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sinistra

Lettere dal Sahel XII

di Mauro Armanino

 

Esperienze e vite migranti nel Sahel

Niamey, 10 dicembre 2023. La giunta militare al potere nel Niger ha abrogato la legge 036 del 2015 nata su pressioni europee in seguito all’incontro congiunto Europa Africa nella capitale maltese dello stesso anno per il ‘controllo’ dei migranti. Nel frattempo una novantina di migranti morti nel deserto tra il Niger e l’Algeria, soprattutto donne e bambini in viaggio verso Algeri, soprattutto per esercitare l’antico mestiere della mendicità. L’obiettivo, poco nascosto, dell’abrogazione citata della legge sull’immigrazione, è per demarcarsi dall’Unione Europea che ha rinnovato l’appoggio al presidente Mohammed Bazoum ancora detenuto dai militari. Tra gli obiettivi presunti dell’abrogazione c’è anche quello di avere elementi per negoziare con argomenti ‘sensibili’. La giunta ha pure messo fine ad altre collaborazioni attinenti alle migrazioni, come ad esempio la formazione nella gestione delle frontiere, nel progetto Eucap - Niger.

Per comprendere e interpretare meglio ciò che sta accadendo nel campo delle migrazioni nel Sahel e altrove, dovremmo fare attenzione a non cadere in alcune trappole:

-La mercificazione o ‘commercializzazione’ dei migranti... usati come "oggetti di scambio" per motivi finanziari o geopolitici... Questo è ciò che fa l'UE, ma anche il Marocco, la Libia, la Tunisia, il Sudan prima della guerra... e il nostro Niger sotto il vecchio regime. Speriamo non accada con le nuove autorità.

-Feticismo per le statistiche, i numeri, il profilo, la cartografia e la classificazione dei migranti e della mobilità in generale per controllare il fenomeno migratorio per meglio usarlo, manipolarlo, controllarlo.

-Accettazione supina e poi assimilata della narrazione dominante che vede la migrazione come un flagello, un'emergenza continua, un problema di sicurezza o umanitario, un problema di scarti residuali....

 

Testi e contesti

Sappiamo che la storia umana è una storia di migrazioni! Qualsiasi trasformazione sociale avviene attraverso anche tramite la migrazione. Di fatto, la migrazione è uno degli SPECCHI della nostra società!

È il contesto a dettare la nostra agenda, a influenzare le nostre scelte e a guidare il nostro pensiero.... Diamo quindi un'occhiata allo "sfondo" dello scenario che implica e incide sulle migrazioni:

Innanzitutto, il numero stimato di migranti, circa 300 milioni, a cui vanno aggiunti circa 114 milioni di sfollati e rifugiati. È un mondo in movimento!

I conflitti armati sono almeno in parte responsabili di questi spostamenti, che generano instabilità, insicurezza, crisi alimentari e politiche.

Disuguaglianze sociali, economiche e di genere che non fanno che aumentare il divario tra Paesi, continenti, società e famiglie. Tutto questo non può essere separato dalla crisi e dalla strategia del capitalismo "cannibale", come lo ha definito Nancy Fraser. Il capitalismo sfrutta, spoglia e trasforma tutto in merce. Il suo sistema è un apartheid applicato: escludere - ridurre l'altro a cosa, disumanizzarlo - usare la violenza per sorvegliare perpetuare il sistema. Senza questa chiave di lettura, non possiamo capire il perché dei muri, il filo spinato, l'esternalizzazione e la militarizzazione dei confini... Il sistema capitalista ha bisogno di schiavi docili, pronti a scomparire quando necessario.

Le politiche continentali, regionali e nazionali devono essere inserite in questo "macro" contesto... Un nuovo regime, le sanzioni, le frontiere, la paura dello straniero... Tutto ciò ha un impatto sulla vita quotidiana e sulla mobilità dei migranti nel Sahel e nel Niger in particolare.

Nel corso degli anni abbiamo imparato che ogni migrante ha la sua migrazione, irriducibile a qualsiasi statistica o "media". Nel nostro servizio di accoglienza, lavoriamo soprattutto con i migranti di ritorno... quelli che hanno ‘fallito’ ( o si è congiurato per farlo fallire) il loro progetto migratorio, almeno per il momento...

-Abbiamo i gli espulsi, i deportati, gli espulsi... quelli che hanno finito i loro soldi e vogliono tornare nel loro Paese più o meno liberamente... per questo c’è l'OIM, l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.

-Poi ci sono i "vecchi" migranti che sono qui da molto tempo... che hanno poche motivazioni per tornare senza soldi o a causa della loro situazione familiare... la vergogna del fallimento... Vivono in alcune zone della città... Altri aspettano di essere accettati...

C’è chi attende l’occasione per tentare di nuovo la fortuna o di trovare altre soluzioni... questi migranti possono sparire da un momento all'altro... oppure sono tornati dopo aver beneficiato dell'OIM e del fondo di re-inserzione al Paese d’origine... Quindi i percorsi sono diversi e a volte lo sono anche le prospettive. La presenza di molti bambini di cui a volte si cercano le madri solleva interrogativi sulla tratta delle persone.

 

Esperienze e grida

Il tema che il nostro gruppo di Niamey ha scelto per la prossima Giornata mondiale dei migranti del 18 dicembre è "Migrare per esistere"! Questo ci sembra riassumere l'esperienza dei migranti! La migrazione è infatti un triplice grido:

-Un grido di ribellione contro la società e il mondo così com'è! È un NO al disordine sociale e alla scomparsa generati dalla globalizzazione, dove ci sono pochi vincitori e molti perdenti...

-È un grido di dignità e libertà, nel rispetto del passato, della cultura, delle radici e dei paesaggi che ci abitano ma allo stesso nel rischio di un altrove che relativizza il determinismo delle origini...

-Un grido di speranza per un futuro che possiamo costruire e immaginare... un mondo diverso in cui le lingue, le religioni e i confini non siano muri ma ponti...

Ecco alcune delle esperienze migranti che sono come simboli o metafore di ciò che si vive nel Sahel:

-Diallo, che è arrivato fino in Marocco, ha cercato di ‘assaltare’ l'enclave di CEUTA, è stato picchiato, espulso e gettato nel deserto: la tragedia dei confini come filo spinato! Diceva prima di tornare al suo Paese, la Guinea... ’Meglio prigionieri in Europa che liberi in Africa’!

-Violenza sui bambini, assenza di cibo, condizioni di vita pessime, paure... il deserto, le minacce... Donne che non confessano apertamente ciò che hanno subito nei loro corpi...

-Steve, che cambia confini, nomi e nazionalità per farsi accettare. Malato di un tumore al volto... nessuna istituzione, compresa la sua ambasciata, L’UNHCR o l'OIM, si occupano di lui... i poveri possono sparire...

-Boah, un liberiano che si sposerà a fine mese con una donna togolese... anche questa è una migrazione!

Infine, una storia scritta, originariamente in inglese, dall’autore, appena tornato al Paese grazie all’OIM.

 

IL MIO VIAGGIO MIGRATORIO:

MI CHIAMO ISAAC M. WILLIAMS, SONO UN MIGRANTE DEL GHANA. COME STUDENTE DI INFORMATICA HO ABBANDONATO L'UNIVERSITA’. L'ABBANDONO A QUESTO LIVELLO È STATA LA MIA PIÙ GRANDE DELUSIONE NELLA VITA. SENTIVO CHE SENZA OTTENERE UN TITOLO DI STUDIO IN CAMPO ACCADEMICO ERO UN FALLIMENTO. HO PROVATO INVANO A CERCARE LAVORO PRESSO AZIENDE NEL MIO PAESE, MA NON SONO STATO PRESO IN CONSIDERAZIONE A CAUSA DELL’ABBANDONO CHE MI HA IMPEDITO DI OTTENERE IL MASTER.

HO QUINDI ESCOGITATO UN SECONDO PIANO CHE RITENEVO APPROPRIATO O VANTAGGIOSO PER LA MIA VITA: HO DECISO DI ANDARE IN LIBIA, DOVE UN AMICO MI AVEVA DETTO CHE ERA MOLTO FACILE TROVARE UN LAVORO NEL CAMPO DELLE TECNOLOGIE DELL'INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE.

NON AVENDO SUFFICIENTI INFORMAZIONI SULLA MIGRAZIONE, HO INIZIATO IL MIO VIAGGIO E SONO ARRIVATO A SABHA, IN LIBIA, IL 20 MAGGIO 2022, DOVE SONO STATO ARRESTATO INSIEME A MOLTE ALTRE PERSONE E ACCUSATO DI MIGRAZIONE IRREGOLARE E DI DOCUMENTAZIONE FALSA.

DOPO IL MIO RILASCIO, SONO STATA VENDUTO COME SCHIAVO A UN UOMO ARABO PER IL QUALE HO LAVORATO SENZA RETRIBUZIONE PER QUATTRO MESI; SONO RIUSCITO A FUGGIRE DALLA SUA FATTORIA DURANTE LA NOTTE NEL DESERTO. HO ATTESO CIRCA 38 ORE PRIMA DI INCONTRARE UN UOMO NEL SUO PICK-UP CON LA SUA FAMIGLIA AL QUALE HO SPIEGATO LA MIA SITUAZIONE. MI HA PORTATO IN UN POSTO DOVE HO INCONTRATO DUE LIBERIANI E UN NIGERIANO; UNO DEI LIBERIANI È STATO COMPASSIONEVOLE E MI HA PORTATO DAL SUO MIGLIORE AMICO, UN NIGERIANO, CHE AVEVA UN'OFFICINA DOVE POTEVA RIPARARE APPARECCHI ELETTRICI. SONO POI ARRIVATO A NIAMEY DOVE IL SERVIZIO MIGRANTI E L’OIM MI HANNO AIUTATO. TRA QUALCHE GIORNO TORNO AL MIO PAESE.

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Cospirazioni e cospiratori nel Sahel

Niamey, 17 dicembre 20. La prima cosa che respiriamo assieme, in questa stagione del Sahel chiamata dell’ HARMATTAN è la polvere. La respiriamo proprio tutti seppure in misure distinte. C’è chi mette le mascherine da Covid e chi, più rispettoso della tradizione, copre buona parte del volto col turbante sullo stile dei ‘tuareg’ che in questo ambito hanno una grande esperienza. Respirare assieme è proprio ciò che significa, etimologicamente, una ‘cospirazione’. Lo ricorda il dizionario...’ La parola cospirazione deriva dal latino cum spirare (respirare con), e cioè essere animati dal medesimo afflato, per indicare un accordo profondo, intellettuale e sentimentale, in direzione del conseguimento dell'obiettivo prefissato’. il respiro e lo spirito affondano nella stessa radice etimologica. Che quindi i cospiranti, alla fine, sono quelli che condividono un medesimo spirito, un uguale, affratellante slancio dell’animo. Talvolta condividono anche l’ avversione o sovversione del sistema.

Nel Sahel ci sono infatti cospirazioni e cospiratori ma non solo per causa della polvere che si respira. C’è chi cospira per mestiere e chi per convenienza, chi si accontenta di un cambiamento di facciata e chi vuole la rivoluzione. Abbiamo gruppi armati che aspirano a una trasformazione radicale dell’assetto sociale e troviamo nella stessa zona i banditi che applicano all’oggi le razzie di un tempo con l’appoggio di mercanti di armi, droga e persone umane. Anche i milioni di sfollati, rifugiati e profughi, a modo loro, vivono assieme la cospirazione più profonda e unica che ci sia, quella della sofferenza silente e spesso inosservata. I migranti, gli ‘esodanti’, gli avventurieri dal destino segnato per sempre, a loro volta, cospirano per un mondo differente a cominciare dalle frontiere. Spesso senza saperlo si concorre, respirando assieme, alla creazione di una comune frontiera che alcuni si ostinano a chiamare speranza.

La prima cosa che respiriamo assieme in questo spazio, noi cospiratori e fautori di cospirazioni, è la polvere. Fine com’è, ci unisce e ci tradisce proprio come fa la storia umana. Verrebbe allora da suggerire al pallido vento che unisca le polveri di tutto il mondo! La polvere della dignità si congiunge con quella della giustizia per imparare a resistere come solo i poveri, fatti di polvere, hanno imparato a fare per sopravvivere. Respiro, soffio, alito e vento sono ciò che unisce i cospiratori perché della stessa polvere di vento sono impastati. Un vento che passa e si dirige dove non sa, senza frontiere e destinazione, anarchico e imprevedibile, incurante dei regimi di transizione, di eccezione, civili e militari. Un vento che la polvere che la politica di questi mesi dal colpo di stato a oggi cerca con tenacia invano di mettere a tacere. Nel Sahel i veri cospiratori sono coloro che rincorrono il vento e gli affidano la libertà perduta.

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Mentre in Europa

Niamey, 24 dicembre 2023. Ci si industria a orientare, controllare, limitare, punire e organizzare le migrazioni qui, dall’altra parte del mondo chiamato creativamente Sahel, ci sono altre realtà con le quali fare i conti. Ad esempio c’è Emanuel, liberiano di nascita, che soleva passare spesso a salutare e chiedere consigli e soprattutto aiuti. Non si vedeva da tempo perché imprigionato per un anno per una storia inverosimile. E’ stato rilasciato ieri, per grazia ricevuta, onde decongestionare il carcere civile di Niamey la cui popolazione è cresciuta in modo insostenibile in questi ultimi anni. Ha sopravvissuto solo per via dei miracoli che si moltiplicano senza darlo a vedere da queste parti del mondo poco strutturato per tali sventure. Ha dovuto pagare il ‘re’ della cella per un posto letto di alcune decine di centimetri quadrati. Lavarsi era un’avventura occasionale quotidiana.

Mentre in Europa si compra il Natale spesso rinnegandolo nei fatti, ritorna alla ribalta dopo qualche mese Camara, originario della Costa d’Avorio. Espulso dal Marocco, dall’Algeria e poi gettato nel deserto era sbarcato con l’intenzione di trovare se stesso tra i meandri della vita. Si trovava tra coloro che erano stati ripescati nel mare dalla guardia costiera marocchina. Aveva visto l’altra riva da lontano e da allora non l’aveva più dimenticata. Dice che, una volta tornato al suo Paese, preparerà i documenti personali e di viaggio per partire regolarmente dall’altra parte. Cerca qualcosa con cui coprirsi dal fresco delle notti passate nei pressi degli uffici dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. Dice che non mangia da un paio di giorni e che, per imbrogliare lo stomaco, beve acqua a non finire. Attende un regalo per Natale.

Mentre in Europa ci si interroga su identità di genere e in generale il matrimonio è in cerca d’autore passano a salutare Celestine e Boa. Si sposeranno a fine mese in cattedrale a Niamey. Lei togolese e lui liberiano, con un figlio adottato nell’attesa forse di altri che forse arriveranno, da migranti come tutti, su questa terra che diventa un esilio per troppe persone. Si sono incontrati qui, entrambi stranieri in questo Paese che dopo essere stato per qualche giorno nei primi titoli dei notiziari è in fretta tornato alla sabbia da dove veniva. Non sarà certo il loro matrimonio a cambiare le sorti del colpo di stato militare che tiene fino a oggi imprigionato il presidente eletto, dubbiosamente, nel 2021. Non ci sarà nessun viaggio di nozze vista la chiusura delle frontiere che persiste finora. Il riso degli sposi sarà messo da parte per la cucina.

Mentre in Europa si è smarrito il sentiero della vita e si è adottato l’effimero come unico orizzonte, arriva, trafelato, l’amico Khalifa, libico di origine. E’ scappato dal suo Paese a causa della persecuzione religiosa dopo aver scelto di diventare cristiano. Incarcerato, battuto e minacciato di morte scappa in Algeria e da lì, espulso come di prammatica dai militari, arriva fortunosamente a Niamey e si presenta all’ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati. Accolto dai funzionari riceve in cambio un foglio plastificato col nome, la data di arrivo, un numero di riconoscimento e poi più nulla. Non si allontana dall’ufficio che centralizza i servizi e, stanco di non mangiare e dormire accetta di alloggiare nella casa degli amici del Togo. Passa perché pure lui non mangia da alcuni giorni e teme il ritorno al Paese. L’essenziale per lui è il cibo e una croce al collo.

Mentre in Europa si fanno le guerre per procura, si investono sempre più soldi nella fabbricazione, l’acquisto e la vendita di armi. Nella tacita ipocrisia accettata e riprodotta da buona parte dei media compiacenti, ci si presenta al mondo come paladini del diritto e della pace. Nessuno ci crede più perché le promesse di giustizia, equità, solidarietà e bene comune sono state da tempo abbandonate o buttate al macero. Qui si sentono e soffrono le conseguenze delle armi, guerre e geopolitiche in subappalto. Milioni di persone col diritto di vivere si trovano nella categoria degli sfollati, rifugiati, abbandonati, dimenticati e liquidati sull’altare di interessi politici, religiosi e soprattutto economici. Il Dio, preso come ostaggio da una parte o dall’altra dei poteri, sta coi bambini della Sierra Leone che qui non hanno neppure una mangiatoia.

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Elogio della paternità

Niamey, 31 dicembre 2023. Il Comitato Nazionale per la Salvaguardia della Patria, in breve CNSP, esiste nel Niger dal 26 luglio passato, giorno in cui è stato fatto prigioniero il presidente Mohamed Bazoum. Passano i mesi e il tema della Patria non accenna a diminuire, anzi, il patriottismo e i patrioti sono ormai i cittadini modello da imitare. Il nuovo cittadino nigerino sarà patriottico o non sarà affatto! Come non pensare agli anni passati nella scuola elementare e ricordare i moti per l’indipendenza, i patrioti pronti a immolarsi, i carbonari che sognavano un Paese unificato. Poi si mescolano gli abbinamenti orchestrati da regimi politici di sinistra memoria che coniugavano, manipolandoli, la Famiglia, Dio e la Patria. Le trincee della storia e le colonizzazioni occidentali sono state, non raramente, la traduzione geopolitica di tali accostamenti. Poi il linguaggio, specchio ed eco dello spirito del tempo, ha impiegato i derivati di patria, dal latino pater. Il ‘pater familias’, padre di famiglia della Roma antica, con insondabile diritto di vita e di morte sui figli, patriottismo e infine patriarcato. Quest’ultimo interpretato come causa di tutto quanto esiste di oppressivo nella civiltà occidentale.

Nostro padre Pietro, il padre di noi e marito di nostra madre, ha attraversato la vita con umiltà perché ha lui stesso sofferto precocemente dell’assenza dei genitori. Giovane partigiano sull’Appennino ligure- parmigiano per lottare contro il nazifascismo imperante, si è poi trasformato in marito, padre, operaio edile e delegato sindacale di base. La sua vita non è stata lunga quanto avrebbe potuto essere . Il suo cuore ha retto fino all’età di 56 anni fin quando, una notte, ha smesso di battere di quella paternità che l’aveva, malgrado le traversie, tenuto in vita. Con sua moglie, nostra madre, ha vissuto, condiviso, atteso e sperato quel futuro che aveva intravvisto sulle montagne, sfiorato più volte dalla morte. Si lasciava sorprendere dalla vita come fosse la prima volta che accadeva ciò che la famiglia, nella sua sobria povertà, attraversava. Una delicatezza coniugale, la sua, che nostra madre, vedova per vent’anni, non terminava di ricordare con tristezza prima e serena letizia in seguito. Sono sepolti assieme nel cimitero di campagna non lontano dalla chiesa millenaria dove si erano sposati, una domenica mattina nel mese di settembre di quell’anno.

Tra patria, padre e patriarcato non c’è quella continuità che si vuol far credere in occidente, dove la paternità sembra passata di moda e di statuto. La crisi nell’identità dei padri, così come concepita e sistematizzata nel passato, sembra irreversibile anche perché legata ai mutamenti dell’identità della donna nella crescente autonomia sul proprio corpo. Una società senza padri degni di questo nome, con un ruolo da reinventare, sarebbe un dramma e creerebbe la stessa sciagura di una società senza madri. Ci sono padri che spariscono e altri latitanti nel momento in cui più si abbisogna di loro. Altri sentono che il potere di un tempo è andato come sabbia tra le dita e hanno smarrito le certezze di una volta. Ridare un volto alla paternità dovrebbe essere uno dei cantieri più urgenti e decisivi del nostro tempo. Senza questo tentativo appare illusorio oppure fuorviante insegnare e recitare coi figli la preghiera del Dio padre.

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Verità e finzioni nel Sahel del nostro tempo

Niamey, 7 gennaio 2024. Lo confessava oggi un amico giornalista di qui. Ha risposto sottovoce alla domanda sul motivo per cui, in modo così repentino, giornali, radio e giornalisti affermati si sono allineati col nuovo regime militare al potere nel Niger. ‘On fait semblant’, ha detto sottovoce. Tradotto significa ‘si fa per finta’… E ciò per evitare possibili problemi nel futuro e garantirsi pane e vita più tranquilla. Lui, che ha dato da poco le dimissioni dal giornale per il quale lavorava da anni, non esclude che alcuni lo facciano per convinzione. Come sempre nella vita reale le frontiere tra eroi, santi, navigatori e vigliacchi non sono facilmente tracciabili.

D’altra parte ammettiamolo. Quanto accade nei Paesi limitrofi e nel Niger appare come particolare e peculiare nel contesto dell’insicurezza dominante in questa ‘sponda’ chiamata Sahel. Regimi militari che, con reale e apparente appoggio di una parte significativa del popolo. conducono alleanze militari, economiche e politiche tra loro. Smantellano con decreti, ordinanze o leggi promulgate per la circostanza. Assetti diplomatici, militar e giuridici dei regimi precedenti sono rinegoziati o semplicemente cambiati. Il tutto, naturalmente, senza nessun avallo dell’Assemblea Nazionale, sciolta dal colpo di stato del 26 luglio.

Il Niger, pare realizzare con indubbia creatività, le differenti opzioni e possibilità delle repubbliche e democrazie come sono applicate e vissute oggi. Colpi di stato militari a scadenza decennale. Periodi intensi di transizione, eccezione e confusione. Omicidio di un capo di stato da parte della propria guardia presidenziale e, attualmente, arresti domiciliari dal presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Il tutto a opera di militari e corpi speciali formati in particolare dagli Stati Uniti e Occidentali. La conclusione non lascia adito a nessun dubbio. Contesti politici ed economici hanno posto i militari ‘arbitri’ del gioco.

Passati i tempi forti di giovani, bambini e adulti delle ‘oceaniche’ allo stadio e delle bandiere nazionali al vento di sabbia dei tricicli guidati da giovani coi caschi e le magliette al colore del Niger. Momenti forti attorno alle rotonde o alla neobattezzata piazza della Resistenza attorno a quello che fu la base militare francese dell’aeroporto. Si passa ad altro in attesa della promessa concertazione nazionale che dovrebbe dettare le linee del futuro Paese sotto il sigillo della ‘sovranità’ senza concessioni. Dopo aver sospeso le emissioni radiofoniche di Radio Francia Internazionale, familiarmente RFI adesso è il turno del sito web.

Nulla di cui stupirsi se anche l’amministrazione della giustizia appare, come sempre, legata a doppio filo col potere dominante. Vari ministri del passato regime sono in custodia e non si scorgono prospettive per eventuali processi a loro carico. C’è un clima sociale che risente della pesantezza della crisi economica e soprattutto della ‘tristezza’ di un pensiero unico che sembra disegnarsi nel panorama politico del Paese. Difficile poter pensare a uno scambio sereno, democratico e pluralista quando l’autocensura, facilitata dal contesto attuale, sembra privilegiare una e sola direzione al paese.

Verità e finzione passano frontiere porose dappertutto e il l Sahel non è da meno. Terreno di presenza e conquista per multinazionali, gruppi armati, banditi, contrabbandieri, politici corrotti, militari come eroi e milioni di sfollati, rifugiati e migranti che immaginano la loro vita altrove. Ideologie fuori uso e analisi poco aderenti alla realtà si mescolano, come polvere al vento, con narrazioni di sovranità riconquistata a caro prezzo. Nel Niger e altrove, intanto, si perpetuano ricorrenti carestie e precarietà che il quotidiano vivere traduce in muto dolore. Solo il nostro popolo di sabbia saprà ritrovare il sentiero, abbandonato, della dignità.

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Il ritorno di Godwin, migrante per l’eternità

Niamey, 14 gennaio 2024. Ieri, sabato, non c’era nessuno per la sua sepoltura. Solo la terra, silenziosa e accogliente come un grembo materno, l’ha preso e custodito. Lui era arrivato a un certo punto dell’anno scorso sostenendo di essere liberiano di nazionalità. O meglio, liberiano oppure nigeriano secondo le prospettive, le circostanze e soprattutto le opportunità offerte dal destino. Sosteneva anche di non essere in possesso di alcun documento di identità o di viaggio. L’unica cosa certa, ben visibile, era un tumore che si era installato sulla parte sinistra del suo volto che gli diminuiva la facoltà di parlare e di vedere correttamente. La croce rossa nigerina prima e il servizio pastorale dei migranti poi, hanno accompagnato gli sforzi dei servizi medici locali per lenire il dolore e tentare un’improbabile guarigione. Fin dal suo arrivo a Niamey sosteneva di chiamarsi Steven e di essere portatore di una duplice ed effimera nazionalità.

Col passare dei giorni e la vicinanza di alcuni migranti liberiani, ha esibito un passaporto nel quale emergevano dettagli imprevedibili del suo percorso migratorio. Confezionato ad Addis Abeba in Etiopia, con un timbro dell’arrivo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, l’altro ad Abidjan nella Costa d’Avorio. Mancava quello dell’ingresso nel Niger dove era arrivato perché gli avevano detto che a Niamey ci si prende cura dei migranti. Ed è così che Steven, si è trasformato successivamente in Godwin, il nome scritto sul passaporto che attestava la sua nazionalità nigeriana. Godwin, Dio vince, era il nome chi si portava addosso come il gonfiore sul volto che non accennava a diminuire finché cominciò la chemioterapia nell’ospedale di oncologia di Niamey. Passavano i mesi, la terapia e le la cura di medicine con scarsi risultati perché il corpo sembrava stanco del tanto camminare nel mondo.

Godwin si è spento l’altro giorno, un giovedì sera verso le 19 e, con celerità si è fatto il possibile perché egli abbia una degna sepoltura nel cimitero cristiano della capitale. Un breve soggiorno all’obitorio del cimitero musulmano e poi, dopo la pulizia del corpo, Godwin è stato adagiato in un feretro di legno leggero e arricchito da una croce scolpita nella parte superiore della cassa. Il trasporto sul retro di una pick up fino al cimitero e poi l’ingresso per l’ultima migrazione, la più impegnativa di tutte, dopo una breve preghiera di commiato e la benedizione della tomba. Il feretro è stato deposto nella nuda terra e poi ricoperto di sabbia. Un paio di amici che l’hanno accompagnato in questi mesi e soprattutto lei, la terra che nel silenzio materno l’ha preso in sé. Accanto alla tomba non c’era nessun membro dell’ambasciata della Nigeria e dell’associazione dei nigeriani di Niamey, malgrado fossero informati del decesso. Godwin, il Dio che vince, era morto abbandonato da tutti. Solo il grembo della terra si è riaperto e l’ha custodito, per l’eternità.

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