Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Appunti per un rinnovato assalto al cielo. IX

La fabbrica dei soldi: sulla crescente finanziarizzazione dell’economia cinese

di Paolo Selmi

primaimm selmiAffrontiamo ora un argomento ancora più complesso dei precedenti, ma di vitale importanza ai fini del nostro lavoro: l’attuale politica economica cinese in materia di finanza. Abbiamo già accennato alle restrizioni agli investimenti esteri che NON provengano dal suo Stato satellite Hong Kong (quasi il 75% da solo), e dalle affini Taiwan e Singapore.

Il dato che emerge, quando OLTRE TRE QUARTI DEGLI “INVESTIMENTI ESTERI” IN TERRA DI CINA PROVENGONO DA “ECONOMIE DI TRANSITO”, non lascia adito a molte ambiguità interpretative: veri e propri meccanismi di filtraggio (e riciclaggio per e da destinazioni off shore) mostrano il lato oscuro di un capitalismo già opaco di suo, permeato da regole il più delle volte non scritte e tese unicamente alla massimizzazione dei profitti e al loro immediato occultamento da parte di tutti i soggetti politico-economici coinvolti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Consideriamo ora il lato più “trasparente”, esplicito, di quella che può definirsi una finanziarizzazione progressiva dei profitti industriali e commerciali in atto. La gestione centralistica da un lato e la logica capitalistica dall’altro trovano, infatti, la loro esemplificazione proprio nel mercato finanziario: creditizio, valutario, di risparmio, azionario1 . Non è un caso che, oggi, i proventi del terziario in Cina superino di gran misura gli altri due settori messi assieme come ammesso dalle stesse statistiche ufficiali2 :

PIL 2017 per settori

miliardi di RMB

equivalente in miliardi di EUR

Percentuale

PRIMARIO

6.546,76

844,67

7,92%

SECONDARIO

33.462,26

4.317,34

40,46%

TERZIARIO

42.703,15

5.509,61

51,63%

TOTALE

82.712,17

10.671,63

 

Questi dati andrebbero accompagnati da altri, non ufficiali, che vedono la quota dei “servizi finanziari” sul totale dei profitti economici accumulati ammontare a ben l’80%3 . Niente è più volubile delle statistiche in un Paese di cui, fra le poche eredità ex-sovietiche rimaste rimangono, per l’appunto, le modalità poco trasparenti di raccolta ed elaborazione dei dati. Tuttavia, prima o poi i fatti parlano da soli e, la tendenza attualmente dominante, non è certo quella opposta ai fatti riportati. Parliamo quindi di borsa o, meglio, di borse: un vero e proprio “triangolo d’oro” quello che unisce Shanghai, Shenzhen e Hong Kong.

La borsa di Shanghai e quella di Shenzhen sono state fondate entrambe nel 1990 (il caso di Shanghai, in realtà, fu un ripristino di un’attività iniziata nel 1860 e “sospesa”, è il caso a questo punto di dire, dal 1949) e costituiscono l’ossatura del mercato finanziario legale cinese, ciascuna con il proprio indice, entrambe sottoposte a gestione da parte dell’autorità statale di controllo preposta4 . Due sono i tipi di azioni coinvolte: A e B. La compravendita delle azioni A avviene in RMB, quella di azioni B in USD. Per i primi 10 anni le azioni A furono precluse ai capitalisti stranieri, dal 2001 non è più così. Una volta vi era anche una differenziazione per aziende quotate, oggi a livello governativo si medita – e da tempo – la fusione dei due mercati, ormai distinguibili solo per la diversa valuta impiegata, mentre le limitazioni agli investitori stranieri stanno via via perdendosi per strada.

Nel 2009 la Borsa di Shanghai ha raggiunto e superato quella di Tōkyō per volume di scambi, divenendo la seconda borsa al mondo per questo indicatore. La borsa di Shenzhen, a fronte di una minore capitalizzazione e del minore volume di scambi, raccoglie tuttavia le imprese cinesi a maggior contenuto tecnologico.

Veniamo quindi alla borsa di Hong Kong: nasce ufficialmente nel 1947 come risultato della fusione di due borse più antiche (fondate rispettivamente nel 1891 e 1921) e catalizza, nel tempo, l’incorporamento di altre strutture analoghe fino alla configurazione attuale, datata 2000, dal nome Hong Kong Exchanges and Clearing Limited (HKEX): un conglomerato che ha conferito, da allora, un notevole impulso all’afflusso di capitali stranieri, che godono in questo istituto di qualsiasi possibilità di movimento con oltre 8.500 diversi strumenti a loro disposizione.

Una peculiarità della borsa di Hong Kong è la forte partecipazione di aziende cinesi. I dati del 20175 ci mostrano come, su 2118 aziende registrate, 1051 (il 49,62%) provengano dalla RPC. Questo dato va accompagnato a un altro, egualmente importante. Dell’altra metà di aziende registrate, la stragrande maggioranza è di Hong Kong. Questa era la situazione registrata a ottobre 2016, sostanzialmente invariata rispetto ai dati più aggiornati:

PAESE

AZIENDE REGISTRATE

%

RPC

989

50,59%

HK

856

43,79%

ALTRI

110

5,63%

TOTALE

1955

100,00%

Occorre infine notare come, degli “altri” che compongono il 5% restante delle aziende registrate alla borsa di Hong Kong, la parte del leone la facciano aziende del sudest asiatico. Andiamo ora alle quote di capitalizzazione sul totale del listino principale (main board, ben 33.718 miliardi di HKD nel 2017, pari a 3 mila 691 miliardi di euro)6 :

  • l’11,44% è detenuto dal colosso privato delle telecomunicazioni, net-economy e industria telefonica Tencent Holdings (腾讯控股有限公司)7 ,

  • seguita dalla statale China Construction Bank Corporation (中国建设银行 o CCBC) con il 5,13% delle sole azioni H (ovvero quotate a Hong Kong),

  • dalla britannica (non ci si lasci ingannare dal nome, anche se nulla è per caso) Hongkong & Shanghai Banking Corporation (HSBC)8 con il 4,82% e

  • dalla statale China Mobile Ltd (中国移动通信), il maggior colosso telefonico al mondo dopo Vodafone con il 4,81%.

  • A parte questi quattro soggetti che, da soli, detengono oltre 1/4 dell’intera capitalizzazione della borsa di Hong Kong, forte e fitta per partecipazione è la presenza delle banche cinesi, che utilizzano Hong Kong come porta da e per il mondo esterno.

A quanto sopra accennato, si aggiunga il fatto che il governo centrale di Pechino ha messo in piedi dal 2014 un grandioso progetto, chiamato Stock connect, teso a unire i tre mercati borsistici in un unico, grande, aggregato. Il tutto è avvenuto in maniera “bilaterale”:

  • lo Shanghai-Hong Kong Stock Connect (沪港通) prende il via nel 2014,

  •  seguito nel 2016 dallo Shenzhen-Hong Kong Stock Connect (深港通 ).

Come nota Goldman Sachs in una sua brochure,

  • 2.600 miliardi di dollari di capitalizzazione9 , il secondo al mondo dopo il NYSE (18.900 miliardi di dollari), per

  • un volume di scambi giornaliero di 85 miliardi di dollari,

  • 1450 aziende quotate nella Cina continentale (569 a Shanghai e 881 a Shenzhen) ora accessibili anche da fuori e

  • tutto il listino di Hong Kong liberamente disponibile ai capitalisti cinesi, con

  • una sempre maggiore convertibilità fra azioni di tipo H (ovvero quotate a Hong Kong) e di tipo A+B (qui denominate per comodità solo A, ovvero quotate nella Cina continentale)10 : una riforma, quest’ultima, pari soltanto per importanza – da parte ovviamente del Capitale – a quella occorsa fra il 2005 e il 2007 delle azioni di tipo A, divenute trattabili sul mercato.

Un altro dato recente: I LIMITI, da un mese a questa parte, dei volumi di scambi concessi dai “compagni” in questo enorme mercato delle vacche sono state DI COLPO PIU’ CHE QUADRUPLICATI: infatti, sia per lo Shanghai-Hong Kong Stock Connect, che per lo Shenzhen-Hong Kong Connect, dal 1 maggio 2018 la quota giornaliera di volume di scambi ammessi passa

  • da 13 miliardi di RMB (1,7 miliardi di EUR) a 52 miliardi (6,8 miliardi di EUR) nella direttrice Sud-Nord (ovvero da Hong Kong a Shanghai) e

  • da 10,5 miliardi di RMB (1,37 miliardi di EUR) a 42 miliardi (5,49 miliardi di EUR) nella direttrice Nord-Sud (l’inverso),

  • entrambi da moltiplicarsi per due visto che sono tetti validi per ciascuna delle due singole unioni borsistiche11 .

Considerando quindi quei 70 miliardi grosso modo di EUR (gli 85 miliardi di USD sopra citati) di volume di scambi quotidiano, oltre un terzo degli stessi, già oggi, può liberamente fluttuare dentro e fuori dai confini della Cina continentale.

Interessante, da un punto di vista strettamente marxistico, è notare la composizione del portafoglio investimenti resi possibili ai capitalisti stranieri:

tab husson2

tab husson3a

Oltre un terzo delle aziende su cui si può giocare in borsa a Shanghai appartengono al settore finanziario, un quinto di quelle di Shenzhen appartiene invece al settore IT, i “titoli tecnologici”, come li descrivono nei telegiornali. In altre parole, il capitalismo cinese punta su un deciso afflusso di capitali, non importa di quale provenienza, sui settori che ritiene a più alta redditività (e volatilità): in altre parole, non solo non si cerca di limitare, ma si favorisce quel ciclo di produzione e riproduzione di una merce particolare, il denaro, fu-“equivalente universale” e fu-”strumento di misura del valore e del risparmio” in un sistema socialistico, che innesta a sua volta circoli viziosi, assolutamente viziosi, di accumulazione e drenaggio di capitali

  • da settori produttivi a settori improduttivi,

  • dall’industria alla rendita,

  • dal reinvestimento dei profitti in loco alla fuga di capitali all’estero.

Per chi avesse qualche dubbio sullo scopo ultimo di questa politica, tesa a rendere il “triangolo d’oro” Shanghai-Shenzhen-Hong Kong la piazza principale a livello mondiale del mercato borsistico-valutario, superando in prospettiva New York, spero che quanto accennato aiuti a comprendere che non stiamo parlando di edilizia economia popolare per i senza passaporto (e diritti) di Shanghai o dello sviluppo dell’industria e dell’agricoltura in Tibet o nello Xinjiang.

Ma come si è giunti a questo? Chen Yun (陈云 1905-1995), anziano dirigente del PCC, qualche anno dopo l’inizio delle riforme, mentre noi vincevamo i mondiali del 1982, parlava di “teoria dell’uccellino in gabbia” (鸟笼子理论) dove la gabbia del “piano” socialistico avrebbe dovuto limitare i movimenti di quell’uccellino dato dal “mercato” capitalistico: un’allegoria semplice che racchiude in un’immagine volumi di dibattito su incentivi economici e socialismo, su meccanismi di mercato in un’economia di piano, su centralizzazione e decentralizzazione della res aeconomica.

Oggi, a quarant’anni dall’inizio delle “riforme”, i ruoli sono completamente ribaltati. In questi quarant’anni, abbiamo assistito al boom economico, con tassi di crescita a due cifre, dato da un’economia scopertasi fabrica mundi e letteralmente esplosa. Abbiamo quindi assistito, con l’inizio del nuovo millennio, al progressivo ridimensionarsi di tale crescita. Potrebbe profilarsi, in qualcuno, e alla luce di quanto scritto in precedenza, la “pazza idea” di applicare alla RPC la caduta tendenziale del saggio di profitto e la conseguente finanziarizzazione di un’economia ormai votata a espandersi in cerca di nuovi sbocchi sul mercato mondiale. Un’idea tutt’altro che pazza. Anche perché, altre spiegazioni correntemente date al fenomeno, fanno decisamente più acqua.

Per esempio, c’è chi parla di progressiva saturazione di merci cinesi sul mercato mondiale: come sappiamo da quanto già analizzato nei primi capitoli di questo lavoro, lungi dall’essere satura, la “pattumiera mondosi sta riempendo sempre più di “plasticume” di ogni genere, prodotto per la stragrande maggioranza in Cina; tale tendenza è incentivata ulteriormente dall’azione diretta di apertura e ampliamento di quote di mercato e di surplus commerciale lungo la cosiddetta “nuova via della seta”; pertanto, il ragionamento di una minor crescita dovuta a una progressiva saturazione tiene sino a un certo punto.

C’è anche chi sottolinea gli aumenti salariali gentilmente concessi negli anni, tali da rendere meno da fame le buste paga degli operai cinesi, ma anche meno competitivi i loro prodotti rispetto a quanto prodotto in Bangladesh, per esempio: anche in questo caso, il ragionamento tiene fino a un certo punto. Vale non solo quanto già accennato sulla differenziazione dei redditi su base “provinciale” - laddove per province si intendono territori grandi come uno Stato – e le notevoli diseguaglianze che ne conseguono12 , ma anche il fatto che, laddove gli stipendi operai raggiungono la “stratosferica” cifra (rispetto alla media nazionale) di USD 450 al mese, come nella fabbrica di Shanghai degli I-phone13 , il saggio di sfruttamento è tale, in termini di ricarico sul prodotto finito, da renderlo comunque estremamente competitivo e irrealizzabile in altri contesti, dove il costo del lavoro è anche inferiore ma non sussistono le condizioni necessarie alla sua produzione di organizzazione, sicurezza e disciplina tipiche del quartiere-bunker summenzionato. Infine, non dimentichiamo che il colpo è stato debitamente assorbito, dal capitale cinese, modificando la propria linea di produzione non nel Tibet, non nello Xinjiang, ma realizzando a loro volta outsourcing ancora più lumpen in Bangladesh14 , Birmania e, attualmente, in Africa15 , dove i salari sono 15 volte (sic!) inferiori il salario medio cinese.

Pertanto, questi due rapporti di causa-effetto, sono sicuramente veri, ma appaiono più come concause di una situazione strutturalmente legata a ben altre dinamiche macroeconomiche. Infatti, il rallentamento della crescita economica cinese ha svelato una ben più sottaciuta (per ovvi e comprensibili motivi) contraddizione: quella fra capitale pubblico e capitale privato la cui intensità, negli anni, non ha fatto altro che acutizzarsi. Analizziamola nel dettaglio. Dati ufficiali16 ci parlano di un settore privato di

  • 93,1 milioni di imprese che contribuisce a

  • oltre il 60% del PIL e

  • a metà del gettito fiscale complessivo,

  • a oltre l’80% dei posti di lavoro totali (341 milioni di lavoratori, tendenza in aumento, visto che erano oltre il 90% di quelli creati lo scorso anno) e

  • a oltre il 70% dell’innovazione tecnologica.

Aziende che, secondo alcune stime, guadagnano tre volte tanto quelle statali17 : fino a poco tempo fa, lo sviluppo delle forze produttive era garantito da un compromesso fra settori statale e privato. Il primo, si era ricollocato sulla fascia alta del settore industriale, quello “pesante” teso a fornire al “leggero” infrastrutture, servizi, finanziari e non, energia a prezzi, ovviamente, di monopolio: inutile dire da cosa nasceva il suo profitto18 . L’uccellino in gabbia era divenuto una gallina dalle uova d’oro, verrebbe da dire, posta al livello intermedio di una catena di sfruttamento che vedeva il lavoratore cinese sul gradino più basso, quindi le imprese private che ne prelevavano la loro quota di plusvalore, e le imprese statali sul gradino più alto che si portavano a casa la loro fetta, dimenticandosi in quel momento il loro carattere pubblico (indispensabile quando si trattava di socializzare le perdite) e inventandosi un illegittimo carattere privato che faceva sparire, privatizzava i profitti: difficile spiegare altrimenti una situazione debitoria ottenuta in regime di monopolio dei prezzi: campo, questo, in cui noi italiani dovremmo con orgoglio (o vergogna) rivendicare il nostro primato assoluto.

Questa catena di sfruttamento, tuttavia, era dialetticamente anche una catena di dipendenza:

  • il lavoratore dipendeva dal capitalista privato per vivere, ma il capitalista privato dipendeva dal lavoratore per generare profitto;

  • il capitalista privato dipendeva da quello pubblico, fornitore di servizi, per vivere, ma quest’ultimo dipendeva da quello privato che glieli acquistava senza colpo ferire (e schiacciando ulteriormente il costo del lavoro per continuare a marginare il proprio utile).

Il problema sorse quando il saggio di profitto diminuì, la crescita rallentò, la coperta divenne improvvisamente corta e l’intero meccanismo di sfruttamento del plusvalore prodotto dal lavoratore cinese minacciò di incepparsi. Il problema sorse perché le classiche misure repressive, che accompagnarono le “campagne” dei primi decenni della storia della RPC, risultavano allora inapplicabili. Infatti, fra il miliardo e rotti (oggi oltre 1.400 milioni) di abitanti del Celeste impero, la nuova borghesia annoverava fra le proprie fila decine e decine di milioni di galline dalle uova d’oro: oggi queste galline sono 116 milioni, 116 milioni di persone con un reddito superiore ai 21 mila USD all’anno (nel 2000 erano solo 2 milioni)19 , 116 milioni di padroni entrati in tutti i gangli delle istituzioni (membri del partito, amministratori locali, provinciali e nazionali) e con cui fare ora i conti, altro che “rieducazione attraverso il lavoro manuale” (劳动教养 )! Anzi, proprio sulla loro capacità di acquisto (sic!) il capitalismo monopolistico di Stato ha puntato per aumentare la domanda interna e rilanciare il ciclo di produzione e riproduzione della merce. Tuttavia, assistiamo a una contraddizione fondamentale: come faccio a consumare di più se guadagno di meno?

Già dieci anni fa assistemmo, quindi, alla prima implicita evidenza di una situazione fuori controllo, almeno, per quello che un socialista dovrebbe intendere come controllo macroeconomico in un modo di produzione socialistico: la mente ritorna, con i ricordi, alla simpatica immagine che fu allora elaborata dell’elefante che guida la bicicletta (骑在自行车上的大象); se il pachiderma rallenta troppo, il suo capitombolo non passa inosservato, insieme al cratere da cui raccoglierlo. Questa immagine era opera di presunti economisti cinesi che, per l’appunto nel 2007, ponevano in evidenza questo problema non tanto nelle loro pubblicazioni, tese ufficialmente a tessere lodi al potere, quanto in quei fastidiosi spifferi di corridoio che ogni tanto arrivano a orecchie “straniere”, in tutti i sensi, che ci scrivevano sopra un libro20 .

Dal momento in cui le imprese statali ebbero meno da “mungere” per finanziare il loro passivo, lo Stato si trovò di fronte a un’imprevista necessità di porre rimedio a situazioni debitorie crescenti e non più sostenibili così come, allo stesso tempo, all’imperativo vitale di continuare a far correre il pachiderma, pardon, l’economia. Tuttavia, a dieci anni di distanza, quell’elefante non ha ancora imparato a frenare e a stare sui pedali in surplace e continua a sterzare, col suo velocipede impazzito, di qua e di là per la cristalleria… il fatto poi di essere l’unico detentore delle maggiori leve economiche di un capitalismo monopolistico di Stato creato su misura senza condizionamenti di sorta, non lo aiuta affatto, anzi.

Accorpamenti fra i colossi statali (dai 117 del 2012 ai 98 attuali21 ) consentirono iniezioni di liquidità importanti, insieme alla solita politica successiva di taglio dei rami secchi, cessioni, riduzione dei posti di lavoro e tutto il corredo nuziale a cui noi nell’Occidente capitalistico siamo da secoli abituati; loro, forse, un po’ meno. Il tentativo di accorpamento del conglomerato statale Tonghua Ferro e Acciaio da parte della Jianlong macchinari pesanti22 , compagnia privata sia pur guidata da “compagni” dirigenti nazionali del partito23 , nel 2009 si risolse con una rivolta e uccisione finale del manager inviato in missione a spiegare la “necessità” di tagliare i 25.000 esuberi (su un totale di 30.000) individuati. Esecuzioni sommarie a parte, tale tendenza continuò negli anni, accentuata anche dalla successiva apertura a capitali stranieri; attualmente, la stragrande maggioranza delle imprese statali (il 68,9%) si è già trasformata in “partecipata” e la percentuale è in aumento24 .

Concentrazione di capitale, apertura agli investitori, quotazione in borsa, investimenti in giro per il mondo, speculazioni su beni mobili e immobili: abbiamo dimenticato qualcosa? Assolutamente si, abbiamo dimenticato la madre di tutte le misure operate dai governi centrali capitalistici per coprire le magagne dei propri conti pubblici. La più importante delle contromisure adottate per tenere in equilibrio il povero elefante altro non fu che la produzione di debito25 .

Il debito complessivo cinese, ovvero comprendente il totale di quattro settori fondamentali (statale, bancario, non finanziario, immobiliare) ammontava

  • nel 2002 a 2,1 miliardi di dollari USA.

  • Nel 2007 era già salito a 7,4 miliardi e

  • quasi quadruplicato sette anni dopo (28,2 miliardi nel 2014)26 .

Se nel 2007 era equivalente al 158% del PIL, nel 2014 era pari al 282% (la media mondiale in quegli anni era, rispettivamente del 269% e del 286%). Oggi la stima del FMI è che sia ampiamente oltre il 300%27 . E l’indebitamento non può che aumentare, visto che per coprire un debito superiore al PIL del 300% servirebbe una crescita minimo del 15% (contro il 6,9% circa effettivo28 ), che con un tasso di crescita del 6,9% il costo del denaro dovrebbe aggirarsi intorno al 2% annuo ma ciò non accade (la Banca Popolare di Cina presta denaro al 4% che poi diviene 7-8% come tasso di interesse finale a quelle imprese che dovrebbero essere invece sostenute). Inoltre, il solo debito aziendale (corporate debt per gli anglofoni) corrispondeva nel 2017 al 169% del PIL, in preoccupante crescita dal 125% del 2014 e dal 72% del 2007.

Ma andiamo oltre: c’è anche chi sostiene che il PIL cinese nelle statistiche ufficiali sia volutamente gonfiato29 , e di almeno un terzo. Questo significa che il saggio di crescita del PIL del 2017 sarebbe stato del 4-4,5% e che il rapporto deficit/PIL potrebbe superare anche il 400%. Al netto di questa osservazione, c’è da tener conto di un altro fattore: il settore bancario “ombra”, quello che esula dalle statistiche, perché operato da istituti finanziari extra-bancari (assicurazioni, fondi di investimento) o bancari stessi (operazioni dette “fuori bilancio”30 ). Settore illegale, in Cina, ma tollerato perché generatore di credito laddove “tecnicamente” non possibile, o non concesso, generando (come sempre accade, finché le cose andavan bene), un circolo virtuoso di crescita di PIL che, a sua volta, costituiva una delle migliori garanzie di saldo del debito: oggi che il PIL cresce meno non è più così, dal momento che due libri mastri per una banca significa avere una contabilità troppo ballerina, con esposizioni talmente rischiose per lo Stato da imporre contromisure. Ebbene, a fine 2017 quanto si riusciva a stimare di questo settore “ombra” ammontava a 9.700 miliardi di USD31 , quest’anno è in diminuzione, grazie a politiche restrittive di Pechino ma pur sempre al 79,3% del PIL32 (e la sensazione, vista l’esplosione della concessione di crediti “ufficiale”, è che il debito si sia solamente spostato “dal buio alla luce”). Aggiungiamo tutte queste situazioni debitorie e arriviamo a una situazione di rapporto deficit/PIL almeno intorno al 450%! Ecco che, in questa luce, appare chiaro anche come un ulteriore inconveniente (per esempio anche un minimo danno provocato da un aumento daziario in una guerra commerciale), pur non generando – nell’immediato - danni apparentemente gravi, rischia di far saltare dalla sella il povero elefante.

Ecco quindi che dove non arriva il PIL, dove non arrivano gli investimenti interni, a tenere in piedi l’elefante i dirigenti cinesi contano, sperano, che arrivi la borsa: il “triangolo d’oro” Shanghai-Shenzhen-Hong Kong, per l’appunto. Anche da questi elementi appare chiaro, quantomeno, come la direzione intrapresa a livello di politica economica dal “capitalismo con caratteristiche cinesi” vada in verso diametralmente opposto a quello di una maggiore socializzazione dell’economia e di una costruzione dei presupposti materiali per una transizione al socialismo: ovvero, ciò per cui il buon Vladimir Il’ič Lenin aveva teorizzato la necessità della fase di capitalismo di Stato in URSS nel periodo della NEP, “perché il socialismo non è altro che il passo avanti che segue immediatamente il capitalismo monopolistico di Stato. O, in altre parole: il socialismo non è altro che il monopolio capitalistico di Stato messo al servizio di tutto il popolo e che, in quanto tale, ha cessato di essere monopolio capitalistico33 .

Inizialmente non era stato così. La borsa era stata, fondamentalmente, uno dei tanti strumenti di investimento che accompagnavano la crescita economica cinese. Nel 2007, ben prima della crisi mondiale, quindi, era occorsa la prima esplosione degli investimenti borsistici (118,7 milioni di conti, riconducibili a 40 milioni di persone fisiche)34 . Il 2007 fu anche l’anno della prima crisi, esattamente il 27 febbraio, il giorno dopo un aumento improvviso di 3000 punti dell’indice Shanghai Composite, seguito da una caduta del 9% (“è il capitalismo, bellezza”, verrebbe da dire). L’8 luglio 2015, durante una crisi ancora più grande, anch’essa preceduta da una crescita importante (150%) nei dodici mesi precedenti, andarono in fumo 3 mila miliardi di dollari (l’equivalente di due PIL annuali russi, nota il buon Katasonov). Anche in questo caso, il governo intervenne a mettere pezze, ma si guardò bene dal prendere contromisure di fronte all’emergere sempre più evidente di contraddizioni dovute all’eccesso di surriscaldamento di un mercato drogato dalla speculazione. Lo stesso accadde all’inizio del 2016: il mercato borsistico tenne soltanto perché i maggiori attori, i colossi capitalistici statali e privati e le quattro maggiori banche statali, detenendo circa il 70% del totale delle azioni, caddero in piedi. Tutto questo mentre, in quel casinò, morivano piccoli e medi investitori, e si producevano danni nell’economia reale che nessuno si sognava di riparare.

Ancora una volta, il PCC poteva scegliere se ghettizzare questi giocatori d’azzardo, riducendone la possibilità di far danni35 , o continuare ad aumentarne il potere, rendendo la Cina la più grande piazza borsistica mondiale, al fine di attrarre quegli investimenti che gli sarebbero serviti per tenere in piedi l’elefante, anche se nel frattempo era diventato qualcos’altro, anche se due minacce aleggiavano (e aleggiano tutt’ora):

  1. aumentando la capitalizzazione, un eventuale tonfo borsistico questa volta avrebbe tirato giù di sella anche quell’elefante per cui si diceva di voler compiere questo passo;

  2. se si volevano attrarre capitali stranieri, questa volta i trucchi escogitati per tenerli fuori dalle leve del potere non sarebbero funzionati. Avremmo assistito, pertanto, a un’integrazione fra capitalisti cinesi (statali e non) e capitalisti stranieri a livelli ancor maggiori degli attuali.

Come abbiamo visto, il PCC scelse la seconda strada: oggi il suo “socialismo” si regge su quella crescente finanziarizzazione le cui briciole vengono drenate dalle autorità cosiddette “di controllo” per mantenere quelle minime promesse di benessere assicurate ai cittadini, mentre il “triangolo d’oro” è la seconda piazza borsistica al mondo, in crescita continua e con la prospettiva di diventare la prima.

Forse, ci aveva visto giusto, ancora una volta, Vladimir Il’ič Lenin:

Ed ecco, un anno è trascorso; lo Stato è nelle nostre mani, ma ha forse funzionato a modo nostro, nelle condizioni della nuova politica economica? No. Noi non vogliamo riconoscerlo: non ha funzionato a modo nostro. E come ha funzionato? La macchina sfugge dalle mani di chi la guida; si direbbe che qualcuno sia seduto al volante e guidi questa macchina, che però non va nella direzione voluta, quasi fosse guidata da una mano segreta, illegale, Dio solo sa da chi, forse da uno speculatore o da un capitalista privato o da tutti e due insieme. Il fatto è che la macchina va non nella direzione immaginata da chi siede al volante, anzi talvolta va nella direzione opposta36 .


(Continua... Qui, qui, qui quiquiqui,qui e qui le puntate precedenti)

Note
1 Materiali tratti da questo lavoro di Katasonov: http://ruskline.ru/opp/2018/mart/07/fondovye_ambicii_kitaya/
2 http://data.stats.gov.cn/english/easyquery.htm?cn=B01
3 “More than 80 per cent of economic profit comes from financial services – a distorted economy.” https://www.mckinsey.com/mgi/overview/in-the-news/china-faces-a-choice-modernise-or-risk-a-very-hard-landing
4 La Commissione di gestione e controllo azionario di Cina (中国证券监督管理委员会 ), acronimo inglese CSRC (China Securities Regulatory Commission), creata sulla falsariga della statunitense SEC.
5 HKEX Fact Book 2017, https://www.hkex.com.hk/-/media/HKEX-Market/Market-Data/Statistics/Consolidated-Reports/HKEX-Fact-Book/HKEX-Fact-Book-2017/FB_2017.pdf?la=en
6 Ibidem, p. 23
7 Qualche informazione qui https://it.wikipedia.org/wiki/Tencent_Holdings
8 “HSBC Group’s aim is to be the world’s leading international bank. As a subsidiary of the HSBC Group, the group applies a disciplined approach in managing its portfolio of businesses to focus on areas where it has a clear competitive advantage. The Group has set clear strategic actions to capture growth opportunities arising from (i) fast-growing trade corridors and (ii) increasing wealth creation in our priority growth markets. These include delivering growth from our international network, capturing opportunities from the Belt and Road Initiative, extending our market-leading capability in renminbi products, and specific plans to prioritise and accelerate investments in Association of Southeast Asian Nations countries, the Pearl River Delta, and our Insurance and Asset Management businesses in the region. We will continue to implement HSBC Global Standards as a competitive advantage and to increase the quality of earnings.” (Dal rapporto 2017 https://www.hsbc.com/-/media/hsbc-com/investorrelationsassets/hsbc-results/2017/annual-results/the-hongkong-and-shanghai-banking-corporation-limited/180320-annual-report-and-accounts-2017.pdf )
9 http://www.goldmansachs.com/our-thinking/pages/stock-connect-infographic/index.html
10 https://www.reuters.com/article/china-stocks-hongkong/hong-kong-shares-power-to-decade-high-on-h-share-reform-idUSL4N1OX0YO
11 http://www.hkexnews.hk/listedco/listconews/sehk/2018/0411/LTN20180411203.pdf
12 http://www.chinabankingnews.com/2018/02/26/shanghai-beijing-zhejiang-province-top-chinas-new-per-capita-income-list/
13 Qualche informazione nei link che seguono:
https://it.businessinsider.com/qa-with-an-iphone-factory-worker-at-pegatron-changshuo-in-shanghai-2017-4/?r=US&IR=T ; video completo qui: https://www.youtube.com/watch?v=5ItLIywwepY
https://www.theguardian.com/technology/2017/jun/18/foxconn-life-death-forbidden-city-longhua-suicide-apple-iphone-brian-merchant-one-device-extract
14 https://www.bbc.com/news/business-19394405
15 http://english.cctv.com/2016/08/12/ARTIurXVIZZO1JTRdAvsLKwx160812.shtml
16 http://www.chinadaily.com.cn/a/201803/06/WS5a9e7735a3106e7dcc13fef8.html et http://www.chinadaily.com.cn/a/201802/10/WS5a7ef80da3106e7dcc13bf55.html
17 https://www.mckinsey.com/mgi/overview/in-the-news/china-faces-a-choice-modernise-or-risk-a-very-hard-landing
et http://blogs.worldbank.org/eastasiapacific/state-owned-enterprises-in-china-how-profitable-are-they
18 http://gnp.advancedmanagement.net/article/2015/11/profitability-paradox-chinas-soes
19 https://www.mckinsey.com/mgi/overview/in-the-news/china-faces-a-choice-modernise-or-risk-a-very-hard-landing
20 "As economists in Beijing are fond of saying, China is like an elephant riding a bicycle. If it slows down, it could fall off, and then the earth might quake" (James Kynge, China Shakes the World, New York, Houghton Mifflin Company, 2007, p.53)
21 http://www.scmp.com/news/china/economy/article/2128446/chinese-state-enterprises-post-record-level-profits-2017
22 http://www.china.org.cn/business/2009-07/27/content_18210376.htm
23 http://en.ejianlong.com/jlWeb/categoryManage.do?action=findChild&categoryId=634486ef92ac40afae56470d7a78ec16&id=41&img=ezc.gif&layer=layer3&flag=Y
24 http://www.xinhuanet.com/english/2018-01/01/c_136864938.htm
25 Filone analitico riportato da http://reosh.ru/valentin-katasonov-kitaj-stroit-socializm-na-fundamente-fondovogo-rynka.html et https://www.fondsk.ru/news/2017/11/16/reshenia-xix-sezda-kpk-i-zadolzhennost-kitajskoj-ekonomiki-45051.html
26 https://www.mckinsey.com/~/media/McKinsey/Featured%20Insights/Employment%20and%20Growth/Debt%20and%20not%20much%20deleveraging/MGI%20Debt%20and%20not%20much%20deleveragingFullreportFebruary2015.ashx p. 75.
27 https://www.cnbc.com/2017/06/28/chinas-debt-surpasses-300-percent-of-gdp-iif-says-raising-doubts-over-yellens-crisis-remarks.html
28 https://www.reuters.com/article/us-china-economy/china-premier-li-says-2017-gdp-growth-expected-around-6-9-percent-idUSKBN1F0057
29 https://www.ft.com/content/3bc4da08-8171-11e7-a4ce-15b2513cb3ff
30 http://www.bankpedia.org/index.php/it/119-italian/o/21415-operazioni-fuori-bilancio
31 https://www.cnbc.com/2017/11/19/china-shadow-banking-has-slowed-chinese-debt-may-just-go-elsewhere.html
32 https://www.moodys.com/research/Moodys-China-shadow-banking-growth-will-be-constrained-in-2018--PR_379421
33 Ибо социализм есть не что иное, как ближайший шаг вперед от государственно-капиталистической монополии. Или иначе: социализм есть не что иное, как государственно-капиталистическая монополия, обращенная на пользу всего народа и постольку переставшая быть капиталистической монополией.
Vladimir Ilič Lenin, “La catastrofe imminente e come lottare contro di essa” (Грозящая катастрофа и как с ней бороться, 1917), Opere complete (PSS / Полное собрание сочинений), V ed., Mosca, Izdatel’stvo Političeskoj Literatury, 1969, Vol. 34, p. 192
34 Ja. M. Berger, La strategia economica della Cina (Экономическая стратегия Китая), Moskva, Forum, 2009, p. 240.
35 Ancora Lenin: “Il capitalismo di Stato è quel capitalismo che sapremo limitare, i confini del quale sapremo determinare, questo capitalismo di Stato è collegato allo Stato, e lo Stato, questo Stato, sono gli operai, è lo strato politicamente più avanzato degli operai, è l’avanguardia, siamo noi. Il capitalismo di Stato è quel capitalismo che dobbiamo circoscrivere entro i limiti determinati, cosa che finora non siamo riusciti a fare. Ecco il punto. E sta a noi decidere che cosa deve essere questo capitalismo di Stato” (Государственный капитализм, это — тот капитализм, который мы сумеем ограничить, пределы которого мы сумеем установить, этот государственный капитализм связан с государством, а государство это — рабочие, это — передовая часть рабочих, это — авангард, это — мы. Государственный капитализм, это — тот капитализм, который мы должны поставить в известные рамки и которого мы не умеем до сих пор поставить в эти рамки. Вот в чем вся штука. V. I. Lenin, Discorso di apertura al XI Congresso del PCR(b) 27 marzo 1922 ). Vedasi a proposito l’illuminante saggio di Vladimiro Giacché, “Il concetto di ‘capitalismo di Stato’ in Lenin”, Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane, 2/2017: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/11954-vladimiro-giacche-il-concetto-di-capitalismo-di-stato-in-lenin.html
36 А вот мы год пережили, государство в наших руках, — а в новой экономической политике оно в этот год действовало по-нашему? Нет. Этого мы не хотим признать: оно действовало не по-нашему. А как оно действовало? Вырывается машина из рук: как будто бы сидит человек, который ею правит, а машина едет не туда, куда ее направляют, а туда, куда направляет кто-то, не то нелегальное, не то беззаконное, не то бог знает откуда взятое, не то спекулянты, не то частнохозяйственные капиталисты, или те и другие, — но машина едет не совсем так, а очень часто совсем не так, как воображает тот, кто сидит у руля этой машины. Ibidem

Add comment

Submit