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sinistra

2 + 2 = 5. L’emulazione socialista in URSS. Parte II

di Paolo Selmi

Qui la Parte I

225 I puntata html f791dd08ae94218eCari compagni,

questo lavoro è nato come paragrafo alla parte introduttiva del manuale sulla pianificazione che sto traducendo. Poi, le questioni sollevate man mano che la ricerca proseguiva erano tante e tali... che in questi mesi è diventata una piccola monografia: 150 pagine delle mie, un libro vero e proprio usando un'impaginazione editoriale. Per motivi di dimensione, difficile da gestire anche per software potenti come l'editor di sinistrainrete.info, è stata decisa una suddivisione (del tutto strumentale) in quattro puntate. Lo scopo primario di questo lavoro è stato riproporre e sviluppare alcune questioni su cui e, peggio ancora, di cui oggi nessuno parla quando si parla di socialismo e di storia sovietica. Lo scopo ultimo e, infine, l'auspicio con cui chiudo queste poche righe è che ciascuno di voi, sia singolarmente che come gruppo di lavoro e collettivo di ricerca, tragga da questi materiali, la cui traduzione è inedita nella stragrande maggioranza dei casi, spunto per ulteriori analisi, riflessioni, collegamenti, approfondimenti. Di carne al fuoco ce n'è davvero molta, per cui grazie per l'attenzione, per le osservazioni, per gli spunti che vorrete condividere, ma soprattutto...

Buona lettura!

* * * *

Il primo piano quinquennale

Qualche anno più tardi, per la precisione nel 1926, accadde un altro fatto nuovo, a proposito di “enorme laboratorio a cielo aperto”, destinato non solo a essere determinante negli anni prossimi futuri, ma a modificare, per il mezzo secolo successivo e fino alla fine dell’URSS, l’idea stessa di emulazione socialista: nascevano le brigate d’assalto (ударные бригады) e, conseguentemente, coloro che ne facevano parte, ovvero gli assaltatori (udarniki ударники).

Il fenomeno è da inserirsi nel contesto di una rinnovata iniziativa da parte delle leve operaie più giovani, spesso komsomol’cy. Cominciarono i giovani assunti presso la stazione di manutenzione della linea ferroviaria Mosca-Kazan, dal giugno all’agosto del 1926, e la produttività della loro brigata fu maggiore del 25% rispetto alla media1. Seguì Leningrado, dove una brigata d’assalto fu costituita nella fabbrica di materie plastiche Krasnyj Treugol’nik, a opera di otto operaie, la cui squadra riuscì a passare da 17 a 28 calosce per operaia al giorno2. E così, gradualmente, nel giro di due anni anni questo fenomeno si diffuse un po’ a macchia di leopardo lungo l’area di tutta l’Unione.

Volersi distinguere a tutti i costi, abbinato all’arma che qualsiasi giovane sfodera contro l’anziano, ovvero le sue maggiori energie, il suo maggior dinamismo, la sua maggiore freschezza e duttilità: il tutto, concentrato su un unico punto, ormai chiaro, ovvero la maggiore produttività. Due domande, col senno di oggi, neanche di poi, ci devono saltare all’occhio: Come reagivano gli altri lavoratori? Possiamo davvero definire questa competizione, che trasferita nel mondo d’oggi ha tanto il sapore di una mail di lavoro diretta al collega tizio, con in copia caio che comanda tizio e in copia nascosta sempronio che comanda caio che comanda tizio, “emulazione socialista”? Partiamo dalla prima domanda.

Lavoriamo, anche in questo caso, appoggiandoci a resoconti coevi o comunque immediatamente successivi, ancora “a botta calda”. In particolare, molto interessanti sono due ricostruzioni storiche apparse su Voprosy Istorii fra il 1951 eil 1953. Pur nel tono generale agiografico, teso peraltro a esaltare le virtù del capo attraverso le gesta di personaggi che, nella Storia, sembra abbiano senso di esistere solo in funzione dell’essere suoi strumenti, ammettono però che l’attività di queste brigate d’assalto era tutt’altro che benvista dagli altri lavoratori, e non solo per “immobilismo e burocratismo di casa in alcune organizzazioni” (косность и бюрократизм имевшие место в некоторых организациях):

La costituzione di giovani brigate sin dal suo inizio incontrò una forte opposizione (сильное противодействие) da parte sia di alcuni direttori economici, che da parte di organizzazioni sindacali. Causa di questa opposizione non erano solo l’immobilismo e il burocratismo di casa in alcune organizzazioni, ma in una serie di casi anche l’effettiva difficoltà di creare brigate e turni separati (действительная сложность создания отдельных бригад и смен) fra i giovani, dal momento che spesso questo comportava, per esempio, la disposizione esclusiva di macchinari, linee e personale, con cambi di turno e trasferimenti degli operai adulti in altri reparti o, in caso di loro incapacità, da altri reparti al loro. I primi assaltatori dovettero, inoltre, superare l’opposizione degli altri lavoratori (преодолевать также сопротивление отсталых рабочих) i quali, temendo la riduzione della paga oraria e maggiore carico di lavoro, insorsero contro la creazione delle brigate d’assalto3.

“Ricordati Spitz, non sono soltanto le mele marce a rovinare le squadre, ma anche le primedonne”: a volte le sintesi più felici avvengono dove meno ce lo si aspetta: una citazione semplice, da una pellicola che l’intellighenzia nostrana relegherebbe alle ultime lettere dell’alfabeto4, per una costatazione altrettanto elementare su una dinamica relazionale che dovrebbe, condizionale d’obbligo, essere oggetto di riflessione sin dai primi anni della vita sociale di una persona.

Evidentemente, questo non è stato il punto di vista degli autori dei due resoconti presi in esame. A quasi un secolo di distanza, deve essere il nostro, se non vogliamo continuare a ripetere all’infinito i nostri errori, ammesso e non concesso che ci sarà una seconda occasione. Esaminiamo, visto che “stile di lavoro comunista” non è solo retorica, ma prassi quotidiana, quanto riportato nei due resoconti. È evidente che ci troviamo di fronte a molte forzature e discontinuità col periodo precedente, dove quanto riscontrato rispondeva appieno a un nuovo tipo di emulazione operaia, nuovo perché inserito appieno in un contesto sociale, ancor prima che economico, dove il miglioramento d’insieme e del singolo assumeva i connotati di un movimento sempre più inclusivo, sempre più consapevole, fondato su rapporti di solidarietà operaia, fiducia, stima e rispetto, prima ancora che gerarchia interna ma, appunto per questo e in virtù di questo, in grado di produrre un’organizzazione dei processi decisionali e del lavoro molto più dinamica, flessibile ed efficace nel lungo periodo e di fronte a circostanze impreviste e imprevedibili. In un’economia di piano, questo dovrebbe essere l’humus di qualsiasi dinamica economico-sociale da essa considerata.

Con l’udarničestvo assistiamo invece a una rottura: una frattura che si consuma progressivamente all’interno della classe operaia, a opera di chi saliva in cattedra essenzialmente per declamare la propria “scoperta”, riassumibile nella formula: “più spremi e più ti spremi, più produci”; una “linea” sorta di punto in bianco, sulla scorta di un entusiasmo giovanile – pienamente comprensibile! – lasciato libero di andare fino alle estreme conseguenze, al di fuori di ogni controllo – pienamente incomprensibile! – in un’organizzazione sociale complessa e basata su una precisa divisione dei compiti, delle responsabilità e dei lavori come la fabbrica. Il risultato è quanto ammesso dallo stesso Autore: giovani con le mani ancora senza calli, parvenu della fabbrica (prima ancora che della politica, visto che “spesso” erano komsomol’cy, con una prospettiva quindi di future candidatura e iscrizione al partito), senza dire niente a nessuno se non per puntare l’indice e pretendere spazi, mezzi e uomini a disposizione, mettevanodi fatto i piedi sul tavolo, non solo compromettendo il funzionamento regolare di reparti e stabilimenti, ma anchescavalcando edelegittimandoquella rappresentanza e gestione operaia, allora in carica, che con i non iscritti fino ad allora ci avevano messo la faccia e qualcos’altro, oltre che stimolare fra i non iscritti tutto, fuorché “entusiasmo rivoluzionario”. Erano arrivati loro “a insegnare il lavoro”: questo dovrà aver pensato chi i calli li aveva (primo elemento divisivo). E subito dopo, dovrà aver pensato, senza mezzi termini… “lo possono fare perché hanno le spalle coperte”, leggi perché sono del komsomol (secondo elemento divisivo). Quindi, se non sono una testa calda, e io non sono una testa calda perché conto fino a dieci, guardo la foto di moglie e figli, e riconto fino a dieci, “rinuncio a mandarli a quel paese davanti a tutti e mi faccio i fatti miei che campo cent’anni” (terzo elemento divisivo).

Ci sarebbe poco da aggiungere, riguardo dinamiche lavorative comuni e familiari a chiunque sia capitato, nella vita reale, di sporcarsi le mani in fabbrica, in un magazzino o, peggio ancora (peggio perché la quota prevalente di “lavoro intellettuale”, in questo senso, accelera le dinamiche distruttive di tali modi di ragionare e intendere il lavoro), in un ufficio: dinamiche su cui entrambi gli autori dei resoconti oggetto di analisiglissano. Evidentemente, a volte si fa di tutto pur di non vedere che il re è nudo: senza interrogarsi troppo su tali, parziali, ammissioni, glissando su problemi fondamentali di organizzazione, di costruzione ideologica, infatti, nei resoconti pubblicati ci si concentra sui seguenti punti:

- enunciare i successi degli anni successivi;

- scaricare le colpe e le responsabilità degli insuccessi5 sui kulaki emigrati dalle campagne6 (immaginarsi fabbriche e reparti interi pieni zeppi di kulaki...), sui nemici del popolo, di classe, del socialismo7 (difficile, d’altronde pretendere qualcosa di diverso da chi aveva ancora negli occhi quella caccia alle streghe, pardon, al vrag naroda - враг народа - che aveva caratterizzato il ventennio precedente), sui sabotatori, sulla cattiva fede;

- giustificare, legittimare la “necessità” di tale movimento di rottura.

Lo fa muovendosi su due piani. Nel primo, immediato, l’udarničestvo era stato reso necessario per combattere il burocratismo8: fenomeno sicuramente esistente, essendo uno sport praticato a ogni latitudine da chi gode di un minimo di potere mediato da un’istituzione economico-sociale e dalla carica che tale persona ricopre e che la rappresenta... ma non nelle fabbriche e nelle cooperative di allora,

- con una leva leninista che portavaondate centinaia di migliaia di iscritti all’anno e

- con le “promozioni” che li mettevano subito al lavoro, per colmare quelle posizioni vacanti, quei quadri intermedi di cui l’economia, la vita sociale e la politica avevano sempre più bisogno dopo il deserto e le macerie fatti da tre anni di guerra civile!

La NEP avrà avuto mille difetti, ma fra questi immobilismo e burocratismo in produzione possiamo metterli fra gli ultimi: i lavoratori erano già quotidianamente col collo tirato e, già di loro,correvano, anzi galoppavano.La domanda sorge, quindi, spontanea: che bisogno c’era di tale strappo, in un contesto di leva leninista e promozione, dove il dirigente sindacale e politico lavorava già gomito a gomito in catena di montaggio con i non iscritti, dove la linea del partito si nutriva delle esperienze maturate sul campo e, al contempo, quello stesso campo assimilava – quasi per osmosi, verrebbe da dire – una linea politico-ideologica che sentiva sempre più sua?

Entriamo però nel merito del secondo piano di legittimazione di entrambi gli autori dei resoconti, assai più sottile e complesso del primo, e che concerne un radicale cambiamento di ruolo – rispetto a un passato recente di fronte al quale esprimere la più radicale discontinuità – dell’economia socialista e del modo socialistico stesso di produzione, da cui, a cascata, il ruolo del partito e delle organizzazioni sociali, a partire dall’udarničestvo stesso: più che, infatti, l’emulazione socialista così come la avevamo conosciuta fino ad allora, tale movimento di fatto costituiva una sua rappresentazione distorta, superficiale, primitiva, dove ci si distingueva, si era “avanguardia”, semplicemente perché si era in grado di fare più e meglio, a dispetto di tutto e di tutti. Tuttavia, ciò era possibile perché era in atto un’operazione complessiva di carattere più generale, entro la quale esso si andava “naturalmente” a iscrivere. In che senso? Di quale tipo? Partiamo da un esempio mutuato da un altro settore, a ben vedere non troppo estraneo a quello da noi considerato. Se, per convenzione, per figura retorica, per gusto estetico, smetto di chiamare le imbarcazioni “nave” e uso il termine “legno” (sinèddoche), devo pur sempre ricordarmi che la nave non solo non è un semplice tocco di legno che galleggia ma che, col tempo, anche se continuo a chiamarla con quel nome, il legno perde addirittura la centralità di un tempo, di fronte allo scafo di metallo. Allo stesso modo e, purtroppo, non per immagine poetica, ma per “visione scientifica” da parte di nuovi estensori, l’emulazione socialista a un certo punto si ridusse a una semplice gara a chi produceva di più; ma non solo: l’idea stessa di produttività, in quella che – all’epoca – fu definita “legge fondamentale del socialismo”, si fece talmente largo da estromettere tutti gli altri fattori, riducendo il socialismo a un meccanico “più produco, più soddisfo bisogni (di qualsiasi genere!), più sono interessato a produrre”. Sentiamo uno dei due autori delle ricostruzioni prese in considerazione enunciare tale legge:

Col sorgere del modo socialistico di produzione entrò in vigore la sua legge fondamentale: la legge del massimo soddisfacimento dei bisogni materiali e culturali costantemente in crescita di tutti i membri della società, per mezzo della crescita e del perfezionamento ininterrotti della produzione socialista sulla base di una tecnologia superiore. Quanto più veloce aumenta e si perfeziona la produzione socialista, quanto più si sviluppano tecnologie avanzate, tanto maggiormente cresce il benessere delle masse lavoratrici e sempre più sono soddisfatti i loro bisogni materiali e culturali. Ecco perché i lavoratori sono visceralmente interessati alla crescita e allo sviluppo della produzione socialista9.

Il ragionamento, apparentemente, non fa una piega, ma – come vedremo tra poco – è incompleto. È stato volutamente troncato di un aspetto fondamentale, svicolando da un’altra obiezione molto semplice, che noi a un secolo di distanza possiamo e dobbiamo porci: può essere la ricerca di una maggiore produttività il maggior connotato, se non l’unico, del cosiddetto “atteggiamento comunista verso il lavoro”?

Arriviamoci per gradi. Si vuole che il popolo cambi le scarpe una volta all’anno? Si dovrà allora produrre annualmente tale articolo in volume tale da coprirne il fabbisogno e di qualità tale di durare almeno 365 giorni senza aprirsi in due. Si vorrà dotare ciascuno di un paio di scarpe invernali e un paio di scarpe estive? Si dovrà raddoppiarne il volume. Tuttavia, anche volendosi mantenere su questo semplice piano, il grado di sviluppo attuale delle forze produttive, l’allocazione delle risorse, la loro conseguente destinazione d’uso in base a una precisa scala di priorità, possono costituire un limite temporaneo a tale soddisfacimento. Quale strada seguire per raggiungere tale traguardo? Visto che il carattere “volontario” dell’udarničestvo10 salta non appena la realtà dei fatti cozza di fronte all’obbiettivo che ci si è “volontariamente” posti, non allora resta che mettersi tutti alla frusta, condannando chi non è in grado di stare al passo (o a cui, semplicemente “otto ore non sembran poche”… ma la canzone non deve funzionare a senso unico!), in sostituzione di tecnologie e automazioni ancora inesistenti, o troppo costose per essere alla portata di tutti i calzaturifici? Vi è però dell’altro.

Una volta, infatti, raggiunto tale grado di sviluppo, cosa impedisce a milioni di signorine di desiderare, o avere bisogno, o tutte e due le cose insieme, di scarpe sempre nuove e diverse, da poter “cambiare e scambiare”? Può un sistema socialistico rincorrere quello capitalistico sul terreno del produttivismo e, altra faccia della medaglia, su quello del consumismo?

Si, se è un modo di produzione che perde di vista l’obbiettivo principale: meglio, un modo di produzione che si concentra su una sola delle due gambe su cui si dovrebbe appoggiare e, soprattutto, visto che di legge economica fondamentale stiamo parlando, muovere. Su questo Lenin aveva le idee già chiare nel 1902, commentando la seconda bozza del programma di Plechanov per il partito socialdemocratico russo:

Infelice è anche la fine del paragrafo, laddove è scritto: “l’organizzazione pianificata del processo produttivo sociale per il soddisfacimento dei bisogni sia della società nel suo complesso, che di ciascuno dei suoi membri”. Tutto questo è poco. Qualsiasi organizzazione, forse, persino i trust sarebbero in grado di farlo. Più corretto, allora, sarebbe aggiungere “per conto dell’intera società” (dal momento che così si comprende anche la pianificabilità e si indica chi la dirige), e non solo per soddisfare i bisogni dei suoi membri, ma per consentire il pieno benessere e lo sviluppo libero onnilaterale di tutti i membri della società11.

Fuit Troia. Capiamo, quindi, come continuare ad avvitare macchinalmente, su sé stesso, lo sviluppo della prima gamba (produzione-bisogni – produzione+1-bisogni+1 - … - produzione+n-bisogni+n) senza procedere contemporaneamente al contestuale sviluppo della seconda, porta soltanto a squilibri e distorsioni, non solo nel senso fisico del termine (squilibri fra settori dell’economia, nel rapporto fra uomo e ambiente, per dire due fra le più classiche classiche “storte” alla caviglia o, peggio ancora aumentando il danno creato, fratture e menischi saltati che si possono prendere), ma anche in senso ideologico: se tutto gira intorno alla merce, a lungo andare, e a prescindere a questo punto se la fabbrica soggetta a tale logica sia statale o privata, la mia realizzazione extra-lavorativa sarà prigioniera dello stesso feticismo elevato a ideologia, ora come produttore, ora come consumatore; basta suonare la chitarra in un gruppo, recitare in un collettivo o qualsiasi altra manifestazione e forma artistica e creativa, piuttosto che partecipare a gruppi di lettura per bambini in età prescolare, insegnare l’italiano ai compagni di lavoro stranieri o organizzare attività ricreative per gli anziani del circondario ma anche, a limite, giusto per farsi venire l’appetito, cambiare una gomma della bici, tirare una pizza o metter giù pomodori sul balcone… no, la vera realizzazione sarà avere l’armadio pieno di macchine fotografiche e obbiettivi, di scarpe, di dischi, di abiti, a seconda di quale scimmia finisca sulla schiena e a prescindere dal fatto che tale scimmia sia cronica o momentanea, mutevole nel tempo.

In altre parole, lo sviluppo della prima gamba non solo avviene a scapito della seconda, ma la atrofizza sempre di più, fino a incancrenirla. Infine, in termini di guerra fredda, calda o a media temperatura, anche qui poco importa, tale atteggiamento produttivistico e consumistico porta inevitabilmente al confronto con l’altro modo di produzione che, qualora non fosse ancora estinto, ogni sei mesi mette alla frusta i suoi esce con una nuova ed esclusiva (parole chiave!) porcheria, che dura sei mesi, che deve durare non più di sei mesi, che deve riempire container e scaffali dei negozi prima e case e discariche poi, per essere sostituita da un’altra nuova ed esclusiva porcheria, per cui il target di consumatori a cui far venire la scimmia sulla schiena deve, DEVE, essere centrato come fare canestro da davanti al tabellone.

Torniamo ora al brano precedente. È chiara ora la sineddoche: la nave fu ridotta a “legno” e basta, la legge economica fondamentale del socialismo fu ridotta a produrre quantità sempre maggiori inizialmente di materie prime, poi di semilavorati e macchinari per costruire macchinari (industria pesante, settore A) e, in secondo ordine, di prodotti dell’industria leggera (settore B): il tutto con uno scopo, quello di “soddisfare” crescenti, quanto imprecisati “bisogni”. Fino a quando si trattava di bisogni primari, più o meno si poteva ancora ragionare in questi termini. Ma poi? Senza considerare che una scimmia sulla schiena non è un bisogno, né primario, né secondario, ma una dipendenza e che in tal caso il suo soddisfacimento momentaneo non rende liberi, ma schiavi. Salta, a questo punto, anche l’assunto finale: perché, infatti, i lavoratori dovrebbero essere sempre, automaticamente, interessati a ciò che producono? Perché, se si mettono alla frusta, l’armadio gli si riempie di abiti, di dischi, o di quello che vogliono? Analizziamo questo famoso plakat:

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“E corre, corre, corre sempre più forte / E corre, corre, corre verso la morte”… a un secolo di distanza, alla prima strofa possiamo aggiungere tranquillamente la seconda che non sbagliamo, visto che per avere l’aria un po’ più respirabile e per tornare a veder ronzare le api da queste parti ci son voluti due mesi di chiusura forzata della stragrande maggioranza delle attività produttive, alla faccia di chi collega il riscaldamento globale, l’inquinamento dei mari, il brulicare ovunque di polimeri di plastica, dalle strade al nostro intestino, a fattori esterni al modo di produzione attuale, globalizzato e globalizzante.

All’epoca, tuttavia, la questione ecologica non era ancora all’ordine del giorno: in base a quanto ci siam detti sinora, la locomotiva rossa doveva “raggiungere e superare” (догнать и перегнать) la locomotiva azzurra: il plakat, datato 1933 e ad opera del I Collettivo AXR (Ассоциация художников революции – Associazione Artisti della Rivoluzione) aveva un titolo che non lasciava adito a equivoci: “Chi [supera] chi?” (Кто-кого?) La frase di Lenin che separava la raffigurazione delle locomotive dai grafici è quella che abbiam già visto12, tratta da La catastrofe incombente e come combatterla (Грозящая катастрофа и как с ней бороться, 10-14/09/17), mentre quella in coda è di Stalin, che – nelle intenzioni degli autori – AVREBBE DOVUTO costituire la logica continuazione del discorso leniniano, ma che IN REALTÀ ne rappresentava la forzatura lungo l’asse di quella sineddoche, di quel socialismo “a una gamba sola” a cui abbiamo appena accennato e che recitava:

Il piano quinquennale di sviluppo economico dell’URSS imprime una velocità di produzione tale da non poter essere raggiunta nemmeno dal capitalismo. Come tempi di crescita, lo sviluppo della nostra industria nel suo complesso e, in particolare, la nostra industria socialista, raggiunge e supera lo sviluppo dei Paesi capitalisti13.

Trent’anni più tardi, la realtà dei fatti costringeva a rivedere questa immagine. Costringeva a farlo non in URSS, dove le dogane chiuse bloccavano il flusso di merci da fuori e i ripetitori del nemico non arrivavano a mostrarne le fattezze, ma nel Paese dove, fino alla notte fra il 12 e il 13 agosto 1961, data di inizio costruzione del muro, berlinesi dell’Est ancora barattavano coi loro concittadini dell’Ovest generi di prima necessità, decisamente più a buon mercato nel loro settore, con calze di nylon e altri generi per loro di difficile accesso14. La DDR era la frontiera dove tale competizione si svolgeva direttamente, senza mediazione. Non è un caso, pertanto, che fu in DDR che l’allora segretario del Partito di Unità Socialista di Germania (SED) Walter Ulbricht coniò, nel 1957, l’espressione superare senza raggiungere (überholen ohne einzuholen)15: il superamento dei capitalisti non può essere eseguito sul loro stesso terreno perché, oltre al miglior modo di perdere, il socialismo persegue altro rispetto al capitalismo.

Peraltro, un ruolo non indifferente in questo lo ebbero le indagini “di mercato”, diremmo noi, sia pur con tutti i caveat del caso in quanto un’economia a proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione e a conduzione pianificata della stessa su tutto si può basare fuorché sul mercato, sia la pubblicità (werbung), e con metodi non dissimili dai capitalisti (d’altronde, la competizione in atto non lasciava molta scelta):

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La minigonna e il teleobiettivo sono i soggetti di questo manifesto di propaganda della Nova I, uno dei tanti gioiellini di casa VEB Pentacon Dresden: “Corta o lungo?”, si chiede maliziosamente. Oltre a stridere con l’usuale immagine grigia, cupa e seriosa con cui ci propinano sempre l’intera esperienza del real existierende Sozialismus, ritratto in un modo che peraltro rende impossibile comprendere l’attuale Ostalgie di ritorno, tale ironia ben si ricollega a questo manifesto della campagna elettorale del 1994, dedicato ai giovani tedeschi e intitolato “La prima volta (das erste mal): quando baciate occhi chiusi, quando votate occhi aperti (Beim Küssen Augen zu. Beim Wählen Augen auf)”16.

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Manifesto peraltro scopiazzato dai nostri, già allora in carenza di idee, forse già lo stesso anno in campagna elettorale... il vecchio lupo tedesco aveva perso il pelo, ma non ancora il vizio.

Superare senza raggiungere” ed emulazione socialista: quale nesso oggi? Sicuramente uno maggiormente significativo di quel socialismo monco, preoccupato di raggiungere e superare con una gamba sola una locomotiva, già allora irraggiungibile e oggi divenuta globalizzata e globalizzante e che è in grado, in tempo reale, di progettare a qualsiasi latitudine del globo filiere produttive, operative in tempi di reazione impensabili allora, interconnesse fra loro mediante infrastrutture con tempi di transito ancor più brevi e poggianti su saggi di sfruttamento e rendite differenziali in termini di gioco d’anticipo rispetto alla concorrenza, oltre che di studi sulla composizione del costo unitario per prodotto in un’economia di scala, che rendono il potenziale distruttivo dell’attuale, totalitario a livello globale, modo di produzione, una cosa di mostruoso rispetto a soltanto mezzo secolo fa: allora, la distruzione del pianeta si pensava potesse venire solo dall’atomica in mano a un pazzo, oggi no, e sarebbe ora che in massa cominciassimo ad aprire gli occhi.

Occorre, pertanto, far tesoro di esperienze che, nel bene e nel male, nel successo e nel fallimento, hanno segnato l’unico esperimento storicamente realizzato di socialismo. Per quanto riguarda la DDR e la sua impostazione del problema, una tesi di dottorato che ho recentemente scoperto, e che riguarda proprio “pratiche e immaginario della cultura del consumo realsocialista” a Berlino Est17, rappresenta un lavoro davvero prezioso e un ottimo punto di partenza, aldilà di scelte lessicali a volte infelici18 (es. “designificare il valore di una merce” laddove si parla, tutt’al più, di attribuzione feticistica di significati simbolici a un bene di consumo19), delle tesi che esprime, alcune delle quali discutibili oltre che nel merito politico-ideologico (allorché si spinge, per esempio, nel tratteggiare una transizione dalla “pianificazione dei bisogni” alla “razionalizzazione dei desideri”20) e, non da ultimo, anche nel metodo non appena si esce dal campo di ricerca scelto e si cerca di generalizzare il caso berlinese all’intera esperienza del socialismo realizzato: ciò nondimeno, si tratta di un lavoro unico nel suo genere, estremamente ricco di non solo di stimoli, provocazioni e spunti di riflessione, ma anche di informazioni dettagliate e di prima mano. Su tale lavoro si basano le analisi seguenti, che riportano e arrangiano secondo le esigenze di questo lavoro un passaggio chiave dell’Autore21 (laddove invece sono stati lasciati intatti ciascun virgolettato e testo riportato indirettamente, in quanto provengono da documenti ufficiali d’archivio, citati in nota nel testo originale, e che l’Autore ha avuto la fortuna, e la capacità non comune, di consultare e selezionare direttamente):

A margine degli obiettivi degli studi, i dati raccolti documentano comportamenti e pratiche della vita materiale. Così ad esempio rivelano come tra il 1968 ed il 1973 la popolazione della DDR abbia sostanzialmente diminuito il proprio consumo di cibi precotti o lavorati industrialmente preferendo le verdure di stagione e i prodotti disponibili determinando, ad esempio, una sofferenza nell’approvvigionamento e una correzione della pianificazione dell’industria di lavorazione alimentare. Che dalla costruzione del muro di Berlino il consumo di birra pro capite aumentava di continuo favorendo fenomeni di asocialità ed alcolismo e violenza giovanile. Oppure che nel 1977 le calze di sta lasciavano il posto a collant colorati, materiali industriali tra gli oggetti più comprati dalle donne operaie, o come il giardinaggio fosse oramai l’attività preferita dagli uomini impiegati e di come i giovani richiedessero un maggior numero di dischi e strumenti musicali o nuove apparecchiature musicali. O infine come dalla fine del decennio dei ’70 i pezzi di ricambio di elettrodomestici, apparecchi televisivi e radiofonici, stereo, macchine fotografiche ma anche per cucine, lavatrici ed automobili diventassero la merce più richiesta e più rara tra i beni di consumo quotidiano. [...]

La realizzazione delle ricerche, in tal senso esaminava ed evidenziava fattori paralleli: un primo “biologico”, costituito da “età, sesso, stato di salute, costituzione fisica ed aspettative di vita” ed un altro socio-materiale che implicava ad esempio “l’offerta di merci e il grado di sviluppo delle forze produttive, i rapporti di produzione, […] il grado di equipaggiamento domestico (Haushalt) e quello dello stesso consumatore in termini di beni di consumo, livello del reddito, appartenenza a determinati strati sociali” ed, infine, “il grado di sviluppo della coscienza di classe espresso attraverso il riconoscimento di norme sociali e di classe o di interessi ed ideali concretizzati in un determinato comportamento, compresi gli interessi, norme e regole comportamentali vecchie e «sopravvissute» (Überlebter) dal capitalismo”.

Le indagini tentavano di ricostruire una genealogia comportamentale del consumatore socialista [...]: “il consumatore ha, della merce che egli percepisce, solo la coscienza che egli riconosce, in base alla connessione tra questa merce, la sua esperienza e i ricordi passati da cui è stato influenzato nella vita”.

[...] Il comportamento del consumatore si articolava, secondo la ricerca di mercato socialista, seguendo il concetto di bisogno che aveva un suo peculiare processo di di formazione, ovvero era una “categoria sociale storicamente determinata”, che si configurava sia come condizione che stimolava le azioni di consumo del singolo e della società, sia come base su cui costruire l’azione della produzione pianificata e delle strategie economiche complessive.

La “liberazione dai bisogni” implicava, infatti, non solo una neutra soddisfazione dei bisogni primari, e neppure un’asettica, decontestualizzata, valutazione del “valore d’uso”, ma un affinamento delle possibilità di crescita socio-culturale del consumatore, dal momento che veniva riconosciuto che “l’uomo non cerca solo il cibo qualunque esso sia, ma precise, determinate vivande e bibite, non ha solo il bisogno di coprirsi (bekleiden), ma si veste (kleidet sich). Non richiede semplicemente un tetto sotto cui dormire, ma una cultura dell’abitare e i suoi comfort abitativi (Wohnkultur und Wohnkomfort).

Il bisogno era dunque una condizione individuale e collettiva di soddisfazione complessa, con delle “ricadute sulla struttura dell’offerta di merci” e che avrebbe lasciato “la domanda insoddisfatta in assenza di una reale concordanza fra bisogni sociali e individuali”.

Il problema che i ricercatori socialisti erano ora chiamati a risolvere non era più limitato al dato quantitativo della capacità produttiva [...]. Inoltre, nel modo socialistico di produzione, le strategie di mercato non miravano a una massimizzazione dei profitti, quanto al miglioramento del dispositivo della pianificazione economica, laddove il soddisfacimento del bisogno sostituiva il profitto in quanto motore del consumo.

Il funzionamento del ciclo del consumo socialista si basava su una “dialettica” tra bisogni sociali e individuali: la strategia individuata per soddisfare i primi avrebbe consentito di immettere nel ciclo distributivo “beni di consumo per la liberazione dei bisogni di ogni singolo uomo, così che il bisogno permanente di nuovi prodotti restasse sempre interno, organico alla società”, ovvero non muovesse un individuo a ricorrere a eventuali strumenti di soddisfacimento antisociali o comunque, se non antagonistici, estranei al modo di produzione vigente.

Il consumo socialista andava quindi di pari passo con la costruzione del processo di stimolo della domanda: in altre parole si tentava la creazione di ciò che era definito “consumo produttivo” (produktive Komsumtion), in grado di armonizzare lo sviluppo dei bisogni sociali e, parallelamente, di quelli individuali. […]

In sintesi: l’indagine sul consumatore nel socialismo tentava di elaborare una strategia distributiva fondata sull’individuazione, il più precisa possibile, dei connotati della domanda aggregata stessa, ma con l’accento volto all’individuazione e alla determinazione dei bisogni sociali da soddisfare. La domanda permanente, anche di nuovi prodotti, sarebbe stata immediatamente correlata a una crescita qualitativa analoga del processo di pianificazione. L’usufrutto di beni e servizi diventava così, anche nel contesto socialista, ma con una logica di fondo diametralmente opposta (focus sul soddisfacimento dei bisogni sociali e non sul maggiore o minore saggio di profitto) la molla del funzionamento del ciclo economico: in tale logica, realmente antagonistica, al modo capitalistico di produzione, il consumatore oltrepassava la soglia che lo separava dal produttore e saliva sulla medesima cabina di regia.

Ritornando alla dialettica fra bisogni sociali e individuali, si riconosceva che “i bisogni sociali sono denotati da caratteri oggettivi mentre quelli individuali da caratteri soggettivi”. Con caratteri soggettivi si indicava la componente “attiva” nella formazione di un bisogno che orientava il singolo verso la scelta e richiesta eventuale di beni o servizi determinati. Al momento “attivo” veniva affiancato un momento “passivo”, identificato con la percezione del bene o servizio considerato e la sua valutazione, ad opera del consumatore-fruitore, in termini di valore d’uso, gradevolezza estetica, ergonomia, convenienza economica, ecc. Entrambi i momenti erano ascritti in una concezione di bisogno anche come categoria psichica, oltre che economica e storica […].

Al consumatore veniva riconosciuto, in tal modo, un’ulteriore funzione: la selezione e la formazione di un criterio di distinzione, individuale e collettiva, che le infrastrutture distributive e la struttura produttiva non potevano più ignorare, soprattutto nel momento di formulazione delle direttive di lungo periodo. Le indagini di settore dovevano affrontare problemi inediti, come quello per cui “un bene di consumo può non solo liberare da un bisogno specifico, ma anche provocarne uno nuovo”: […] in altre parole, pur continuando a mantenere il bisogno come categoria principale di investigazione, ci si iniziava a domandare come e perché si venissero a manifestare dei desideri sociali e individuali, e come questi si trasformassero in “coscienza del consumatore” in relazione alle merci a cui il consumatore stesso aveva accesso. A tale riflessione contribuiva l’analisi dei concetti, di bisogno (Bedürfnis), fabbisogno (Bedarf)22 e desiderio (Wunsch) come gradi di sviluppo di uno stesso processo, che vedeva il suo nucleo centrale nell’interazione fra consumo sociale e individuale da un lato, e progettazione e pianificazione della produzione dall’altro. [...]

Tali ricerche e indagini si concretizzarono nell’elaborazione di tecniche di “sondaggio diretto”, dove il consumatore da oggetto diveniva soggetto “pienamente cosciente del motivo del suo acquisto e del suo consumo (Kauf-und Konsummotive) e quindi “pronto a esternarle onestamente e senza fraintendimenti”. Il consumatore socialista era immesso, dunque all’interno di un sistema complesso che, per la prima volta, riconosceva il suo ruolo all’interno di quel modo di produzione. Il produttore, attraverso la definizione di “consumo produttivo” e quindi “creativo”, veniva affiancato dalla figura del consumatore. La merce, pertanto, veniva a collocarsi in uno stile di vita socialista, dove il soddisfacimento del bisogno diveniva cardine del ciclo di consumo.

All’Autore di questo lavoro sfugge, altrimenti non lo intitolerebbe “Il consumatore comandato” e non avrei riscritto interi paragrafi di quanto appena riportato per ritrovare quel filo logico a noi necessario nel nostro ragionamento, che mai come “nel mercato capitalistico l’offerta è determinata dalle decisioni dei capitalisti o, meglio, dei grandi gruppi monopolistici i quali impongono le grandi scelte che determinano tutte le altre23. In altre parole, il consumatore era più comandato, studiato, sezionato, analizzato dettagliatamente già nel “libero” Occidente di allora. Un piccolo esempio: le tecniche di “ricerca motivazionale” adattate dai ricercatori della DDR e applicate sperimentalmente al loro modo di produzione, nascono nel capitalismo e con quasi trent’anni di anticipo24.

Vogliamo poi parlare di oggi, dove l’Occidente capitalistico in trent’anni è divenuto il mondo capitalistico e globalizzato? Google, FB, Whattsapp, Weibo, Wechat (e l’elenco, come nei finali di certe canzoni, può continuare ad libitum…) che ci profilano, orientano domanda, aspettative, e percorsi motivazionali che sfociano, per i più giovani, in modelli maschili (calciatori o cantanti rapper) o femminili (veline o influencer… di queste ultime, già dal nome, una garanzia di “libertà”!) indotti, ma ce n’è per tutti, specialmente gli adulti, quelli col portafoglio:

- da un lato, canali tematici per tutti e in ogni campo, dalla “massaia” al “terrapiattista”, dallo “sportivo” da telecomando al “cinefilo di filmacci vintage” (tra Pierino e poliziotteschi) che son gratis ma durano due ore e mezza perché infarciti di pubblicità, e via discorrendo… unusquisque suum, e i conti si fanno alla fine;

- dall’altro, reality per tutti e in ogni campo, che di “reale” hanno solo il nome, creazioni artificiali spot, si dice utilizzando il linguaggio dei venditori, una tantum, atte a orientare ancor più efficacemente la domanda intorno a modelli “vincenti”. E l’elenco potrebbe continuare, ma non qui, in questa sede. Tuttavia, quando qualcuno guarderà con sufficienza questo lavoro sull’emulazione, su questa “roba da nostalgici”, sul “passato che non torna”, su robe da nostalgici, fategli l’esempio dei reality, tipico caso di “emulazione capitalistica”, in ambiente controllato, chiuso, artificiale, pieno zeppo di modelli da imitare (pardon, “votare”) e “inserti a scopo promozionale” da ficcar bene nella zucca dello spettatore: magari non capirà nulla lo stesso, magari invece “le vite degli altri” comincerà a cercarsele fra i travoni del proprio occhio.

Torniamo a noi. Parliamo quindi, in questa fase, non tanto degli strumenti ereditati dal capitalismo, ma di come sono usati, trasformati, adattati e, soprattutto, in quale struttura ideologica e/o contesto. Salta subito all’occhio, per esempio, che ciò che cambia è l’asse prospettico su cui l’indagine dei ricercatori socialisti si muove: un costrutto dove, per esempio, l’obsolescenza programmata e il sistema che su di essa si fonda per rimpinguare le casse dei padroni delle ferriere, insieme a tutti gli altri trucchi strutturali per alimentare artificialmente la domanda, non sarebbero mai stati di casa, perché in contraddizione antagonistica con tale modo di produzione e la sua legge fondamentale. Ricordo che, quando parliamo di obsolescenza programmata, in termini di bilancio sociale complessivo parliamo, essenzialmente, di spreco: risorse umane, materiali, finanziarie letteralmente gettate al vento e che potrebbero esser convogliate in altri settori dell’economia, per i quali invece, ohibò, non appena si alza un ditino per reclamare qualche briciola, la risposta è sempre la stessa … “non ci sono soldi”!

Non ci sono soldi per le scuole e per aumentare il numero degli insegnanti, da impiegare sui diversi fronti dell’istruzione pubblica in tempo di pace e, in tempo di guerra, da assegnare a classi con numero ristretto di alunni in modo tale da evitare che per sei mesi guardino un tablet e si convincano che quella è “scuola”; non ci sono soldi per riaprire gli ospedali, gli ambulatori e i presidi territoriali chiusi, oltre che per ripristinare e ampliare i posti tagliati, e non importa se chi lavora si trovava già con l’acqua alla gola e la gente fuori in coda… o le risse al pronto soccorso dal nord al sud del Paese “in tempo di pace” ce le siamo già dimenticate? Ci sono però i soldi, gli eco-incentivi, per far cambiare un’auto, perché dopo cinque o sei anni “ripararla non conviene”; ci sono i soldi per far cambiare un telefonino ogni meno anni ancora; ci sono i soldi per il “bonus vacanze”… queste sono le vere contraddizioni antagonistiche su cui l’Autore glissa, non perché avrebbe dovuto farvi un trattato parallelo, ma perché se solo ne avesse tenuto conto, certe espressioni se le sarebbe risparmiate25 e, soprattutto, avrebbe capito che se c’è una possibilità di invertire la rotta, ebbene quella parte sicuramente dal quel percorso che lui ha liquidato troppo sbrigativamente: un percorso dove, in maniera radicalmente antagonistica, è considerato antieconomico ciò che il nostro, di percorso, ha eletto a struttura economico-ideologica.

Al contrario, il modo socialistico di produzione si rivela, alla luce di quanto accennato, non solo per gli scopi che si pone, ma anche per la struttura stessa di accumulazione e ripartizione immediatamente sociale dei frutti della riproduzione allargata, l’unico a non avere alcun interesse al mantenimento e, pertanto, potenzialmente in grado di eliminare tutti gli artifici che ruotano intorno alla merce e la rendono un feticcio, indispensabili invece alla massimizzazione del profitto in fase di produzione e riproduzione ciclica del modo capitalistico di produzione della merce. È, inoltre, inconcepibile altrove quel produktive komsumption che rende produttore e consumatore due facce di una stessa medaglia, dove il secondo interviene in fase di progettazione stimolando e inducendo da semplici migliorie a creazioni ex novo e il primo, tenendo conto anche di questa traccia, affina sempre più la qualità di un prodotto che diviene, pertanto, un “co-prodotto”, un bene condiviso sin dal suo concepimento da un’intera collettività, libera espressione del contributo di tutti e altrettanto liberamente disposto alla fruizione di tutti. Persino “l’interessamento del lavoratore al frutto del suo lavoro” ORA avrebbe davvero un senso, in quanto è in questo tipo di produzione socializzata che il produttore-consumatore-produttore può essere veramente, realmente, concretamente interessato a quanto da lui prodotto in quanto si riconosce, in modo del tutto consapevole, lavoratore per sé e per gli altri.

Facciamo ora un passo ulteriore: quale modo di produzione limita l’essere umano ora a homo faber (uomo produttore), ora a homo consumens (uomo consumatore), ora a qualsiasi altra declinazione di funzione umana perché destinata, in ultima analisi, a finire in quel tritacarne targato homo oeconomicus in cui entra continuamente valore d’uso e da cui esce continuamente valore di scambio? Basta guardarsi intorno per darsi una risposta. Come dice il mio amico Michele Castaldo, non è una questione né di anime belle, né di brutti ceffi (anche se i secondi pullulano e impestano ogni luogo della nostra vita sociale, un re nudo che questa emergenza Covid-19 ha mostrato, ancora una volta, nella sua cinica spietatezza): il tritacarne moto-modo di produzione è impersonale e non guarda in faccia a nessuno, come i soldi che non hanno né odore né colore.

Il modo socialistico di produzione, in maniera altrettanto impersonale, butta in discarica quel tritacarne. Come appena accennato, se l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo è il caposaldo del processo rivoluzionario, tale abolizione rende superfluo o, peggio, controproducente, nella nuova relazionalità sociale che si instaura fra gli esseri umani, la valorizzazione economica, la monetizzazione di ogni comportamento. Controproducente perché obbligherebbe produttori-consumatori di tale comportamento e pianificatori a dover considerare nel piano anche quell’aspetto, introducendo nuovi elementi di complessità e variabili, interrelazioni da vagliare nel breve, medio, lungo termine: un cinema che tutti volentieri ci risparmieremmo. Pertanto, più bisogni, fabbisogni e desideri saranno socialmente mediati non più dal possesso o dallo scambio di beni, ma dalla condivisione di esperienze, conoscenze, funzioni, mezzi, meglio sarà! Intorno a un unico progetto di liberazione collettiva, dove o ci si salva tutti o nessuno si salva: del resto, quasi ormai due secoli fa, qualcuno parlava di una sfera, infine, che non possa emancipare sé stessa senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza tutte26.

Appare chiaro, a questo punto, che un socialismo realizzato così configurato non possa volere una “liberazione dai bisogni” intesa come negazione o assenza ascetica di passioni (o desideri), e nemmeno nella cessione artificiale, ovvero nell’interruzione forzata, del processo “desiderio genera desiderio” richiamato dall’Autore. Un processo che, ripetiamo, di per sé non è affatto negativo, ma del tutto naturale e connotato alla natura umana stessa: “Grazie alla voce, che canta i miei pensieri / al cuore capace di nuovi desideri”, cantava Augusto Daolio in una delle sue ultime canzoni. Il problema è un altro: consumismo non è “desiderio che genera desiderio”, ma “desiderio che genera e accresce un analogo o, peggio, uno stesso, identico, desiderio”, in un continuo avvitarsi su sé stesso! Qui torniamo alla scimmia sulla schiena, all’ossessione, al cambio e scambio scarpe o vestiti, al telefonino ogni sei mesi, eccetera, del tutto funzionali al modo capitalistico di produzione, come abbiam visto, così come del tutto deleteri per quello socialistico. Un piccolo esempio di come si possano creare e attuare pratiche su base di massa perché “emulativa” (per inciso conferiamo, a questo punto, al termine “emulazione” modalità di significato ampie tanto quanto è ampia la categoria produttore-consumatore proprietario dei mezzi di produzione e dei beni di consumo che produce, al punto di renderla un tratto distintivo globale del modo socialistico di produzione): se a chi compra o riceve in dono una macchina fotografica, nuova o usata non importa, il desiderio genera il desiderio non di comprarsi tutto il kit di obbiettivi dal 16 mm al 1000 mm, ma di confrontarsi con altri su altre basi, per esempio alzando le chiappe e girando per monti, boschi o parenti a fare paesaggi, ritratti, esprimendo quel che ha dentro di inespresso e che tramite questo strumento, diventa mezzo di confronto, scambio e condivisione, non imboccano forse tutti una strada diversa? Se mentre il nostro fotoamatore gira per monti con una macchina al collo, si avvicina e avvicina i suoi compagni di escursione a un modo di vivere la montagna e di intendere la vita, che si capisce più scarpinando che cercando di esprimerlo a voce, non imboccano forse tutti una strada diversa? Se mentre scatta, sviluppa, stampa, si relaziona con altre persone e coi loro risultati e insieme osservano, ri-leggono, discutono fra loro la rappresentazione filmica e fotografica del reale con occhi diversi, “da collega a collega”, segno che iniziano a impadronirsi di un linguaggio complesso, non imboccano forse una strada diversa? Se infine decidono tutti insieme di condividere questo entusiasmo e queste conoscenze con altri appassionati che aspettano solo uno sprono per iniziare, e ci dedicano tempo ed energie, non imboccano forse una strada diversa? Una strada dove a generare desideri e a soddisfare bisogni sempre nuovi non sono prodotti nuovi, ovvero frutto di un calcolo economico prodotto a sua volta da una pianificazione focalizzata su tali bisogni ma, iniziando da una Praktica MTL5 o, qualora non andasse così di lusso, anche da una Zenit TTL presa a un mercatino dell’usato o ricevuta in dono (e questo è reso possibile dal fatto che il prodotto è prodotto bene, in grado di resistere molti anni e di passare di mano in mano!), una serie di rapporti sociali dove l’apporto della componente di pianificazione è del tutto marginale al soddisfacimento del processo di un arricchimento individuale e collettivo derivato dal loro sviluppo, a differenza del tritacarne capitalistico.

Per questo l’unico modo di produzione

- compatibile con una visione onnilaterale dell’uomo

- in grado di consentirne lo sviluppo a trecentosessanta gradi, e non solo per quegli aspetti, ovvero quei bisogni, fabbisogni, desideri monetizzabili in termini di estrazione di profitto,

- in grado, in ultima analisi, di fare evolvere l’homo oeconomicus in totaler mensch

è quello socialista; un uomo totale che Marx tratteggia in questi termini: “Der Mensch eignet sich sein allseitiges Wesen auf eine allseitige Art an, also als ein totaler Mensch” (L’uomo si appropria del proprio essere onnilaterale in modo onnilaterale, ovvero come uomo totale)27.

Lavorare su questa seconda gamba, su questo percorso di liberazione che implica e che nutre, a sua volta, il lavoro sulla prima gamba, nel senso di una socializzazione dei mezzi di produzione e di una conduzione pianificata degli stessi, a partire dall’unione d’intenti fra produttori e consumatori fino alla totale, prospettica, identificazione degli stessi, nel senso di cui sopra, è quindi ciò che può e deve fare la differenza in un progetto di alternativa radicale all’attuale modo di produzione: un passo dopo l’altro, una gamba dopo l’altra, in un incedere dove a questo punto non conta più se è nato prima l’uovo o la gallina, il processo rivoluzionario si evolve, cresce, si rafforza sempre di più lungo la direttrice che porterà ogni libero cittadino della società senza classi, in misura maggiore o minore, a divenire un totaler mensch.

Non ci corre dietro nessuno in questa riflessione a trecentosessanta gradi sull’emulazione socialista, pertanto mi piace concludere questo excursus, questo inserto nell’inserto, che reputo di vitale importanza per inquadrare direttamente una questione che, aggiungo, è importante oggi più di allora, con questo contributo di un compagno che quegli anni li visse in prima persona: Pavel Ivanovič Lebedev-Poljanskij (1882-1948). La sua vita di letterato-rivoluzionario lo portò, come Lenin, a vivere le due rivoluzioni (1905 e 1917), l’arresto e l’esilio in Europa, l’impegno quindi come dirigente del Commissariato del popolo per l’istruzione (Nar.kom.pros.) a stretto contatto con Anatolij Lunačarskij. È in questa veste che ci riporta, in una fredda sera del gennaio 1918, a Petrograd, con “un vento a trenta gradi sotto zero” (qualcuno avrebbe cantato mezzo secolo più tardi…) che portava nella capitale l’eco dei fischi delle palle di cannone e, insieme, i timori per l’esito incerto di una rivoluzione ancora troppo fragile, e al suo incontro con un personaggio d’eccezione: il poeta Aleksandr Aleksandrovič Blok (1880-1921). Quanto segue è tratto dal suo ricordo di quella conversazione:

- “Come vede gli eventi di questi giorni?” Gli chiesi.

A denti stretti, parlando molto lentamente, come se estraesse le parole da un torchio, una a una, rispose: “Penso… penso che, alla fine, andrà bene. Ma basteranno a voi, a noi, a tutto il popolo le forze per tale, grandiosa, impresa?

Iniziai allora a sviluppare un discorso sull’andamento della rivoluzione e sulle energie che l’animavano.

- “Intendo le forze morali, spirituali”, mi interruppe. “Manca da noi una cultura in questo senso. Siamo troppo poveri di questo, viviamo svuotati della vita stessa”.

Parlai per cinque minuti su questo tema. Ma senza entusiasmo, ahimè, con tono professorale. Pallidi raggi lunari illuminavano di taglio il parquet sul pavimento. Attraverso le persiane si poteva scorgere, dalla finestra, la striscia bianca della Neva e, ancor più oltre, la Borsa e il profilo di Petro-Pavlovsk, da cui spiccava la sua alta e luccicante guglia.

Si alzò a un certo punto dalla poltrona e si diresse verso la finestra, da cui la luce solo per metà raggiungeva il volto. Guardandomi fisso negli occhi, esclamò: “A voi interessa la politica, gli interessi del partito; io, noi, poeti, cerchiamo l’anima della rivoluzione. Che è meravigliosa. Ed eccoci, tutti noi, con voi.28

Dedichiamo, dedichiamoci quest’ultima frase (grassetto mio), che raccoglie non solo tutto Blok e il suo percorso, ma ben sintetizza gran parte di quanto finora sviluppato: l’anima della rivoluzione è prekràsna, che è ancora qualcosa di più di “bello” o “stupendo”; vale la pena cercarla perché, una volta trovata, fatta propria e una volta che si impara a camminare, distribuendo il peso su entrambi gli arti, non c’è produttivismo o consumismo che tenga e dognàt’ i peregnat’, “raggiungere e superare”, potrà essere tranquillamente sostituito da “lasciare sui blocchi”, “surclassare”, o qualsiasi altro corrispettivo a nostro piacimento.

Il potenziale rivoluzionario e ideologico del socialismo è qualcosa di straordinario, nel vero senso di questa parola, esce dai canoni dell’ordinario, meglio, della gestione capitalistica dell’ordinario, ed è in tal senso, pertanto, “stra-ordinario”: ciò è possibile perché si tratta di un movimento chepuò e deve coinvolgere – contemporaneamente – tutte le sfere e sfaccettature dell’essere umano lungo l’intera strada della liberazione dalle catene che lo opprimono, a prescindere da quale punto di tale percorso trovi collocata una singola persona, un gruppo o una classe. Così come, infatti,sia il minatore del Donbass che il poeta della capitale individuavano nella rivoluzione il momento chiave del loro processo di liberazione, individuale e collettiva, in un mondo “a diverse velocità” e ancora lungo “ottanta giorni” da percorrere, a maggior ragione tale discorso può e deve valere oggi, dove il capitalismo globalizzato e globalizzante ha reso piccolo il mondo, lo ha interconnesso in tempo reale, gestendo flussi di capitali, merci, informazioni con la stessa facilità con cui la betonica di paese spiattellava gli ultimi pettegolezzi alle sue degne comari e nel giro di una mattina li sapevano anche i sassi.

In altre parole, la battaglia ideologica è importante tanto quanto quella economica: tuttavia, combatterla realmente, significa porsi su un versante radicalmente opposto a quello capitalistico, non solo “soddisfacendo i bisogni” di ciascuno, ma agendo perché tale movimento esprima, il più possibile, un aumento di consapevolezza collettiva e condivisa del percorso di liberazione intrapreso (ovvero di costruzione del socialismo), laddove il capitalismo è – per definizione, per legge fondamentale – alla costante ricerca di catene vecchie e nuove entro cui imprigionare forza lavoro e imbrigliarne la mente entro altrettanto vecchi e nuovi circoli viziosi di dipendenza.

Riportando a oggi la situazione cui abbiamo appena accennato, le catene che opprimono il minatore che estrae metalli rari a mani nude nella Repubblica “Democratica” (sic!)del Congo per darli a un intermediario al servizio delle multinazionali occidentali e asiatiche (RPC, Corea del Sud o Giappone poco cambia… son tutte lì), sono visibili a chiunque voglia inserire due parole chiave su un qualsiasi motore di ricerca (ammesso che si abbia voglia di tirar fuori la testa da sottoterra); decisamente meno visibili sono quelle che portano il suo coetaneo nato nella parte “fortunata” del mondo e al suo primo lavoro a cambiare telefonino dopo un anno (o meno!), quel telefonino che si nutre – peraltro – dei metalli rari di cui sopra. Entrambe le catene sono legate a corda doppia. Il socialismo stravolge l’intero impianto, l’intero ὄργανον - organon. Meglio, è costretto a stravolgerlo: o lo stravolge, o è destinato a fallire. Tertium non datur. Pianificare la produzione non basta: occorre ripensare, al contempo, il prodotto stesso (materiale – beni e servizi – o immateriale – produzione di senso e di significati –), il modo stesso di produrre, la mentalità che a esso soggiace, intesa sia come logica particolare che come complesso ideologico entro cui essa, a pieno titolo e coerentemente, si iscrive e che va in una precisa direzione; una direzione scelta

- consapevolmente dai produttori associati che sono anche immediatamente fruitori di quanto da essi prodotto;

- coerentemente alle finalità che ci si è dati, in modo del tutto consapevole e condiviso, in fase di pianificazione, per giungere a quel totaler mensch che rappresenta un’ideale del tutto concreto, in fase di costruzione, passo dopo passo, giorno dopo giorno.

L’attività stessa di pianificazione non può che essere, in questa ottica, il prodotto finale dell’interazione dialettica fra un movimento centrale e dall’alto, essenziale per il coordinamento e la razionalizzazione dell’intera attività economico-sociale con ciascuna sua parte e fra le parti stesse, e un movimento diffuso e dal basso, essenziale per l’orientamento dell’attività di pianificazione stessa e la definizione di finalità e obbiettivi nel breve e nel medio termine. Solo la rivoluzione socialista, in questo senso, è in grado di mettere in moto tali meccanismi. Per questo essa è prekràsna.

Per questo, e in questo senso, l’attività di emulazione può e deve tornare ad acquistare valenza e significato: non più la gara a chi produce di più, o a imitare chi produce di più, ma a ridisegnare in chiave migliorativa il futuro proprio, del proprio collettivo e via via della società nel suo complesso; all’interno di questa cornice, certamente, produttività, efficienza, efficacia dell’azione produttiva possono e devono giocare un ruolo fondamentale; ma, senza tale cornice, sarà solo una corsa suicida contro l’altra locomotiva, già ampiamente sulla buona stradaad attender “sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice”.

Come accennato, non fu questo il caso del primo piano quinquennale sovietico. È a questo punto pienamente non solo comprensibile, ma anche coerente date tali premesse, che per la dirigenza politica di allora fosse di vitale importanza completare tale,produttivistica, sineddoche non solo sul piano economico, ma anche su quello ideologico e motivazionale. In altre parole, all’udarničestvo non solo fu dato il dobro (добро, lett. “va bene”, canale verde, nulla osta) da parte delle autorità, ma esso divenne la forma di emulazione socialista per eccellenza di quell’epoca. Come candidamente sottolinea una delle due ricostruzioni prese in esame,

L’udarničestvo divenne la forma fondamentale di emulazione delle masse negli anni della prima pjatiletka staliniana. La brigata d’assalto fu il collettivo di emulazione primario, che univa i propri membri in un unico processo tecnologico di produzione. Il lavoro della brigata di assalto si svolgeva sulla base di emulazione con altre brigate e persino dentro la brigata stessa29.

Che il movimento fosse nato dal basso, lo ripetiamo a scanso di equivoci, non v’è ombra di dubbio. Tuttavia, l’operazione compiuta su tale movimento spontaneo, essenzialmente di protezione in tutta la fase di “incubazione” dagli attacchi di compagni di lavoro e organizzazioni sindacali, aziendali e di partito, di secondamento incondizionato di istanze (e pretese) e, poco più tardi, di elevazione a “emulazione par excellence e riproduzione dello stesso su scala di massa, fu un’operazione dall’alto: un’operazione del tutto funzionale ad alimentare lo stato di mobilitazione generale sulla realizzazione e il superamento degli obbiettivi di piano posti dall’alto dalla dirigenza del Partito e tesi alla creazione di una forte base industriale nel settore A dell’economia, ovvero quello dell’industria pesante.

Il 1929, primo anno della prima pjatiletka, si aprì il 20 gennaio con la pubblicazione inedita, sulla Pravda, alla vigilia dell’anniversario della sua scomparsa, del già citato lavoro di Lenin “Come organizzare l’emulazione”. La chiave di lettura, naturalmente, era radicalmente diversa da quella che aveva animato la penna di Vladimir Ilič dieci anni addietro. Era iniziata, su scala nazionale, la gara a chi produceva di più e quell’articolo fu lo sparo che ne diede, di fatto, il “via”.

Nel febbraio del 1929 i minatori (шахтеры) del Donbass iniziarono l’emulazione, che presto si trasformò in una gara di produttività, costi inferiori e disciplina del lavoro fra tutte le miniere sovietiche di carbone. Il 5 marzo gli operai della fabbrica di Leningrado “Il viborghese rosso” (Красный выборжец) pubblicarono un appello sulla Pravda agli operai di tutte le fabbriche e stabilimenti dell’Unione per l’emulazione al fine di ridurre i costi di produzione. La campagna di mobilitazione era partita e in pochi mesi le brigate d’assalto divennero, da fenomeno marginale all’interno delle attività produttive sovietiche, presupposto fondamentale per il completamento del piano. Il 29 aprile la XVI Conferenza del partito si aprì con un appello “A tutti gli operai e i lavoratori agricoli dell’Unione sovietica” («Ко всем рабочим и трудящимся крестьянам Советского Союза») che ebbe una fortissima eco in tutto il Paese (di seguito un breve estratto, sottolineato corrispondente al corsivo originale):

Compagni! La storia ha posto di fronte ai lavoratori del nostro Paese compiti giganteschi.

Noi dobbiamo raggiungere e superare, entro scadenze storiche relativamente previ, gli Stati capitalisti avanzati a livello di rapporti tecnico-economici, operando la ricostruzione socialistica dell’intera economia.

Noi dobbiamo consentire un forte crescita dell’industria e, al contempo, dell’agricoltura, sviluppando sempre più una potente attività di socializzazione delle attività agricole nelle campagne (sovchoz, kolchoz) sulla base di un’elevata meccanizzazione.

Noi dobbiamo diffondere il più possibile ampiamente un movimento di massa per la cultura, che escluda dal nostro apparato statale qualsiasi elemento, a qualsiasi livello, colpevole di abusi (излишество), sprechi (расточительство), cattiva gestione (бесхозяйственность), maneggi vari (волокита) e burocratismo (бюрократизм).

Noi dobbiamo scatenare il più lungo attacco contro gli elementi capitalistici. Dobbiamo vincere e buttare fuori gli elementi capitalistici non solo nelle città, ma anche nelle campagne.

Noi dobbiamo incessantemente rafforzare le difese dell’Unione Sovietica.

[…] Compagni operai e lavoratori agricoli! Per vincere le difficoltà dell’edificazione socialista, per estendere un ulteriore attacco agli elementi capitalistici in città e nelle campagne, per completare il piano quinquennale, organizzate l’emulazione nelle fabbriche, negli stabilimenti, nelle miniere, nelle ferrovie, nei sovchoz, nei kolchoz, nelle istituzioni sovietiche, nelle scuole e negli ospedali.

Organizzate l’emulazione per abbassare i costi di produzione, per incrementare la produttività del lavoro, per rafforzare la disciplina sul lavoro, per estendere la superficie coltivabile, per aumentare il raccolto, per coinvolgere i contadini nei kolchoz e nella cooperazione, per semplificare l’apparato statale e rafforzarne il legame con le masse, per migliorare il lavoro delle istituzioni culturali e al servizio delle masse dei lavoratori e delle loro vite.

[…] Le brigate d’assalto, costituitesi nelle aziende e nelle istituzioni, sono i continuatori della migliore tradizione dei subbotniki comunisti. […] Nasce un nuovo tipo di operaio socialista nelle fabbriche e negli stabilimenti sovietici. Cresce il ruolo e la partecipazione delle masse operaie nella gestione dello Stato.[…]

Il piano quinquennale è il piano di lotta della classe operaia per vincere gli elementi capitalistici, il piano per la rieducazione (перевоспитание) socialistica delle masse, il piano per creare le basi per la società socialista.

L’emulazione socialista è lo strumento più potente per risvegliare e organizzare l’iniziativa delle masse al fine di completare il piano quinquennale e, al contempo, il più grande mezzo per sviluppare l’autocritica (самокритика) dal basso.

Emulazione e pjatiletka sono indissolubilmente collegati fra loro. Sotto il segno del completamento di questi compiti, il proletariato dell’URSS va all’attacco dei nemici di classe della dittatura del proletariato […]30.

Procedendo in ordine di scrittura notiamo, per inciso, come nell’appello appaia la parola kul’tura: torniamo ora alla “cultura” come la intendevano Blok e Lebedev-Poljanskij nella loro conversazione e come invece si era trasformata nell’ideale dei dirigenti di partito estensori dell’appello, assistente ausiliaria della produzione. Notiamo anche il tentativo di legare il produttivismo imperante a un’ideale socialistico di lavoratore indefesso, eroico perché votato incondizionatamente alla spremitura totale di sé stesso e degli altri (attraverso l’emulazione, “seconda gamba”) per il raggiungimento di obbiettivi grandiosi (definiti attraverso la pianificazione, “prima gamba”).

Di questo avvitamento perverso su una spirale completamente distorta, salviamo un principio: l’ennesima conferma, se a qualcuno fosse rimasto ancora qualche dubbio, che occorrono sempre due gambe per muoversi, anche nel caso in cui la “seconda gamba”, di fatto, fosse solo una stampella su rotelle per legittimare la corsa della prima, come in questo caso, come nel caso di qualsiasi philosophia ancilla theologiae, dal medioevo (e non è questo l’unico riferimento al medioevo, come vedremo presto) ai vari relativismi neoliberali/“pensiero debole” (alla fine… è tutto questione di “narrazioni”… vero “sinistra” radical-chic?) e “sovranismo”/neofascismi occidentali, facce della stessa medaglia su cui si muove il tritacarne a queste latitudini, piuttosto che alle variegate matriosche (in ordine cronologico, ovvero dalla meno alla più importante e rilevante ) del “Marxismo-leninismo/Pensiero di Mao Zedong/Teoria di Deng Xiaoping/Importante pensiero delle “Tre rappresentanze”/Visione scientifica dello sviluppo/Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi della nuova era” (马克思列宁主义、毛泽东思想、邓小平理论、“三个代表”重要思想、科学发展观、习近平新时代中国特色社会主义思想)31 su cui invece si muove il tritacarne del capitalismo con caratteristiche cinesi – ufficialmente, si intende, mentre in concreto alla Fudan (复旦大学) i futuri dirigenti di multinazionali private e pubbliche si formano su manuali in dotazione ai collegeamericani e tradotti per l’occasione.

Infine, un’ultima osservazione: a un certo punto dell’appello riappare, non si capisce bene se per rituale o per convinzione, la gestione operaia dello Stato. Contro l’uso strumentale di tale argomento e per una sua vera attuazione, in quella stessa conferenza, i cui verbali sono facilmente rintracciabili senza dover ricorrere a improbabili prestiti interbibliotecari, intervenne il dirigente azero Hüseyn Paşa oğlu Rəhmanov (1902-1938), giovane comunista che si era distinto fino ad allora per il suo lavoro coi giovani nelle fabbriche e nelle campagne e così avrebbe continuato, negli anni a venire, lottando per la loro promozione contro il vero burocratismo, quello non sul luogo di lavoro, ma fra i bolscevichi stessi, laddove ciascuno restava tenacemente attaccato alle proprie poltrone e già in alcuni komsomol si assisteva a scene mutuate da rapporti di potere tali e quali che nelle organizzazioni “adulte” del partito: giovane comunista, per la cronaca, barbaramente ucciso durante il terrore staliniano, insieme a fratello e cognata con accuse infamanti, infondate, e confermate dallo stesso Stalin nonostante qualcuno avesse provato, timidamente, a perorare la sua causa32, riabilitato quindi nel 1955. Egli era favorevole all’emulazione, ma si accorgeva che l’intera faccenda aveva preso una brutta piega (grassetto mio):

Ritengo che un’iniziativa di tanta e tale importanza come l’emulazione socialista, incominciata su iniziativa del komsomol e trasformatasi ora in emulazione generalizzata a tutti i lavoratori, debba costituire un metodo reale di coinvolgimento di milioni di lavoratori nella gestione della nostra economia. Invece, molti fra noi ritengono l’emulazione in corso come una semplice campagna di lavoro d’assalto e nulla più. È un errore madornale. La vera emulazione socialista, così come scrisse Lenin, deve costituire un metodo per puntare a coinvolgere sempre di più e sempre più ampie masse di lavoratori, in particolare i giovani, nella gestione della nostra economia33.

Purtroppo, la corsa al rialzo ordinata dalla direzione del partito, il continuo gonfiare degli obbiettivi di piano concordati nell’aprile del 1929 già nel secondosemestre dello stesso anno e per tutto il primo del 1930, in un crescendo di ordini dall’alto sempre più incalzanti, lasciò ben poco spazio a qualsiasi altra istanza che non fosse quella di mettersi e mettere alla frusta tutti per raggiungere tali obbiettivi, insieme a quelli di collettivizzazione coercitiva e di massa e, sul fronte interno, di condanna e completa delegittimazione di Bucharin e degli altri “destri”34. Senza guardare in faccia a nulla e a nessuno:

Si cominciò col lanciare lo slogan: “la pjatiletka in quattro anni”. Era una volta di più una di quelle “parole d’ordine di agitazione” che Stalin riteneva indispensabili per l’opera di direzione. Veniva scritta su striscioni rossi nelle fabbriche e ripetuta nei comizi fra imprecazioni contro i “cacadubbi” della destra, mentre partivano per Mosca “treni rossi”, carichi di produzione “al di sopra del piano”. […] Stalin non si fermò qui: passò all’azione.

[…] La pjatiletka prevedeva che la produzione di ghisa fosse portata da 3-5 a 10 milioni di tonnellate. Era molto, perfino troppo, a detta di molti esperti. Ma nel gennaio 1930 Kujbyšev annunziò la decisione di elevarla a 17 milioni: 10 in Ucraina e 7 nel complesso Uralo-siberiano, entro lo stesso arco di tempo. I potenziali progettati per Kuzneck e Magnitogorsk furono quadruplicati. Nel primo anno (1928-1929) la produzione industriale era aumentata del 20% circa, cioè un po’ meno della previsione programmata (21,4%) ma sempre in modo sostanziale. Si decise allora di farla salire nel secondo anno del 32% […].

La febbre toccò uno dei punti più accesi al XVI congresso del partito (giugno-luglio 1930). […] Nel suo rapporto al congresso Stalin volle un aumento gigantesco degli obiettivi della pjatiletka, affermando che il piano poteva essere realizzato “in tutta una serie di settori industriali” addirittura “in tre e perfino in due anni e mezzo”: non solo quindi ci volevano 17 milioni di tonnellate di ghisa, ma 175.000 trattori, invece dei previsti 55.000, e così pure il doppio del pianificato per i metalli non ferrosi, per le auto, le macchine agricole e via di questo passo. Una volta di più egli non proponeva neanche questi traguardi come una scelta difficile, ma necessaria: al contrario, assicurava che vi sarebbe stata un’analoga crescita per la produzione dei beni di consumo, perché – disse – “noi abbiamo ora la possibilità di sviluppare a ritmi accelerati sia l’industria pesante che quella leggera”.35

L’ultimo punto, peraltro, non si sarebbe realizzato se non trent’anni più tardi, a fronte invece di un’impetuosa urbanizzazione che, nel frattempo, aveva visto crescere gli abitanti delle città di ben 14 milioni di persone, passando dai 26 milioni del 1926 ai 40 del 193236.

Al netto di questo, nonostante lo sforzo enorme e il continuo tamponamento di falle, a questo punto sistemiche e non più occasionali, da parte dei collettivi impegnati nell’emulazione, non solo a fine piano non si capiva più cosa era stato raggiunto e in quale delle versioni approvate via via in corso d’opera (della serie “comunque vada, sarà un successo”), ma il caos economico intersettoriale creava i paradossi di sovrapproduzioni e carenze, di grandiosi complessi a pieno regime e altrettanto grandiose cattedrali nel deserto, con un’infrastruttura dei trasporti al collasso37. Basta poco per creare una situazione di emergenza nazionale e imporre al proprio popolo l’ennesimo giro di vite. Ci torneremo, proprio su questo punto, tra poco. Dal punto di vista del nostro lavoro sull’emulazione socialista, notiamo due punti estremamente importanti:

1. la mobilitazione dall’alto puntava su un’emulazione drogata dallo stesso clima emergenziale creato, ridotta a pochi concetti base, depauperata di quella carica rivoluzionaria che fino ad allora l’aveva contraddistinta, e su cui ci siamo già ampiamente soffermati;

2. la mobilitazione dall’alto presupponeva sempre più l’esistenza di un “partito a due velocità”: da una parte l’élite, “l’ordine dei portaspada” (орден меченосцев, Fratres militiae Christi), dall’altra i galoppini, soldati semplici, nel 1932 giunti a 3 milioni e mezzo di iscritti al partito e 4 milioni e mezzo di giovani del komsomol38. Notiamo una forte discontinuità con la leva leninista precedente, accentuata sia dalla situazione contingente, che dalla concezione particolare di partito di Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Stalin. Entrambi i movimenti sono, infatti, accomunati dall’ingresso in massa di iscritti: ciò che cambia, sostanzialmente, sono modalità e mansioni, laddove nel primo caso è un intero collettivo che “promuove” i suoi elementi migliori a “iscritti”, ovvero “rappresentanti sindacali”, ovvero “quadri intermedi” (caporeparto, capo officina, vice, ecc.), formando quel “triangolo”, come lo definisce Boffa, “rappresentato dal direttore, dall’organizzazione di partito e dal comitato sindacale”39. Qui abbiamo officine e reparti interi che si iscrivono, ma la logica prevalente ormai non è più quella del vydviženie, dell’avanzamento visto non come arrivismo ma nella concezione appena esposta di movimento collettivo di selezione e, insieme, gestione della negoziazione sociale con le altre sfere direzionali e organizzative, bensì quella dell’intruppamento, dell’arruolamento a gruppi: sovente, con la consapevolezza di marcare una linea di appartenenza in un momento dove ovunque, nel Paese, la scelta era un atto dovuto di pubblica demarcazione fra un “con noi” e un “contro di noi”. Con tutti i pro e i contro del caso su cui, anche in questo caso, torneremo fra poco.

Vale la pena approfondire, lavorare su questo punto, perché foriero di alcuni strascichi negativi e, purtroppo, protrattisi in maniera più o meno organica o residuale fino alla fine dell’esperienza sovietica (e in seguito). Anzi tutto, l’espressione “ordine dei portaspada” riferita al partito bolscevico è di Stalin stessosin da tempi non sospetti (1921): “il partito comunista come novello ordine dei portaspada all’interno dello Stato sovietico, dirigente gli organismi di quest’ultimo e animatore della sua attività”40. Si tratta di un passo ulteriore rispetto al modello leninistico di partito-avanguardia del proletariato, a cui apparentemente si richiama: all’aspetto avanguardista si aggiunge, infatti, quello di trasmissione esoterica delle conoscenze e delle informazioni tipico di tali strutture piramidali o a cupola (teutonici, templari, ecc.), insieme a una visione mistico-carismatica del vivere in un’organizzazione comunista che troverà una più compiuta realizzazione dieci anni più tardi.

In questa visione, il nucleo centrale del partito è il vero “ordine dei portaspada”, portatore e custode della missione di custodire il socialismo in un solo Paese dalle minacce interne ed esterne. L’accesso dei verbali delle sedute del CC era non era per niente pubblico, ma limitato a un gruppo ristretto di quadri dirigenti, che facevano parte di questo “nucleo centrale”. All’interno di questo nucleo esistevano altri gradi di ammissione al cerchie ancora più elitarie e ristrette, uniche destinatarie di documenti e risoluzioni coperte dal segreto d’ufficio41.

Tutt’intorno a questo nucleo esclusivo, in funzione di raccordo fra esso e il popolo, si dovevano collocare le cosiddette “cinghie di trasmissione” (приводные ремни), idea staliniana anch’essa non nuova in quanto esposta già il 17 aprile 1923 in occasione del “Rapporto organizzativo del CC del PCR(b) al XII Congresso del PCR(b)”42. Sette anni più tardi due istituzioni fondamentali fino ad allora e ridotte a “cinghie di trasmissione”, ovvero i sindacati e la stessa base del partito, sarebbero diventati l’esercito, il braccio esecutivo, di quanto intrapreso in cabina di regia dai “portaspada”. Ricapitolando: da un lato affermazione di una rigida verticale di potere (culminante nella riproduzione su scala sempre più ampia del principio di “direzione unica”, o edinonačalie - единоначалие), come mai lo era stata nel decennio precedente, dall’altro emulazione ridotta a esprimere la maggior solerzia possibile nell’eseguire i compiti impartiti, nel raggiungere obbiettivi posti dall’alto e, possibilmente, nel superarli. Nasce così, nel giugno del 1930, il “contropiano” (lett. piano d’incontro – nella stessa accezione di “colpo d’incontro” nel pugilato – встречный план)43: nella fabbrica Karl Marx di Leningrado furono annunciati gli obbiettivi e il collettivo si propose di aumentarli, mobilitando forze e risorse supplementari ed elaborando un piano alternativo a tappe ancora più forzate, un “contropiano”, per l’appunto.

La cinghia di trasmissione muove quindi gli ingranaggi dell’emulazione lungo la direttrice decisa dall’alto e il tutto si riduce, di fatto, a un gioco di leve meccaniche per intensificare il più possibile il processo di mobilitazione generale intorno a tale scopo. Identificare questo con il socialismo è stato un errore grave, foriero di altrettante gravi conseguenze.

Nel brano che segue, l’introduzione a un opuscolo sull’emulazione socialista, Stalin per farlo passare, come in certi decreti omnibus di cui la nostra classe politica dovrebbe vergognarsi (ammesso che siano ancora capaci di provare simili sentimenti), lo mescolò astutamente, senza citarlo peraltro, a un argomento leniniano che noi ormai ben conosciamo per averlo letto nelle pagine precedenti, ma che da allora divenne “farina del suo sacco” (nel tentativo di spostare progressivamente lo ipse dixit sulla sua figura), esposta alla sua tipica, binaria, maniera:

Talvolta l’emulazione socialistica la confondono con la concorrenza [che nella riflessione leniniana è, lo ricordiamo, la definizione del fenomeno analogo nel capitalismo N.d.T.]. Si tratta di un grosso errore. L’emulazione socialista e la concorrenza rappresentano due principi assolutamente diversi.

Principio della concorrenza: sconfitta e morte di alcuni, vittoria e dominio di altri.

Principio dell’emulazione socialista: chi è più avanti aiuta, da compagno, chi è rimasto indietro, per andare insieme sempre più in alto.

La concorrenza dice: se uno è a terra finiscilo e rafforza il tuo potere.

L’emulazione socialista dice: alcuni lavorano male, altri bene, altri ancora meglio – raggiungi i migliori e andrete tutti più in alto44.

Tradotto: questa è l’emulazione, lavorare sodo, lavorare sempre meglio, lavorare tutti e – soprattutto – lavorare nella stessa direzione… la mia direzione. Alla faccia di chi aveva capito che le cose non fossero proprio così, che ci fosse anche, soprattutto, qualcos’altro… aveva capito male! Punto. Comunque, con buona pace di Baffone, oggi persino i Rothschild sottoscriverebbero questa versione di emulazione win-win… provate solo a mettere su un motore di ricerca la frase “Nessuno sarà lasciato indietro” e traetene le dovute conclusioni. “Nessuno sarà lasciato indietro”… perché è più comodo stirare le persone quando le si vede dal cruscotto, non dal lunotto.


Note
1A. P. Finarov, “L’emulazione socialista nelle aziende all’inizio della prima pjatiketka (Социалистическое соревнование на предприятиях в начале первой пятилетки)”, Voprosy istorii, n° 6, giugno 1953, p. 37
2P. Dadykin, “Dalla storia del movimento delle brigate d’assalto nell’industria sovietica (1928-1929) (Из истории движения ударных бригад в советской промышленности (1928 - 1929 гг.).)”, Voprosy istorii, n° 9, settembre 1951, p. 19
3Создание молодёжных бригад с самого же начала встретило сильное противодействие со стороны как некоторых хозяйственных руководителей, так и ряда профсоюзных органов. Причиной этого противодействия были не только косность и бюрократизм, имевшие место в некоторых организациях, но в ряде случаев и действительная сложность создания отдельных бригад и смен из молодёжи, ибо для этого зачастую требовались выделение специальных станков, станов, уступов, переброска взрослых рабочих и т. д. Первым ударникам приходилось преодолевать также сопротивление отсталых рабочих, которые, опасаясь снижения расценок и изменения норм выработки, нередко выступали против создания ударных бригад. Ibidem, pp. 19-20
4Lo chiamavano Bulldozer, Italia-Germania O., 1978.
5e relativi “barili”, come in qualsiasi gara di quello sport diffuso a ogni latitudine, chiamato scaricabarile.
6A. P. Finarov, Op. cit., p. 43. et P. Dadykin, Op. Cit., pp. 33, 38
7P. Dadykin, Op. Cit., pp. 33-37, 39
8A. P. Finarov, Op. cit., pp. 36, 38, 41, 46. et P. Dadykin, Op. Cit., pp. 18, 20, 36, 37
9С возникновением социалистического способа производства вступил в силу его основной закон - закон максимального удовлетворения постоянно растущих материальных и культурных потребностей всех членов общества путём непрерывного роста и совершенствования социалистического производства на базе высшей техники. Чем быстрее растёт и совершенствуется социалистическое производство, чем больше развивается передовая техника, тем выше благосостояние трудящихся масс и полнее удовлетворяются их материальные и культурные потребности. Вот почему трудящиеся кровно заинтересованы в росте и развитии социалистического производства. A. P. Finarov, Cit., p. 35.
10E nel cui merito e meccanismi di induzione-coazione non entriamo neppure perché il carattere di “volontarietà” di certi movimenti è accostabile a certe collette “volontarie” dove tutti mettono qualcosa e, quando arriva il tuo turno, davanti a tutti, anche tu, volente o nolente, apri il portafoglio per cercare l’euro.
11Неудачен и конец параграфа: "планомерная организация общественного производительного процесса для удовлетворения нужд как всего общества, так и отдельных его членов". Этого мало. Этакую-то организацию, пожалуй, еще и тресты дадут. Определеннее было бы сказать "за счет всего общества" (ибо это включает и планомерность и указывает на направителя планомерности), и не только для удовлетворения нужд членов, а для обеспечения полного благосостояния и свободного всестороннего развития всех членов общества. V. I. Lenin, Osservazioni alla II bozza di programma di Plechanov (Замечания на второй проект программы Плеханова, 27/03/1902), PSS, vol. 6, p. 232
12Cfr. p. 389
13Пятилетний план развития народного хозяйства СССР обеспечивает такие темпы производства, какие невозможны и недоступны уже капитализму. По темпу своего развития наша промышленность вообще, наша социалистическая промышленность в особенности, обгоняет и перегоняет развитие капиталистических стран.  https://pikabu.ru/story/ktokogo_dognat_i_peregnat_sssr_1933_god_6591533
14Cfr. Marcello Anselmo, “La frontiera porosa. Consumo di massa e consumo informale a Berlino prima del muro”, Passato e presente, n. 75, settembre-dicembre 2008, Milano, Franco Angeli, pp. 57-82.
15 https://www.saechsische.de/ueberholen-ohne-einzuholen-2004374.html
16 https://www.deutsche-digitale-bibliothek.de/item/TXFNDUWSQET4MEETYXGK6GSDVYS2D3CL
17Marcello Anselmo, Il consumatore comandato: Pratiche e immaginario della cultura del consumismo realsocialista. Berlino Est e DDR, Tesi sottoposta alla valutazione per il conseguimento del dottorato in ricerca in Storia e Civiltà dell’Istituto Universitario Europeo, IUE, Firenze, 2007.  https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/6734/Anselmo_2007.pdf?sequence=3&isAllowed=y
18più in generale, anche dell’assenza di un lavoro adeguato di correzione di bozza (relatori... correlatori... dove eravate?): nel brano riportato qui sotto il discorso troppo spesso si ingarbugliava su sé stesso, soffrendo di una mancata, adeguata, rilettura da parte di un esterno. Per questo un intervento importante, non me ne voglia l’Autore che a questo punto è responsabile solo per le parti di traduzione virgolettate, è stato fatto in questo senso da parte mia nel testo riprodotto: su qualche periodo omesso perché lasciato monco, o con refusi, o “zeppa” del tutto incoerente con il filo logico del ragionamento in corso, probabilmente frutto di qualche spostamento di periodi lasciato in parte incompiuto, oppure non reputato sufficientemente chiaro come sviluppo di un ragionamento, con passi lasciati implicitamente alla capacità intuitiva del lettore che, nel mio modesto caso, tanto “intuitivo” non è.
19Ibidem, p. 89, contraddicendosi peraltro con quanto riportato nel periodo subito dopo: se la coscienza di classe si riduce al mero valore d’uso, non ha senso allora focalizzarsi sulla struttura dell’offerta delle merci e la cultura cui essa sottende.
20Ibidem, p. 93. Comprensione dell’irrazionale non significa, nella fattispecie, necessaria razionalizzazione dello stesso, ovvero sua riduzione a fenomeno razionale. In questo senso, tale “fuga in avanti” appare più una forzatura, probabilmente allo scopo di dimostrare l’inutilità di tale sforzo o direzione di ricerca.
21Ibidem, pp. 87-93
22A questo proposito riporto un brano molto interessante ed esplicativo di un altro lavoro: “Un ulteriore passo in avanti può essere compiuto se si riconosce che il legame tra bisogni e prodotti non è diretto, ma passa attraverso una terza categoria: quella di fabbisogno. Il rapporto fra “bisogno” (Bedürfnis) e “fabbisogno” (Bedarf) è stato accuratamente scandagliato nella cultura di lingua tedesca. Tra questi due concetti esistono differenze sostanziali [..]. In particolare, quello di bisogno è un concetto preeconomico, decisamente connotato in senso oggettivo e non necessariamente collegato a un unico prodotto. Il concetto di fabbisogno, viceversa, è direttamente riferito a un prodotto o a un sistema di prodotti, è esprimibile in termini quantitativi e ah una rilevanza economica in quanto si trasforma agevolmente in una domanda a cui associare un’offerta e un adeguato potere d’acquisto. Il fabbisogno può essere inteso come un trait d’union, uno strumento per orientare un bisogno verso un concreto prodotto o sistema di prodotti e presuppone dunque, a differenza del bisogno, l’esistenza di un sistema di prodotti determinato”. Medardo Chiapponi, Cultura sociale del prodotto: nuove frontiere per il disegno industriale, Milano, Feltrinelli, 1999, pp. 53-54.
23Luciano Barca, Dizionario di Politica Economica, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 119
24Medardo Chiapponi, Op. Cit., p. 54.
25Per chi fosse curioso e volesse dare un occhio, i riferimenti bibliografici sono citati.
26einer Sphäre endlich, welche sich nicht emanzipieren kann, ohne sich von allen übrigen Sphären der Gesellschaft und damit alle übrigen Sphären der Gesellschaft zu emanzipieren. Karl Marx, “Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung”, Karl Marx/ Friedrich Engels – Werke, (Karl) Dietz Verlag, Berlin. Band 1. Berlin/DDR. 1976, p. 390
27Karl Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte, MEW Erg. I, S. 539.
28— Как вы смотрите на все происходящее? — спросил его я.
Нехотя, растягивая слова, как бы выдавливая их из себя, он начал:
— Я... я думаю, что будущее будет хорошо. Но хватит ли у вас, у нас, у всего народа сил для такого большого дела?
Я начал было развивать мысль о ходе революции и ее силах.
— Я говорю о моральных, о духовных силах, — перебил он меня. — Культуры нет у нас. Беспомощны мы во многом. От жизни оторваны.
Минут пять говорил на эту тему. Но без увлечения, пожалуй, по-профессорски. По паркетному полу косым лучом скользил блик луны. Через переплет окна виднелась белоснежная полоса Невы, а вдали виднелась Биржа и темнела с блестящим шпилем Петропавловка.
Временами он приподнимался в кресле, наклонялся вперед, и свет освещал одну половину его лица. Вперив взор прямо в мои глаза, он порывисто произнес: — Вас интересует политика, интересы партии; я, мы, поэты, ищем душу революции. Она прекрасна. И тут мы все с вами.
Aa. Vv. Aleksandr Blok nei ricordi dei suoi contemporanei (Александр Блок в воспоминаниях современников), 2 voll., Moksva, Xudožestvennaja literatura, 1980, vol. 2, p. 183.
29Ударничество стало основной формой соревнования масс в годы первой сталинской пятилетки. Ударная бригада была первичным соревнующимся коллективом, членов которого в их работе объединял единый технологический процесс производства. Работа ударной бригады протекала на основе соревнования с другими бригадами, а также внутри самой бригады. P. Dadykin, Op. Cit., p. 20.
30XVI Conferenza del PCU(b), “A tutti gli operai e i lavoratori agricoli dell’Unione sovietica” («Ко всем рабочим и трудящимся крестьянам Советского Союза», 29/04/1929), In Istituto del marxismo-leninismo presso il CC del PCUS, Il PCUS nelle risoluzioni e nelle decisioni dei Congressi, delle Conferenze, e nei Plenum del CC (1898-1988) (Коммунистическая партия Советского Союза в резолюциях и решениях съездов, конференций и Пленумов ЦК (1898-1988)), IX ed., IV vol. 1926-1929, Moskva, Izdatel’stvo političeskoj literatury, 1984, pp. 494-497.
31“Il PCC assume il “Marxismo-leninismo/Pensiero di Mao Zedong/Teoria di Deng Xiaoping/Importante pensiero delle “Tre rappresentanze”/Visione scientifica dello sviluppo/Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi della nuova era” come propria guida per l’azione. 中国共产党以马克思列宁主义、毛泽东思想、邓小平理论、“三个代表”重要思想、科学发展观、习近平新时代中国特色社会主义思想作为自己的行动指南。 Costituzione del Partito Comunista Cinese (中国共产党章程), “Programma generale” (总纲).  http://www.12371.cn/special/zggcdzc/zggcdzcqw/#zonggang
32Eldar Ismailov, Storia del “grande terrore” in Azerbaycan (История «большого террора» в Азербайджане), Moskva, Politiceskaja Enciklopedija, 2015, pp. 118-121.
33Я считаю, что такое величайшей важности начинание, как социалистическое соревнование, начатое по инициативе комсомола и превратившееся теперь в общерабочее соревнование, является действительным методом вовлечения миллионных рабочих масс в управление нашим хозяйством. У нас многие рассматривают проводимое социалистической соревнование как очередную ударную кампанию. Это грубейшая ошибка. Именно социалистическое соревнование — так писал Ленин — надо еще шире, еще больше превращать в метод вовлечения широких масс рабочих, в том числе и рабочей молодежи, в управление нашим хозяйством. XVI Conferenza del PCU(b). Resoconto stenografico (XVI Конференция ВКП(б). Стенографический отчёт), Moskva, Gosudarstvennoe izdatel’stvo, 1929, p. 268
34Cfr. Giuseppe Boffa, Op. Cit., vol. II, p. 58
35Ibidem, pp. 58-59.
36Ibidem, p. 93.
37Ibidem, pp. 132-133, dove si parla di case senza luce a fianco delle nuove centrali elettriche, laminatoi fermi per il 40-45% del tempo, carbone del Donbass estratto sempre meno a causa di martelli pneumatici sempre più fuori uso, convogli ferroviari con una velocità di spostamento media di 4,5 km/h, disordini e povertà nelle campagne, ecc.
38Ibidem, p. 112.
39Ibidem, p. 105.
40Компартия как своего рода орден меченосцев внутри государства Советского, направляющий органы последнего и одухотворяющий их деятельность. in Josif Stalin, “Sulla strategia e sulla tattica politica dei comunisti russi” (О политической стратегии и тактике русских коммунистов, 1921), Opere (Сочинения), Vol. 5, Moskva, OGIZ, p. 71.
41Cfr. Giuseppe Boffa, Op. Cit., vol. II, p. 113.
42Josif Stalin, “Rapporto organizzativo del CC del PCR(b) al XII Congresso del PCR(b)” (Организационный отчет Центрального Комитета РКП(б)XII съезду РКП(б)), Opere (Сочинения), Vol. 5, Moskva, OGIZ, 1947, pp. 197–222.
43Cfr. BSE alla voce corrispondente:  https://slovar.cc/enc/bse/1985253.html
44Иногда социалистическое соревнование смешивают с конкуренцией. Это большая ошибка. Социалистическое соревнование и конкуренция представляют два совершенно различных принципа. / Принцип конкуренции: поражение и смерть одних, победа и господство других. / Принцип социалистического соревнования: товарищеская помощь отставшим со стороны передовых, с тем, чтобы добиться общего подъёма. / Конкуренция говорит: добивай отставших, чтобы утвердить своё господство. / Социалистическое соревнование говорит: одни работают плохо, другие хорошо, третьи лучше,—догоняй лучших и добейся общего подъёма. Josif Stalin, “Emulazione ed elevazione lavorativa delle masse. Prefazione al libretto di E. Mikulin ‘L’emulazione delle masse’)” (Соревнование и трудовой подъем масс: Предисловие к книжке Е. Микулиной “Соревнование масс”, 11/05/1929), Opere (Сочинения), cit., Vol. 12, p. 109.

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Paolo Selmi
Tuesday, 28 July 2020 10:11
Breve PS post-timbro.
Due parole sui Mig, visto che sugli altri due esempi i materiali ci sono già. Sarebbe bello, tra l'altro, investigare a fondo sulla sua concezione.
Il Mig grazie alla sua differente concezione ha una leggendaria manovrabilità, confermata in prima persona sia da un ingegnere aerospaziale sovietico che ho fatto in tempo a conoscere, sia da un guardiano albanese del centro di prima accoglienza dove ho fatto il civile, ex-pilota di caccia che, nella sua vita precedente, era stato uno dei primi richiedenti asilo di inizio anni novanta quando, al comando di sparare sui civili nelle dimostrazioni di piazza che accompagnarono la caduta di Hoxha, atterrò direttamente in Italia chiedendo asilo. L'ultimo a confermarmelo, in ordine di tempo, fu un mio vecchio capo, ex-pilota di F16 convertito alla logistica (ma sempre con la stessa testa da militare). In pratica, tutti mi dicevano che riusciva a risolvere meglio dei nostri alcuni problemi dove in nostri andavano in stallo, compiendo manovre che i nostri non riuscivano a compiere. Poi io resto fermo alla Lada Niva 4x4... :-)

Chicca del guardiano albanese: i Mig gli arrivavano dall'(unico) alleato cinese, con cruscotto, quadri comandi, etichette completamente in cinese, e loro per poterli utilizzare ricorrevano ai manuali in russo, unendo i puntini fra quanto riportato sugli stessi e quanto vedevano davanti a loro. A ulteriore riprova, oltre che dell'ironia della Storia e dell'ingegno umano che consente di cavarsela in (quasi) qualsiasi occasione, anche della facilità, dell'immediatezza di comprensione delle funzioni da parte del pilota che costituiva un'ulteriore "cifra stilistica" della progettazione sovietica. "A prova di gorilla", mi diceva il buon Vladimir, l'ingegnere aerospaziale di cui sopra. Nel senso, a livello ergonomico, funzionale, di collegamento logico-manuale, teorico-pratico, "tutto è al posto giusto", come nota Kalashnikov in una intervista ripresa da youtube recentemente: i movimenti di riarmo sono naturali, così come la sequenza di smontaggio e montaggio, oltre che le fasi stesse.

Ciao
Paolo
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Paolo Selmi
Tuesday, 28 July 2020 08:30
Ciao Alfonso!
Ma certo! Più avanti descrivo due punti a cui questo cambiamento brusco di rotta portò, due punti nodali:
1. "affermazione di una rigida verticale di potere (culminante nella riproduzione su scala sempre più ampia del principio di “direzione unica”, o edinonačalie - единоначалие), come mai lo era stata nel decennio precedente"
2. "emulazione ridotta a esprimere la maggior solerzia possibile nell’eseguire i compiti impartiti, nel raggiungere obbiettivi posti dall’alto e, possibilmente, nel superarli."

Di fatto, è lo stesso movimento di intensificazione che, nell'avvitarsi su se stesso, sradica e si lascia dietro pezzi importanti, concentrandosi fatalmente su quello che ritiene "centrale" fino ad accorgersi che dietro non è rimasto più nulla.

Due esempi velocissimi pre-timbratura riferiti ai rispettivi punti:
1. Proprio ieri ci ha salutato Nina Andreeva (Chi????). Nina Andreeva.
Questa signora qui:
360tv.ru/news/tekst/manifest-antiperestroechnyh-sil/
Il 13 marzo 1988 (1988 NON 1938!!!!) ebbe il coraggio di scrivere una lettera su Sovetskaja Rossija, dove criticava la cosiddetta "perestrojka", che di ristrutturazione non aveva nulla, e un certo antistalinismo in voga in quegli anni (si badi, non l'antistalinismo che era patrimonio condiviso dei giovani di allora, fra cui anche lei non faceva eccezione perché toccata in prima persona, legato - per esempio - alle repressioni e alle uccisioni dei parenti) che identificava in quella figura il socialismo sovietico tout court (e concludeva: è ora di cambiar pagina). Risultato: licenziamento, isolamento, attacchi da ogni dove... tipico esempio di "glasnost'" a senso unico.
La pagina di Sovestkaja Rossija si trova scorrendo l'articolo, una pagina ingiallita di giornale dove c'è scritto a caratteri cubitali "Non posso scendere a compromessi coi principi" (НЕ МОГУ ПОСТУПАТЬСЯ ПРИНЦИПАМИ)
Il testo originale si trova qui: http://revolucia.ru/nmppr.htm

Andava oltre, nella sua lettera, Nina Andreevna: "Al centro di molte attuali discussioni, almeno così a me sembra, si pone sempre la stessa domanda: quale classe e quale strato sociale è la forza dirigente e mobilitante della "ristrutturazione"? (В центре многих нынешних дискуссий, как мне представляется, стоит тот же вопрос - какой класс или слой общества является руководящей и мобилизующей силой перестройки?)
Aveva capito tutto e non poteva non lanciare il suo grido d'allarme.

Ma era solo lei. I sindacati non fecero un'ora di sciopero, nessuno fece dimostrazioni in piazza. Su questo "coro di salmodianti" troverai un passo nella prossima puntata (qualche decina di pagine dopo queste).

2. La rinuncia a creare un produttore-consumatore consapevole porterà a inseguire l'Occidente sugli stessi modelli di consumo. E a perdere. Tre eccezioni che ti cito al volo:
- AK47, ne parlo nella prossima puntata
- Il caccia di tipo MIG
- la prima ZENIT (ne parlo nella mia breve storia della fototecnica sovietica FOTOGLAZ)
https://www.academia.edu/23481893/FOTOGLAZ_Epopea_fotografica_sovietica_e_mutamenti_del_valore_d_uso_fotografico
Tre eccezioni, tre modi di affrontare lo stesso problema dell'occidente in modo diverso da come gli ingegneri occidentali lo avevano impostato. Il paradosso della penna a sfera nello spazio che potesse funzionare anche in assenza di gravità... risolto dalla matita, il cui grafite non ha problemi di restare su carta anche a testa in giù. In un'economia di piano, risolvere un problema in un modo piuttosto che in un altro comporta liberare risorse aggiuntive per utilizzi immediatamente sociali, peraltro.
So che son più domande che risposte, ma ora devo proprio scappare al timbro.
ciao!
paolo
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Alfonso
Monday, 27 July 2020 23:18
Paolo, potresti elaborare meglio su "Identificare questo con il socialismo è stato un errore grave, foriero di altrettante gravi conseguenze"? Trovo 'identificare' reale, vero. Siccome non è faccenda teoretica, ma provarne la verità attiene alla pratica sociale complessiva, anche definirlo 'errore' va visto dialetticamente. Se hai voglia. Altrimenti, sono pronto a beccarmi tutte le tegole che la circostanza richiede. Grazie
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