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L’Iowa suona la sveglia a Biden

di Branko Marcetic

Trump ha fatto a malapena campagna elettorale per il caucus e insultato il leader evangelico locale ma ha vinto lo stesso. E con un margine storico. Ce n’è abbastanza per sollecitare i democratici a sfidarlo sul terreno politico e non su quello giudiziario

Negli ultimi tre anni, il Partito democratico ha fatto pressione a tutto campo con il singolare obiettivo di minare le possibilità di Donald Trump di ricevere ancora la nomination: gli spettacoli mediatici e congressuali durati anni intorno al 6 gennaio, la serie di accuse penali contro Trump, persino il recenti tentativi di ricorrere ai tribunali per escluderlo dal voto in diversi stati. Invece, il sostegno di Trump all’interno del Partito repubblicano non ha fatto altro che crescere, a volte apparentemente proprio grazie a questi sforzi.

Con la larghissima vittoria di Trump nei caucus dell’Iowa di ieri sera, i democratici potrebbero finalmente chiedersi se hanno bisogno di una strategia per la sconfitta politica dell’ex presidente, invece di elencare i modi per evitarlo con un trucco.

Trump ha vinto con 30 punti di vantaggio ieri sera, lasciando i suoi due sfidanti più vicini a lottare per un lontanissimo secondo posto, con il suo 51% dei voti ha superato i già rosei sondaggi preelettorali. Quel margine di vittoria è quasi tre volte più ampio dei precedenti vincitori del Gop in Iowa: Bob Dole batté il pastore televisivo Pat Robertson di 12 punti nel 1988, quando nessuno dei due finì per vincere la nomination; George W. Bush trionfò di 11 punti nel 2000 in un campo ristretto che vide l’editore milionario Steve Forbes arrivare secondo; e Mike Huckabee sconfisse il secondo classificato Mitt Romney di 9 punti nel 2008, in un’altra gara in cui l’eventuale candidato repubblicano sarebbe poi stato uno dei contendenti. Trump ha prevalso in ogni singola contea tranne una, dove ha perso per un solo voto.

Trump è riuscito in questa impresa nonostante il flusso costante di quelli che avrebbero dovuto essere scandali esiziali e la copertura mediatica negativa della campagna elettorale, nonostante non si sia preso la briga di partecipare a un solo dibattito, nonostante non si sia nemmeno presentato fisicamente in Iowa fino all’inizio di questo mese, e nonostante il fatto che il suo rivale più vicino (un ossimoro), Ron DeSantis, ha dato tutto ciò che aveva nel tentativo di conquistare lo stato, compreso andare in tutte le novantanove contee che lo compongono. Inoltre, Trump è riuscito a ottenere questa vittoria nonostante lo scontro con il leader evangelico locale Bob Vander Plaats, il cui endorsement aveva anticipato il vincitore del caucus dell’Iowa dal 2008 e che quest’anno sosteneva DeSantis, con Trump che ha consolidato il voto evangelico nonostante abbia saltato tutti gli eventi di Vander Plaats. Mettendo in scena una grande mancanza di rispetto.

Già questa potrebbe essere la dimostrazione più evidente della presa ferrea di Trump sulla base repubblicana. Trump ha perso per poco l’Iowa nel 2016, a favore di Ted Cruz, soprattutto a causa dei sospetti che aveva suscitato tra gli elettori evangelici, che costituiscono una larga fetta dei repubblicani registrati al voto nello stato. Ma dopo i quattro anni di Trump come presidente che hanno ottenuto vittorie su vittorie per il blocco elettorale – soprattutto, nominando i tre giudici della Corte Suprema anti-aborto che hanno contribuito a cancellare Roe v. Wade l’anno scorso – i cristiani rinati sono diventati sostenitori di Trump rinati. Trump ha ottenuto i maggiori successi nelle aree più religiose dello stato.

Trump non ha dominato solo tra gli evangelici. La base elettorale di Nikki Haley è stata nelle aree più ricche e con più istruzione universitaria, anche se in entrambe è comunque rimasto indietro rispetto a Trump. L’ex presidente è stato inoltre in testa in modo schiacciante nelle aree a basso reddito e in quelle con più laureati, migliorando il suo risultato all’interno di entrambi i gruppi rispetto al 2016. Gli exit poll vanno presi con le pinze, ma mostrano che ha conquistato la maggioranza o un’ampia pluralità di elettori di trent’anni o più, repubblicani, conservatori, indipendenti e di ogni livello di istruzione, così come sia tra coloro che vogliono vietare l’aborto che tra chi vuole mantenerlo legale.

La bassa affluenza alle urne, probabilmente a causa della giornata più fredda di sempre dei caucus, non è un grande conforto. Date le condizioni inospitali di ieri, è discutibile come considerare l’affluenza del 14,4%: è nettamente inferiore a quelle che erano considerate gare ad alta affluenza nelle ultime tre primarie competitive ma è paragonabile con il 15,6% e il 16,7% registrati rispettivamente nel 2000 e nel 1996.

In ogni caso, è vero che l’affluenza alle urne è diminuita nelle contee più urbane che sono state le più timide per Trump, e questo potrebbe aver in qualche modo spostato il risultato. Eppure ciò suggerisce anche qualcosa di estremamente scomodo: la natura in definitiva passiva e disinteressata dell’ala anti-Trump dei reubblicani e, per contrasto, la fervente passione degli elettori di Trump («Avrei strisciato come un esercito sul ghiaccio per arrivare qui» ha detto al Washington Post un sostenitore di Trump e partecipante per la prima volta al caucus), ed è qualcosa di particolarmente significativo alla luce della terribile mancanza di entusiasmo e di sostegno del presidente Joe Biden da parte del suo stesso partito.

Chi auspica che questa stagione delle primarie comporti l’oblio politico di Trump deve cercare altre cose per rassicurarsi. Oltre alla minore affluenza alle urne, i caucus dell’Iowa sono molto meno predittivi su chi finirà per ottenere la candidatura dei Repubblicani e ci sono ulteriori sfide in vista che potrebbero cambiare la situazione. Ma qualsiasi sguardo onesto al risultato di ieri sera dovrebbe indurre gli oppositori di Trump a smettere di vivere nel paese dei sogni, sia per quanto riguarda la natura del Partito repubblicano e del movimento conservatore più ampio, sia per come saranno le elezioni generali di quest’anno.

Perversamente, il secondo più grande vincitore di ieri sera è Biden e il suo team, la cui intera strategia elettorale dipende dal fatto che Trump sia il candidato, per motivare i democratici delusi e, almeno finora, lasciare che il presidente conduca una campagna in gran parte priva di proposte politiche e incentrata su la prospettiva di altri quattro anni di caos e illegalità da parte di Trump. Ma il risultato del caucus dovrebbe far riflettere anche loro. Il partito ha già sbagliato quando pensava che un Donald Trump carico di scandali sarebbe stato rifiutato dagli elettori repubblicani e sarebbe scomparso dal panorama politico. Potrebbero sbagliarsi anche nel ritenere che la sua storia sia sufficiente a mettere le elezioni in tasca a Biden.


*Branko Marcetic è collaboratore di JacobinMag. Ha scritto Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden.

Questo articolo è uscito su JacobinMag.

La traduzione è a cura della redazione.

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