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goofynomics

La retorica dell'eccellenza

di Alberto Bagnai

Reasons For The Fall Of Rome 00003Il dibattito cui non avete potuto assistere a Maratea, per il quale ringrazio ancora la MADEurope Summer School e in particolare Riccardo Realfonzo, ha toccato in relativamente poco tempo (nonostante fosse quasi il doppio di quello inizialmente previsto: ma il pubblico non si è annoiato) una serie di temi cruciali. Io ho poca memoria, ma due osservazioni di Roberto Pizzuti mi sono rimaste particolarmente vivide in testa, se non altro perché le aveva già fatte in occasione della presentazione del mio primo libro a Roma.

La prima non merita una discussione molto ampia (anche se ovviamente sono disposto a confrontarmi con Roberto su questo laddove lui lo desideri): è l'idea che siccome "fuori" ci sono i mercatoni cattivi (per definizione), abbiamo bisogno di uno Statone buono che ci protegga, che li contenga, e questo Statone sarebbe l'Europa (in attesa di essere, si presume, il Mondo). In questo blog abbiamo dato spazio alle riflessioni di scienziati politici e ai dati di fatto. Il dato di fatto è che concentrare a Bruxelles poteri politici facilita i compiti delle lobby, e che nulla ci garantisce che lo "Statone" che creiamo operi nel nostro interesse, piuttosto che nell'interesse delle diverse decine di burocrati tedeschi che lo infestano. Il resto è wishful thinking. Poi ci sono le riflessioni degli scienziati politici sulle inefficienze del modello di integrazione che "abbiamo scelto" (traduzione: ci è stato imposto dalle potenze vincitrici dopo la Seconda Guerra Mondiale), ma queste le conoscete: vi rinvio al libro di Majone, che fa strame di certi argomenti.

La seconda osservazione invece merita un rapido commento, perché evidenzia come in effetti chi difende l'euro, che è una cosa storta, sia costretto a infilarsi in una serie di contraddizioni inestricabili (dalle quali non può uscire che con la retorica del "noi tireremo dritto", dell'"indietro non si torna", insomma: del "me ne frego" - dal che si intuisce che la legge Fiano potrà backfire...).

Ormai nessuno può negare che i paesi europei siano stati costretti dal legame monetario ad adottare la filosofia politica del più importante di loro, che data la sua massa li trascina con sè nell'abisso. Quale abisso? Quello che ti si apre davanti quando decidi di far concorrenza alla Cina sui prezzi, e a questo nobile scopo tagli i salari. L'idea diffusa in Italia è che la Germania debba il suo successo a una massiccia politica di investimenti: questo dicono gli euristi, sottolineando come agendo così, con oculatezza, la Germania abbia conquistato una superiorità tecnologica che le consente di raggiungere inarrivabili livelli di produttività ecc.

Poi, sempre nella stessa frase, i simpatici euristi ti dicono che se siamo in crisi è perché la Germania non fa sufficienti politiche espansive, con le quali sostenere la crescita dell'intera area. E tu chiedi: "Cioè?" E loro rispondono: "Cioè non fa sufficienti investimenti!"

Spettacolo!

Insomma: capita che, se non proprio nella stessa frase, quanto meno nello stesso articolo eurista, la Germania faccia e simultaneamente non faccia abbastanza investimenti!

Resta il dubbio di capire cosa faccia la Germania nei fatti, anziché nelle frasi, ma quel dubbio ce lo siamo tolto a suo tempo, e discende da una ovvia relazione contabile: S-I=X-M, anch'essa spiegata a suo tempo. Il dato è che la Germania soffre di carenza di investimenti e che la sua competitività non si articola quindi esclusivamente su una particolare superiorità etnico-tecnologica, ma beneficia largamente delle politiche di deflazione salariale, come ammettono ormai perfino i tedeschi, il che rende alquanto scandaloso che gli italiani si rifiutino di prenderne atto.

Ma non è questo che voglio farvi notare. Lenin diceva che i fatti hanno la testa dura, e Bagnai sommessamente aggiunge che gli euristi hanno la testa ancora più dura. Non c'è versi di contestare su base fattuale un argomento eurista: del resto, l'eurismo è una ideologia (in molti casi esplicitamente una ideologia di odio verso i paesi o gli individui "deboli") e sarebbe difficile aspettarsi una risposta razionale da chi argomenta sulla base di preconcetti. Voglio fare un'operazione logica diversa: seguire l'eurista nel suo ragionamento. E qui mi saldo all'intervento di Roberto, che, durante il dibattito, ha detto che noi (non ricordo se come Italia o come Europa) stiamo sbagliando con la politica di bassi salari, perché invece dovremmo investire in istruzione e ricerca, per competere sui prodotti ad alto valore aggiunto, dove partiamo da una posizione di vantaggio.

Ora, questa osservazione credo l'abbiate sentita spesso, e suona plausibile: "Basta con l'Italietta che produce solo ciabatte e tegamini! Abbiamo bisogno di un'economia 4.0 (NdCN: la 3.0 ve la ricordate voi? Io no!), tutta banda larga e innovazione, che ci mantenga sulla frontiera della tecnologia, dove eravamo stati messi da Leonardo da Vinci in un periodo in cui in Italia circolavano... no, aspè, questo non è importante...".

Ci siamo capiti, no?

Ecco, l'argomento è noto, ma ragioniamoci un po' su.

Che mondo hanno in mente gli euristi, quelli che ci dicono che in fondo il danno (visibile e ammesso dagli stessi industriali) che la valuta forte arreca alla nostra competitività è una mano santa per il nostro paese, perché "alzandoci l'asticella" (espressione che come "stampare moneta" è un marker significativo) ci condanna all'eccellenza? Al di là del discutibile darwinismo sociale implicito in questo modello (che poi è il darwinismo di tutti i modelli con agenti eterogenei: è un bene che gli inefficienti "muoiano", perché questo alza la produttività media del sistema), la domanda è: ma nel lungo periodo, poi, cosa succede?

Forse, per capire cosa intendo, può essere utile formulare la domanda in modo diverso: nella vostra vita di tutti i giorni, avete bisogno più spesso di una saponetta o di uno spettrometro di massa? Per raggiungere la vostra abitazione al quinto piano vi giovate di un ascensore o di un razzo vettore per satelliti geostazionari?

Sono due domande paradossali, ma non tanto quanto la retorica dell'eccellenza.

Supponiamo di diventare tutti "eccellenti": tutti laureati (altrimenti l'OCSE ci rampogna), tutti impiegati in grandi aziende (altrimenti il Fmi ci rimbrotta), e tutti in settori ad elevata tecnologia (altrimenti la Banca Mondiale chi la sente?), e supponiamo anche di essere tutti molto produttivi (altrimenti la Commissione inarca il sopracciglio), e di aver purgato, in senso staliniano, l'Italia da tutti gli individui "sotto la media" che magari vendono frutta al mercato o costruiscono armadi o posano piastrelle, in modo tale da produrre al minor prezzo possibile i beni ipertecnologici che il resto del mondo tanto appetisce, riportando così in equilibrio la nostra bilancia dei pagamenti e "competendo in eccellenza come la Germania". Questa Italia di superuomini, che a me sembra un sinistro incubo distopico, ma che i nostri illuminati governanti del "cosa fatta capo ha" e i loro intellettuali ci additano come luminoso traguardo, avrebbe risolto tutti i problemi... tranne uno: quello di importare dal resto del mondo tutti i prodotti a basso valore aggiunto, come pane, patate, salame, saponette, acqua minerale, mutande, scarpe, mobili, verdura, ecc.

E l'eurista dirà: "Poco male! Tanto esportando un ciclosincrotrone a Vanuatu possiamo comprarci tutta la produzione di patate della Germania...".

Ecco, ma appunto forse sfugge un dettaglio, anzi due: il primo è che il ciclosincrotrone non si mangia (anche se fritto viene buono tutto...), la patata sì; il secondo, incidentalmente, è che la Germania, e in generale i paesi core dell'Europa, chissà perché, la loro agricoltura e i loro settori "maturi" (banche territoriali incluse) li difendono, anziché denigrarli e accusarli di essere la palla al piede del paese.

Sarà perché preferiscono mantenere dei minimi margini di autosufficienza (anche alimentare)?

Insomma: mi avete capito. Devo ancora cominciare a parlarvi di statistica, e prometto che lo farò. Intanto, voglio invitarvi a diffidare di due medie, che nella prassi politica si presentano a coppie, come i carabinieri e un'altra cosa che non mi ricordo: la media di Trilussa, che è quella secondo cui io mi mangio un pollo e tu digiuni, e la media di Pizzuti, quella che si raggiunge quando tutta una collettività nazionale è sopra la media! Ora, il dato è che una popolazione non può essere tutta sopra la propria media, e questo non solo perché logicamente è impossibile, ma anche perché, come ho cercato di farvi capire, economicamente è inopportuno. La retorica dell'eccellenza è semplicemente la veste presentabile della prassi mercantilista: devo essere più bravo di te perché così camperò vendendo i miei prodotti a te (che comprerai, a vita...). Ma il mondo non può funzionare così, e, fra l'altro, è la stessa teoria delle aree valutarie ottimali a sconsigliare una simile rincorsa dell'ottimo (o, se preferite, un simile eccidio degli inefficienti). Lo chiarì Kenen nel 1969 che una eccessiva specializzazione espone i membri di una unione monetaria a "shock idiosincratici": se l'Italia produce solo pizza, o solo ciclosincrotroni, uno shock che colpisca uno di questi due mercati la mette in ginocchio. Il problema non è il valore aggiunto del bene prodotto. Il problema è che un paese di dimensioni non banali (alcune decine di milioni di abitanti) già in condizioni normali dovrebbe attrezzarsi per avere una base produttiva diversificata, per non dipendere interamente dall'estero. Se poi entra in una unione monetaria, questa esigenza di parziale o totale autonomia, da mera considerazione di opportunità politica, diventa condizione necessaria per la sopravvivenza del sistema.

Nel meraviglioso mondo distopico degli euristi e degli eurocrati il nostro paese sarebbe più fragile economicamente: le cose ad alto valore aggiunto sono anche quelle che costano di più, cioè le prime alle quali si rinuncia in caso di crisi (con l'ovvia eccezione delle armi, che però sollevano un problema etico). Chiaro quindi il punto, no? "Fare sistema", e slogan simili, non significa diventare tutti Pico della Mirandola. Significa immaginare una società nella quale ci sia un posto anche per l'idraulico e il fruttivendolo.

Ma questo chi è accecato dall'ideologia non lo ammetterà mai, e a chi non è accecato forse è superfluo dirlo...

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