo, ma separatamente da quella culturale, quella del “discorso pubblico internazionale”. Le azioni di Israele sono dichiaratamente indifendibili e infatti, anche da parte occidentale, o sono state silenziate o relativizzate o condannate con voce flebile o a volte anche meno flebile ma sempre sapendo che sul piano pratico le si lasciava correre e così giustificandole di fatto.

Ieri, l'avvocato Tembeka Ngucukaitobi, ha piantato la bandiera dell’altro punto di vista sull’isola delle questioni giuridico-morali internazionali, un atto irreversibile verso il pluralismo planetario con cui, ci piaccia o meno poco importa, dovremmo fare i conti prima che qualcuno ci presenti il conto della nostra ignavia.

 

Add comment

Submit