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mondocane

Libera menzogna in libera guerra

 Mentre c’è chi vive per uccidere e chi muore per la libertà, come sa chi per lei vita rifiuta

di Fulvio Grimaldi

Byoblu-Mondocane 3/16 in onda domenica 21.30. Repliche lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00

Mi sono permesso, nel titolo, di parafrasare, fino a cambiarne il riferimento ma non il senso, il verso di Dante sul sacrificio di Catone per la libertà sottratta da Cesare. Riferimento cambiato fino a un certo punto, però, visto che l’aviere dell’aeronautica USA proprio per la libertà di vivere del popolo palestinese, si è ucciso, facendosi liberare e purificare dal fuoco della sua involontaria, ma subita, complicità col male.

Non mi va di usare il termine cuore, per quella roba zuccherosa e scipita che s’è fatta di questo muscolo nelle mille e mille canzonette che ci avvelenano da Sanremo e da tutti i facili e ipocriti sentimentalismi letterari, cinematografici o formulati a voce. Così è diventata molesta, perfino e soprattutto e non da mo’, la parola amore e, per dirla tutta, la triade, abusata come nessun’altra mai, di cuore amore dolore. Alla larga! E’ l’abuso che si fa di certi elementi del linguaggio, pur integri alla nascita, che li degrada fino a svuotarli di senso. O a invertirlo. Pensate a cosa è stato fatto di “Bella ciao”…

Ma quella scelta, quella camminata decisa, inesorabile, quasi trionfale, di Aaron Bushnell (un ebreo!) verso il nemico da incenerire moralmente, peggio di come lui ha incenerito il suo corpo, strumento di liberazione, mi sono entrati dentro e ci rimarranno finché mi sarà dato di ripetere al mondo che alla resa dei conti, accanto e oltre e sopra e per sempre, sono gli eroi che seppelliscono i draghi. Sennò non saremmo neanche più qui, dopo 200.000 anni di confronto con gli antivita.

Mentre camminava, questo ragazzo di vent’anni, per pochi metri di strada qualsiasi che pareva i Fori Imperiali, poi con una lattina e un accendino in mano e le fiamme addosso, diceva parole che dovrebbero percuoterci come fossimo sotto le campane del campanile di Giotto a mezzogiorno. Tanto da vibrarne come corde di violino a ripensarci, e ripensandoci sempre, per il resto della vita. E fino all’ultimo giorno dell’aberrazione sion-statunitense e al primo giorno, almeno, della Palestina libera, sovrana, in pace. E se vi pare retorica, peggio per voi.

Ci diceva, Aaron, chi lui fosse e, in quanto militare dell’apparato di morte al quale avrebbe dato fuoco con il proprio corpo, cosa questa sua identità significasse di supremo e definitivo, nel momento in cui con l’uniforme in fiamme, si sarebbe lanciato contro quell’apparato con la forza di un ordigno nucleare.

Avete visto la muta di prestatori di servizietti giornalistici? Un trafiletto qua e là. Buio pesto in TV. Silenzio di tomba tra i morti viventi della politica. Aggricciati dal terrore a vedersi riflessi, finalmente veri, in quel rogo come in uno specchio, affannosamente si precipitano a doparsi di menzogne (“Il 7 ottobre, i terroristi, bla bla bla…”) e a dopare di silenzio un mondo che li avesse scoperti ad attizzare quelle fiamme. Pensate al confronto tra le paginate e le schermate su Navalny, le fiaccolate onnipartisan e il soldout dei parlamenti e delle massime istituzioni, e avrete un’idea del panico che questo ragazzo ha suscitato.

In Israele Netaniahu, i suoi sgherri nazisti e l’82% della popolazione che ne approva le azioni, hanno cacciato la testa sotto la sabbia per poter pensare di non sapere, di non vedere. Che almeno sia la sabbia, lì sotto, a impedirgli di continuare a evacuare infamie tipo “era un ragazzo disturbato… aveva dato segni di squilibrio già in passato…”. Infamie come quelle con cui continuano a tenere in piedi il menzognificio del “7 ottobre”, dentro al quale far soffocare 2,3 milioni di palestinesi.

Se non ce ne siamo accorti è solo colpa nostra. Richiudendo la sua vita in un gesto di epocale fine del mondo-inizio di quello nuovo e in un grido, Free Palestine”, in cui ha impegnato, fino al rantolo estremo, in una sofferenza inimmaginabile, l’ultimo dei suoi respiri, Aaron ha assicurato ai palestinesi la vittoria e, a noi, una via di salvezza. E va corretto Bertold Brecht: felice la Terra che produce simili eroi. Felice l’umanità che ne riceve il dono. Israele che è esistito nonostante turpitudini quasi secolari, esiste sulla carta e nelle bombe. Nella realtà non fittizia è morto e sepolto. Le resurrezioni, in quella terra, riguardano altri soggetti.

Lo dico perché s’è già visto. Ci vorrà del tempo, sempre meno, oggi si va più veloci, ma succederà anche stavolta.

1.dicembre 2023, una donna mai identificata, avvolta in una bandiera palestinese, si è data fuoco davanti al consolato israeliano di Atlanta. Le autorità si sono rifiutate di rivelarne il nome

Giugno 1963, a Saigon il monaco Buddista Thich Quang Duc si brucia vivo in protesta alle persecuzioni del regime filo-Usa del dittatore cattolico Diem. Il regime cade dopo pochi mesi.

Cinque cittadini statunitensi si immolano col fuoco contro le guerre USA. Alice Herz, 82 anni, 16 marzo 1965, a Detroit “contro la guerra al Vietnam”; Norman Morrison, 31, padre di tre bambini, 2 novembre 1965, si dà fuoco davanti al Pentagono, “contro l’uso del napalm che brucia vive le persone”; Roger LaPorte, 22 anni, operaio, 9 novembre 1965, si incendia in Piazza Nazioni Unite a New York, “contro tutte le guerre”. Florence Beaumont, 56 anni, madre di due figli, il 15 ottobre 1967, si brucia viva davanti al Palazzo Federale di Los Angeles, “contro i massacri nel Vietnam”; George Winne, 23 anni, figlio di un Capitano della Marina, 10 maggio 1970, si dà fuoco all’Università di San Diego, California, accanto a questo cartello: “In nome di dio, ponete fine a questa guerra”.

Sei giorni prima la Guardia Nazionale dell’Ohio aveva mitragliato una protesta all’Università di Kent, uccidendo 4 studenti e ferendone 9. Fu, negli Stati Uniti, la protesta più vasta mai vista nella storia delle università americane. E fu l’inizio della fine della guerra yankee.

Ho visto la targa dedicata a quei cinque cittadini americani nella sede dell’Associazione di Amicizia Vietnam-USA, Ogni scolaro vietnamita impara una canzone scritta dal poeta To Huu, dal titolo “Emily, bambina mia”, dedicata alla piccola figlia che Norman Morrison teneva per mano istanti prima di immolarsi davanti al Pentagono. L’aviere Aaron era troppo giovane per avere figli. Era un figlio lui stesso di questa America. La canzone che ha scritto con il suo corpo l’ha dedicata a lei.

Quello che è successo in Indocina e nel mondo, poco tempo dopo il sacrificio di questi 5 santi laici statunitensi, conferma che anche per la Palestina, per tutti noi “palestinesi, vietnamiti, libici, siriani, iracheni, yemeniti, afghani, russi del Donbass, serbi del Kosovo, africani del Sahel e della Somalia” e anche gente senza salario minimo e gente con la testa spaccata dai gendarmi, la vittoria si avvicina.

Altre parti di questo Mondocane parlano di cose meno rilevanti. Tipo: per chi è perché i pestaggi dei ragazzi per la Palestina; o come si fa morire di fame un intero popolo cui non si è riusciti a tagliare la gola.

Anche senza la mordacchia NATO, l’Italia meloniana e fascista viene fatta entrare in guerra accanto a Kiev (e ancora nessuno si è dato fuoco, o ha dato fuoco…)-

Voci russe? Addirittura un film! Anatema! Chiamate Piantedosi e i suoi rottweiler. Film su Navalny? Manca fossimo all’Elevazione in San Pietro.

Giornalismo: come eravamo, come siamo.

E altra cosa invece davvero rilevante: OMS e Piano Pandemico per farci fare la fine, dolce, dei palestinesi.

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