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La scelta occidentale della guerra contro la Russia

di Fabrizio Poggi

Stanno preparando la guerra e stanno approntando le condizioni interne per portarci in guerra. Ormai non è più, purtroppo, un modo di dire e lo dimostrano sia le sparate esterne su “aggressione russa”, “guerra nucleare russa”, “necessità di armare l’Ucraina per difendere il mondo libero dalla Russia”, sia le crociate democristian-fasciste per “serrare il fronte interno” contro le “interferenze russe”, e l’ostracismo contro chi venga accusato di essere «al servizio del Cremlino e della sua propaganda».

Dunque, all’esterno. Dopo lo “scandalo” dell’audio dei militari tedeschi a proposito dei missili “Taurus” contro il ponte di Crimea, la ministra della guerra tedesca, Annalena Baerbock non trova di meglio che sostenere la proposta del suo omologo britannico, David Cameron sulla “partita di giro” che dovrebbe salvare la faccia a Berlino: i tedeschi vendono i “Taurus” a Londra e questa fornisce a Kiev i “Storm Shadow”. Et voila.

Questo per le armi. Per quanto riguarda i veri e propri contingenti militari da inviare direttamente sul suolo ucraino, da un lato qualcuno sussurra, ma molto piano, che sia impossibile, altri non ci vedono nulla di «inimmaginabile» (ministro degli esteri polacco, Rodislaw Sikorski: il malefico consorte della famigerata Anna Applebaum), altri ancora affermano che una guerra con la Russia farebbe bene alle finanze interne (non specificando “di chi”).

Questo perché, afferma per esempio il ministro degli esteri francese Stéphane Séjourné, la vittoria russa in Ucraina sarebbe catastrofica: solo nel settore agricolo, la Russia prenderebbe il controllo di oltre il 30% del mercato mondiale del grano. Dupont, Cargill e Monsanto ringraziano Parigi.

In ogni caso, si sta parlando di chair à canon europea. Da parte USA (ma anche britannica, nonostante che le prime esortazioni di intervento diretto fossero giunte, prima ancora che da Parigi, proprio da Londra e che Stoltenberg avesse parlato di truppe straniere da dispiegare sul confine bielorusso-ucraino) si esclude per ora ogni invio di contingenti in Ucraina, a parte tutto il personale “civile” e militare che, soprattutto dal 2013, dirige e controlla ogni mossa dei nazigolpisti di Kiev.

Stanno lì a darne dimostrazione le “Steadfast Defender 2024”, le più minacciose ed estese manovre dal 1988 che, con l’impiego di 90.000 uomini da 31 paesi NATO, hanno l’obiettivo dichiarato di elaborare azioni di guerra contro la Russia.

Tanto più che i media del Vecchio Continente, in vista della probabile vittoria di Trump, stanno insistendo sull’eventuale uscita yankee dalla NATO e il tirapiedi dei Rotschild – Emmanuel Macron – continua a farfugliare di reparti euro-NATO da spedire in Ucraina, ma, forse, ecco, vedete, non proprio sul campo di battaglia, ma, comunque, valuteremo, non è detto, forse anche là…

D’altronde – è questa la tesi di Dmitrij Tsybakov su Segodnja.ru – la strategia bellica russa si contraddistingue per la «metodica eliminazione» del potenziale militare ucraino in prima linea e nelle retrovie strategiche, evitando però di attaccare le strutture politiche e gli ideologi più russofobi: in tal modo, si riduce sensibilmente l’effetto psicologico manifesto di minare il morale nemico e si spingono i padrini esteri di Kiev all’ulteriore escalation del conflitto.

Allo stesso modo, le uscite di Macron & Co. appaiono più che altro un’azione comunicativo-psicologia, rivolta a quelle forze russe che sembrano tuttora disponibili a un qualsiasi nuovo “Minsk” o “Istanbul”, pur di spostare il conflitto su un “binario congelato”.

Così che, afferma Tsybakov, è tempo per Mosca di inviare segnali chiari all’Occidente: non generiche dichiarazioni, ma «passi concreti sul fatto che nella questione ucraina la Russia è pronta ad andare fino in fondo», ad esempio fino a mettere in forse le relazioni diplomatiche con Parigi, se questa dà il via a preparativi per una guerra d’aggressione.

Guerra che, ad esempio l’osservatore di Rossija segodnja, Rostislav Ishchenko, dà come già in fase di preparazione, considerandone quali sintomi l’improvvisa uscita di scena della malfamata Victoria Nuland, la decisione di Valerij Zalužnyj di “accontentarsi”, alla fine, del posto di ambasciatore golpista in Gran Bretagna e l’idea di Vladimir Zelenskij di far fare al ministro degli esteri Dmitrij Kuleba la stessa fine dell’ex Capo di Stato Maggiore.

Vale a dire, sostiene Ishchenko, sullo sfondo della accentuata retorica militarista occidentale, con l’aperta minaccia di scontro militare diretto con la Russia, vengono messe via via da parte le figure il cui disegno era quello di garantire una guerra per procura con la Russia, sconfiggere Mosca e obbligarla a una pace alle condizioni occidentali, senza però trascinare l’Occidente stesso in un conflitto militare diretto.

Kuleba e la Nuland erano “diplomatici” dell’epoca della guerra per procura; così che ora i giochi diventano chiari. E Zalužnyj va a fare l’ambasciatore a Londra, dove forse ci si prepara ad accogliere un “governo ucraino in esilio” e si mettono a punto le candidature per futuri “ministri” e “presidenti“. Ma la ragione prima della partenza dell’ex Capo di SM per Londra è data dalla scelta USA-NATO a favore della guerra.

Finché a Occidente si tentennava, Zalužnyj è rimasto in attesa a Kiev, in qualità di «bandiera dell’opposizione a Zelenskij», da agitare insieme a Porošenko e simili, al momento di tentare la via delle trattative con Mosca, con l’obiettivo mantenere il controllo ucraino almeno sulla cosiddetta riva destra” (del Dnepr), anche a prezzo di forti concessioni.

In tal quadro, il ruolo di Zalužnyj sarebbe stato (quasi) decisivo. Ma, a quanto pare, l’Occidente ha ora tutte le intenzioni di scegliere la guerra, dato che le condizioni di pace russe (con «garanzie di sicurezza per la Russia, che l’Occidente, anche volendo, non potrebbe violare, ma vuole» violare) paiono inaccettabili per l’Occidente.

Così, se ne è andato quasi un mese per sondare la situazione, cercare di fare pressione sulla Russia, mostrando che l’Occidente è disposto anche a uno scontro aperto, pur di ottenere il consenso russo a concessioni territoriali, ecc.

Finché, verso la fine di febbraio, la scelta è stata fatta a favore della guerra: sostituzione di figure sinora centrali, nuove posizioni esternate tra Parigi, Londra, Praga, con Scholz che cerca di schivare l’impegno chiaro, brutalità all’interno nella cosiddetta “gestione dell’ordine pubblico”, non solo in Italia… la scelta appare fatta.

Lo confermerebbero anche le retate di interi gruppi di giovani ucraini che tentavano di sfuggire alla mobilitazione forzata, effettuate negli ultimissimi tempi: Kiev ha bisogno di almeno 35-40.000 nuove reclute ogni mese, a fronte delle perdite calcolate in oltre 400.000 uomini dall’inizio della guerra e circa 50.000 ogni mese, tra morti e feriti.

Tanto più che, secondo informazioni diffuse da RIA Novosti e provenienti dall’intercettazione di una chat detta “ParaBelum”, comandanti e soldati ucraini – anche di reparti d’élite – manifestano aperto malcontento per gli avvicendamenti ai vertici delle forze armate e cominciano a parlare di rovesciamento di Zelenskij, che il 20 maggio prossimo, scadendo il mandato presidenziale, decade da ogni legittimità senza possibilità di proroga.

Dunque, se Victoria Nuland e la sua squadra, tra quinte colonne interne e “rivoluzioni colorate”, avevano sinora operato con la “diplomazia del ricatto”, cercando però di ottenere la vittoria senza oltrepassare il confine della guerra, una volta deciso di superare la “linea rossa”, a Ovest sparisce il bisogno di “diplomatici professionisti” ed entrano in azione i novelli “Ribbentrop”.

Significa allora che la guerra è inevitabile? La guerra quasi mai è inevitabile. Ma altrettanto quasi mai se ne valutano fino in fondo tutte le conseguenze, sia prima di intraprenderla, sia una volta scatenata.

Era accaduto lo stesso, per rimanere a un esempio che l’Occidente non dovrebbe scordare, con Napoleone in Russia, al quale avrebbe dovuto esser più che chiaro a cosa dovesse andare incontro, dando battaglia e perdendo un quarto della propria armata mentre era a duemila chilometri da casa.

Questo, racconta Lev Tolstoj, era altrettanto matematicamente certo, quanto certa la sconfitta data l’inferiorità di pedine sulla scacchiera. E però, «Dando e accettando la battaglia a Borodinò, Kutuzov e Napoleone agirono involontariamente e senza senso. Solo successivamente gli storici, a fatti compiuti, ne hanno ricavato un intreccio di lungimiranza e genio dei condottieri che, di tutti gli strumenti involontari degli accadimenti mondiali, erano le figure più schiave e involontarie».

Oggi, chissà se resterebbero storici per raccontare e lettori per comprendere.

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