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vocidallestero

L’Indicibile: Il libro nero del capitalismo imperialista

di Paul Street

Il sito CounterPunch pubblica una esauriente critica “da sinistra” all’amministrazione Trump. P. Street, invece di identificare semplicemente Trump col male, contrapposto a Obama, il bene, racconta più onestamente gli orrori imperialisti della politica estera USA, perpetrati da Obama e che Trump sembra voler proseguire. La maniera migliore di disinnescare razzismo, terrorismo, odio e migrazioni di massa, è che gli USA smettano di innescare guerre e violenze nei paesi musulmani, come fanno da almeno più di 20 anni a questa parte

Terrorismo imperiale 510x300I giornalisti americani “mainstream” che vogliono conservare i loro stipendi e il loro prestigio sanno che devono riferire gli avvenimenti in modo da non mettere in discussione il tabù della selvaggia e implacabile criminalità imperialista della nazione e del regime di disuguaglianza e oppressione che ne sta alla base. Questi argomenti sono considerati off-limits, in quanto travalicano gli angusti confini delle discussioni considerate educate ed accettabili. I commentatori e i giornalisti seri hanno il buonsenso – profondamente indottrinato – di evitare questi argomenti.

 

“Abbiamo fatto abbastanza come Nazione”

Un esempio eccellente è un recente report della CNN su come lo stop all’immigrazione musulmana del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump si ripercuote sulla piccola città di Rutland, Vermont.

Un giornalista della CNN ha intervistato due persone di parere opposto sull’accoglienza dei rifugiati siriani a Rutland. Il primo intervistato è stato il sindaco della città, Chris Louras, che sta cercando di fare di Rutland un hub di reinsediamento di rifugiati che nel 2017 dovrebbe accogliere 25 famiglie siriane.

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ilcomunista

Salario, concorrenza e mercato mondiale

Maurizio Donato

La differenza di reddito pro capite tra la più ricca delle nazioni industriali, diciamo la Svizzera, e il più povero dei Paesi non industrializzati, il Mozambico, è oggi [nel 2000] di circa 400 a 1; due secoli e mezzo fa questo divario fra [paesi] ricchi e poveri era forse di 5a1 e la differenza fra l’Europa e l’Asia orientale o meridionale (la Cina o l’India) all’incirca di 1,5 o 2a1». (Kenneth Pomeranz, La grande divergenza)

Big Mac hamburger Japan 4Salario mondiale e mercato mondiale

Per un’analisi dei livelli e delle dinamiche del salario mondiale occorre tener presente due movimenti, che vanno intesi in riferimento a diversi livelli di astrazione. Da un lato, la tendenza strutturale alla diminuzione del valore della forza-lavoro; dall’altro quella relativa all’aumento dell’industrializzazione e dunque all’inurbamento progressivo della popolazione mondiale.

Secondo la teoria marxiana del valore-lavoro, il valore di una merce dipende dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrla; essendo la forza-lavoro una merce, anche il suo valore è determinato allo stesso modo. Se vogliamo esprimere lo stesso concetto facendo riferimento alla forma monetaria del valore, possiamo dire che il valore della forza-lavoro umana è determinato dal valore delle merci di sussistenza necessarie a produrla e riprodurla. L’aumento della forza produttiva del lavoro reso possibile dalle innovazioni tecnologiche riduce il tempo di lavoro necessario a produrre anche le merci di sussistenza, e dunque – per questa via – il valore della forza-lavoro tende necessariamente a ridursi.

Come è noto, non solo questo prezioso elemento di analisi, ma l’intera struttura logica del I libro del Capitale si situano a un livello di astrazione molto alto, nel senso che il metodo di Marx – nel complesso lavoro di scrittura del I volume – era rivolto a concentrarsi sugli elementi e sulle tendenze di fondo del processo di produzione del capitale, prescindendo completamente – e volutamente – dalle “perturbazioni” di un modello costruito sulle sue linee generali, riservando ad altre occasioni il compito di “ridurre” il livello di astrazione dell’analisi, per tener conto di elementi ugualmente importanti ma con un grado inferiore di generalizzazione.

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dirittiGlobali

Del rischio di estinzione del colibrì

Le ragioni dimenticate dei movimenti

di Sergio Segio*

Introduzione al 14° Rapporto sui diritti globali

movimenti globalizzazione■ Globalizzazione e altermondialismo

Da molti punti di vista e su non pochi aspetti, il cambio del secolo sembra aver chiuso fuori dalla porta Storia e storie, memoria individuale e memoria collettiva. Con un congruo anticipo, del resto, un economista conservatore, 1Francis Fukuyama, era arrivato a teorizzare proprio la fine della Storia. Contemporaneamente, i suoi colleghi di università e docenza, i “Chicago boys” di Milton Friedman, fornivano le basi dottrinarie di quel processo neoliberista centrato su privatizzazioni, liberalizzazioni, smantellamento dei sistemi di welfare, deregulation e messa in mora di poteri e controlli pubblici tuttora in corso. Si affermava così la regola del Washington consensus e cominciavano le politiche di “aggiustamento strutturale”, cui la Troika di allora (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Dipartimento del Tesoro USA) assoggettava prima l’America Latina e poi altre aree e Paesi cosiddetti in via di sviluppo, attraverso l’imposizione di Programmi imperniati, appunto, su privatizzazioni, liberalizzazioni, tagli alla spesa sociale, austerità, limitazione del-la spesa pubblica, obbligo di pareggio di bilancio.

Proprio com’è più di recente successo, e sta succedendo, alla Grecia e ad altri membri dell’Unione, veniva in quel modo messa in discussione la sovranità dei singoli Paesi, obbligati ad aprirsi agli investimenti delle multinazionali e alle loro delocalizzazioni produttive, finalizzate allo sfruttamento di manodopera a basso costo e alla massimizzazione dei profitti. In parallelo e di conseguenza, i diritti sociali, del lavoro, ambientali, ma anche i diritti umani, venivano vulnerati o fortemente ridimensionati, prima in quelle aree geografiche e, successivamente e tuttora, anche in Europa.

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mondocane

Roma-Damasco, caccia alla volpe

Le parti in commedia dei russi. La fiction splatter di Amnesty

di Fulvio Grimaldi

Se vi infastidiscono le elucubrazioni su media e Virginia Raggi, potete saltare subito al capoverso: Dal Campidoglio in coma vigile alla Siria, viva o morta.

caccia ridonoCani fatti killer, uomini fatti giornalisti

Da quando avevamo raccolto nei boschi di Teuteburgo quel bassottino selvatico di nome Lumpi (monello) e insieme a lui, nel paese di Dresda, avevamo scansato le mitraglie degli Spitfire britannici, dribblato le bombe dei Mustang statunitensi, mentre magari stavamo raccogliendo ortica lungo i fossi per una cena tra il 1944 e il 1945, ho sempre vissuto con cani, della nobilissima specie dei bassotti a pelo ruvido, specialisti della lotta contro gli altotti, fino a entrarci in simbiosi affettiva e intellettuale, dunque politica. Posso perciò affermare con una certa competenza che tutti i cani, per natura nascendo di branco, cioè inseriti in un collettivo, sono buoni, sociali e socievoli, collaborativi, rispettosi dell’armonia e dell’utile comunitari. Il che li rende la specie animale più vicina a quella umana. Quanto meno a quella umana prima del degrado subito da una sua limitata, ma decisiva, quota.

Addestrati, violentati nella loro identità originaria, educati male, i cani diventano strumenti di umani degenerati che li pretendono delittuosamente, come dio con gli uomini, a loro immagine e somiglianza. E arriviamo ai rottweiler aggressivi, ai pitbull da combattimento, perfino ai jack russell mordaci, interfaccia di poliziotti che picchiano, forze speciali che torturano, energumeni da rissa che inseguono modelli di videogiochi, politici che sterminano, padroni che ingrassano sul dimagrimento dei dipendenti.

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contropiano2

Come Nixon nel ’71, gli Usa cambiano le regole del gioco. Ma senza rete…

di Claudio Conti

trump 720x300Chi pensa che il “fenomeno Trump” sia dovuto alla faccia tosta del personaggio o alla credulità dell'elettorato non metropolitano degli Stati Uniti è condannato a non capire nulla di quanto sta accadendo a livello planetario. Al massimo, sarà invitato a “indignarsi” ogni giorno su un tema diverso, scelto con cura dall'ala “globalista” dei media mainstream, quella nostalgica dei bei tempi andati, quando ogni starnuto proveniente dagli Usa era accolto come il verbo divino.

Sul fronte opposto, quelli che ragionano solo in termini di geopolitica e sovranità nazionali sono condannati a fare i salti mortali – e neanche sempre vogliono farli – per non ritrovarsi schiacciati sugli argomenti della destra nazionalista, xenofoba, fascistoide, trumpista o lepenista per puro calcolo elettorale.

A noi sembra decisamente più sensato guardare ai processi economici e storici che stanno arrivando al pettine dopo dieci anni di crisi globale. Dieci anni in cui ogni tentativo di “ripartire”, di “rilanciare la crescita”, ecc, si è scontrato con un arresto generale della “dinamica propulsiva” del modo di produzione capitalistico, nelle forme storiche assunte nel secondo dopoguerra. Se ci si riesce ad orientare nelle modificazioni del mondo, forse si riesce anche a dire qualcosa di non preso a prestito da Repubblica o dal Tg3… Ricordiamo ancora, nonostante tutto, che nella Storia sono i processi oggettivi a sollevare o precipitare gli individui (anche e soprattutto “i capi”), non viceversa.

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blackblog

La complementarità della prima potenza e della prima impotenza economica

Stratediplo

cina4Ecco che ad una trumpfobia isterica subentra una trumpmania insensata, come se un'alternanza politica alla presidenza federale della seconda più grande democrazia al mondo fosse suscettibile di produrre un cambiamento tangibile, positivo o negativo, nella politica di questo paese. Si evocano prospettive fatali per suscitare sentimenti di paura o di speranza.

In primo luogo, si specula a proposito di una guerra commerciale che gli Stati Uniti starebbero dichiarando alla Cina. Tuttavia, quella che di solito viene chiamata guerra commerciale è una competizione commerciale fra due paesi concorrenti, e non una discussione fra un cliente ed il suo fornitore, o fra un debitore ed il suo creditore; schemi questi che servono a definire quali sono le relazione fra gli Stati Uniti e la Cina. A tal proposito, questi due paesi non sono affatto rivali, ma sono complementari; anche se la Cina fa del suo meglio per cercare di ridurre questa interdipendenza.

Gli Stati Uniti hanno bisogno della Cina in quanto non sono in grado di produrre tutto ciò che consumano (altresì, sono in grado di pagare solo il 20% di ciò che consumano). Di contro, nonostante ciò che gli Stati Uniti vogliono far credere, la Cina non ha bisogno di loro. A partire dal 2008 - anno in cui la Cina ha capito che gli Stati Uniti non avevano alcuna intenzione di tentare di sanare le proprie finanze - in tutti i suoi settori, l'industria cinese produce ormai più per il mercato interno che per l'esportazione. Non solo in materia di beni strumentali - dove la Cina aveva un ritardo, rispetto alle altre potenze economiche, che doveva essere recuperato - ma anche in materia di beni di consumo, il cui sviluppo  il governo cinese ha finalmente accettato per disinnescare ogni velleità di cambiamento politico, la soddisfazione dei bisogni della Cina e delle aspirazioni dei cinesi è ora una priorità nazionale.

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mondocane

Memorie, negazionismi, Regeni e Deir Ez Zor

di Fulvio Grimaldi

aleppo rovineFaccio un’altra volta contenti i localisti che biasimavano la mia depravazione professionale di trascurare il vicino per navigare nel lontano, offrendogli un bel potpourri, come si diceva ai tempi del trio Lescano e di Alberto Rabagliati (oggi “compilation”, e fossimo meno perversamente esterofili, “raccolta”, “selezione”), di cose nostre e cose altrui (che, a mio avviso, senza offesa per i localisti, risultano poi sempre anche nostre). E parto lontanto, da Trump per finire vicino, a Virginia Raggi, tanto per dimostrare l’assunto.

L’aspetto storicamente più significativo e anche più umoristico è il ballo di San Vito che, all’apparire del fenomeno Trump, ha visto unirsi in frenetica agitazione tutti i vermi e tutte le larve che fino a ieri pasteggiavano sulla carcassa della società capitalista occidentale. Vuoi quelli che del gozzoviglio si vantavano e vuoi coloro che, vergognandosene, masticavano nascosti dal tovagliolo di seta. Spioni Cia, serialkiller Mossad, vampiri bancari, fabbricanti di F35, necrofagi neocon, contorsionisti del menzognificio mediatico, burattinai del terrorismo internazionale e loro cloni in miniatura dei paesi subalterni, in felice sintonia con i loro finti opposti e autentici reggicoda, pacifisti, ambientalisti, femministe, variopinti sinistri, diritto-umanisti, migrantofili, cultori del Genere, tutti appassionatamente uniti a protestare, ululare, armarsi, contro questo imprevisto rompicoglioni che si permette di scuotere la carogna e spolverarne i parassiti.

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mondocane

Isis e anti-Trump: stesso mandato, stessi mandanti

di Fulvio Grimaldi

Mentre utili idioti e amici del giaguaro marciano contro Trump, Obama avvelena i pozzi in Siria

presstitutesMolte delle celebrità che dicono di non andare (all’insediamento)
non erano mai state invitate. Non voglio le celebrità, voglio il popolo,
è lì che abbiamo le più grandi celebrità”. (Donald Trump)

E’ stupefacente e anche un po’ disgustoso vedere
quanti cagnetti profumati da salotto si sono
messi con il branco di rottweiler a sbranare un
botolo che aveva appena cominciato ad abbaiare”. (Ernesto bassotto)

 

Mercenari professionisti

Titolo spiazzante, anzi scandaloso? Vediamo. A cosa vengono impegnati i jihadisti delle varie formazioni mercenarie impiegate in Medioriente (ora anche in Asia e Africa e individuati come attentatori in Occidente)? A mantenere e allargare il dominio, a fini di controllo e sfruttamento, su zone del mondo ricche di risorse, e/o di importanza strategica, e/o la cui sovranità e autodeterminazione costituiscono ostacolo alla globalizzazione Usa, UE e Israele e rispettivi clienti, a volte collusi a volte collidenti, perché ne spuntano gli strumenti armati e/o economici.

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comedonchisciotte

Il problema non è Trump, siamo noi

di John Pilger

cover dettaglio 11161Negli Stati Uniti, il giorno dell’insediamento del Presidente Trump, migliaia di scrittori esprimeranno la loro indignazione. “Per poter guarire e andare avanti…”, si dice al Writer Resist, “vogliamo andare oltre il discorso politico diretto, e, concentrandoci sul futuro, noi, come scrittori, possiamo essere una forza unificatrice per la tutela della democrazia”.

E ancora: “Esortiamo gli organizzatori e relatori locali ad evitare di chiamare per nome i politici o di usare un linguaggio di contestazione come punto focale per l’evento Writer Resist. È importante garantire che le organizzazioni senza scopo di lucro, a cui sono vietate campagne politiche, si sentano sicure nel partecipare e sponsorizzare questo evento”.

Pertanto, la vera protesta è da evitare, non essendo esentasse.

Confrontiamo queste fesserie con le dichiarazioni del Congresso degli Scrittori Americani, tenutosi alla Carnegie Hall di New York nel 1935, e di nuovo due anni dopo. Erano incontri elettrici, di scrittori che discutevano sul come reagire di fronte ad infauste situazioni in Abissinia, Cina e Spagna. Vi si leggevano telegrammi di Thomas Mann, C. Day Lewis, Upton Sinclair e Albert Einstein, che rispecchiavano la paura che grandi poteri stavano ormai dilagando e che era diventato impossibile discutere di arte e letteratura senza parlare di politica o, addirittura, di azione politica diretta.

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la citta futura

La posta in gioco della guerra in Siria

Per un’interpretazione non ideologica del conflitto siriano dopo la presa di Aleppo

di Renato Caputo

guerra aleppoPer comprendere realmente gli eventi siriani occorre uscire dalla tenebra del quotidiano e interpretare i fatti in una più ampia prospettiva storica. È indispensabile tener presenti le ragioni socio-economiche del conflitto, che rendono possibile interpretare in modo non ideologico gli aspetti sovrastrutturali della guerra. È necessario, infine, inquadrare gli eventi nella dinamica dialettica del conflitto sociale, che caratterizza le società in guerra.

Rimanere legati alla narrazione dei fatti del giorno è certo utile a conoscere nuovi particolari del conflitto in corso in Siria, ma rischia di far perdere di vista la complessa, in quanto dialettica e intimamente contraddittoria, contestualizzazione storica in cui i singoli eventi debbono venir ricompresi. Per poter provare a ricostruire tale contesto è necessaria una certa distanza non solo spaziale, ma anche temporale dagli eventi. La riflessione, infatti, non può che essere successiva all’azione storico-politica, per quanto diviene poi decisiva, quale fondamento razionale delle nuove azioni politiche. Inoltre rende necessario uno sguardo di insieme, per così dire dall’alto degli eventi, che consente di comprendere, dopo aver fatto esperienza dei singoli alberi (i diversi eventi di cui sono state piene le cronache di questi anni), che essi sono davvero intellegibili solo all’interno della foresta (la totalità del contesto storico) di cui sono parte costituente. Tanto più che – sino a quando non si assume tale posizione per così dire sopraelevata e, per quanto possibile distaccata – non si può che rimanere prigionieri della logica intrinseca a ogni conflitto, in cui diviene in qualche modo necessario prendere parte, ossia assumere una posizione partigiana e, quindi, parziale che non può che comportare una interpretazione ideologica, funzionale all’azione politica.

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mondocane

Obama, Neo-Con, ONG, Big Pharma

di Fulvio Grimaldi

obama is a killerFoglie di fico sulle vergogne

Se ne va il peggiore presidente della storia americana, il più sanguinario, il più ipocrita, il più criminale, quello che ha fatto odiare gli Usa nel mondo più di qualunque predecessore. E il “manifesto”, ossimorico quotidiano finto-“comunista” e vero-sorosiano, che ancora qualcuno legge pensandolo onesto e di sinistra, sulle cui oscenità ancora qualcuno traccia con la sua penna foglie di fico, mobilita tutti i suoi embedded e scrive epitaffi che neanche a Che Guevara o Antonio Gramsci.

Un florilegio: “La sua presidenza ha avuto come obiettivo prioritario la costruzione di una democrazia reale… punti che dovrebbero dar corpo all’eccezionalismo americano…conquiste che dovrebbero essere considerate irriversibili sul terreno dei diritti, ma anche quel terreno di relazioni internazionali con paesi che non è più possibile demonizzare e o punire, come è stato fatto prima di Obama (sic !)… Il presidente esce di scena per restare. Per essere un punto di riferimento e di leadership morale… E’ il noi che conta, non l’io, è una scossa a reagire. L’America obamiana non starà alla finestra mentre i repubblicani agitano il piccone… è un leader altro rispetto a una classe politica distante dal popolo… Oggi sembra essere l’unica ripresa di una politica in grado di costruire una prospettiva democratica…” E ci sono firme rispettabili che, pur ridotte a un umiliante lumicino redazionale dalla direzione, ancora si prestano a fornire foglie di fico a queste oscenità.

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keynesblog

La Cina, il capitalismo di Stato e la crisi del Washington Consensus

Daniela Palma

n USA CINA large570Chi avrebbe mai scommesso sulla capacità di tenuta delle ricette “neoliberiste” propugnate dal Washington Consensus a quasi dieci anni dall’inizio della crisi economica più grave dopo quella del ’29, che tiene ancora nella morsa gran parte delle economie occidentali? Non molti, pensiamo, ma sta di fatto che la crisi è tuttora trattata come un accidente della storia e che se siamo ancora lontani dalla piena occupazione è perché – si dice – il processo di liberalizzazione del mercato del lavoro da anni intrapreso non è del tutto sufficiente a consentire un adeguato libero gioco delle forze del mercato. E, stando sempre a questa narrazione, con l’emersione dei paesi di nuova industrializzazione e la pressione concorrenziale esercitata dai loro molto più bassi livelli salariali, sarebbero necessari interventi di liberalizzazione persino più incisivi. Ma questa narrazione è destinata ad essere messa sempre più in discussione quanto più si estenderà e si consoliderà lo spazio occupato dai nuovi protagonisti dello sviluppo mondiale lungo percorsi che con il Washington Consensus hanno molto poco a che fare, come già ampiamente dimostra la straordinaria ascesa economica e politica conseguita dalla Cina. Ed è questo uno tra i più preziosi contributi che ci offre Diego Angelo Bertozzi con la recente pubblicazione di Cina, da“sabbia informe” a potenza globale [Imprimatur editore, 2016, 346 pp], un lavoro di profondo scavo nella travagliata vicenda di un paese che, dismessa agli inizi del ‘900 la veste feudale del “Celeste impero”, deve trovare il giusto slancio verso l’uscita dal sottosviluppo, dovendo contrastare le molte tendenze disgregatrici interne su cui, all’avvio di questo processo, fanno leva le potenze coloniali dell’occidente.

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mondocane

Ministero della Verità!

Il lascito di Obama e dei suoi

di Fulvio Grimaldi

ministero verità“I due massimi ostacoli alla democrazia negli Usa sono, primo, la diffusa illusione tra i poveri di vivere in una democrazia e, secondo, il cronico terrore dei ricchi che la si possa realizzare”. (Edward Dowling)

“La verità deve essere ripetuta costantemente , poiché il Falso viene predicato senza posa. E non da pochi, ma da moltitudini. Nella stampa e nelle enciclopedie, nelle scuole e università, il Falso domina e si sente felice e a suo agio nella consapevolezza di avere la maggioranza dalla sua”. (Wolfgang von Goethe)

“Essere ignoranti della propria ignoranza è la malattia dell’ignorante”. (Amos Bronson Alcott)

“Demagogo è uno che predica dottrine che sa
essere false a persone che sa essere idioti”. (H.L. Mencken)

 

Occhio a chi date ragione

Al superbarbafinta Minniti, passato per stretta logica da fiduciario dei servizi segreti Usa al ministero degli Interni, è bastato che un ragazzo tunisino, pensando alla suocera o al portiere che gli ha parato un rigore, scrivesse “non so se fare il bravo o fare una strage” e avesse nel telefonino un pensiero negativo su Netaniahu, per definirlo terrorista dell’Isis, acchiapparlo, sbatterlo su un aereo e rimandarlo tra i Fratelli Musulmani che governano il suo paese.

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controlacrisi

I recenti attentati terroristici in Medio Oriente

Cambiano alleanze e rapporti di forza

di Domenico Moro

terroristi99Gli attentati terroristici di Capodanno a Istanbul, dove sono state uccise trentanove persone, e del 19 dicembre a Ankara, dove è stato ucciso l’ambasciatore russo Andrey Karlov, e a Berlino, dove sono state uccise dodici persone, per quanto possano essere diversi, hanno qualcosa che li lega. Il collegamento è rappresentato da quanto è accaduto in Siria. Qui, la caduta di Aleppo non ha rappresentato soltanto la caduta della principale città siriana nelle mani del fronte jihadista che combatte il presidente siriano Assad.

Più in generale, rappresenta la sconfitta delle forze jihadiste in Siria, che ora si vendicano nei confronti di chi li aveva appoggiati, cercando di utilizzarli ai propri fini, per poi abbandonarli. Non si tratta di una novità assoluta. L’ex agente dei servizi segreti militari italiani, Nino Arconte, ha rivelato, come ho riportato nel mio libro “La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico”, che alla radice dell’odio contro gli Usa e l’Europa fu il “tradimento” dei governi occidentali, che avevano utilizzato i fondamentalisti islamici contro i governi laici del Medio-Oriente negli anni ’80.

In realtà, la caduta di Aleppo non segna soltanto la sconfitta strategica del fronte jihadista. La guerra civile si è, sin dall’inizio, trasformata in una miniguerra mondiale. Essa è stata il terreno di scontro tra potenze maggiori, cioè tra Usa e Francia, da una parte, e Russia e, sebbene in modo indiretto, Cina, dall’altra.

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communia

Imperialismo e mondializzazione

di Yann Cézard

illus2 p30a33«Il pericolo giallo che minaccia l’Europa può dunque definirsi nel seguente modo: rottura violenta dell’equilibrio internazionale sul quale si basa attualmente il regime sociale delle grandi nazioni industriali di Europa, rottura provocata dalla brusca concorrenza, abnorme e illimitata, di un immenso nuovo paese». L’economista Edmond Théry esprimeva così le sue paure nel libro Le Péril jaune del 1901.

Il mondo è cambiato radicalmente, ma il fantasma rimane. A parte il fatto che all’epoca la Cina era al centro degli interessi di imperialismi rivali, ora essa costituisce un vero e proprio ”laboratorio mondiale”. La "prima mondializzazione" capitalista vedeva il trionfo dell’Occidente. Quella di oggi vedrebbe il suo declino? Si può ancora parlare di imperialismo? Una confusione estrema, politicamente deleteria, regna oggi nelle coscienze.

Il peggiore dei metodi è la miopia, che impedisce nei fatti una visione netta dell’insieme. È una semplificazione che permette ad alcuni di esaltarsi sulla presunta fine dell’imperialismo (e perché non un “imperialismo rovesciato”: è vero o no che la Cina sommerge l’Occidente dei suoi prodotti industriali?), e permette ad altri di affermare la persistenza, senza variazioni, dell’imperialismo descritto da Lenin nel 1916 (l’Occidente non continua ininterrottamente ad intervenire ai quattro angoli del pianeta?).