Il referendum catalano svela le ambiguità di Podemos e Colau
di Marco Santopadre
Dopo aver incubato per alcuni anni, nei giorni scorsi la maggioranza indipendentista del Parlament – i liberal-conservatori del PDeCat, i socialdemocratici di Erc e la sinistra radicale della Cup – ha dato avvio ad un processo di ‘disconnessione’ politica ed istituzionale da Madrid e dalla sua legalità attraverso l’approvazione di due importanti leggi.
La prima convoca il Referendum per il 1 Ottobre, istituisce una commissione elettorale catalana, formula il quesito (che sarà in tre lingue: catalano, castigliano e aranese) e chiarisce i criteri di selezione degli aventi diritto al voto. Il secondo provvedimento stabilisce invece i caratteri e le forme della fase di transizione che seguirebbe ad una eventuale affermazione dei Sì: la proclamazione di una Repubblica Catalana e poi l’entrata in vigore di una Costituzione provvisoria improntata ad una sostanziale continuità con quanto stabilito dall’attuale Statuto di Autonomia, prima che un’Assemblea Costituente ne approvi una versione definitiva.
Ovviamente i partiti nazionalisti spagnoli – popolari, socialisti e Ciudadanos – e gli apparati dello Stato non hanno alcuna intenzione di permettere la celebrazione del voto popolare, non riconoscono ai catalani il diritto all’autodeterminazione.
La Corte Costituzionale di Madrid ha immediatamente sospeso le deliberazioni del Parlament dichiarandole incostituzionali, mentre la Procura di Madrid ha denunciato il presidente del Govern e tutti i suoi ministri, nonché la Presidente dell’Assemblea Catalana. La magistratura e il governo hanno anche direttamente minacciato tutti i sindaci catalani e gli alti funzionari della Generalitat avvertendoli che in caso di ‘disobbedienza’ le conseguenze penali ed economiche sarebbero consistenti. Il Ministero degli Interni ha ordinato alla Guardia Civil – la polizia militarizzata – e ai Mossos d’Esquadra di impedire la preparazione e la realizzazione della consultazione popolare. Mentre in molte città catalane centinaia di militari armati sono stati dispiegati nelle strade, agenti della ‘Benemerita’ hanno realizzato due blitz alla ricerca del materiale elettorale ‘fuorilegge’. La prima irruzione è avvenuta in una stamperia nella località di Costantì, vicino a Tarragona, nella quale però gli agenti non hanno trovato nulla di incriminante. Il secondo intervento invece ieri nella sede di un settimanale, El Vallenc, lungamente perquisita e resa inaccessibile; il direttore Francesc Fábregas è stato denunciato.
L’intervento della Guardia Civil ha provocato una mobilitazione popolare che ha portato in piazza negli ultimi giorni alcune migliaia di manifestanti indipendentisti che oltre a denunciare la repressione e la violazione della libertà di stampa hanno anche messo in ridicolo la scarsa efficacia dei blitz della ‘Benemerita’. Da vedere cosa faranno i Mossos d’Esquadra, se obbediranno al Conseller per la sicurezza catalano oppure se eseguiranno agli ordini del Ministro dell’Interno spagnolo. Finora gli agenti della polizia autonoma, guidati dall’indipendentista Pere Soler, hanno tenuto un profilo basso ma nei prossimi giorni dovranno schierarsi.
Mentre sui muri delle città spagnole si moltiplicano le ‘pintadas’ contro i catalani, correlate di fasci, svastiche e quant’altro, il premier Mariano Rajoy non ha scartato il ricorso all’articolo 155 della Costituzione Spagnola, che concederebbe al governo centrale la facoltà di sospendere lo Statuto di Autonomia della Catalunya e di fatto porterebbe al commissariamento della Generalitat.
E’ evidente che il gioco si stia facendo improvvisamente duro. L’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale sta gradualmente sgomberando il campo da tatticismi e ambiguità che hanno fin qui segnato lo schieramento di alcune forze politiche e sociali sia di ambito locale che statale. Se quasi tutte le forze della sinistra di classe sono schierate a favore della celebrazione del referendum e del voto a favore dell’indipendenza, lo stesso non si può dire per la grande borghesia catalana, che invece osteggia il cosiddetto “Procès”. Alcuni settori dello stesso partito del President Carles Puigdemont, quel PDeCat che rappresenta la media e parte della piccola borghesia catalana, sembrano soffrire il muro contro muro e potrebbero rinunciare ad andare fino in fondo se i rischi dell’operazione dovessero farsi eccessivi.
Ma l’avvicinarsi del Referendum sta mettendo in evidenza soprattutto le ambiguità e gli alibi su cui si fonda la posizione di Podemos e provocando non pochi problemi ai ‘morados’ che già su altri temi – l’Unione Europea, la Nato, la politica economica – hanno da tempo abbandonato l’approccio radicale originario. La posizione di Pablo Iglesias e dei suoi, lodevolmente e diversamente da quella difesa dal resto della classe politica spagnola, è stata sempre quella del sostegno al diritto di autodecisione dei catalani e delle altre nazionalità. Podemos si oppone quindi alla repressione e alla conculcazione dei diritti del popolo catalano. Una posizione di principio ‘federalista’ e ‘democratica’ che ha svolto per qualche anno la propria funzione all’interno del panorama politico spagnolo. Ma ora che dal dibattito tra posizioni di principio si è passati alla necessità di schierarsi su atti e comportamenti politici concreti, la linea di Iglesias non tiene più.
Podemos, così come del resto “Catalunya en Comú”, il movimento nato attorno alla sindaca di Barcellona Ada Colau, insistono sul fatto che il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano, che pure affermano di riconoscere, debba essere esercitato esclusivamente con il consenso dello Stato e della maggioranza del Parlamento Spagnolo, e nel rispetto della Costituzione e della legalità. Il problema – insormontabile – è che la Costituzione varata nel corso del processo di autoriforma del franchismo impedisce un referendum sull’autodeterminazione dichiarando lo Stato indivisibile ed affidando alle forze armate il compito di proteggerne l’unità. Ciò implica che un referendum per l’autodeterminazione dei catalani, o dei baschi, che goda del consenso dello Stato Spagnolo – così come avvenuto in Scozia, per intenderci – potrebbe svolgersi solo dopo un’eventuale riforma costituzionale. Ma la Spagna non è la Gran Bretagna, e neanche il Canada, che ha tollerato che gli abitanti del Quebec votassero sulla loro indipendenza più di una volta.
Considerando che la quasi totalità della classe politica spagnola è ferocemente nazionalista e quindi indisponibile a venire incontro alle richieste dei movimenti indipendentisti, non è chiaro chi, come e quando dovrebbe trasformare l’architettura costituzionale spagnola così da consentire ai catalani di poter decidere del proprio futuro.
Di fronte alla realtà dei fatti la linea del partito di Podemos si rivela un artificio retorico privo di risvolti pratici e che di fatto schiera i ‘viola’ dalla parte dello Stato contro il movimento popolare catalano. D’altronde Podemos, come del resto Izquierda Unida con la quale è alleata, non ha mai nascosto di essere contraria all’indipendenza della Catalogna e dei Paesi Baschi, e parla di una fantasmagorica ‘Spagna federale’ caldeggiata del resto in passato, almeno a parole, dalla sinistra spagnola tradizionale.
Allo stesso modo la sindaca di Barcellona, Ada Colau, se da una parte si appella a Madrid affinché consenta lo svolgimento del referendum, dall’altra ha affermato nei giorni scorsi che avrebbe consentito la mobilitazione della macchina municipale per le operazioni di voto soltanto se la consultazione avesse avuto l’imprimatur dello Stato (il che, come abbiamo visto, è impossibile) e a condizione che non comporti rischi di ritorsioni spagnole sui funzionari e i dipendenti comunali. Poi, l’altro ieri, dopo l’annullamento delle leggi votate dal Parlament da parte del Tribunale Costituzionale di Madrid, Ada Colau ha definitivamente chiuso la partita, negando la messa a disposizione dei seggi. La stessa scelta dei sindaci socialisti di alcune città della cintura ex industriale di Barcellona, mentre invece circa 650 primi cittadini e cittadine di altrettanti comuni catalani (su un totale di 947 totali) hanno aderito alla giornata elettorale sfidando il divieto di Madrid.
E’ da questo punto di vista molto significativa l’insistenza di Podemos e di Ada Colau sul “rispetto della legalità” da parte degli indipendentisti proprio quando la chiusura, l’intransigenza totale dimostrata dall’intera classe politica spagnola obbliga i promotori del Procès ad avviare una rottura con l’architettura costituzionale e istituzionale dello Stato e a creare un’altra legalità diversa e separata che accompagni la formazione di una Repubblica Catalana indipendente. D’altronde, nella storia dei movimenti di liberazione nazionale e dello stesso movimento operaio, tutte le maggiori conquiste, i più significativi progressi sono stati ottenuti grazie all’affermazione di principi di giustizia ma in rottura con la legalità vigente, cioè della cristallizzazione dei rapporti di forza nazionali e tra le classi in un dato territorio e in un dato momento storico.
Se la sinistra si chiude all’interno del recinto della legalità, come nel caso di Podemos o di Ada Colau, non solo dimostra tutto il suo conformismo ma si condanna all’inutilità e all’inefficacia, dimostrando tra l’altro quanto le proprie posizioni di principio garantiste sul piano nazionale siano poco più che alibi.
Ovviamente la linea di Iglesias e di Ada Colau sta provocando effetti tellurici sulla base delle loro rispettive formazioni politiche, provocando forti tensioni con la sezione catalana di Podemos. Podem ha nei mesi scorsi già rifiutato di aderire al nuovo partito ‘Catalunya en comù’ opponendosi all’indicazione della direzione statale del partito, ed ora la formazione della sinistra catalana sta addirittura pensando di abbandonare il gruppo ‘Catalunya Sì Que es Pot’ formato al Parlament di Barcellona insieme ai federalisti di centrosinistra di EUiA e ICV.
L’11 settembre, nel giorno della Diada, la festa nazionale catalana, Podemos ha indetto una propria manifestazione separata e oltretutto fuori da Barcellona, a Santa Coloma de Gramenet, perché non condivide i contenuti di quella convocata dall’Assemblea Nazionale Catalana, ovviamente schierata a favore dell’indipendenza. Ma Domenech e Iglesias non potranno contare sulla partecipazione dei dirigenti e dei militanti di Podem che terranno un’altra iniziativa per poi confluire nel corteo generale. Mentre Podemos insiste sul fatto che accetterà il referendum solo se esso avrà il consenso delle istituzioni spagnole quelli di Podem invitano apertamente i propri aderenti e simpatizzanti a mobilitarsi per l’affermazione del Sì all’indipendenza, andando a votare il 1 ottobre per una ‘repubblica catalana più giusta e libera dalla corruzione’. Non mancano intanto le tensioni tra Podemos e la sua sezione basca per niente convinta della posizione ‘equidistante’ assunta dalla formazione statale.
Ma anche la creatura politica guidata da Ada Colau, Catalunya en Comú, è scossa dal dibattito interno e da pronunciamenti opposti, tant’è che ieri il coordinamento nazionale del partito ha deciso di demandare ad un referendum tra gli iscritti l’atteggiamento da adottare rispetto al referendum. Gli aderenti, circa 10 mila, dovranno decidere de il partito dovrà o meno dare indicazione ai propri elettori di partecipare o meno alla consultazione del 1 ottobre. Il verdetto si saprà il 15 settembre, ma comunque vada la formazione non sosterrà la campagna per il Si.
Comments
Faccio una semplice domanda: negli anni del monopolio democristiano reazionario del potere, la sinistra e le forze lavoratrici delle cosiddette regioni rosse non hanno mai messo in discussione lo stato nazionale e la lotta di classe a livello nazionale. La sinistra catalana vuole combattere il neofranchismo lavandosene le mani? Ovvero, separandosi dalla Spagna e lasciandola nella merda? Non ti sembra che si tratti proprio di particolarismo, di interessi egoistici molto meno nobili di ciò che non si voglia ammettere? Non mi sembra che la secessione catalana si possa equiparare alla secessione del Donbass dall'Ucraina. Non facciamo insostenibili forzature. Credo sia necessario rispondere in modo più serio a questa domanda: come mai la regione più ricca di Spagna, già dotata di statuto autonomistico, in cui valgono le stesse regole democratico-borghesi del resto del paese, vuole separarsi? La Barcellona progressista così elogiata è una"capitale europea ed europeista, la capitale dei rampolli dei ceti medi pseudo intellettuali piccolo borghesi dei progetti Erasmus. Così aperta, così tollerante, così multiculturale, così europeista e così ricca da essere anche tanto amata ed esemplare per la borghesia europea cosmopolita e padronale e per i ceti medi sinistri-imperiali dirittumanisti, anche se non lo è per i gruppuscoli piccolo borghesi neofascisti.
A proposito, qual è la posizione degli indipendentisti rispetto all'U.E.?
Ha ragione Mirco, non sono bene informato. Ma non è strano che sui mezzi di comunicazione il problema non è stato posto. Non è che l'appartenenza della Catalogna indipendente all'U.E. non è messa in discussione?
Altro punto su cui Galati sbaglia: la leganord non parla più di secessione, perché è formalmente e sostanzialmente alleata con CasaPound nei territori e punta al governo nazionale, così come si trova in imbarazzo a sostenere un'indipendenza catalana guidata da forze di sinistra radicale, mentre i falangisti gemelli di CasaPound manifestano contro il referendum e a favore di Rajoy. Questi sono dati di fatto. Gli antifascisti catalani questo lo sanno, come Rufiàn dice chiaramente. Se i sovranisti nostrani si connettessero col dibattito nel movimento catalano, troverebbero quei temi che così disperatamente ricercano e li troverebbero a sostegno del referendum e dell'indipendenza: o pensate che le politiche migratorie, le politiche sociali, le politiche culturali non facciano parte della "questione di classe"? Avete conoscenza degli equilibri delle forze interne al movimento? Se date giudizi sprezzanti senza aver perso almeno un po di tempo ad approfondire il tema, fate la figura di quelli che si tengono sulle generali perché non sanno come stanno le cose: non c'è nessun "antifascismo di maniera", c'è un antifascismo militante che punta sull'indipendenza perché sa che solo così il PP catalano e le sue metastasi franchiste e falangiste potranno venire estromesse dalla scena politica.
In queste ore la fiscalia della generalitat sta trasferendo le forze di polizia sotto il suo comando, sottraendolo a quello di Madrid, cioè si stanno facendo tutti i passi per consentire che il referendum del 1Ottobre si svolga, garantendone la validità, che è esattamente il contrario di quello che vuole Rajoy. È chiaro che a Rajoy sta sulle palle che la regione più ricca della spagna si separi: però, la stragrande maggioranza delle forze anticapitaliste, comuniste, anarchiche catalane sono per il referendum e per il SÌ. Non importa se, in generale, la frantumazione dello stato nazione influisce in un modo o nell'altro sulle sorti del capitale globale; quello che conta è che, in questo momento, in questo contesto, con le forze che sono in campo e per come si posizionano, ai comunisti conviene disarticolare l'alleanza tra borghesie centrali e periferiche, anche e soprattutto attraverso un'indipendenza come quella catalana nello scenario iberico così come è oggi. I compagni catalani questo l'hanno capito. Che non lo capiscano Galati o Azzarà non è così fondamentale
Il fatto che fascisti italiani siano contrari alla secessione del nord è un motivo per esserne a favore? Certo, con una bizzarria dialettica, che in realtà è pura logica formale, matematica, noi siamo antifascisti, ergo ci posizioniamo su posizioni opposte ai fascisti. Se i fascisti spagnoli sono contrari alla secessione, la secessione è giusta, perchè noi siamo contrari ai fascisti. E' un vecchio artificio retorico, ma nella realtà le cose non stanno in questi termini.
Ripeto quello che ho già scritto: questo artificio, questa logica, "l'antifascistismo", l'antifascismo di maniera, la collocazione geometrica, invece che sociale, della sinistra (del quale artificio è una sottocategoria anche il ricatto di schieramento utilizzato in Italia dal PDS, DS, PD, agitando lo spauracchio delle destre e l'antiberlusconismo idiota) è l'abbaglio che acceca molti compagni e li rende subalterni alle destre, dichiarate e non.
Altro che rozzobrunismo (su Azzarà Mirco si sbaglia di grosso. E' uno che polemizza continuamente proprio col rozzobrunismo. Però Azzarà pone una questione seria: la frantumazione dello stato nazionale, in questa fase storica, favorisce o sfavorisce il potere capitalistico neoliberista? Il crescere dei particolarismi agevola o contrasta il neoliberismo? la sua risposta è che favorisce e agevola il potere capitalistico).
Ma scusate. Questa Catalogna oppressa e sfruttata, guarda caso, invece di essere una regione povera e afflitta, dicriminata e saccheggiata, è la regione più ricca di Spagna.
E poi, che tipo di democrazia, diversa da quella sostanzialmente parlamentar-borghese spagnola, sostengono gli autonomisti-secessionisti? Una democrazia sovietica? Oppure i compagni autonomisti catalani pensano che una Catalogna autonoma sia il terreno favorevole al mutamento del tipo di stato in senso socialista?
Di tutto questo non sento parlare. Sento la solita retorica sul franchismo, il falangismo, la tradizione di sinistra catalana, l'autonomismo antifranchista (in una Spagna borghese-parlamentare, "democratica", esattamente come lo sono l'Italia, la Francia, la Germania..., però). E poi sento i benestanti catalani che vogliono ridurre e trattenere il gettito fiscale contro "Madrid ladrona" (nella sostanza è così, anche se ammantano il discorso di belle frasi democratiche e antifranchiste). E una parte della sinistra gli va pure dietro. Forse perchè il particolarismo della borghesia catalana si estende anche a una parte dei lavoratori catalani. Questo non lo so, ma potrebbe essere un'ipotesi fondata. Sappiamo tutti cosa sono le aristocrazie operaie o i ceti medi.
Sicuro che in piazza ci siamo noi? Noi chi? Ci sono lavoratori oppressi e sfruttati all'interno dello stato centralizzato post franchista e che lottano con questa coscienza di classe? Sono i lavoratori catalani che rivendicano l'autonomia sulla base di rivendicazioni democratiche di classe? Non siamo nel 1936 o nel 1945, come dice Stefano Azzarà.
Ciò che accade in Italia e nel mondo, con lo sfruttamento dell'antifascismo di maniera per portare avanti politiche imperialiste e reazionarie da parte di pseudo sinistre, postmoderne e non, e generici progressisti democratici, mi sembra che accada in Spagna: con la scusa dell'antifranchismo e della tradizione di sinistra catalana, che intrecciava l'autonomismo al carattere di classe, si esprimono interessi e desideri borghesi o piccolo borghesi (come con la Lega nostrana) sostanzialmente reazionari.
In questo conflitto è più reazionario il PP o i ricchi autonomisti?
Io ancora non conosco le rivendicazioni sociali di lavoratori catalani nel movimento autonomista. Stare alla coda di una borghesia aperta e "democratica" nei modi e reazionaria nelle rivendicazioni vere, quelle che contano, al di là della fuffa della fraseologia, non è un modo per aprire contraddizioni e incunearsi nella lotta tra due avversari per spingere i rapporti complessivi in avanti. E' un modo per servire gli interessi degli avversari di classe.
http://www.ccma.cat/tv3/directe/tv3/#
cripto-secessionista che si sta sviluppando in queste aree del paese dovrebbe spingere a riflettere, come marxisti, con rigore dialettico e materialista sui problemi della forma-Stato nazionale e della sua crisi (si pensi, oltre che alla Catalogna, alla Scozia e al Belgio), senza concessioni all’avventurismo e senza indulgenze verso l’infantilismo (i quali non sono altro che due varianti antitetico-speculari del medesimo opportunismo codista).
La corretta risposta di classe al referendum del 1 ° ottobre, indicata dalle forze comuniste, non può essere pertanto il sostegno a siffatto processo, ma l’annullamento del voto quale espressione politica del rifiuto di un progetto della borghesia catalana che non solo è organicamente inserito nell’alleanza imperialistica dell’UE e della NATO, ma si propone di dare continuità all’attuale sfruttamento della classe operaia catalana in nuove forme.