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jacobin

Le prime gocce della tempesta siamo noi

di Luca Pisapia

In Occidente è in atto una contro-rivoluzione, fatta con le armi della politica e della comunicazione dell'estrema destra globale, dove sono incisi i nomi, le date e gli slogan della costruzione di una fortezza chiusa, pura e inalienabile

C’è questa foto di puro orrore, è quella di un ragazzo con il suo fucile. Il ragazzo si chiama Brenton Harrison Tarrant. Il 15 marzo 2019 a Christchurch, in Nuova Zelanda, armato di fucile e di una telecamera montata sul casco, compie nel giro di pochi minuti due stragi. Prima dentro una moschea e poi nei pressi di un centro islamico. Muoiono oltre cinquanta persone: la più piccola ha tre anni, la più anziana settantasette.

Le immagini sono trasmesse in diretta dalla sua telecamera su un noto social network. Sul fucile ci sono incisi dei nomi. C’è il nome di Sebastiano Venier, protagonista della battaglia di Lepanto del 1571 in cui la Lega Santa sconfigge l’Impero Ottomano. C’è il nome di Novak Vujošević, che nella battaglia di Fundina il 2 agosto 1876 uccide 28 nemici turchi. C’è il nome di Nikitas Stamatelopoulos, il greco «mangiatore di turchi» e simbolo della guerra greco-ottomana.

Ci sono nomi di battaglie, come quella di Vienna 1683. Sempre contro i turchi, sempre contro gli islamici. Ci sono slogan e riferimenti che inneggiano alla barbarie nazional-socialista. Su quel fucile ci sono i nomi, le date e gli slogan che studiamo a scuola come difensori di Occidente da tutto quello che ci viene presentato come estraneo, diverso, straniero. E quindi sporco, marcio, corrotto. Pericoloso.

Su quel fucile ci sono i nomi, le date e gli slogan che fondano la nostra idea di un Occidente bianco, puro, geneticamente e moralmente superiore agli altri. Su quel fucile ci sono tutti i nomi, le date e gli slogan di Occidente. Su quel fucile, ci sono i nostri nomi.

 

A difesa di Occidente, i nostri valori

Il fucile è l’asse intorno a cui ruota la forza centripeta del racconto di Leonardo Bianchi nel suo ultimo eccellente saggio: Le prime gocce della tempesta (Solferino, 2024). Da quei nomi, quegli slogan e quelle date incise sul fucile, l’autore ci trasporta in un viaggio dell’orrore che rimbalza dagli Stati uniti alla Nuova Zelanda, dall’Italia alla Germania, dal Canada alla Svezia, in compagnia dei terroristi di estrema destra che seminano morte, sangue e violenza. Sempre contro i più deboli. Sempre in nome della difesa di Occidente. Sempre in nostro nome.

Perché quei nomi, quelle date e quegli slogan, non si trovano solo incise sui fucili o vergate nei prolissi manifesti pubblicati dagli stragisti. Quei nomi, quelle date e quegli slogan sono pronunciati quotidianamente, in occasioni pubbliche o in televisione, dai politici dei partiti conservatori, di destra e di estrema destra che governano buona parte dei paesi europei. E che entro la fine dell’anno potrebbero essere al governo dell’Europa e degli Stati uniti.

Il viaggio al termine della notte che Leonardo Bianchi ci impone di fare insieme a lui in questo saggio, scritto con prosa fluida e ritmo serrato, non può che cominciare da Anders Behring Breivik. L’uomo che il 22 luglio 2011 in Norvegia uccide oltre settanta ragazze e ragazzi innocenti, devastando per sempre nel fisico e nella mente i sopravvissuti. Lo fa perché nel suo agile pamphlet di oltre millecinquecento pagine, messo in rete prima delle stragi, si dichiara «cattolico», «conservatore» e «difensore di Occidente, della cultura e dei valori di Occidente».

Lo fa perché quegli oltre settanta ragazze e ragazzi massacrati sono giovani iscritti all’Arbeiderpartiet, il Partito laburista norvegese, e quindi sono portatori di germi infestanti per la superiorità morale di Occidente. Un cancro che apre la via al relativismo culturale, al mescolamento dei generi e delle etnie. Un breccia nella fortezza Europa che apre all’ingresso degli islamici e dei musulmani. E quindi in nome di Sebastiano Venier, di Novak Vujošević, di Nikitas Stamatelopoulos e tutti quelli che ci hanno difeso dall’invasione – in nostro nome – Anders Behring Breivik deve uccidere.

 

Le parole d’ordine della rivoluzione conservatrice

Lo stesso motivo per cui devono uccidere gli autori delle stragi di Buffalo, Charleston e Charlottesville, Pittsburgh e Québec City, El Paso e Christchurch, Halle e Bratislava, Oberwart e Vienna. Lo stesso per cui sparavano nascosti dalle loro vittime gli «uomini laser» di Stoccolma e di Malmoe. Per cui compivano omicidi e attentati in tutta la Germania i membri della cellula neonazista Nationalsozialistischer Untergrund, di sicuro con la copertura e con tutta probabilità anche con l’aiuto materiale di elementi dei servizi segreti tedeschi.

Lo stesso motivo per cui devono uccidere Luca Traini (Macerata, 3 febbraio 2018), Amedeo Mancini (Fermo, 5 luglio 2016), Gianluca Casseri (Firenze, 13 dicembre 2011). La nostra meglio gioventù neofascista, che bazzica in quei partiti o in quelle associazioni politiche i cui esponenti, alcuni anche di primo piano e da posizioni governative come ci mostra il libro di Leonardo Bianchi, non fanno altro che ripetere gli stessi nomi, le stesse date, gli stessi slogan.

E questi slogan sono quelli della «sostituzione etnica» attraverso cui i marxisti e gli ebrei vorrebbero rimpiazzare la pura razza bianca europea popolando l’occidente di persone dalla pelle nera, marrone, gialla o fucsia. Quelli della «remigrazione» per cui ognuno ha diritto di essere padrone a casa propria, e allora aiutiamo tutti questi allogeni che sono venuti qui a soffrire a rientrare nelle proprie case, dove potranno anche loro essere padroni.

Quelli della «natalità» o della «denatalità» per cui la liberazione sessuale dalla dicotomia dei generi porterebbe a una svirilizzazione della razza, incapace di resistere alla prossima «invasione» del nemico, dello straniero, del diverso, del pericoloso. Un eterno complotto pluto-demo-giudaico che nella fase di massimo trionfo del capitale purtroppo attecchisce anche a sinistra quando si ascoltano deliri contro i diritti civili, che sono poi le libertà intersezionali, contro gli immigrati considerati forza lavoro di riserva, che sono poi la paura della perdita del privilegio. E così via.

Per questo la mappatura e la tassonomia che fa Leonardo Bianchi di questa costellazione di violenze e terrore dell’estrema destra diventano oggi più che mai necessarie. L’autore infatti, studioso di questi fenomeni da diversi anni, aveva già indagato nei suoi libri precedenti La Gente (Minimum Fax, 2017) e Complotti (Minimum Fax, 2021) come questi deliri proto nazisti facciano presa nelle classi sociali subalterne proprio nel momento in cui «la lotta di classe è finita, perché l’hanno vinta i padroni», come scriveva Luciano Gallino.

E con Le prime gocce della tempesta (Solferino, 2024) va oltre. E spiega come le parole d’ordine di questi vincitori, se prima creavano caos e inibivano alla rivolta, ora hanno sfondato il muro del suono. E incitano platealmente alla strage e all’omicidio. Per poi coprirlo, blandendo gli assassini e colpevolizzando le vittime.

 

La costruzione del «lupo solitario»

Altri due temi fondamentali sono infatti quelli del «terrorismo post-organizzativo» e del «lupo solitario». Se prima l’estrema destra per difendere il potere e il capitale faceva stragi mettendo bombe nelle piazze, sui treni e nelle stazioni attraverso strutture organizzate, oggi siamo di fronte a un fenomeno nuovo e molto meno controllabile. I terroristi agiscono come singole unità destrutturate e scollegate, se non attraverso richiami, rimandi o citazioni, all’interno di una rete globale leggera e postmoderna.

Il paradosso è che i nuovi difensori dell’Occidente dall’invasione islamica sembrano replicare in tutto e per tutto la struttura orizzontale dell’Isis. Il loro peggior nemico, il loro miglior alleato. Questo nuovo terrorismo rizomatico è letale perché per esserne rapiti bastano poche settimane in rete, non servono più anni e anni di indottrinamento. Ecco perché Anders Behring Breivik nella sua lettera mai giunta a destinazione, indirizzata a Beate Zschäpe, leader del Nationalsozialistischer Untergrund, scrive che loro sono «la prime gocce della tempesta».

Ma il fatto decisivo è che pur agendo in un contesto isolato, in termini di radicalizzazione e spesso di esecuzione, questi terroristi non sono affatto «lupi solitari». Proprio perché il loro discorso è parte di una rete globale strutturata ai massimi livelli che li alleva, li indirizza, li aiuta e poi li protegge. Anzi, la narrazione del «lupo solitario» è proprio funzionale a proteggerli. E infatti è sparsa a piene mani dal sistema di potere di cui questi stragisti neofascisti e neonazisti sono avanguardia.

Come spiega perfettamente la militante antifascista Eddi Marcucci, nella definizione di lupo solitario sono comprese quelle stesse caratteristiche di «caso isolato», «azione impulsiva», «disagio psichico», che i media mainstream utilizzano ogni volta nei casi di femminicidio. Gli stragisti di estrema destra e gli assassini di donne agiscono sempre per motivi personali, slegati dalle condizioni materiali della propria esistenza e dal contesto storico, culturale ed economico che queste condizioni produce.

E così, se ogni volta sono «casi isolati», ecco che stragi e femminicidi non dipendono più dal discorso dominante che li produce, li induce e poi li assolve. E non si può e non si deve mettere in discussione il sistema fascista e patriarcale che ci governa, ma al massimo dispiacersi per la scellerata azione di questi assassini. E magari puntare ancora di più sulla repressione.

 

La tempesta di merda

Ecco perché un libro come quello di Leonardo Bianchi è oggi decisivo per contrastare il potere in ogni sua forma. Perché ci ricorda che in tutto Occidente è in atto una rivoluzione conservatrice violentissima, che non si affida solo alle armi della politica e della comunicazione ma ai fucili in cui sono incisi i nomi, le date e gli slogan della costruzione di Occidente come fortezza chiusa, pura e inalienabile. Nomi, date e slogan che sono esondati dagli apparati ideologici del potere per invadere il discorso comune.

Le «prime gocce della tempesta» di cui scrive Anders Behring Breivik non sono solo i terroristi di estrema destra, ma la zona grigia che si diffonde a macchia d’olio in Occidente e che separa classe, genere e etnia, rifugiandosi nella paura e nella violenza contro il più debole. Su quel fucile sono incisi i nostri nomi. Le «prime gocce della tempesta» siamo noi, e purtroppo non siamo nemmeno le prime. Bisogna agire, e in fretta. Perché, parafrasando Roberto Bolaño in Notturno cileno, siamo nel pieno di una tempesta di merda!


*Luca Pisapia, giornalista, ha collaborato con La Gazzetta dello Sporte con il Fatto Quotidiano, e attualmente scrive di calcio e società su il manifesto. È autore di Gigi Riva. Ultimo hombre vertical (Lìmina, 2012) e Uccidi Paul Breitner (Alegre Quinto Tipo, 2018).

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