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La costruzione di un sistema di guerra

di Alfonso Gianni

Da gennaio in poi stiamo assistendo a un susseguirsi di accordi di cooperazione in materia di sicurezza fra l’Ucraina e diversi stati europei, sia che facciano parte della Ue che no, e anche d’oltreatlantico. A partire dal 12 gennaio di quest’anno, tali accordi bilaterali, che più propriamente e realisticamente dovremmo chiamare di alleanza militare, sono stati firmati dalla Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e da ultimo Italia e Canada. Il tratto comune di questi accordi, che rivela apertamente la loro finalità, consiste nel riferimento a una collaborazione immediata e rafforzata tra le due parti con un sistema di risposta di emergenza in 24 ore da attivarsi su richiesta di uno dei due contraenti il patto in caso di un futuro attacco armato da parte della Russia. Infatti all’articolo 11, primo comma, dell’accordo fra Italia e Ucraina si legge: “In caso di futuro attacco armato russo contro l’Ucraina, su richiesta di uno dei partecipanti [ovvero Italia o Ucraina], questi ultimi si consultano entro 24 ore per determinare le misure successive necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressione”.

Per comprendere di quali misure si sta parlando, si può continuare a leggere il testo dell’accordo che impegna il nostro paese:

“L’Italia afferma che in tali circostanze […] fornirà all’Ucraina, a seconda dei casi, un sostegno rapido e sostenuto nel campo della sicurezza e della difesa, dello sviluppo delle capacità militari e dell’assistenza economica, cercherà di raggiungere un accordo in seno alla Ue per imporre costi economici e di altri tipo alla Russia o a qualsiasi altro aggressore e si consulterà con l’Ucraina in merito alle sue esigenze nell’esercizio del diritto di autodifesa sancito dall’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite”.

Quindi sostegno all’economia, armi, tecnologia militare, incrudimento delle sanzioni economiche nei confronti del paese aggressore nonché tutto ciò che potrebbe derivare da una interpretazione espansiva del diritto di autodifesa. Alcuni accordi prevedono la misura esatta dello stanziamento economico, come ad esempio quello firmato dal premier canadese Trudeau che promette per l’anno in corso 2,25 miliardi di dollari. L’Italia è stata più evanescente riguardo alle cifre da stanziare. L’articolo 17 dell’accordo esclude qualsiasi “costo aggiuntivo per il bilancio dello Stato della Repubblica italiana e dell’Ucraina”, ma il contributo finanziario fornito in passato dal nostro paese è stato, come sappiamo, già molto consistente.

Complessivamente calcoli ufficiali stimano che gli accordi firmati dai sei paesi citati superano già la cifra di 20 miliardi di dollari. Ma gli accordi non si limitano a ribadire il già fatto e il già dato. Siamo di fronte a un salto di qualità ma in negativo. Cioè alla strutturazione di un sistema di guerra che va al di là dell’eventuale cessazione del fuoco e della conclusione di una conseguente trattativa fra Russia e Ucraina, di cui peraltro ora non si vedono le premesse, pur essendo la guerra su quel fronte in uno stato di stallo. Non contenta di quanto finora ottenuto, l’Ucraina è in “negoziazioni attive” con il Giappone, mentre ha aperto negoziati con altri paesi, quali la Romania, i Paesi Bassi, la Svezia e forse la Polonia, stando a quanto ha dichiarato Ihor Zhovkva, consigliere per la politica estera del presidente ucraino, a una giornalista di Euractiv.com.

Questi accordi hanno durata decennale. Da un lato si moltiplicano per rispondere alla attuale impossibilità di accettare l’Ucraina nella Nato in base all’articolo 10 del suo statuto che prevede la possibilità di invitare nuovi paesi europei ad aderire al Trattato purché condizionata alla possibilità di questi “di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. Il che non potrebbe avvenire per un paese in stato di belligeranza. Dall’altro lato, favoriti dalla loro durata decennale, questi accordi vogliono costituire un precedente per rendere ancora più semplice l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, appena le condizioni lo possano permettere. Su questo l’Accordo firmato della Meloni è esplicito, poiché l’articolo 14 recita: “I Partecipanti [ ovvero i firmatari dell’Accordo] collaboreranno per aiutare l’Ucraina a realizzare le forme necessarie nel suo percorso verso la futura adesione alla Nato”.

Insomma questi accordi di alleanza militare sono insieme sostitutivi, nell’immediato, quanto propedeutici, in un non lontano futuro, all’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica. Nello stesso tempo il loro fine e il loro effetto più prossimi sono prolungare la guerra, impedendo il cessate il fuoco e l’apertura di trattative di pace. Lo dimostra anche la mossa del solito Macron che ha immediatamente parlato della possibilità dell’invio di truppe europee nello scacchiere ucraino, visto anche il fallimento della controffensiva nei confronti degli aggressori russi, su cui Zelensky aveva fondato la sua propaganda nei suoi giri europei, e vista la difficoltà di impiegare forze fresche al fronte da parte di Kiev. La boutade del premier francese ha suscitato immediate reazioni negative e smentite, anche da parte italiana, ma è evidente che non si tratta di una distrazione o di una battuta di spirito, quanto di una ulteriore spinta verso l’appesantimento di quel clima di guerra in cui da tempo l’Europa è immersa.

Lo stato di stallo nel quale attualmente verte il conflitto russo-ucraino non è certo una sorpresa. L’ex capo di stato maggiore americano, Mark Miley, lo aveva previsti da tempo e ne aveva tratto la convinzione che nella primavera di quest’anno sarebbero iniziate, quasi per forza di cose, trattative per concludere in qualche modo una guerra impossibile a essere vinta per entrambi i contendenti. Una previsione legata all’andamento dello scontro sui campi di battaglia e alla valutazione della potenza delle armi e della quantità di munizioni in mano all’Ucraina, che, a differenza della Russia che le produce a ritmi sostenuti, è costretta a chiederle in giro per il mondo. A questo va aggiunta l’incertezza del quadro politico statunitense con la pervicace presenza di Trump nella competizione per le elezioni presidenziali del 5 novembre prossimo. In questo quadro la continuità del sostegno finanziario e militare degli Usa all’Ucraina è messo in dubbio. E’ un altro dei motivi degli accordi bilaterali voluti e ottenuti da Zelensky sia dentro che fuori dal contesto europeo.

Ma vi è di più. Creare e appesantire un clima di guerra, costruire un vero e proprio sistema di guerra, dal piano culturale a quello economico, da quello della produzione di armi a quello di una tecnologia piegata a impieghi bellici, è funzionale a qualcosa che va al di là del conflitto in corso. Riguarda direttamente la possibilità – che molti analisti americani considerano inevitabile – di un conflitto dalle proporzioni ben più catastrofiche fra Usa e Cina. Gli analisti militari la chiamano “la trappola di Tucidide” che si verifica ogni volta, a partire dallo scontro fra Sparta e Atene di ben oltre duemila anni fa, che una potenza emergente mette in discussione il primato su un certo territorio, in questo caso l’intero mondo, di quella dominante, nella quale compaiono evidenti i segni di un declino. Ed è questa la situazione e la relazione nella quale si trovano attualmente Usa e Cina. Non so se può bastare un incidente per fare deflagrare il conflitto fra due potenze nucleari. Quello che è certo è che uno stato psicologico delle popolazioni preparato a una simile prospettiva di guerra mondiale, dopo tanti decenni di pace apparente, è funzionale ad un simile disegno. L’abitudine allo stato di guerra ne favorisce l’estensione e l’aggravamento da tutti i punti di vista. Servirebbe dunque un’Europa, una Unione europea che, anche in virtù della sua massa critica, agisse politicamente ed economicamente per evitare questo esito. La transizione egemonica mondiale da Ovest a Est è probabilmente un processo storico inarrestabile. Ma non sta scritto che debba avvenire, come nelle precedenti transizioni, come un esito di una guerra, che in questo caso, lascerebbe poche speranze per la sopravvivenza delle specie viventi su questo nostro pianeta.

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