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mutanteassoluto

Con il cuore legato a Edipo

di Nicola Licciardello

s l1600.jpgAttualmente non passa giorno senza un richiamo all’operaismo italiano – in primis per la scomparsa del suo inventore Mario Tronti e il novantesimo compleanno di Toni Negri – e così la ripubblicazione del libro della figlia Anna, Con un piede impigliato nella storia (Derive&Approdi, già Feltrinelli 2009) – al cui transfert allude il titolo di questo articolo.

Lo scrivo in qualche modo con un senso di liberazione da un tabù – il mio stesso rifiuto, a suo tempo, di credere nell’esito rivoluzionario delle lotte operaie 1968-69 – pur rimanendo a contatto di gomito coi compagni dell’Istituto di Scienze Politiche di Padova (1970-74). Collettivo che fu la mia prima ‘comunità’, in equilibrio per la presenza femminile di Mariarosa e Lisi. Il mio rapporto con Negri proveniva da Massimo Cacciari che me lo aveva presentato, così fui al primo dibattito di “Contropiano” (sul numero 1 il mio saggio Proletarizzazione e Utopia). Nell’Istituto, scrissi alcune voci dell’Enciclopedia Feltrinelli Fischer Stato e Politica (affidata a Negri), e intervenni al dibattito con ospiti quali Bruno Trentin, Gino Giugni o Giovanni Marongiu. Ma ben presto mi accorsi che l’Italia non era nella condizione “prerivoluzionaria” dichiarata dal Direttore. In seguito, ho visto come provvidenziale il mio (auto)licenziamento dall’Università nel ’74, sarei stato certo arrestato con tutti gli altri il famoso 7 Aprile ‘79. Da giornalista al “Mattino di Padova” poi, nel 2005 mi fu chiesto un contributo sul maȋtre à penser Negri, giudicato dal “Nouvel Observateur” fra i 25 maggiori pensatori mondiali assieme a Giorgio Agamben. Quella volta gli riconobbi la forza delle formule rivoluzionarie “dentro e contro” l’Impero, ma problematizzavo i suoi metodi, e ricordavo già con sollievo l’esser fuori dal quel baccanale dialettico, urlato e metallico, la cui forma sembrava imporre l’adesione.

Come altri, credo fui attratto più che dai contenuti soprattutto dallo stile di Tronti, da lui stesso rivendicato come marchio del gruppo. Ma poi mi sono occupato di tutt’altro: di Oriente, poesia e mistica universali[1].

L’ultima intervista a Negri di Roberto Ciccarelli su Alias (Manifesto 5 agosto) ammette alcune problematiche non risolte, in particolare i due non ascoltati consigli della Rossanda: prima, di non scappare in Francia nell’83, poi di non tornare in Italia nel ‘97, fidandosi delle promesse di qualcuno. Nell’intervista egli esprime più volte il suo dolore per non aver fatto nulla per tirare fuori di galera i suoi colleghi d’Istituto, a partire dal carissimo Luciano Ferrari Bravo (che finalmente fuori negli anni 2000 tante volte m’invitò a cena). Ma quel dolore è, come si dice in gergo, il ‘minimo sindacale’. Non vedo però una piena consapevolezza delle responsabilità storiche di Negri. Certo, vi sono delle svolte così imponenti e dolorose che tutti tendiamo a dimenticare. Ma come si fa a dimenticare Genova 2000 e ciò che ne è seguito? Come non rammaricarsi allora di non aver consigliato ai suoi (o all’intero movimento!) di dissociarsi da quella trappola, ben annunciata dal potere – che col pretesto del G8 militarizzava la città, recintando una invalicabile zona rossa? Ovviamente invece lo sfondamento di quella zona diventò l’obbiettivo per il movimento capitanato da Luca Casarini. Genova G8 è la svolta repressiva del millennio, un evento progettato a tavolino per seppellire decenni di autonomia, di altermondialismo e d’interlocuzione con la famosa “Moltitudine”! Troppi, singolarmente e nei più fantasiosi gruppi, un’intera generazione andarono a quell’appuntamento della storia – ci sarei andato anch’io, mi salvò un pastore maremmano mordendomi a una gamba il giorno prima.  Sappiamo come è andato il piano – fra provocazioni di “black bloc” e “no global” incastrati nella guerriglia – riuscito perfettamente: Carlo Giuliani ucciso in piazza, l’inverosimile mattanza notturna alla Diaz, la ciliegina degli sfregi a Bolzaneto. Italia terzo mondo.

Ma non si trattò solo di questo – cioè il messaggio che il tempo dello scontro con le forze dell’ordine era concluso – ma che davvero iniziava un’altra era, quella dell’algoritmico riconoscimento identitario, della schedatura universale, l’inizio dell’Intelligenza Artificiale! Di tutto ciò non si poteva essere inconsapevoli, perché questa era la vera essenza dell’Impero, esemplata senza equivoci da Orwell già nel 1948, cioè quel 1984 raccontato con poco anticipo sulla realtà. Forse Negri lo aveva considerato innocua “letteratura distopica”? Ma è il disegno politico di una mente lucida – senza la troppa attenzione (dell’operaismo) a una certa fase del capitalismo, e piuttosto alla sua essenza tecnica, super-modernista.

Tecnica onnipervasiva e multigenerazionale, come mostra il libro della figlia di Toni Anna, Con un piede impigliato nella storia. Un libro stranamente dialettico, che mostra l’inevitabile condizionamento familiare, ambientale, storico, nella stessa auto-narrazione, come se non volesse liberarsi di tutti questi livelli di realtà, che costituiscono infatti non solo la sua bio-grafia, ma un tratto della vera, Grande Storia d’Italia. Perché una Padova, o una Milano, una Roma senza la persecuzione del Padre e insieme del Movimento, senza l’esperienza ingestibile del carcere, è per Anna impensabile – impensabile immaginare quale sarebbe stata una vita libera, una vita normale, la vita che insieme alla madre avrebbe potuto desiderare… e certo, è così per tutti, ma questa particolare esperienza di sottrazione, dolore, ingiustizia che colpisce una famiglia nelle sue generazioni e diramazioni ha qualcosa di tragico ed esemplare, come un capitolo del “ciclo dei vinti”.

Non a caso, il libro si chiude narrando proprio che “il Capodanno 83-84 sono andata a vedere 1984 di Orwell, dove “hanno vinto perché hanno distrutto l’affettività… noi ragazzi imperfetti e vulnerabili avevamo attraversato una catastrofe e ne eravamo usciti a pezzi” (p.314). E la denuncia politica è netta e definitiva: “Tutta la classe politica italiana è Crono che mangia i suoi figli, l’Italia è una società dove è impossibile crescere… ci sono ferite che non si rimarginano, perché è morta tanta gente, sono morte le vittime del terrorismo, quelle delle bombe, ma sono morti anche tanti poliziotti, e sono morti anche tanti operai, come quelli che lavoravano alla Montedison, stroncati dal cancro, e ognuno di loro a casa aveva parenti che li hanno pianti, e per ognuno è stato ingiusto, ogni morto è importante e per ognuno è stato ingiusto, tanti dei compagni finiti in galera sono morti giovani, di tumore, come se la galera li avesse fatti ammalare, anche Luciano, il padre di Francesca, Federico e e Fabrizia, i nostri amici di quegli anni, Luciano che dopo cinque anni e mezzo di carcere e uno di confino era stato completamente prosciolto”… Sicché conclude: “siamo stati tutti bambini traumatizzati da una Storia che non ci apparteneva, e che non abbiamo scelto. E che i figli portano sulle spalle le colpe dei genitori, e prima o poi con queste devono confrontarsi.

La vita però va avanti, e proprio uno che è andato dentro con mio padre è riuscito a curare mio fratello…molti si sono messi a lavorare nel sociale… mia madre già anziana si è rimessa a fare politica nei centri sociali, ha ritrovato se stessa, ma allora sono crollata io…e ancora adesso che sto scrivendo questo libro ogni tanto ho paura delle ripercussioni, delle occhiate della gente, perché è vero quello che una volta mi ha detto mio padre, sono una che ha preso troppa paura. D’altronde penso che la vita è quella che ti capita, non la scegli. Penso che quello che mi è capitato mi ha aperto gli occhi, mi ha affinato lo sguardo, rendendomi la persona diversa che sono”.

Questa, la pagina conclusiva del libro, sembra attribuire al padre persino l’intima consapevolezza della “troppa paura”. Lo shock indimenticabile campeggia al capo opposto, all’inizio del libro: il freddo acciaio di una mitraglietta sulla pancia di una bambina di 12 anni, che apre la porta di casa alle 7 di mattina. La casa di Padova, che “era come un’isola incasinata e felice,” al centro della città, con un gran terrazzo su Piazza delle Erbe, era come un fuoco urbanistico, troppo evidente per essere attaccato. Invece, con gran sorpresa della ragazzina, fu proprio ciò che accadde. Una vena ironica generazionale fortunatamente percorre i capitoli, ovvero le età biografiche, nel secondo ecco il Festival di Re Nudo al parco Lambro di Milano, dove l’adolescente scopre la felicità del corpo. Ma la mamma riferirà anche di camion del Comune che spruzzavano diserbante sui giovani rimasti nudi troppo tempo, e del resto era l’estate di Seveso. Il racconto è sempre sorvegliatissimo, consente escursioni positive a tempo limitato. Realismo storico intimistico. All’ educazione sentimentale della protagonista non mancano Jannacci, gli spinelli, “il Male”, “Radio Alice” di Bifo, Demetrio Stratos, ma il capitolo si chiude con gli assassinii di Francesco Lorusso e Giorgiana Masi.

Non conosco l’Anna regista, ma nella scrittrice non vi è traccia di quel “pensiero negativo” che da Francoforte a Berkeley aveva informato più di una generazione (forse una traccia è in quel parlare da sola della madre, la generosissima Paola Meo), e qui fra parentesi si può osservare che il passaggio di testimone da Adorno a Foucault non è stato poi tanto salutare ai movimenti. Ma finisco sul racconto di Anna. Il terrorismo non è un buon maestro, e Anna forse l’ha subito troppo. Il rifiuto (perché troppo caldo) alla richiesta paterna di salire sull’Acropoli, come poi la riconciliazione a Capo Sounion, sembrano anticipare la rottura col liceo classico e l’avviamento a una scuola di regia. E quasi sorprende la completa adesione ai tempi (anziché una presa di distanza) col trasferimento familiare da un quartiere bene (via Boccaccio) a quello pericolosissimo su Piazza Vetra, epicentro della tossicodipendenza – indotta previa criminalizzazione della cannabis e distribuzione di eroina quasi gratis. Un diverso Bellocchio (o chi per lui) avrebbe potuto inferirne una sorta di preparazione dell’ambiente all’affaire Moro – di lì a poco il rapimento e l’esecuzione – Anna si guarda dal dare interpretazioni (“Il rapimento Moro è diventato un romanzo d’appendice, che teneva tutti col fiato sospeso”). Una bulimia cosciente, continuando a subire, finché potrà ‘competere’ col padre affiliandosi, anziché all’Autonomia, a Lotta Continua (“anche se avevamo la sensazione di essere arrivati sulla scena a spettacolo finito, quando le cose belle ed eccitanti erano già passate”).

Non insensibile alle canne o al Kerouak di On the Road, Ann saluta ottimista il padre (“stasera sei fuori”) il giorno dell’arresto con l’allucinante accusa del sequestro e assassinio di Moro. Sappiamo invece che dovrà passare anche l’isolamento, prima che cada il folle “teorema” è lui il capo di tutto, e Anna avvezzarsi ai viaggi di diciannove ore a Roma e sei di Rebibbia per un’ora di colloquio. “Il carcere si ergeva a riaffermare la santità della famiglia, rendendo un detenuto, che non poteva vedere nessun altro, completamente dipendente dai familiari”. Passa anche l’appello di Eco, Vattimo, Bertolucci. Per il 15° compleanno, Anna riceve un telegramma dal padre, trasferito a Palmi – dove i colloqui saranno attraverso il vetro, infine Trani. In compenso avrà un affettuoso incontro con Doni, la donna di Parigi. La strage dell’80 alla stazione di Bologna passa quasi inosservata, e New York a 15 anni è davvero videale, pop, no satisfaction, barboni, fino al “verde acido” di Santa Cruz, dove naturalmente avrebbe voluto restare per sempre.  

Con la nuova scuola di regia, l’Itsos, arriva la “Milano da bere” (con un po’ di coca) – parallelamente a infiniti altri arresti – ma finalmente anche la lettura di Baudelaire, Rimbaud e Artaud. Ed ecco il Corriere titolare “Negri a capo della rivolta al carcere di Trani” ! Invece quelli del 7 aprile, in quanto in attesa di processo, si erano dissociati dalla rivolta, ma perciò pestati dai mafiosi, e poi dai “corpi speciali” penetrati dal tetto – Negri soltanto salvo per miracolo. “Il mondo stava impazzendo” (attentato al Papa), ma a Parigi, eletto Mitterrand, c’erano novantamila esiliati. Ann ora registra ogni cosa, come i Weather Report al Palalido, gli scontri e tutto il resto. Ma “le fabbriche chiudevano e gli operai avevano perso il loro mondo”, “c’erano sempre più modelle e modelli americani”, e il matrimonio di Carlo d’Inghilterra e Lady Diana. Ann sopravvive fra allucinazioni e rassicurazioni del padre, ma anche di ragazzi ­– uno le svela che le pillole per dimagrire servono piuttosto a sballarsi. Muore la nonna, dal 7 aprile erano state messe dentro ventimila persone, allora “Kafka mi sembrava l’unico a capire come funziona il mondo”. E diventa “dark”, una sfumatura più leggera di punk, sicché con le sue amiche compila cassette di musica allineata a Berlino, Amsterdam, Londra. La mamma litiga con Scalfari a Repubblica, ma l’Italia vince i mondiali, e persino al Toni dei giovani fanno fumare una canna, mentre a Londra tutti gli italiani rubano. In vista dell’esame di maturità, che coincide finalmente con l’inizio del dibattimento sul 7 aprile, Ann partecipa a una festa in cui sono tutti in acido: “era tutto così incredibilmente meraviglioso che mi commuoveva”. Poco dopo, sulla fortezza del Deserto dei Tartari, con una platea semivuota ma presente Rossana Rossanda, “finalmente abbiamo visto mio padre dietro le sbarre, sembrava un uccelletto”. La polizia picchia tutti nella sede del Partito Radicale, ma finalmente vota anche Anna, per suo padre. Negri raccoglie 55 mila preferenze e si commuove, l’indomani è fuori da deputato. Ma quando esce è “completamente pazzo, con la testa ancora dentro”. Gli affibbiano una scorta ineliminabile, che si eclissa una notte soltanto, la notte del voto sull’immunità parlamentare – senza di cui egli non può aiutare i compagni ancora dentro. Il voto arriva dopo un paio di settimane, come la crudele risposta del destino: immunità negata per 262 voti contro 258, con i 7 radicali astenuti! Per fortuna, da Punta Ala un battello raccoglierà un sacco, destinazione Costa Azzurra. Anch’io avrei scelto di stare in quel sacco.


Note
[1] Miei saggi sono in parte reperibili in https://independent.academia.edu/NicolaLicciardello.

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