Fisica e politica
di Alberto Giovanni Biuso
Wolfgang Pauli, uno degli iniziatori della fisica quantistica, una volta diede la seguente risposta, a proposito di un articolo che gli era stato sottoposto: «das ist nicht einmal falsch», ‘non è neanche sbagliato’, poiché i suoi contenuti non avevano semplicemente senso. Nel 2002 alcuni articoli sulla gravità quantistica scritti a Parigi dai fratelli Igor e Grichka Bogdanov vennero giudicati al loro apparire uno scherzo proprio perché i loro contenuti erano privi di senso. E tuttavia questi articoli erano riusciti a ottenere giudizi positivi nelle procedure di peer review, la valutazione che le riviste scientifiche danno degli articoli loro proposti. Il procedere della faccenda mostrò che non si trattava di una burla, che i Bogdanov avevano scritto i loro testi con intenzioni ‘scientifiche’ serie. In ogni caso ben cinque riviste, tre delle quali molto prestigiose, avevano pubblicato dei testi che erano intrisi di affermazioni errate o assurde.
Si tratta di un episodio molto grave, il quale si spiega anche con lo stallo nel quale la fisica teorica è impantanata da quasi ormai mezzo scolo. Dopo lo sviluppo delle prime teorie quantistiche si era pervenuti negli anni Sessanta al cosiddetto Modello standard di tali teorie. Da allora non si è registrato alcun progresso sostanziale e anzi i grandi obiettivi della conciliazione tra teoria dei quanti e relatività e della unificazione delle quattro forze fondamentali della materia in una Grande Teoria Unificata si sono rivelati completamente fallimentari.
La teoria che sembrava poter conseguire tale obiettivo si chiama Teoria delle stringhe, diventata poi Teoria delle Superstringhe. Questa teoria è un esempio eclatante di ciò che il fisico quantistico Lee Smolin non esita a definire la situazione tragica della fisica teorica contemporanea: «Per parlar chiaro, abbiamo fallito: abbiamo ereditato una scienza, la fisica, che aveva continuato a progredire a tale velocità così a lungo che spesso veniva presa a modello per altri generi di scienza. La nostra comprensione delle leggi della natura ha continuato a crescere rapidamente per oltre due secoli, ma oggi, nonostante tutti i nostri sforzi, di queste leggi non sappiamo con certezza più di quanto ne sapessimo nei lontani anni Settanta» (L’universo senza stringhe. Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza, Einaudi, Torino 2007, p. X).
Dato il grande peso che le scienze, e in particolare la fisica, rivestono nella società contemporanea, si tratta di una tragedia che non è soltanto epistemologica, è anche un dramma sociale che mostra alcune delle radici remote delle situazioni che abbiamo vissuto in anni recenti. L’obiettivo di questo articolo sarà pertanto mostrare il nesso che lega fisica e politica.
Se la teoria dei quanti confligge totalmente con la percezione sensibile e con l’idea che ogni umano può farsi della realtà, quella delle stringhe la supera di molto in spericolatezza teoretica e nell’abissale distanza da qualunque possibile esperienza. Essa sostiene infatti che i costituenti della materia non sono delle particelle ma degli elastici che vibrano non in quattro dimensioni (altezza, larghezza, profondità e tempo) ma in ventisei, poi ridottesi (nella versione ‘superstringhe’) a nove. Dimensioni che nessuno ovviamente ha mai percepito e sperimentato. Dato che il mondo nel quale viviamo non sembra costituito da ventisei o da nove dimensioni «per quale motivo la teoria non venne immediatamente abbandonata è uno dei grandi misteri della scienza» (Smolin, p. 104).
La teoria postula inoltre l’esistenza di tachioni, particelle in grado di viaggiare a velocità superiori a quelle della luce. Ma «se ciò avviene in una teoria quantistica dei campi, è un’indicazione ben precisa che quest’ultima è in realtà inconsistente. Un aspetto problematico dei tachioni è che possono trasmettere informazioni indietro nel tempo, violando così il principio di causalità» (Peter Woit, Neanche sbagliata. Il fallimento della teoria delle stringhe e la corsa all’unificazione delle leggi della fisica, Codice Edizioni, Torino 2007, p. 149).
Un terzo elemento della teoria è quello fondamentale e capace di invalidarla del tutto. La teoria delle stringhe richiede alcuni valori/numeri infiniti, sino a pervenire sia a «un numero infinito di teorie» sia «a un numero infinito di universi possibili» (Smolin, p. 198). Una teoria con questa caratteristica non può essere confermata o falsificata da nessun esperimento possibile e pensabile e di conseguenza non è in grado di formulare alcuna predizione.
Un accenno al lessico della teoria delle stringhe conferma che in essa ci si è allontanati di molto da qualunque ragionevole teoria e pratica del lavoro scientifico: «Non esistono solamente lo squark, lo sleptone e il fotino, ma anche lo sneutrino per il neutrino, l'Higgsino per il bosone di Higgs e il gravitino per il gravitone. A due a due, un'intera arca di Noè di particelle. Prima o poi, nel groviglio della rete di nuovi snomi e nomini, uno inizia a sentirsi uno sperfetto imbecille. O un perfetto imbecillino. O squalcosa del genere» (Smolin, p. 75).
Si tratta di una teoria che esiste e opera in un mondo che non ha a che fare con la materia ma quasi soltanto con le equazioni matematiche e dunque con gli aspetti puramente formali della conoscenza umana. Aspetti che in tale teoria tendono a diventare il frutto di ardite speculazioni e sbrigliate fantasie. Infalsificabilità e incapacità di enunciare qualunque predizione fisica privano la teoria delle stringhe del necessario rigore scientifico. Non si tratta nemmeno di una teoria, appunto, ma di una «speranza irrealizzata che ne possa esistere una» (Woit, pp. XVI e 209). Il fascino da essa esercitato su molti fisici non è dovuto a ciò che di essa è conosciuto, quanto piuttosto alle personali speranze dei fisici che hanno dedicato un’intera vita a elaborarla.
Questo elemento così psicologico ed esistenziale contribuisce a spiegare come faccia una simile non-teoria (o ‘una teoria del nulla’, come l’ha definita il cosmologo Lawrence Krauss) non soltanto a esistere ancora ma anche a concentrare su di sé il lavoro della più parte dei fisici teorici e soprattutto di ottenere cifre davvero imponenti dagli organismi che negli Stati Uniti d’America finanziano la ricerca. Le ragioni sono numerose, per quanto tra di loro simili.
La prima, come accennato, è la comprensibile difficoltà di studiosi famosi e meno famosi di decretare il fallimento di un’intera vita di ricerca, oltre alla dimostrazione della loro irragionevole insistenza su una teoria rivelatasi infondata.
La seconda ragione è la struttura fideistica che sta alla base di tale teoria, la quale è costituita da calcoli matematici sempre più lunghi, labirintici e incomprensibili, che la rendono simile alle proverbiali questioni della Scolastica medioevale sul ‘sesso degli angeli’. Sheldon Glashow, premio Nobel per la fisica, si è espresso in questi termini per evidenziare il pericolo irrazionalistico insito nella teoria delle superstringhe: «Quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo? Quante dimensioni ci sono in una varietà compattificata, 30 potenze di dieci più piccola di una capocchia di spillo?» (Woit, p. 178).
Alla fine, questa teoria non possiede neppure la bellezza matematica che ai suoi inizi aveva suscitato così tanto entusiasmo, essendo diventata una teoria priva di eleganza formale e che per salvarsi sta ricorrendo sempre più alla versione contemporanea dell’asilum ignorantiae, il cosiddetto principio antropico, basato sulla tautologia per la quale se esistiamo vuol dire che nell’universo ci sono le condizioni della nostra esistenza. Non a caso la teoria delle stringhe è diventata un ambito difeso e sostenuto da varie forme di contaminazione tra la fisica e la New Age, il cui esempio più famoso è Il Tao della fisica di Fritjof Capra.
Un’ipotesi presentata mezzo secolo fa come la ‘Teoria definitiva’, capace di unificare ogni altra prospettiva, è in realtà diventata un ostacolo allo sviluppo scientifico, un ostacolo alla ideazione, elaborazione e dimostrazione di nuove teorie e diverse ipotesi sul tempo, lo spazio, la materia, le particelle. Un ostacolo non soltanto di natura epistemologica o teorica ma anche empirica, sino alla violenza. Woit inaugurò nel 2004 un blog dedicato alla teoria delle stringhe. Uno dei suoi esiti fu che «uno dei più focosi fra gli entusiasti della teoria delle stringhe, un membro della facoltà di Harvard», inserì su tale blog un commento nel quale affermava che quanti «criticavano i finanziamenti alla teoria delle stringhe erano terroristi che meritavano di essere eliminati dall’esercito degli Stati Uniti. Ciò che mi ha più spaventato è che sembrava parlare sul serio» (Woit, p. 230).
Il convergere sempre rovinoso del principio di auctoritas e del conformismo diffuso nel corpo sociale ha avuto in un eccellente matematico il proprio emblema. Edward Witten è il vero e proprio guru della teoria delle superstringhe, diventata con lui Teoria-M. Che cosa significa tale denominazione? La risposta di Witten è questa: «M sta per magia, mistero o membrana, a seconda dei gusti» (Woit, p. 158). La Teoria-M non ha alcun contenuto definito, non esiste, è soltanto il desiderio di una teoria. M può quindi stare anche per il Messia atteso da una fisica ridotta a un’inquietante versione di Aspettando Godot.
‘Inquietante’ non è un aggettivo a effetto o una formula retorica. Il declino della fisica mostrato dal percorso che dalla Teoria dei quanti ha condotto alla Teoria-M è una manifestazione piuttosto evidente del tramonto dello spirito scientifico che tocca anche problemi come il riscaldamento del pianeta Terra e le scelte politiche e istituzionali durante la vicenda Covid19. Uno degli elementi filosofici e politici comuni a tali questioni è infatti un’altra teoria, è il Postmoderno diventato strumento di una negazione e di un’affermazione: negazione della realtà, dei dati, dell’empiria, della razionalità; affermazione al loro posto di una serie di principi politici ed etici secondo i quali la verità è prerogativa di chi sa meglio imporre la propria visione del mondo.
Smolin ha scritto che la Teoria delle stringhe disegna una vera e propria «fisica postmoderna», formula non ironica, utilizzata dai suoi stessi sostenitori e non dai suoi avversari: «La sensazione era che potesse esistere soltanto una teoria coerente per unificare tutta la fisica e, dato che la teoria delle stringhe sembrava farlo, doveva essere corretta. Non si doveva più dipendere dagli esperimenti per verificare le teorie! Quella era roba da Galileo. Oramai bastava la matematica per esplorare le leggi della natura. Eravamo entrati nell’era della fisica postmoderna» (Smolin, p. 117).
Anche Woit evidenzia la «sorprendente analogia tra il modo in cui la ricerca nella teoria delle stringhe viene portata avanti nei dipartimenti di fisica e il modo in cui la teoria post-moderna è stata portata avanti nei dipartimenti umanistici» (Woit, p. 206). Affinità che ha come obiettivo il condizionamento e l’obbedienza dell’intera comunità sociale alle verità spacciate per tali da ‘esperti’ il cui linguaggio appare oscuro sino alla incomprensibilità. Il condizionamento diventa ovviamente più forte se i giochi linguistici del postmoderno vengono sostenuti dalla forza dei media e della polizia.
Quanti seguono i programmi di ricerca dominanti anche se di fatto fondati su desideri e fantasie, come appunto la teoria delle stringhe, ricevono cattedre e finanziamenti. Chi intende esplorare campi e prospettive ‘eretiche’ non ottiene né le une né gli altri. Invece di aprirsi, la fisica contemporanea tende a chiudersi e dunque a morire. Si tratta di un caso e di un esempio molto preoccupanti: una vicenda che sembra riguardare l’ambito ristretto e astratto della fisica delle particelle mostra in questo modo il suo profondo legame con le forme più avanzate ed efficaci del potere contemporaneo.







































Comments
Mi permetto qui, forse presuntuosamente, alcune considerazioni in materia (sulle quali mi piacerebbe conoscere il parere spassionato e senza "scrupoli di indelicatezza" di Alberto Giovanni Biuso, se fosse disposto a prenderle in considerazione).
1 L’ oggetto di teorie che implichino l’ esistenza di più di tre dimensioni spaziali é in tutto e per tutto identificabile con (una possibile ipotesi circa) il noumeno kantiano: qualcosa (se esiste in quanto realtà “positiva” e non è di fatto costituito da nulla di reale) di non fenomenico, ossia non apparente -intersoggettivamente- alle coscienze senzienti di soggetti di conoscenza, ma invece puramente e semplicemente pensabile, immaginabile, congetturabile in maniera meramente soggettiva; dunque letteralmente è qualcosa di metafisico (trascendente la natura materiale empiricamente constatabile e provabile) e non di fisico (materiale, naturale), qualcosa che nulla ha a che fare con le scienze naturali contrariamente a quanto erroneamente preteso da molti ricercatori che vanno per la maggiore.
Se si pretende che quanto descritto (pensato) da queste teorie sia qualcosa di fisicamente (fenomenicamente) reale si abbandona il terreno della scienza fisica e si cade in una pessima filosofia metafisica “pitagoricheggiante-platonizzante” in quanto confondente entità meramente matematiche-ideali (sensi o connotazioni o intensioni soltanto cogitative di concetti) con inesistenti o almeno non empiricamente provabili entità reali (significati o denotazioni o estensioni reali di concetti).
2 Il collasso della funzione d’ onda, fondamentale caposaldo dell’ interpretazione (filosofica) conformistica della (teoria scientifica della) MQ, è un paralogismo, come inequivocabilmente dimostrato “fin da subito” dall’ esperimento mentale del gatto di (del sobrio razionalista filosoficamente ferrato) Scroedinger (ampiamente incompreso e stravolto da quei suoi colleghi fisici conformisti che erano filosoficamente scadenti e irrazionalisti e da molti divulgatori).
Infatti qualunque cosa, per poter essere conosciuta (come realmente esistente-accadente), congiuntamente o meno con qualsiasi altra cosa reale (il che è qualcosa di epistemico, del tutto irrilevante in sede ontologica), deve necessariamente “innanzitutto” realmente esistere-accadere. E’ questo il caso di entrambi i componenti delle coppie di misure di entità “microscopiche” (particelle-onde subatomiche) che il principio di indeterminazione di Heisenberg afferma non essere conoscibili, nemmeno in linea puramente teorica o di principio, congiuntamente (ma disgiuntamente sì! Entrambi!) con un grado di precisione asintoticamente “approssimabile all’ infinito senza mai raggiungerlo”, al contrario (ma solo apparentemente!) degli enti ed eventi “macroscopici” della fisica classica; e questo a causa del limite -finito- di Plank di “discernibilità quantitativa” o misurabilità di enti ed eventi fisici, il quale è “in sede ontologica” lontanissimo dalle dimensioni “macroscopiche“ considerate dalla fisica classica, nell’ ambio della quale è conseguentemente di fatto irrilevabile e dunque “epistemicamente irrilevante” -ma ontologicamente ben reale!- mentre è abbastanza prossimo alle dimensioni “microscopiche” considerate dalla MQ: tanto prossimo da rendere palesemente evidente per l ‘ appunto la rilevantissima conseguenza epistemologica del principio di indeterminazione.
Dunque in sostanza esistono (devono necessariamente esistere se si tratta di enti ed eventi reali; dunque se la teoria è vera), in ambito ontologico (nella realtà), variabili che in ambito epistemico (nella possibile conoscenza della realtà) sono “irrimediabilmente” o “insuperabilmente” nascoste (non conoscibili congiuntamente a determinate altre). Irrimediabilmente nascoste malgrado il fraintendimento filosofico di Einstein, pur molto più razionalista e filosoficamente molto più ferrato degli scienziati conformisti, che riteneva necessario fossero passibili di auspicabile futura conoscenza.
3 Come sostenuto giustamente in questo articolo in accordo con la scienza (umana) del materialismo strico, queste derive irrazionalistiche della scienza contemporanea (ma più precisamente dei cultori della scienza contemporanea e delle loro pessime interpretazioni filosofiche delle teorie fisiche; e come anche quello ancor più irrazionale, stupidamente tautologico del “principio antropico”, come qui ottimamente rilevato) sono in ultima analisi conseguenze degli attuali rapporti di produzione capitalistici oggettivamente “in avanzato stato di putrefazione” ma persistenti “alla maniera degli zombi” in assenza delle condizioni soggettive necessarie all’ attuazione del loro superamento (di conseguenza meramente potenziale, almeno finora), ovvero delle pessime condizioni (rapporti di forza) della lotta di classe per il loro superamento.
Ed hanno gravissime conseguenze anche sui contenuti propriamente scientifici delle loro teorie (sulla scienza stessa, oltre che sulle sue mere interpretazioni filosofiche), non nel senso semplicistico ed errato che ne determinerebbero i contenuti (invece falsificati o confermati unicamente dalle osservazioni empiriche della realtà oggettiva e non soggettivamente imposti dai detentori del potere sociale di classe), bensì nel senso che ne influenzano e condizionano il reale accadere, procedere, svilupparsi (positivamente-favorevolmente o negativamente-sfavorevolmente a seconda dei casi; essendo purtroppo quest’ ultimo il caso attuale, circa dalla prima metà del XX secolo in poi: fase imperialistica decadente reazionaria della società borghese capitalistica iniziatasi ormai da decenni).
Queste conseguenze negative operano sull’ attività dei ricercatori scientifici soprattutto attraverso la mediazione dell’ irrazionalismo che oggi, come in generale più o meno in tutti i casi di rapporti di produzione superati e in tutte le fasi storiche reazionarie della lotta di classe, fortemente caratterizza le idee tendenzialmente dominanti in quanto idee delle classi dominanti (Marx ed Engels, Ideologia tedesca).
A questo proposito mi piace citare la lungimirante ed attualissima considerazione della Dialettica della natura di Engels secondo cui:
«Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po’ di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all’università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».
Grazie per l’ auspicabile attenzione.
Giulio Bonali
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