Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

Il “dossieraggio” travolge l’Antimafia

di Dante Barontini

Il mondo politico, soprattutto di destra, è in rivolta contro una struttura fin qui osannata pubblicamente da tutti, ma che le prime indagini mostrano esser diventata un “potere indipendente” cresciuto in barba a molte regole e a tutte le “opportunità” proprie di una democrazia liberale.

Vicenda complicata, come tutte quelle che si svolgono a metà strada tra poteri “segreti” e ruoli pubblici, ma che si può riassumere così: un ex sostituto procuratore dell’Antimafia e il suo braccio operativo, un tenete della Guardia di Finanza, avrebbero usato il sistema “Sos” (’segnalazioni di operazioni sospette’) per monitorare – senza alcun mandato – le operazioni bancarie di una lunga serie di personalità pubbliche che va da politici in attività (Crosetto, Urso, ecc) fino a “vip” che con la politica (e soprattutto con la mafia) non hanno nulla a che vedere (il sempre presente Fedez, Cristiano Ronaldo, ecc).

Il sistema Sos ha come scopo quello di portare a conoscenza dell’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia le operazioni per le quali «si sa, si sospetta o si hanno ragionevoli motivi» per sospettare che vi siano in corso oppure che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Target largo, certamente, ma non infinito. “Riciclaggio” e “terrorismo” sono definizioni ormai arbitrarie, dipendenti dalle diverse soggettività operanti, tutt’altro che univoche. Ma comunque, in linea generale, si dovrebbe poter distinguere con una certa facilità una operazione furbesca di arricchimento individuale condotta a “regole di mercato” dal riciclaggio di denaro mafioso e da finanziamenti a gruppi terroristici.

Altrimenti ogni movimento bancario, in regime capitalistico, diventerebbe immediatamente “sospetto” (tranne forse il pagamento delle rate sottratte allo stipendio).

Ora è in corso un’indagine della Procura di Perugia, condotta peraltro dall’ex presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, e dallo stesso procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, contro dei “colleghi” con cui hanno condiviso per anni strumenti operativi e logiche.

Vedremo gli sviluppi, ma qualcosa questa storia l’ha già messa in chiaro.

Poter utilizzare l’accesso alle banche dati che riguardano quasi tutto quello che c’è di importante per qualsiasi persona – i soldi, le relazioni, ma non solo – è un potere immenso. Che andrebbe in teoria usato soltanto quando è indispensabile per raggiungere obiettivi di importanza collettiva, cioè pubblica.

In questa vicenda, invece, sembra all’opera la stessa logica delle “inchieste a strascico” – si assumono tutte le informazioni possibili su persone, gruppi, collettivi, ecc, e poi si vede se da qualche parte è stato commesso un “reato”.

Si tratta dell’inversione pura e semplice del potere di indagine – il più devastante – che le legislazioni liberali concedono una volta che la magistratura abbia ricevuto una “notizia di reato”, per denuncia di singoli e o degli organi di polizia giudiziaria.

Detta in soldoni: se è stato commesso un “reato” si cercano i colpevoli e c’è un certo potere di controllare i movimenti dei principali indiziati. Tutt’altra cosa – opposta, da “grande fratello” – è monitorare tutto per trovare eventualmente un “reato”.

Anche perché, chiaramente, non è possibile “monitorare tutto” su “tutti” (anche su chi indaga, come in questo caso), e dunque di fatto la scelta su chi monitorare viene fatta sempre arbitrariamente.

Siamo al punto di arrivo finale della logica “poliziottesca” cresciuta senza limiti dalle “leggi d’emergenza” dagli anni ‘70 in poi. E siamo anche al punto di esplosione della mistica della “legalità”, come se la legge fosse ispirata da qualche divinità eterna e non invece una stipulazione temporanea all’interno di una formazione sociale in perenne evoluzione.

Siamo perciò al punto che qualche investigatore con le chiavi d’accesso a un sistema di controllo può sentirsi dio e agire di proprio impulso (o su mandato altrui, altrettanto “privato”) per sapere il più possibile di Tizio o di Caio.

Per i motivi più diversi. Politici, nel caso di indagine su qualche esponente della più incompetente e corrotta classe politica di sempre (quindi ovviamente molto preoccupata di vedere esposti in piazza i propri immondi traffici). O per semplice curiosità “gossipara” nei confronti di questo o quel “famoso”.

In ogni caso, la tragedia di un degrado che si presenta in forma di ridicolo.

Add comment

Submit