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badialetringali

La verità è che non sappiamo la Verità

di Fiorenzo Fraioli

Sull'ennesimo orrore, questa volta a Parigi, si sprecheranno come sempre molte parole. Non vogliamo aggiungerne altre, che sarebbero inutili, ma ci limitiamo a segnalare questo intervento di Fraioli, di esemplare buon senso

pozziinfiammeecammelliHo passato la sera a leggere il "De bello gallico" di Giulio Cesare poi, qualche minuto fa, ho acceso il televisore e ho saputo dell'attentato a Parigi.

La prima cosa che mi viene da dire è che siamo in guerra ma non sappiamo chi sia il nemico.

L'Isis? Fatemi capire, perché io sono un po' tonto: l'occidente, la Nato, l'Unione Europea, la Russia, l'Iran, la Siria, Hezbollah, tutti contro l'Isis, uno "Stato" non riconosciuto da nessuno, la cui base territoriale è costituita da una parte dell'Iraq il cui territorio è controllato da un governo alleato dell'occidente, con una forte presenza di forze USA, e non si riesce a stroncarlo in una settimana? Dobbiamo credere a questo?

Sono stato ragazzo ai tempi della guerra del Vietnam, ma allora l'informazione mainstream ce lo diceva chiaro e tondo che dietro il Vietnam del sud c'erano gli USA, e dietro i vietcong l'URSS e la Cina, e dunque che era una guerra per procura tra le grandi potenze. Oggi, invece, il raccontino è che tutti sono contro l'Isis, e che questi tengono in scacco il mondo intero perché sono combattenti fanatici (o eroici, come sostiene qualcuno).

Io non ci credo. Per come la vedo io siamo in una guerra mondiale. Per quello che posso capire, ma non prendetemi troppo sul serio, questa è una guerra con molti attori ma senza una linea di demarcazione che consenta di dire "noi contro loro".

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la citta futura

L'imperialismo è vivo e lotta contro di noi

di Ascanio Bernardeschi

bd1351b408feaa7a7bb52dcdff55aef5 L“Il capitalismo, che prese le mosse dal capitale usuraio minuto,
termina la sua evoluzione mettendo capo a un capitale usuraio gigantesco”

“Il mondo si divide in un piccolo gruppo di stati usurai e in una immensa massa di stati debitori”

“L'oligarchia finanziaria attrae, senza eccezione, nella sua fitta rete di dipendenze
tutte le istituzioni economiche e politiche della moderna società borghese”

(Vladimir Ilic Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916)

Viaggio nella crisi parte II. Dopo l'articolo preliminare di Rita Bedon, che illustra alcuni aspetti teorici generali della crisi (http://www.lacittafutura.it/economia/viaggio-nella-crisi.html), proseguiamo l'indagine esaminando il carattere dell'odierno imperialismo transnazionale. Seguiranno contributi che illustrerannno in maniera più sistematica il quadro teorico in cui si inseriscono gli elementi fattuali qui esaminati, per proseguire quindi con le prospettive dell'Europa a guida tedesca e le possibili vie di uscita dalle politiche liberiste europee

Il crollo del blocco del cosiddetto socialismo reale, fu principalmente esito non di un moto di liberazione dei popoli ma della vittoria della guerra fredda da parte del blocco imperialista a guida statunitense. Liquidato il bipolarismo USA-URSS, parve ai più che il mondo fosse entrato in una fase unipolare ad egemonia americana difficilmente contrastabile.

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micromega

Boom di Ciudadanos, la Podemos di centrodestra

di Giacomo Russo Spena e Luca Tancredi Barone

In grande ascesa nei sondaggi, il nuovo partito spagnolo potrebbe essere la sorpresa al voto del 20 dicembre. Il giovane leader Albert Rivera, animale mediatico, è onnipresente in tv. Gli arancioni incarnano una destra moderna, inneggiano all’anticasta ma con un programma pro-austerity. È il tentativo del sistema di fermare Iglesias e il cambiamento reale del Paese

ciudadanos se volcara en tomar madrid multiplicando la presencia de albert riveraEl cambio sensato. Gli indignados di velluto. In Spagna sembra l’ora di Ciudadanos, il nuovo partito anticasta, ma pro-austerity, che sta volando nei sondaggi. A parole né di destra né di sinistra, molto tatticismo, toni populisti, un capo indiscusso e posizioni moderate. La Podemos di centrodestra. L’antidoto del sistema all’incubo di un reale ed effettivo cambiamento. In grande ascesa è il suo leader, Albert Rivera, considerato il premier più amato in vista delle elezioni nazionali del 20 dicembre. Il politico del momento. Onnipresente in tv.

Quasi 6 milioni di spagnoli davanti al televisore hanno seguito, due settimane fa, il confronto televisivo su La Sexta tra lui e Pablo Iglesias.

Un confronto in nome del rinnovamento e contro quel bipartitismo (Psoe-PP) ormai screditato. Rivera se está comiendo a Iglesias, “se lo sta mangiando”, è il commento più gettonato sui social network. Camicia bianca, jeans, faccia pulita, volto rassicurante, parla chiaro e diretto. Un animale mediatico. Sicuro di sé va sempre a braccio, anche ai comizi. “Abbiamo proposte per migliorare e riformare il Paese, senza urla e promesse irrealizzabili. Siamo capaci di governare, senza il sostegno dei poteri forti e privilegi”, va ripetendo da una trasmissione all’altra.

Il sistema può dormire sonni tranquilli. Ciudadanos è l’antidoto perfetto per rallentare la diffusione di quel virus del cambiamento iniziato col 15M. Quasi un prodotto in provetta per sottrarre consensi a Podemos che, con il tatticismo ed estrema pragmaticità, era riuscita a rappresentare il “voto di rottura” e ottenere consensi al di fuori del recinto classico della sinistra arrivando agli strati più moderati. Ora le cose cambiano.

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carmilla

Prima che tutto accada

di Sandro Moiso

scenario di guerraPrima che tutto accada occorre ragionare e far pensare.
Prima che la canea mediatica fascista, razzista, nazionalista, militarista, perbenista e di sinistra falsamente antagonista inizi ad ululare occorre dire, scrivere, organizzare. Prima ancora che arrivi il conteggio definitivo delle vittime.
Prima che le colpe si riversino sui più deboli e sugli ultimi occorre prepararne la difesa.
Prima che i potenti cerchino il nostro abbraccio occorre denunciarli.
Prima che gli incoscienti accorrano a manifestare con l’imperialismo, il militarismo e il patriottismo, come ai tempi di Charlie Hebdo, occorre smascherare i moventi e i mandanti.

Da tempo vado scrivendo che la guerra è alle porte e nella notte tra il 13 e il 14 novembre ci è entrata in casa. Solo gli imbecilli, che troppo spesso governano le società, potevano pensare che la guerra rimanesse sempre lontana. Solo un pubblico rintronato dai media e dai social network poteva pensare di continuare a godersi lo spettacolo dalla finestra di uno schermo. Solo una sinistra fumosa e pervertita nei suoi ideali e nei suoi principi poteva negarne l’attualità. Nessuno ha ragionato a sufficienza sul significato di “guerra asimmetrica”.

Certo lo hanno fatto i militari, i servizi più o meno segreti, gli esperti di geopolitica e hanno usato le loro conoscenze per diffondere il panico e la paura. Una paura superficiale, strumentale al fascismo strisciante e al nazionalismo razzista. Una paura irrazionale, ma ancora lontana. Uno sfondo per una rappresentazione politica e governativa ancora tutta rivolta alle strategie di governo e di mantenimento del consenso.

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megachip

La guerra è arrivata in Europa

di Giulietto Chiesa

Era pronosticato. Ora si vede che significa. La vita politica europea sarà sconvolta. Il fanatismo: una facciata che non spiega la sua 'intelligence'

NEWS 256327L'avevamo pronosticato. Adesso si vede meglio cosa significa. Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre. Non ci sarà possibilità di difesa per le classi sfruttate, subalterne. Ogni momento della vita collettiva sarà rubricato come problema di ordine pubblico. Controlli generalizzati in nome della difesa contro il terrorismo. La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector.

Politici e giornalisti, che ripetono le favole che si sono raccontate e ci hanno raccontato, sono nella più grande confusione.

Adesso si vede l'importanza di avere, o di non avere, una televisione che organizzi la difesa delle grandi masse.

Ed è solo l'inizio. La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale. Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov'è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l'offensiva in Europa.

Obiettivo chiarissimo: terrorizzare l'Europa e costringerla sotto l'ombrello americano. A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l'Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accorti.

Germania e Francia (il match di calcio) sono nuovamente avvertite. E, con loro, Merkel e Hollande. I due leader europei che stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano sono avvertiti.

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campoantimp2

Francia: schizzi di sangue dalla Guerra mediorientale

La redazione

images112Ci sarà tempo per analisi più approfondite su quanto accaduto ieri sera a Parigi. Per il momento è importante fissare un concetto: l'attacco portato alla capitale francese va inserito nel contesto della Grande Guerra Mediorientale in corso da anni. Una guerra di cui l'occidente ha creato le premesse, prima con la spartizione colonialista seguita alla fine dell'impero ottomano, poi con il pieno sostegno all'occupazione sionista della Palestina, infine con le guerre scatenate all'inizio di questo secolo, in primo luogo con l'aggressione e l'occupazione militare dell'Iraq.

Adesso l'epicentro dell'immane conflitto che sconvolge il Medio Oriente è in Siria. E non è difficile ricondurre a quanto avviene in questo paese alcuni sanguinosi attentati dell'ultimo mese: quello del 10 ottobre ad Ankara (cento vittime), quello che ha colpito l'aereo russo sul Sinai il 31 ottobre (224 morti), quello dell'altro ieri a Beirut (41 vittime).

Quello di Parigi completa dunque un quadro ben preciso. Ovviamente le sigle degli autori di ognuna di queste azioni può anche essere diversa, e le rivendicazioni in questi casi vanno prese con una certa prudenza, ma il contesto a cui guardare è sempre lo stesso.

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federicodezzani

Ancora una strage, ancora Parigi, ancora strategia della tensione

Federico Dezzani

760x409xGTA Online GTA V Heists 2 760x409.jpg.pagespeed.ic.EmiDO1AcD7“Peggio che a gennaio”, “peggio di Charlie Hebdo” sono i commenti a caldo dell’ennesima strage a Parigi, ancora di matrice islamista secondo le prime ricostruzioni.

Si tratta di un attacco in grande stile, peggiore di quelli verificatosi finora in Francia (Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015, Saint-Quentin-Favallier il 26 giugno e l’attacco al treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi il 21 agosto): è un attacco multiplo, coordinato e simultaneo: si tratta quindi di una rete terroristica con decine di affiliati che avrebbero operato nella capitale, per la seconda volta, senza essere intercettati dai radar dei servizi francesi. A distanza di neanche tre mesi dall’ultimo attentato, l’evento non è realisticamente credibile, a meno che non si accetti la totale incompetenza e fallibilità delle forze di sicurezza francesi.

Gli attentati sono multipli e concomitanti: al Teatro Bataclan una lunga sparatoria ed esecuzioni sommarie, poi l’irruzione delle teste di cuoio per liberare un centinaio di ostaggi; due esplosioni attorno allo Stade de France dove si teneva l’amichevole Francia-Germania cui assisteva anche il presidente François Hollande; una sparatoria davanti al ristorante “Petit Cambodge” nel 10ecimo arrondissement; un’altra conflitto a fuoco nel quartiere Halles, primo arrondissement. La Repubblica parla inizialmente di 40 morti, i siti d’informazione francesi di “plusieurs dizaines de morts”, il sito israeliano Debkafile stima 60 vittime. Sono 100 vittime secondo Le Figaro verso l’una e trenta.

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popoff

Parigi come Kobane, la guerra è la loro, i morti sono nostri

di Checchino Antonini

Dopo la strage di Parigi. Perché l’unità nazionale, invocata da Hollande e Le Pen (e quelli come loro) è l’altra faccia del terrore. Contro ogni fascismo barbuto o in felpa

906039 940215566058484 7727983206451669702 oSe i parigini, se tutti noi, pensassimo che stiamo vivendo lo stesso panico, la medesima angoscia e il lutto incolmabile di chi abita a Bagdad, Gaza, nel Rojava, a Tripoli, Kabul, Belgrado, vive e muore da anni come target di una guerra santa al contrario. Se fosse chiaro a tutti che la mattanza di Parigi è il rinculo drammatico della guerra globale, dei raid aerei, dell’azione dei contractor e delle truppe regolari della santa alleanza occidentale. Se fosse chiaro a tutti che ad armare i gesti folli di chi si lascia esplodere in uno stadio è anche la pressione delle multinazionali, degli apparati militari-industriali, sulle oligarchie politiche, da questa e da quella riva del Mediterraneo. La barbarie imperialista e islamista si alimentano a vicenda trascinandoci in uno stato di emergenza dove l’unità nazionale, proclamata da chi conduce quella barbarie, è la formula magica per legare le vittime ai carnefici, per limitare l’agibilità degli spazi pubblici, per soffiare ancora sul fuoco della guerra globale.

L’unica risposta alle guerre e il terrorismo è l’unità dei lavoratori e dei popoli, al di là delle loro origini, del colore della pelle, della religione. Per disarmare il terrorismo dobbiamo porre fine alle guerre imperialiste volte a perpetuare il saccheggio della ricchezza delle nazioni dominate dalle multinazionali, costringendo al ritiro le truppe occidentali da tutti i paesi in cui sono presenti, in particolare in Siria, Iraq , l’Africa. Fino ad allora la guerra è la loro, i morti saranno nostri.

Essere parigini e siriani, nello stesso tempo, kurdi e palestinesi, ribellarsi all’imperialismo e all’oscurantismo, ai fascimi barbuti e a quelli in doppio petto o in felpa.

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giorn partecip

La fine del kirchnerismo e del ciclo progressista in America latina?

di Gennaro Carotenuto

150810042937 sp zannini and scioli argentina 624x351 afpÈ tempo di provare un’analisi che vada oltre il mero risultato del primo turno presidenziale argentino, ma che da questo parta. È finito, anche se vincesse Daniel Scioli, il ciclo kirchnerista che ha ricostruito il paese dopo il default del 2001, e da tempo, in particolare con le difficoltà brasiliane e venezuelane degli eredi di Lula e Chávez, sembra giunto alla fine un ciclo storico progressista e integrazionista dell’America latina post-neoliberale. Per allargare il discorso, partiamo brevemente dall’oggi, dalla foto di famiglia con il borghese Scioli in cravatta e il suo candidato proletario alla vicepresidenza Zannini, una figura bicefala che non ha per ora risolto le contraddizioni.

Dunque per la prima volta nella storia argentina ci sarà un ballottaggio. Questo partirà da un pareggio tecnico tra il candidato appoggiato dalla maggioranza, Daniel Scioli, e quello della destra neoliberale Mauricio Macri (accentato sulla ‘a’, non sulla ‘i’: Màcri). I sondaggi, ai quali per una volta sarebbe ingiusto dare tutte le colpe, erano tutti appiattiti sul voto nelle primarie obbligatorie di agosto, quando il 38% degli elettori scelse di partecipare a quelle del Frente para la Victoria, che aveva il solo Scioli come candidato, e il 31% appoggiò la coalizione di destra. In due mesi, non rilevati dalla demoscopia – una scienza sempre meno esatta, se mai lo è stata – il FpV non ha guadagnato quel paio di punti che avrebbe permesso la vittoria al primo turno, e Macri ha sfondato quel bacino del 30% nel quale le destre erano relegate anche quando governavano col menemismo (voti peronisti per il neoliberismo). Non è interessante qui vaticinare cosa accadrà tra quattro settimane, e quanto eventualmente sarà profonda una restaurazione neoliberale.

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vocidallestero

Il conflitto siriano è una guerra per procura tra USA e Russia

I Media americani mainstream infine lo ammettono

Zero Hedge

Zero Hedge riporta come la strategia USA per destabilizzare la Siria  – utilizzando cinicamente l’ISIS che si finge di combattere – va avanti da decenni come parte della guerra per metter fine al monopolio della Russia sulle forniture di gas all’Europa,  ed è ampiamente documentata nelle comunicazioni diplomatiche riservate che sono trapelate.  Ora forse anche i media americani cominciano a mettere in dubbio l’autenticità delle motivazioni alla guerra.  Nel frattempo  tanti paesi sono distrutti e milioni di rifugiati si riversano in Europa

guerra in siria17 Ottobre 2015 – La guerra civile infuria in Siria, in un conflitto che va avanti ormai da 5 anni, con ben 11 milioni di profughi e quasi 300 mila persone uccise. La Siria, alleato di lunga data della Russia, riceve sostegno dal gigante orientale già dal 1940. Come anti-Media ha riferito il mese scorso:

“Il sostegno russo alla Siria risale al 1946, quando la Russia ha contribuito a consolidare l’indipendenza della Siria. I due paesi sono giunti a un accordo diplomatico e militare, sotto forma di un patto di non aggressione, firmato il 20 aprile 1950. In questo patto la Russia ha promesso sostegno alla Siria appena costituita, contribuendo a sviluppare il suo esercito e a fornire supporto tattico. In sostanza,  Russia e Siria hanno collaborato per decenni sia militarmente che economicamente, e la Russia ha mantenuto una base navale sul Mediterraneo siriano”.

Ma anche gli Stati Uniti hanno dei piani sulla regione. Nel 2013, il presidente Obama, insieme a John Kerry, ha tentato di ottenere il consenso della pubblica opinione per un cambio di regime in Siria, toccando le corde dell’amore per la diffusione della democrazia e della libertà così vive nel cuore del pubblico americano. Gli americani hanno risposto con il massiccio movimento di protesta #NoWarWithSyria, cosicché questo tentativo di rovesciamento del governo siriano non è riuscito. Tuttavia, la spinta per un cambio di regime non si è fermata per il semplice fatto che il governo ha smesso di parlarne. La CIA ha continuato ad armare praticamente qualsiasi gruppo disposto a combattere contro il governo di Assad. Il Pentagono ha anche cercato (ma non ci è riuscito) di metter su un esercito alleato dell’America di cosiddetti ribelli siriani moderati, al costo di $ 500 milioni – che, sulla carta, dovrebbe opporsi all’ISIS, ma in realtà lavora per cacciare Assad.

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comuneinfo

L’apartheid globale che vuole il T-tip

Bruno Amoroso

12108165 617756958362291 4066386499638978830 nIl T-tip – Partenariato Transtlantico tra Usa e Ue per un mercato comune sul commercio e gli investimenti – è ormai in fase conclusiva e sarà sottoposto nei prosimi mesi alla approvazione dei 28 paesi membri dell’Ue. I contenuti di questo accordo non sono noti all’opinione pubblica perchè, secondo la tradizione “democratica” dell’Occidente, le cose serie si discutono in famiglia e solo dopo aver deciso sono sottoposte all’attenzione dei cittadini che, ovviamente, devono approvarle se non vogliono passare per guastafeste e irriducibili ignoranti sul modo come funziona oggi l’economia mondiale. Arriva dopo circa sette anni di elaborazione e trattative per recuperare il filo spezzato nel 1998 dall’opposzione popolare al progetto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il T-tip è la terza gamba del tavolo della Globalizzazione, cioè del nuovo potere affermatosi dagli anni Settanta, insieme a quella della finanza e dell’industria militare.

Il progetto viene presentato come una grande iniziativa di liberalizzazione e apertura dei mercati che introduce nella vasta area transatlantica regole comuni, uguali standard e controllo di qualità, e forme più omogenee di prezzi di mercato.

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marxxxi

Che fine ha fatto il Mediterraneo?*

di Spartaco A. Puttini

schrank immigrationIl Mediterraneo, come ricorda lo stesso nome, è sempre stato un “mare tra le terre”, un luogo di intersezione e incontro tra culture, popoli, storie diversi. Nel corso dei secoli l’incontro è stato, ovviamente, spesso scontro, ma anche in questi frangenti il ruolo cardinale di ponte tra popoli e culture, tipico del Mediterraneo, non è mai venuto meno. Centro privilegiato di scambi di merci e di idee fin dalle epoche più remote della storia umana, è stato fino ad oggi, attraverso varie peripezie, un luogo su cui si affacciavano diversità fortemente imparentate tra loro a causa della geografia, del clima, dei suoni e dei colori del suo “sistema”, della sua storia. Questo suo particolare carattere unitario e plurale permette di parlare dello spazio geopolitico mediterraneo come di un continente liquido.

Il punto più alto di integrazione del bacino mediterraneo fu trovato con l’unità, anche politica, dovuta alle conquiste di Roma antica. Ma la rottura di quella unità non è ascrivibile, contrariamente a quanto a prima vista si sarebbe indotti a pensare sulla scia di martellanti vulgate, all’espansione islamica del VII secolo d.c., con buona pace di Pirenne[1].

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contropiano2

Il genocidio indonesiano del 1965

Jorge Cadima*

cribbfordMezzo secolo fa si consumava una delle più grandi stragi della Storia.

A partire dall'ottobre del 1965, i militari indonesiani, con il sostegno attivo e diretto dell'imperialismo nordamericano, massacrarono circa un milione di comunisti, di sindacalisti e membri dei forti movimenti di massa indonesiani. Il genocidio indonesiano è uno degli episodi più sanguinosi della grande guerra di classe mondiale con cui l'imperialismo ha cercato di contenere e sconfiggere l'ascesa del potente movimento di liberazione nazionale e sociale della seconda metà del XX secolo, sull'onda della sconfitta del nazi-fascismo e dell'immenso prestigio dell'Unione Sovietica e del movimento comunista internazionale. Il genocidio indonesiano è un chiaro esempio di come la barbarie imperialista dei nostri giorni non sia un fenomeno nuovo, ma una caratteristica intrinseca e permanente del dominio imperialista. Come affermato nel 1967 dall'ex presidente Usa Richard Nixon,"con il suo patrimonio di risorse naturali, il più ricco della regione, l'Indonesia è il tesoro più grande del Sud-est asiatico" [1]. Per impossessarsi di questo "tesoro", l'imperialismo affogò nel sangue il popolo indonesiano. Dieci anni dopo, i militari indonesiani "filo-occidentali" scatenarono un nuovo genocidio contro il popolo di Timor Est, ancora una volta in stretto coordinamento con l'imperialismo statunitense.

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contropiano2

C'è la terza guerra mondiale. Non fatevi domande, obbedite...

Dante Barontini

ba3e8675d6891f2d9bfed5b58da04929 LSabato sera, da Fabio Fazio, un attore intelligente e sincero  – Pierfrancesco Favino – si è posto, e rivolto a tutti quelli “al di qua del tavolo, noi che siamo guardati”, la semplice domanda: “che cosa io ho venduto di me, per arrivare dove sono?”. È la domanda che si fa, a scopo professionale, prima di affrontare l'interpretazione di un personaggio molto lontano da lui – un politico corrotto, in questo caso – per trovare in se stesso la misura necessaria a calarsi in quei panni.

È una domanda che è inutile rivolgere ai giornalisti italiani, specie quelli dei grandi media e dai grandi stipendi (Gramellini, in tv, era non per caso imbarazzatissimo), anche se le risposte sarebbero certamente rivelatrici. Ben più di un'inchiesta che peraltro non fanno.

Scusate il lungo giro di parole, ma leggendo l'editoriale di Franco Venturini, sul Corriere della sera di oggi, quella domanda ci è riesplosa nella testa. Titolo promettente (Noi e la paura di una guerra mondiale), incipit farsesco, che rende pressoché inutile la lettura del lungo e incompleto elenco dei “pezzettini” di guerra che vanno componendosi in un mosaico complesso, articolato, a molte facce:

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peacelink

Siamo ancora in tempo per dire no ad una nuova guerra in Iraq

Patrick Boylan*

Pacifisti del mondo svegliatevi: non avete altro da perdere che la vostra sfiducia!

Iraq US Army h partbIl Pentagono è furioso. Grazie ad una “gola profonda”, il Corriere della Sera ha potuto rivelare in prima pagina, ieri mattina il 6 ottobre, che il Ministro della Difesa Roberta Pinotti e il suo omologo statunitense Ashton Carter avevano già deciso l'uso, per missioni di bombardamento, dei caccia italiani attualmente in Iraq per i soli compiti di ricognizione. Decisione presa, dunque, ancor prima dell'arrivo del sig. Carter in Italia ieri pomeriggio per la sua visita ufficiale di due giorni, e ancor prima che il Parlamento italiano potesse discutere l'intera questione, come imporrebbe la Costituzione.

La reazione alla notizia di Corsera e la successiva controreazione del governo sono state immediate: grida di scandalo da più parti seguite dal dietrofront del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dei suoi ministri. “Si tratta solo di un'ipotesi”, hanno rassicurato in coro sia Pinotti che il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni; “Sottoporremo senz'altro la questione al Parlamento prima di decidere definitivamente qualsiasi cosa.”

Quindi Carter lascerà la Capitale oggi sicuramente a mani vuote. Grazie all'anonimo “Chelsea (Bradley) Manning” italiano che svelò la tresca, il governo Renzi fallisce il tentativo di replicare il colpo di mano che il governo di Mario Monti realizzò invece nel luglio del 2012. Infatti, Monti e l'allora Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola riuscirono ad autorizzare alla chetichella – e sempre in barba alla Costituzione italiana – l'impiego bellico dei caccia tricolore che erano stati inviati in Afghanistan in precedenza per i soli compiti di ricognizione. E i parlamentari, con poche eccezioni, scelsero di sonnecchiare.