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contropiano2

In Ucraina va sempre peggio, quindi gli Usa provocano la Cina

di Francesco Dall’Aglio*

Al terzo tentativo in un anno la NATO è finalmente riuscita ad affondare il pattugliatore “Sergey Kotov”: la prima volta attaccato con due droni, la seconda con cinque, stanotte con una decina.

Ho già scritto fino alla nausea del motivo sostanzialmente propagandistico di questi attacchi e delle conseguenze sul prosieguo delle operazioni militari, scarsissime dal punto di vista pratico, ma molto grandi per il dilemma strategico che comportano per la Russia, e non mi ripeterò.

Diciamo che la carta che ieri campeggiava alle spalle di Medvedev ne è un buon indicatore, soprattutto considerando che era circolata per poco tempo all’inizio del conflitto, era sparita dalle posizioni ‟ufficiali” russe e ora torna ad affacciarsi con tempismo sospetto (Medvedev è pur sempre l’ex Presidente della Federazione Russa, ed è sciocco chi crede che parli a caso o solo per fornire una sponda ai nazionalisti per farli fessi e contenti e tenerli buoni. I nazionalisti, se vuoi davvero farli contenti, devono ricevere qualcosa).

Intanto, come volevasi dimostrare, lo scopo è stato raggiunto.

Il Twitter ucraino è in estasi, i nostri media battono la notizia con entusiasmo ed evitano così di doverne battere altre, da quelle altrettanto cosmetiche della distruzione del quarto Abrams a quelle un po’ più gravi, tipo che per stabilizzare il fronte a ovest di Avdiivka l’Ucraina sta impiegando NOVE brigate, cioè buona parte delle sue riserve, e sta cedendo comunque terreno anche se a ritmo meno veloce delle ultime due settimane.

Soprattutto, i media possono evitare di occuparsi di due notizie veramente importanti che sono venute fuori ieri (la seconda in realtà è più vecchia, ma ci era sfuggita finora).

La prima notizia ha a che vedere con l’Ucraina: un articolo del Washington Post incredibilmente non ripreso da nessun’altra testata (almeno a mia conoscenza, posso sbagliare) riporta un dato inquietante.

Mancano all’appello, in Ucraina, 700.000 mobilitati – settecentomila, non mi è scappato uno zero: “l’ufficio di Zelensky ha annunciato recentemente che del milione di persone che sono state mobilitate solo 300.000 circa hanno combattuto al fronte. Ma a quasi un mese dalla sua promozione [di Syrs’kyj] nessuno dalla leadership militare o dall’amministrazione presidenziale ha spiegato dove sono questi 700.000 — o cosa stanno facendo“.

Ovviamente i canali Telegram russi hanno immediatamente dedotto che i 700.000 siano morti, feriti o prigionieri. A me sembra una cifra troppo alta visto che parliamo solo dei mobilitati, non del resto dell’esercito, e in Ucraina adombrano (l’articolo non lo dice ma lo dicono vari commentatori) che siano stati mobilitati per finta, nel senso che in un modo o nell’altro si sono imboscati.

Il dubbio, a ogni modo, resta: che fine hanno fatto?

La seconda notizia, quella appunto un po’ vecchia ma finora passata sotto silenzio, è ancora peggio. Il quotidiano di Taiwan United Daily News – purtroppo mi devo fidare della traduzione automatica e dei commenti di altre testate, tipo questa – riporta che un certo numero di soldati dei reparti speciali statunitensi (nello specifico la compagnia Alpha del secondo battaglione, 1st Special Forces Group) verranno dispiegati in modo permanente non solo a Taiwan, dove sono già presenti come addestratori dal 2023, ma anche nelle isole di Penghu e soprattutto di Kinmen, a soli 9 chilometri dalla costa cinese (ricordo che Taiwan non è, appunto, solo Taiwan, ma anche alcune isole più piccole e ancora più vicine alla Cina).

Uno potrebbe pensare che con la guerra in Ucraina che va come va, con la guerra a Gaza che va come va, con la situazione del mar Rosso che va come va, con l’Africa che va come va, gli USA non avrebbero bisogno di ulteriori escalation in altre parti del mondo, e soprattutto non avrebbero bisogno di antagonizzare in questa maniera così sfacciata la Cina. E invece…

Del resto, chi antagonizza la Cina ora è letteralmente la stessa gente che ha antagonizzato la Russia dal 1991 in poi, e si è visto come sta andando – talmente tanto bene che l’antagonizzatrice principale, come ho scritto ieri pomeriggio, “si dimette“.

P.S. – Per Repubblica e altri giornali il nome della nave è ‟Sergiy Kotov”. Ora io capisco che bisogna scrivere all’ucraina i nomi ucraini, ed è giusto, ma scrivere all’ucraina anche i nomi russi mi pare un po’ esagerato…


* da Facebook

Comments

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Mara
Saturday, 09 March 2024 09:16
Storpiare i nomi russi da parte dei nostri media indica una mancanza totale di rispetto per quel paese e per la loro lingua.indica anche il livore che li anima.
In quanto alla dirigenza Ucraina mettere una i al posto della o come avviene per tanti nomi di città non aggiunge nulla a quello che intendono per identità.
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