La Bulgaria si ribella all’Unione Europea e fa cadere il governo pro UE
di Vladimir Volcic
La Bulgaria ha vissuto in questi giorni una vera e propria insurrezione popolare, culminata nelle dimissioni del premier Rosen Zhelyazkov e dell’intero governo, travolti da settimane di proteste contro corruzione, aumento del costo della vita e l’imposizione dall’alto dell’ingresso nell’euro. Le piazze hanno imposto ciò che il Parlamento non voleva concedere: la fine di un esecutivo percepito come braccio locale della burocrazia di Bruxelles.
Le piazze che abbattono il governo
Tutto è esploso attorno al bilancio 2026, con l’annuncio di nuove misure fiscali, aumenti di tasse e contributi sociali, usati come leva per adeguare il paese ai parametri richiesti dall’Eurozona. Le proteste, iniziate a Sofia a fine novembre, si sono rapidamente estese a numerose città e regioni, trasformandosi da contestazione “sociale” a richiesta esplicita di dimissioni del governo.
La sera decisiva, decine di migliaia di persone hanno riempito il centro di Sofia, con cortei che partivano dal Largo e dal Parlamento e si allargavano a perdita d’occhio, mentre manifestazioni parallele si svolgevano a Plovdiv, Varna, Burgas e in molte altre città. Pochi minuti prima di un voto di sfiducia ormai inevitabile, il premier Zhelyazkov ha annunciato in diretta tv la resa dell’esecutivo, riconoscendo che la pressione della strada aveva reso insostenibile la sua permanenza al potere.
Le ragioni profonde della rivolta
Le motivazioni che hanno portato all’esplosione di piazza possono essere riassunte in quattro grandi categorie intrecciate fra loro.
L’ingresso nell’euro: larga parte della popolazione teme che la moneta unica significhi perdita di controllo sul sistema bancario nazionale, aumento dei prezzi e ulteriore subordinazione alle politiche di austerità decise altrove.
La corruzione endemica: dopo anni di scandali della classe politica pro UE, nessuno crede più che l’“Europa” porti automaticamente trasparenza; al contrario, i fondi UE sono percepiti come carburante per un sistema clientelare radicato.
Lo strapotere della UE: direttive, vincoli e procedure hanno ridotto lo spazio di decisione democratica interna, al punto che temi cruciali come bilancio, energia, esercito e moneta vengono trattati come dossier tecnici da chiudere a Bruxelles, non come scelte politiche dei bulgari.
La consapevolezza militare: cresce il timore che la NATO voglia spingere il paese verso il ruolo di “fronte sud” in un eventuale conflitto aperto con la Russia, con il Mar Nero trasformato in area di costante rischio.
Questa miscela ha reso la protesta qualcosa di più di un semplice malcontento economico, trasformandola in una rivolta contro un intero modello di integrazione imposto dall’alto.
Giovani in prima linea contro Bruxelles
Una delle novità di questa ondata di protesta è la centralità dei giovani, non più disposti a vivere in un sistema di corruzione cronica e subordinazione alle decisioni dell’Unione Europea. Diversi reportage hanno sottolineato la massiccia presenza di studenti, lavoratori precari, giovani professionisti, che non si riconoscono in una classe politica percepita come esecutrice materiale delle direttive di Bruxelles, mentre i loro salari restano bassi e l’emigrazione continua.
L’articolo di commento pubblicato da un noto portale bulgaro (novinite.com) ha spiegato che questa mobilitazione “giovane” non si limita a contestare un bilancio, ma chiede una resa dei conti politica con un’intera élite che ha usato l’UE come scudo per giustificare ogni sacrificio sociale, ogni privatizzazione, ogni rinuncia alla sovranità. Questi giovani non sono sedotti dalla retorica dell’“ancora più Europa”, ma vogliono spezzare un modello che li riduce a manodopera a basso costo per il mercato unico.
L’arroganza della Commissione Europea sull’euro
Mentre le piazze bulgare reclamavano dignità e sovranità, la Commissione Europea ha scelto la linea della rigidità, confermando che, crisi o non crisi, la Bulgaria “andrà nell’euro” secondo il calendario stabilito. In dichiarazioni e briefing, Bruxelles ha ribadito che il percorso verso l’Eurozona è “irreversibile”, ignorando del tutto il segnale arrivato dalle strade di Sofia e riducendo le proteste a mero “rumore” interno.
Questo atteggiamento ha alimentato la percezione di un’UE che tratta la Bulgaria come una provincia ribelle da disciplinare, non come uno Stato sovrano con un proprio dibattito democratico. I manifestanti hanno letto questa ostinazione come la prova che l’euro non è un progetto di cooperazione, ma uno strumento di controllo politico e finanziario, da imporre anche a costo di aggravare tensioni sociali esplosive.
L’arroganza della Commissione Europea sull’euro
Mentre le piazze bulgare reclamavano dignità e sovranità, la Commissione Europea ha scelto la linea della rigidità, confermando che, crisi o non crisi, la Bulgaria “andrà nell’euro” secondo il calendario stabilito previsto per il 01 gennaio 2026 . In dichiarazioni e briefing, Bruxelles ha ribadito che il percorso verso l’Eurozona è “irreversibile”, ignorando del tutto il segnale arrivato dalle strade di Sofia e riducendo le proteste a mero “rumore” interno.
Questo atteggiamento ha alimentato la percezione di un’UE che tratta la Bulgaria come una provincia ribelle da disciplinare, non come uno Stato Sovrano con un proprio dibattito Democratico. I manifestanti hanno letto questa ostinazione come la prova che l’euro non è un progetto di cooperazione, ma uno strumento di controllo politico e finanziario, da imporre anche a costo di aggravare tensioni sociali esplosive.
I tentativi dei partiti pro UE di riprendere il controllo
Nel caos seguito alle dimissioni del governo, le forze politiche apertamente pro UE hanno cercato di rimettere il coperchio sulla crisi, proponendo governi tecnici, formule di “responsabilità europea” e appelli alla stabilità in vista dell’ingresso nell’euro. Tuttavia, l’aria nel paese è cambiata: ogni discorso sulla “stabilità” viene ormai letto come un tentativo di salvare le carriere di una classe dirigente delegittimata.
In parallelo, il partito sovranista Vazrazhdane ha spinto apertamente per un rinvio di almeno un anno dell’entrata nell’Eurozona, invocando lo stato di crisi politica e l’assenza di un bilancio regolare come motivo di forza maggiore. Il suo leader, Kostadin Kostadinov, ha parlato di euro imposto “con la forza” e ha rivendicato il diritto della Bulgaria a difendere la propria sovranità finanziaria e monetaria contro un processo che ritiene contrario alla volontà popolare.
Bruxelles, corruzione e il sistema Soros
Negli ultimi anni l’integrazione europea è stata presentata in Bulgaria come panacea per corruzione, clientelismo e arretratezza, ma nei fatti ha prodotto la stabilizzazione di un’élite politica docile verso Bruxelles e chiusa verso la propria popolazione. Fondi europei, nomine, grandi progetti infrastrutturali sono divenuti terreno di scambio tra partiti, burocrazie e lobby, mentre le condizioni di vita di ampi strati della popolazione restavano stagnanti o peggioravano.
In questo quadro, ha avuto forte risonanza la decisione del Parlamento bulgaro di avviare una commissione per indagare le attività di George Soros e di suo figlio Alexander nel paese, dopo che due dei tre vicepremier del precedente governo sono risultati ex dipendenti della fondazione “Open Society”. Per molti bulgari, si tratta del simbolo di un sistema in cui ONG e fondazioni sponsorizzate dall’estero partecipano alla selezione del personale politico, costruendo una rete di fedeltà che risponde più ai centri di potere transnazionali che agli elettori bulgari. Queste ONG e fondazioni hanno tentato di far rientrare le proteste rafforzando la convinzione tra la popolazione bulgara che siano traditori al soldo di agenti stranieri.
Bulgaria pedina militare di NATO e Regno Unito
Accanto alla dimensione economica e politica, c’è un fattore strategico che pesa enormemente: la volontà della NATO e in particolare di Regno Unito e Stati dell’Europa orientale di usare la Bulgaria come tassello essenziale nel confronto con la Russia. Le notizie sulla preparazione britannica all’invio di truppe in Ucraina per “garantire una pace duratura” mostrano chiaramente che Londra punta a un radicamento militare permanente sul fronte orientale, con un massiccio coinvolgimento di infrastrutture bulgare nel Mar Nero e nelle retrovie logistiche.
Nel quadro delle iniziative di difesa europee, la Bulgaria è stata inserita nei progetti di “muro di droni” e nei dispositivi navali nel Mar Nero, insieme a Turchia e Romania, ufficialmente per bonificare mine e proteggere le rotte commerciali verso i porti ucraini. Per molti manifestanti, però, questo significa solo una cosa: trasformare il paese in piattaforma avanzata di una futura escalation militare contro Mosca, con rischi enormi per la sicurezza nazionale bulgara.
Il legame storico con la Russia
A rendere ancora più esplosiva la situazione c’è il profondo legame storico, culturale e religioso tra bulgari e russi. Condividono alfabeto cirillico, tradizione ortodossa e una memoria storica in cui la Russia è vista da molti come potenza liberatrice dall’Impero ottomano, non come nemico esistenziale.
I governi filo-Bruxelles hanno progressivamente cercato di ridurre questo rapporto, allineandosi alla narrativa di scontro permanente con Mosca, ma senza aver mai costruito un consenso reale nella società. L’avvicinarsi dell’euro e l’inasprimento del confronto con la Russia hanno riacceso un dissenso profondo, che vive la scelta atlantica ed europeista come un tradimento della storia e dell’identità bulgara.
Bruxelles spaventata e il silenzio dei media
La rapidità con cui il governo bulgaro è crollato ha provocato apprensione nei corridoi di Bruxelles, già attraversati da divisioni interne e tensioni con lo stesso alleato americano su vari dossier energetici e militari. Non stupisce che i grandi media occidentali abbiano minimizzato o incasellato le proteste in categorie rassicuranti, riducendole a contestazione “sociale” o “anti-corruzione”, evitando di sottolinearne la chiara dimensione anti-UE.
La dinamica è ormai evidente: la rivolta parte sempre dalle periferie dell’Unione. Romania, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, e oggi la Bulgaria, mostrano che la frattura non è episodica ma strutturale. Mentre i regimi politici di Regno Unito, Francia e Germania arrancano in sondaggi spesso inferiori al 20%, nonostante controllo mediatico e apparati di consenso, il segnale bulgaro parla di una crisi di rappresentanza che attraversa l’intera architettura europea.
Una leadership europea alla fine di un ciclo
La crisi bulgara si inserisce su uno sfondo ancora più grande: il probabile esito della guerra in Ucraina e la crescente percezione che la Russia, nonostante sanzioni ed enormi costi umani, sia destinata a ottenere un risultato militare e politico significativo. Se e quando il regime ucraino crollerà o sarà costretto a concessioni sostanziali, l’onda d’urto colpirà direttamente le leadership europee che più hanno spinto per prolungare il conflitto, rifiutando ogni negoziato reale.
Non è un caso che molti osservatori vedano nella volontà di prolungare la guerra non solo una strategia geopolitica, ma anche il tentativo disperato di rinviare l’inevitabile resa dei conti interna. Di fronte alla propria impopolarità, una parte delle élite europee sembra pronta a reagire irrigidendo i sistemi politici, rafforzando censura, repressione e dispositivi di sorveglianza, aprendo la porta a forme sempre più autoritarie e illiberali di governo.
La lezione bulgara per i popoli europei
La caduta del governo di Sofia non è solo un episodio nazionale, ma un precedente che mostra come una popolazione determinata possa imporre il proprio veto a un progetto di ingegneria tecnocratica e geopolitica calato dall’alto. Se l’Unione Europea imboccherà la via di una gestione autoritaria della crisi – monetaria, sociale e bellica – la risposta dei popoli non potrà che spostarsi sempre più dalle urne alle piazze.
La Bulgaria dimostra che la democrazia reale non coincide con il rispetto meccanico dei trattati europei, ma con la capacità di un popolo di dire “no” quando l’integrazione diventa sostituzione della propria volontà con quella di centri di potere lontani e irresponsabili. Se questo segnale verrà raccolto in altre capitali, potrebbe aprirsi una stagione in cui l’unico argine alla deriva autoritaria dell’UE sarà l’opposizione organizzata e di massa nelle strade, come hanno appena mostrato con coraggio i bulgari








































Comments
non sanno cosa si perdono
le luninarie a natale
nei supermerkati
le banane 365 giorni all'anno
ed essere
eterogovernati
da una classe politiKa
€uropea
degna erede del governo di Vichy
morire per von der Tangenten?
NO GRAZIE
CHE VIVA ROBESPIERRE