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«Weder Empirist noch Dogmatiker». Lukács interprete di Lenin

di Matteo Gargani

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2017 licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

9788868022075 0 0 0 75 1Introduzione

Lo spazio di un contributo non potrà esaurire un oggetto ampio, complesso e ramificato come l’interpretazione lukacsiana di Lenin1. Dal momento in cui aderisce al KMP2 nel dicembre 1918, infatti, sono molteplici gli aspetti del pensiero leniniano di cui Lukàcs si appropria e fa operare — adattandoli di volta in volta alle proprie esigenze — in contesti teorici e storici molto differenti. Il problema dell’eredità culturale, l’atteggiamento verso le avanguardie artistiche, la democratizzazione, le forme dell’organizzazione politica, la transizione al socialismo, sono solamente i principali ambiti su cui Lukàcs si trova nel corso dei decenni ad attingere proficuamente dal laboratorio leniniano.

Nonostante i molti anni di esilio in Occidente e il costante confronto con le posizioni della socialdemocrazia in particolare di area tedesca, il pensiero leniniano è commisto alla tradizione teorico-politica del populismo russo3. Il «punto di vista di classe»4, che molto deve proprio alla polemica anti-populista di Lenin, ottiene in Storia e coscienza di classe un complesso riadattamento teorico nel «Klassenstandpunkt des Proletariats»5. L’intreccio populismo russo-Lenin-Lukàcs dovrebbe quindi costituire un ulteriore elemento da vagliare criticamente per restituire un’immagine veramente esaustiva dell’interpretazione lukacsiana di Lenin.

Oltre alla difficoltà scaturente dai terreni diversi su cui Lukàcs chiama in causa la riflessione leniniana, si pone per l’interprete il problema del profondo mutamento di contesti entro cui, nell’arco di oltre un cinquantennio, le considerazioni lukacsiane hanno luogo. Le prese di posizione su Lenin vanno dal clima del «settarismo messianico»6 dei primi anni Venti, attraversano gli anni dei fascismi prima e della guerra fredda poi, per riemergere infine nell’importante scritto Demokratisierung heute und morgen, estremo tentativo di risposta al problema della «democratizzazione» ad Est e ad Ovest7. Democratizzazione che gli eventi cèchi del 1968 hanno reso tema sì più urgente, ma anche più facilmente manipolabile e potenzialmente aperto a strumentalizzazioni.

Il perimetro del nostro contributo sarà dunque molto limitato. Dopo aver indicato (i) le essenziali tappe biografiche del rapporto Lukàcs-Lenin, ci soffermeremo (ii) sul saggio del 1924 Lenin. Studie iiber den Zusammenhang seiner Gedanken ed infine (iii) sulle dense pagine che Lukacs redige nel gennaio ’67, in occasione della riedizione del saggio del ’24.

 

1. Mein Weg zu Lenin

Mein Weg zu Marx è il titolo apposto da Lukacs alle pagine autobiografiche redatte su invito della “Internationale Literatur” per la «Sondernummei» su Marx del 1933. Sulla falsariga di quelle potremmo provare ad immaginare come Lukacs avrebbe potuto scrivere un analogo intervento su Lenin. Se con il pensiero di Marx Lukacs si confronta già negli anni della propria fase “premarxista”, un Marx filtrato soprattutto attraverso le lenti simmeliane8, un sistematico studio di Lenin avviene solo dopo l’adesione al comunismo e il di poco conseguente decennio di esilio viennese (1919-1929): «Soltanto a Vienna si presentò per me la possibilità di conoscere realmente Lenin, di interpretare con crescente chiarezza il significato della sua fisionomia spirituale-pratico-morale»9.

L’approdo alla militanza politica è tuttavia per Lukacs solo in parte l’esito di una maturazione guadagnata attraverso il lento studio dei classici del marxismo10. Nei tardi anni Sessanta Lukacs significativamente afferma: «anche motivi etici in modo molto essenziale mi condussero alla decisione di aderire attivamente al movimento comunista»11. Tale originaria curvatura «etica» del marxismo di Lukacs si riflette su alcuni tratti chiave della sua interpretazione di Lenin, quelli cioè più direttamente volti ad enfatizzarne la fisionomia umana12.

Lukàcs e Lenin hanno un solo contatto personale in occasione del III congresso del Comintern13, ma esso non si spinge oltre i convenevoli14. La relazione Lukàcs-Lenin è quindi sui generis, non la mera ricezione di una dottrina. Lenin è per Lukàcs soprattutto interlocutore di un dialogo tacito, uomo capace di indicare una traccia metodologica mediante cui affrontare concreti problemi politici, molto meno una auctoritas dottrinaria in senso tradizionale15. Nel magma della — per la più larga parte occasionale — produzione leniniana, Lukàcs ritiene di poter individuare qualcosa che non corrisponde, benché nello scritto del 1924 egli indugi su questo punto, al tratto caratteriale dell’uomo «geniale». Il valore che Lukàcs coglie in Lenin risiede soprattutto in una specifica attitudine — non tratto meramente soggettivistico, ma esito di uno specifico metodo politico — verso la realtà, risultante dai fondamenti teorici attraverso cui Lenin orienta la decisione politica.

L’appropriazione del «leninismo» è per Lukàcs un processo lento, che carsicamente percorre l’intero decennio in cui è attivo nel comitato centrale del KMP (1918-1929). Decennio che termina con la débàcle delle Tesi di Blum e il conseguente allontanamento da ogni ruolo di dirigenza politica nel partito ungherese16. Il rapporto Lukàcs-Lenin è dunque soprattutto un rapporto vivo. È proprio in tal senso che, trovandosi a caratterizzare le tappe salienti della propria formazione successiva all’adesione al KMP e quindi nel decennio dell’esilio viennese, Lukàcs laconicamente appunta: «atti di Lenin»17. Sono dunque le concrete prese di posizioni leniniane su «situazioni concrete» (comunismo di guerra, NEP, rapporto tra rivoluzione democratica e rivoluzione borghese) ciò da cui occorre ricavare un’implicita linea metodologica. In tal senso, è il Lenin che invita a «cavarsela da soli» in vista della NEP quello che Lukàcs cita con favore, ancora nelle postume opere ontologiche18.

Nel corso degli anni Venti, Lukàcs eleva il metodo politico leniniano a bussola capace di orientare le decisioni nella condizione di illegalità cui è costretto ad operare il KMP. Dalle taglienti battute che Lenin dedica all’articolo Die Frage des Parlamentarismus apparso su “Kommunismus” nel 1920 — «L’articolo di G. L. [Gyorgy Lukàcs, M.G.] è molto di sinistra e molto cattivo. Il marxismo in esso è puramente verbale; la distinzione tra la tattica ‘difensiva’ e quella ‘offensiva’ è artificiosa; manca un’analisi concreta di situazioni storiche ben determinate»19 — Lukacs ricava un fondamentale monito non semplicemente ad un maggiore realismo, bensì una vera lezione di metodo politico. Di lì in avanti, infatti, la critica leniniana del 1920 verrà da Lukacs elevata a stella polare verso cui indirizzare il proprio modo di concepire limiti e forme dell’agire politico.

 

2. Il Lenin del 1924. Metodo politico e «teoria del compromesso»

Su almeno due punti l’interpretazione lukacsiana di Lenin mantiene una continuità, riscontrabile dal saggio del 1924 sino alle ultime interviste sul tema rilasciate nei tardi anni Sessanta. Il primo punto, a nostro parere più caduco, è l’enfatizzazione dell’«etica» di Lenin, il suo realismo antiascetico20. Il secondo, ancora valido, è l’immagine di Lenin come «pensatore della Praxis»21, teorico dell’agire politico.

Nel ’24 Lukacs rifiuta nettamente l’immagine di Lenin come brillante Realpolitiker o statista del bolscevismo. Lenin è invece l’uomo — è qui evocata l’impegnativa formula della «genialità» — capace di individuare la tendenza fondamentale del proprio tempo, che nel suo caso è l’«attualità delle rivoluzione», senza tuttavia irrigidirla in una legge necessaria:

«Perché è proprio questo che distingue nella scienza o nella politica il genio dal semplice routinier. Quest’ultimo è in grado di comprendere e distinguere solo i momenti immediatamente dati e separati degli eventi sociali. Ma quando vuole pervenire a conclusioni di carattere generale, in realtà non fa altro che estendere in modo astratto particolari aspetti di un fenomeno temporalmente e localmente determinato, assunti come “leggi generali”, e utilizzarli come tali. Al contrario il genio, che ha individuato la vera natura e la tendenza fondamentale [Haupttendenz] realmente viva di una data epoca, la vede agire al di là di tutti gli svariati avvenimenti del suo tempo, e si sforza di definire le questioni decisive dell’intera epoca al di là dei problemi contingenti»22.

L’«attualità della rivoluzione» contraddistingue per il Lukàcs del ’24 la specifica «totalità storico-sociale» dell’epoca presente. La configurazione di quest’ultima consente così di giudicare il valore di ogni singola azione non come rivoluzionaria o controrivoluzionaria in sé, bensì sempre e soltanto in riferimento alla «tendenza fondamentale» dell’epoca: «L’attualità della rivoluzione è la nota fondamentale [Grundton] di un’intera epoca. Solo il nesso delle singole azioni con questo punto centrale, che può essere individuato soltanto mediante una precisa analisi della totalità storico-sociale, rende le singole azioni rivoluzionarie o controrivoluzionarie»23.

L’essenziale riferimento alla «totalità storico-sociale», punto di orientamento per l’agire nella congiuntura, è l’autentica base della — solo apparente — duttilità politica leniniana, che nulla condivide con l’indole di manovra del politico astuto o con mere forme di «tatticismo»24. Il riferimento alla «totalità storico-sociale», ossia alla «tendenza fondamentale» dell’epoca, fa sì che i «fatti» non si presentino mai per Lenin quali mere esibizioni a livello fenomenico di una legalità astratta, ma sempre come quell’unico terreno d’immanenza da cui imparare e su cui indirizzare l’azione politica. Allo stesso tempo, tuttavia, l’essenziale riferimento alla «totalità storico-sociale» interviene per Lukàcs a depotenziare — in maniera apparentemente contraddittoria — l’appena evocato univoco valore dei «fatti» quale terreno d’analisi:

«se è sacro dovere di ogni vero marxista guardare arditamente e senza illusione ai fatti, v’è pur sempre qualcosa per i veri marxisti che è più reale quindi più importante dei singoli fatti o tendenze: la realtà del processo complessivo, l’intero [das Ganze] dello sviluppo sociale»25.

Non un generico «realismo» leniniano è ciò che Lukàcs nel ’24 intende portare alla luce. Se è indubbio che l’immagine di Lenin difesa da Lukàcs nel ’24 si collochi esattamente agli antipodi del rigido dottrinarismo, costituirebbe un’indebita banalizzazione trascurare le precise coordinate di metodo politico ad essa soggiacenti. La necessità di porre al centro l’universalità del «processo complessivo», senza farne alcunché di trascendente, bensì un’universalità dinamica nella sua interna configurazione e dunque costantemente da aggiornare sulla base del mutare dei «fatti», emerge qui quale nucleo del metodo politico di Lenin.

 

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